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Messaggi del 12/08/2010

Coppie Cinematografiche

Post n°384 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

Cary Grant e Ann Sheridan  



in Ero uno sposo di guerra 
di Howard Hawks

 
 
 

Scarlett Johansson

Post n°385 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

Scarlett Marie Johansson
(New York, 22 novembre 1984)





Tra i suoi Film i miei preferiti sono:
Lost in Translation - L'amore tradotto    Match Point  
The Prestige   La ragazza con l'orecchino di perla    

LINK: Scarlett Johansson

 
 
 

Jan Vermeer (Delft 1632 – 1675)

Post n°386 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

I dipinti di Vermeer si possono indubbiamente definire come le più perfette nature morte dell'arte europea, nature morte nel senso originale della parola, e cioè 'vie silencieuse', 'still-life', 'Stilleben', sogno di una realtà perfetta, in cui la calma che avvolge le cose e gli esseri umani diviene quasi una sostanza, in cui gli oggetti e i personaggi (trattati a loro volta come oggetti) lasciano trasparire un loro segreto legame. In questi dipinti la durata sembra sospesa, la vita quotidiana appare sotto l'aspetto dell'eternità. - da Ch. de Tolnay, L'Atelier de Vermeer, in "Gazette des Beaux-Arts", 1953



Quando Proust si trova davanti la veduta di Delft di Vermeer al Mauritshuis all'Aja, lo considera "il più bel quadro del mondo".

Nella Recherche, Vermeer è il pittore preferito di Swann, che su di lui vuole scrivere un saggio, e lo scrittore Bergotte muore davanti al quadro perchè, se pur molto malato, non sa rinunciare a recarsi al museo per vedere un piccolo particolare (una "piccola ala di muro gialla") di cui un critico ha parlato e da lui mai notato fino ad allora.

Proust scrive: "il piccolo lembo di muro giallo (...) era dipinto così bene da far pensare, se lo si guardava isolatamente, a una preziosa opera d'arte cinese, d'una bellezza che poteva bastare a se stessa".



Guardate i dipinti di Vermeer. Si è incerti se attribuire la qualità della luce all' intrinseca pennellata che esalta il gioco lieve e virtuoso di colori o immaginare che quella luce sia già presso di noi, nello sguardo che si poggia sulla Lattaia, o sulla più celebre Fanciulla con una perla all' orecchio. Non sapremo decidere se è all' esterno che si compie il miracolo o dentro di noi. - DA ANTONIO GNOLI

 

 
 
 

Tutti i Vermeer a New York

Post n°387 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 



Tutti i Vermeer a New York

Un film di Jon Jost. Con Emmanuelle Chaulet, Stephen Lack, Katherine Bean, Grace Phillips Titolo originale All the Vermeers in New York.Drammatico, durata 87 min. - USA 1990.









Da una parte Jan Vermeer di Delft (1632-1675), pittore olandese, che mori giovane e sulla cui vita si hanno poche notizie. Ma in compenso i suoi quadri - piccoli interni di vita borghese, scene domestiche, ritratti di donne colte in momenti di poetica quotidianità - furono molto amati dai letterati della fine del secolo scorso, primo fra tutti Marcel Proust: e si direbbe che siano molto amati dai cìneasti di questo secolo, visto che un suo quadro, La dentellière, ha ispirato a Goretta il film omonimo(La merlettaia) e che ora il nome di Vermeer figura addirittura nel titolo di Tutti i Vermeer a New York. Dall’altra parte Jon Jost, classe 1943, cineasta underground passato nelle file del cosiddetto cinema “indipendente”, obiettore di coscienza ai tempi del Vietnam e per questo finito in galera, forte bevitore, e autore - tra l’altro - di quel Camaleonte che, distribuito i. malamente in Italia, riuscì tuttavia a suscitare le ire censorie del solito giudice Bartolomei quando il comune senso del pudore non aveva ancora incontrato Madonna.
Cosa unisce la strana coppia, al di là del fatto che Jon Jost è l’autore di Tutti i Vermeer a New York? Quando venne invitato neI 1991 a Pesaro con due suoi film, Tutti i Vermeer a New York e Sure Fire, i’impenitente regista off disse, a proposito del primo, che si trattava di “una riflessione poetica su un decennio di follia e corruzione”. Aveva ragione, e poche volte l’aggettivo poetico - la stessa qualità di poesia del quotidiano che si trova in Vermeer - è stato attribuito così meritatamente. E così sorprendentemente. Perché Tutti i Vermeer a New York - certamente il più “in” tra i film di Jon Jost - comincia come una commedia alla Jaglom, in un appartamento elegante dove vivono tre ragazze: la ricca padrona di casa che si sente in colpa per il suo pacchetto azionario, un’aspirante attrice di nazionalità francese che non sa da che parte prendere i suoi personaggi, una cantante lirica che gorgheggia fuori orario. Continua in una galleria d’arte dove il mercimonio e le falsità del mercato artistico prendono toni da commedia. E approda a una gigantesca agenzia di Wall Street dove un giovane broker, aggredito e ossessionato dai numeri che compaiono sui video, trasferisce denaro da un punto all’altro del globo con il sentimento di partecipare a un folle rito astratto.
E lui, Mark (Stephen Lack, un Richard Gere più teneramente quotidiano), l’anima di questo film. E la sua nostalgia per un mondo meno implacabile che gli ha fatto scegliere un appartamento somigliante a una casa europea “a livello della strada”, che lo spinge regolarmente al Metropolitan a indagare il mistero di cinque dei Vermeer di New York (altri tre, ci informa, sono alla Frick Coilection), che gli fa mettere un bigliettino in mano alla ragazza incontrata di fronte a un ritratto di Vermeer che le somiglia straordinariamente.
Sarebbe troppo bello se le cose fossero facili come nei film, se Anna, la giovane francese, si facesse conquistare dal semplice e “umanistico” desiderio d’amore di questo yuppie per forza. Ciascuno purtroppo insegue un diverso sogno di completezza. E la conclusione del film - che, elegantissimo nonostante il basso costo, splendidamente fotografato da Jon Jost stesso in tonalità vermeeriane, brillantemente scenografato, sembra una versione ironica e in minore dei lucidi film hollywoodiani su Wall Street o sulla vita elegante nella Grande Mela - lascia un sapore amaro che scava in profondità.
Jon Jost giura di non sapere nulla né di Cechov né di Proust, che pure Anna legge così bene e così a proposito. Ma nel film, sotto la tenerezza della sua ironia e dello humour, corre una profonda nostalgia esistenziale per un modo di sentire e di vivere - e, come si vedrà, di morire -che paradossalmente è più vicino a Cechov e a Proust che alla vincente aggressività dei ruggenti anni ottanta, di Oliver Stone o di American Psycho.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996





 
 
 

La ragazza con l'orecchino di perla

Post n°388 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

Un film di Peter Webber. Con Scarlett Johansson, Colin Firth - Titolo originale Girl with a pearl earring. Drammatico, durata 95 min. - Gran Bretagna, Lussemburgo 2003.



«È vero?», domanda Griet (Scarlett Johansson) a Johannes Vermeer (Colin Firth), dopo aver guardato nella sua camera oscura. In quel buio sorprendente, la servetta ha visto riflesso il quadro per cui sta posando. Ne è stupita, come se la “macchina’ fosse riuscita a illuminare anche ai suoi occhi la bellezza che il pittore cerca di fissare sulla tela. «E un’immagine», le risponde lui. Ma certo non intende che, solo per questo, quello che lei ha visto non possa esser vero. Di questo racconta La ragazza con l’orecchino di perla (Giri with a Pearl Earring, Gran Bretagna e Lussemburgo, 2003, 95’): della bellezza di un’opera di 44 centimetri e mezzo per 39, dipinta attorno al 1665 e riscoperta solo nel 1882. Partendo da un romanzo di Tracy Chevalier, Peter Webber e la sceneggiatrice Olivia Hetreed la immaginano nascere nella casa di Vermeer, nelle luci attenuate, nelle ombre e nei colori del suo studio, a Delft. E ne immaginano la verità: una tra le possibili.
Il loro punto di vista è inusuale: non quello dell’autore del quadro, non quello della sua poetica, ma quello di una servetta analfabeta. Non è vera, Griet. E se anche lo fosse mai stata, certo oggi non ce ne resterebbe memoria. Non fu lei, dunque, a posare per il quadro. Neppure ha fondamento l’ipotesi che Vermeer abbia avuto con la sua modella, chiunque sia stata, il rapporto intenso narrato nel film. Griet esiste solo sullo schermo, come solo dentro la camera oscura esiste l’immagine che la sorprende. Ma dentro il film, appunto, è più che vera: è verosimile e dunque vive la sola vita vera, che abbia significato al cinema.
Chi è la Griet di La ragazza con l’orecchino di perla? Meglio ancora, chi sarebbe potuta essere? Di lei Webber ed Ketreed raccontano una storia in negativo, e anzi proprio una storia negata. Sospesa fra due mondi, pare non aver patria. Il primo è quello misero da cui fugge, portando però con sé e conservando con amore una piastrella decorata. A essa, e all’immagine che vi ha disegnato il padre, Griet affida tutto quello che le rimane: l’idea o forse solo il rimpianto di un ‘futuro impossibile. Quanto al secondo mondo, quello in cui entra senza esserne riconosciuta, le rimarrebbe del tutto estraneo, se a quell’idea o a quel rimpianto non fosse comunque legata.
C’è. nel film di Webber. uno sfondo che viene da dire opaco: quello del denaro. La sceneggiatura, e la regia lo annunciano già in una delle prime sequenze, con la descrizione dei rituali crudeli e immediati di una bancarotta. E poi, nella casa di Vermeer, ne raccontano il dominio pervasivo attraverso la rete di cinismo intessuta da Maria Thins (Judy Parfitt), la suocera. Tutto è da lei subordinato al denaro, a cominciare dal ventre della figlia Catharina (Essie Davis) e dai figli di lei, usati per tenere il pittore in quella rete. Né la donna esita di fronte alla richiesta del mecenate Van Ruijven (Tom Wilkinson): un ritratto di Griet, e alla fine la stessa Griet, con la violenza che il denaro gli consente. Non importa che tra Vermeer e la modella possa nascere un rapporto che somiglia a un adulterio. Neppure della figlia tiene conto, l’avidità della donna.
Tutto questo Webber racconta in un film denso delle ombre e delle luci care a Vermeer. Ed è proprio questo il suo limite: questa mimesi cromatica insistita, che si sovrappone alla sua “verità”, quasi velandola, e che alla fine dà più d’un sospetto di banalità, anche se di alto livello.
Non è banale però il rapporto fra Griet e Venneer. Per merito della brava Johansson, e dei silenzi che sa colmare d’espressività, tra i due si immagina nascere una “comunanza creativa” alla quale non servono parole. Le basta infatti la materialità della pittura: la manipolazione dei colori, la disposizione degli oggetti, la scelta delle luci e delle ombre. Cresce man mano, questa materialità, e diventa complicità erotica, per quanto solo mediata dagli oggetti e dai gesti della creazione artistica.
Come al pittore, dunque, anche alla servetta capita di vedere quello che sta nella camera oscura (secondo una tecnica d’analisi e di studio delle forme e dei colori che sembra fosse proprio di Vermeer). Ci vede la verità dell’immaginazione, quella verità che, in un oggetto o in una persona, sa cogliere il senso dell’attimo, e che è capace di renderlo assoluto, sospeso nel gioco delle ombre e dei colori. 
D’altra parte, quella della Griet di Webber è una storia negata, perduta in un tempo che la esclude per sesso e per nascita, e che la condanna a una vita misera, senza memoria e senza bellezza. E questa la sola verità che alla fine le sia lasciata: ben più opaca di quella che, per un attimo, anche a noi è parso di vedere nel buio di una camera oscura. 
di Roberto Escobar - Da Il Sole-24 Ore, 29 Febbraio 2004



LINK:   La ragazza con l'orecchino di perla   
   
       Scarlett Johansson  

 
 
 

Il cerchio della vita

Post n°389 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

Kate Hudson

Post n°390 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

Kate Garry Hudson 
(Los Angeles, 19 aprile 1979)


  
   

E' figlia dell'attrice Goldie Hawn e del cantante e attore Bill Hudson,
è cresciuta a stretto contatto con Kurt Russell,
secondo marito della madre, che lei e il fratello
 
Oliver considerano come loro padre.


    

 





Tra i suoi Film i miei preferiti sono:
Quasi famosi      Il dottor T e le donne      Come farsi lasciare in 10 giorni   
Quando meno te lo aspetti      The Skeleton Key      Tu, io e Dupree      
Bride Wars - La mia migliore nemica  La ragazza del mio migliore amico
Alex & Emma      Nine      Le quattro piume      Tutti pazzi per l'oro
 
LINK: Kate Hudson

 
 
 

Dolphin

Post n°391 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

To France - Mike Oldfield

Post n°392 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

Gene Tierney

Post n°393 pubblicato il 12 Agosto 2010 da a17540
 

(Brooklyn, 19 novembre 1920 – Houston, 6 novembre 1991)






 

 




in una scena da Femmina folle   

Tra i suoi Film i miei preferiti sono:
Il cielo può attendere      Vertigine        Femmina folle   
Il fantasma e la signora Muir     I misteri di Shanghai   

LINK: Gene Tierney

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: a17540
Data di creazione: 14/06/2010
 

AREA PERSONALE

 
 

Epifania, dal greco
επιφάνεια,
epifaneia, che significa
manifestazione.

 

LEE WILEY - THE MAN I LOVE



 

Un’epifania è un momento
speciale in cui un qualsiasi
oggetto della vita comune,

una persona, un episodio
diventa "rivelatore"
del vero significato
della vita a chi
ne percepisce il valore
simbolico.

 

KATE HUDSON - CINEMA ITALIANO




 


Lo stream of consciousness
o flusso di coscienza
è espressione di  quell'area della mente umana che sta al di là della comunicazione e che non è controllata razionalmente né logicamente ordinata.
Applicato in ambito artistico permette di travalicare le consuete strutture sintattiche e arriva a toccare il fondo oscuro e inconfessato dell'animo umano. 

L’esempio più celebre e valido in ambito letterario è forse il monologo di Molly Bloom con cui si chiude l’Ulisse di James Joyce.
Lo scopo dell'artista in questo caso non è quello di insegnare ma di presentare la realtà in tutti i suoi aspetti nel modo più impersonale ed oggettivo possibile e di lasciare al lettore la possibilità di comprenderla attraverso la sua personale percezione.

 
 

IMMA-NU-EL

"Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele" (Isaia)
Emanuele in ebraico è Imma-nu-El letteralmente "con noi Dio".
Il 6 gennaio la Chiesa commemora l'Epifania del Signore, ossia quando il Messia si è rivelato al mondo: quando "Dio è con noi".

 

BILLIE HOLIDAY - MY MAN



 

ELLA FITZGERALD - I LOVE PARIS



 

 

JUDY GARLAND - HAVE YOURSELF A MERRY LITTLE CHRI



 

JEAN ARTHUR CARY GRANT - ONLY ANGELS HAVE WINGS



 
 

 
 

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