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EREMO MISANTROPO

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Messaggi del 16/04/2015

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Post n°1155 pubblicato il 16 Aprile 2015 da Pitagora_Stonato
 


Stanco di storie tristi, lette e peggio ancora scritte, m'ero promesso di fare alcuni racconti allegri, per l'esattezza venti. E, con la cautela di non perdere il vizio, anche uno triste. Il numero venti serviva alla fonetica del titolo, per armonia e scioltezza vocale, non altro. Potevano essere trenta, quaranta, cinquanta. Sarebbe suonato bene lo stesso, ma poi avrei dovuto scriverli ed erano troppi. "Venti racconti allegri", invece, mi pareva titolo perfetto e numero bastante, mentre, poniamo, "Ventitré racconti allegri" avrebbe insultato l'orecchio, dal momento che si legge soprattutto con l'udito. Quell'udire della mente, caro a Fernando Pessoa. In Cent'anni di solitudine, tutti quegli anni servivano al titolo, giacché il libro si sarebbe contentato di molti meno. Ma non poteva esistere per esempio un "Ottantadue anni di solitudine". Ne sortiva un inciampo ritmico, così García Màrquez, maestro indiscusso di ritmo, ne ha incollati cento, uno dopo l'altro.
Questi venti allegri sono racconti uditi qua e là, nei paesi, nelle osterie, vissuti personalmente. Barzellette letterarie realmente accadute, anche se i nomi dei protagonisti, salvo quello di Icio, sono inventati. Mentre li scrivevo mi sono divertito come mi sono sempre divertito a fare libri, a raccontarmi storie per rimanere a galla. La scrittura è un salvagente, si scrive solo per se stessi. Non ho mai sofferto l'incubo della pagina bianca che precipita nel terrore gli autori. Quando siedo e prendo la'penna, la trama l'ho in mente dall'inizio alla fine. Altrimenti faccio altro. Di incubi ne ho già d'avanzo, non aggiungerò quello della pagina vergine.
I venti racconti li conoscevo da anni. Mentre li buttavo giù su un quaderno pensavo: "Finalmente qualcosa di allegro, che fa ridere, che tiene su il lettore". Invece non è stato così e il progetto è fallito miseramente. Questi non sono racconti allegri. Non lo sono affatto. Tra le righe fioriscono episodi che, sì, possono muovere a risate ma, all'origine di tali vicende, m'accorgo che ci sono tristezza, fallimento, solitudine e disperazione. C'è niente di allegro nell'esisten za, nemmeno l'amore. Anzi, in quello c'è più dolore che nella morte. Le barzellette più ciniche e spassose nascono dall'amarezza, dalla resa totale a quella che Pessoa definiva "la tragedia chimico-fisica chiamata vita".
I comici che cercano di farci ridere affrontano un'impresa sempre più ardua perché il mondo ride sempre meno. Se li scrutiamo bene sono individui profondamente infelici e tristi. Basta guardarli in faccia. Seri, spaesati, non ridono mai. Mi vengono in mente Stanlio e 0llio, Totò, Buster Kéaton, Charlot, Gianni e Pinotto. Ritratti dolorosi, autentici pilastri di malinconia. E i più recenti Woody Allen, Benigni e tanti altri comici così tristi che riescono a far ridere quelli che non ridono mai. .
Questi racconti allegri, nonostante il titolo sono, ahimè, disperatamente malinconici. I protagonisti, gente di margine, pietre scartate dai costruttori del palazzo buono, cercano di stare a galla aggirando la vita dalla parte che credono più facile. E affondano nelle scorciatoie ridendo, senza neppure accorgersene. Non prendono l'esistenza sul serio, non prendono sul serio niente, men che meno se stessi. Ma quando fanno qualcosa ci mettono il cuore, e il cuore degli ingenui spesso ride e fa ridere. Forse hanno capito tutto: non vale la pena sgomitare, né affannarsi per le briciole avanzate dalla vita.
Alla resa dei conti, stanco di storie tristi, lette e peggio ancora scritte, non ho fatto altro che raccontarne venti più tristi ancora. D'altronde uno è quello che è. Non si scrive quel che si vorrebbe ma quel che si è capaci di scrivere. E, come disse Borges: "Se un uomo fa qualcosa, non fa altro che il ritratto di se stesso". Così, se da queste pagine sbuca una storia davvero.allegra, è la ventunesima, quella che, nell'intenzione, doveva essere triste. Forse perché la vera allegria è prendere l'esistenza al contrario. Ridere a crepapelle là dove si dovrebbe piangere.
Ma questa la chiamano follia.
Erto, 26 maggio 2012, due di notte

 

Dall 'introduzione di "venti racconti allegri e uno triste" Mauro Corona

 
 
 

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