Creato da Studio_Franzoi il 17/11/2006
Questo blog vuole essere una fonte indipendente di informazioni inerente la finanza e la previdenza personale.

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Un parcheggio da 111 milioni di Euro l'anno

Post n°7 pubblicato il 29 Novembre 2006 da Studio_Franzoi

C’è una parte del nostro denaro che può servire per esigenze a breve termine (generalmente entro i 12 mesi) o che è destinata a coprire eventuali spese improvvise. Per gestire al meglio questa necessità dobbiamo utilizzare dei prodotti che siano facilmente liquidabili e che abbiano un rischio quasi nullo. Non potremo aspettarci granché come rendimento, ma questo è intrinseco nell’impiego che andiamo a fare.


Molti risparmiatori per sopperire a questa esigenza utilizzano i fondi comuni d’investimento c.d. di “liquidità” o “monetari” (praticamente sempre quello/i della propria banca o del proprio promotore finanziario).


Ebbene, nella quasi totalità dei casi i fondi di liquidità si rivelano strumenti inefficienti a causa dei loro costi, che comprimono le già ridotte performances.


Vorrei porre l’attenzione su alcuni esempi, scelti tra i peggiori.


Sanpaolo Liquidità Classe A: 1,576%
Fideuram Moneta: 1,553%
Bnl Liquidità Euro: 1,596%


I rendimenti (netti) indicati sono relativi al periodo 15/11/05 – 15/11/06.


Il TER medio (un paramentro che quantifica complessivamente i costi di un fondo) dei fondi liquidità di diritto italiano è circa 0,6%. Decisamente troppo elevato.


Le alternative ci sono: nello stesso periodo un BOT annuale ha reso il 1,957% (asta del 15/11/05, con commissione massime applicate dalla banca); un famoso conto di deposito ha reso, nello stesso periodo, indicativamente il 1,9% (un altro, meno famoso, il 2,04%).


Uno dei fondi citati, il Sanpaolo Liquidità Classe A (il più grosso del suo comparto) al 31/10/06 aveva in gestione un patrimonio indicativamente pari a 12.293.915.000,00 Euro. Non ho commesso errori, sono più di 12 miliardi di Euro.


Questo “dinosauro monetario” brucia lo 0,91% (TER annuo stimato del fondo) del patrimonio in costi (leggi guadagni per la banca). Sono la bellezza di 111.874.626 Euro a scapito dei sottoscrittori senza offrire loro nessun valore aggiunto.



Saluti,


Matteo Franzoi

 
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Anche il Giappone conferma

Post n°6 pubblicato il 28 Novembre 2006 da Studio_Franzoi
 

Riprendo un articolo sul lungo periodo scritto inizialmente. In sintesi sostenevo che non è sempre vero che nel lungo periodo si guadagna sempre. O meglio, dipende da quanto è lungo il periodo e soprattutto…se sono stato fortunato.


C’è un’ulteriore evidenza empirica: il Giappone.


Se andiamo a vedere l’indice Nikkey scopriamo che dal 1984 al 2004 ha fatto praticamente zero…un periodo lungo 20 anni!


Se poi siamo stati più sfortunati ad entrare negli anni ’90 beh…ad oggi, dopo 16 anni, siamo ancora sotto del 60%.


Ovviamente c’è anche da considerare un altro fattore negativo che su periodi lunghi fa la sua parte: l’inflazione.


Saluti,


Matteo Franzoi

 
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Ancora Poste…non sono solo!

Recentemente ho pubblicato un articolo inerente le Poste. Evidentemente non sono il solo a pensare certe cose, dato che il Plus di oggi (inserto di finanza e risparmio del Sole24Ore) dedica l’articolo in prima pagina più un approfondimento specifico proprio sullo stesso argomento.


L’articolo si intitola “Sullo scaffale con Celentano e gli strutturati”. Nel seguito riporto alcuni passaggi.


“Non è di per sé impossibile vendere servizi postali,di pagamento Cd di Adriano Cementano e obbligazioni nello stesso luogo. Per quanto riguarda i primi tre, i consumatori sembrano sufficientemente in grado di fare acquisti a ragion veduta. Per le obbligazioni e gli altri strumenti di risparmio il discorso è chiaramente diverso.”


“La scarsa consapevolezza finanziaria media e la tentazione di semplificare al massimo le decisioni di investimento possono indurre i clienti del BancoPosta a ricercare la soluzione a tutte le loro esigenze di impiego presso gli sportelli giallo-blu.”


“Si limita a sfruttare la capillarità della rete, i servizi di pagamento e il marchio, proponendo una consulenza a basso valore aggiunto, né più né meno come fanno tante banche.”


“Solamente i deficit di conoscenza dei clienti possono giustificare il successo di strumenti collocati dalle Poste che perdono il confronto con i Bot…”


“…tipo il BancoPosta. Il quale ha appena ricevuto dalla società inglese Structured Product il premio europeo come migliore distributore in Italia di obbligazioni strutturate (più di 4 miliardi di Euro collocati solo nel 2006). Non si sa se i clienti, che avrebbero fatto meglio a comperare titoli di stato, si uniranno ai festeggiamenti.”



Saluti,


Matteo Franzoi

 
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Concetti base di previdenza complementare

Post n°4 pubblicato il 21 Novembre 2006 da Studio_Franzoi
 

In questo periodo si sente spesso parlare di fondi pensione e riforma della previdenza complementare (che partirà dal 01 Gennaio 2007).


Per prima cosa vorrei sottolineare che il termine “fondo pensione” in alcuni casi è usato in maniera impropria per indicare polizze assicurative con finalità previdenziali stipulate ante 2001. Si dovrebbe parlare più propriamente di “strumenti per la previdenza complementare”. Questi sono sostanzialmente di 3 tipi:

  • Fondi pensione chiusi (o “contrattuali” o di “categoria”)
  • Fondi pensione aperti
  • F.I.P. o P.I.P. (Forme Individuali di Previdenza o Piani Individuali di Previdenza)

I fondi pensione chiusi sono strumenti nati grazie ad accordi aziendali/sindacali, e sono riservati ad una determinata categoria di lavoratori (es.: metalmeccanici (Fondo Cometa), settore chimico (Fondo Fonchim), insegnanti (Fondo Espero), dirigenti industria (Previndai), etc...). Il lavoratore che aderisce al fondo chiuso versa una parte della sua retribuzione al fondo in aggiunta ad una quota versata dal suo datore di lavoro.


I fondi aperti e i pip/fip sono istituiti da banche e assicurazioni. Un lavoratore che aderisce ad uno di questi strumenti versa in maniera libera e individuale.


I fondi aperti/chiusi sono assimilabili a fondi comuni d’investimento sotto il profilo della struttura e della tipologia dei costi. A livello di quantificazione i fondi chiusi sono però meno onerosi rispetto agli aperti, proprio in virtù di accordi aziendali/sindacali. La struttura dei fip/pip invece è diversa, e i costi in questi casi sono molto più alti.


Banche e assicurazioni ovviamente spingono esclusivamente i loro fip/pip, in quanto garantiscono al collocatore ritorni economici estremamente maggiori rispetto all’equivalente fondo aperto (che devono avere, ma che si guardano bene dal pubblicizzare!).


Gli strumenti descritti sono gli unici che permettono di usufruire della deducibilità fiscale dei contributi (in sostanza gli importi versati, riportati in dichiarazione dei redditi, abbassano l’imponibile su cui vengono calcolate le tasse).


In questo post volutamente non mi sono addentrato in aspetti tecnici (che vanno sicuramente approfonditi). L’idea era quella di dare alcuni concetti basilari a chi conosce poco nulla di previdenza complementare.


Torneremo presto sull’argomento.


Saluti,


Matteo Franzoi

 
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Tripla A...ma non erano titoli tranquilli?

Post n°3 pubblicato il 20 Novembre 2006 da Studio_Franzoi
 

La tripla A è un voto, il c.d. rating, che viene assegnato da società specializzate ai titoli obbligazionari. Il rating riflette l’opinione di una agenzia (le più famose sono Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch) riguardo al grado di solvibilità dell’emittente del titolo.


In parole povere: più alto è il voto e minore è la probabilità che l’obbligazione (che di fatto è un prestito) non venga rimborsata agli obbligazionisti (creditori).


Il rating è generalmente espresso con sigle alfanumeriche: da AAA (massimo) a D (minimo). Il rapporto con il rendimento è inverso, nel senso che più alto è il rating e più basso è il rendimento, e viceversa.


Alcuni emittenti obbligazionari godono del massimo rating (AAA), tra questi c’è la BEI (Banca Europea per gli Investimenti). Tanto per dare un termine di paragone lo stato italiano ha rating A+ (sono 4 gradini in meno rispetto alla BEI secondo Standard&Poor’s).


Ci si può aspettare che un investimento in un bond della BEI sia molto sicuro, anzi, “blindato” oserei dire. E lo è, da un certo punto di vista: l’emittente difficilmente andrà in default. Ma...solidità dell’emittente non fa sempre rima con tranquillità del corso di un titolo.


Esempi chiarificatori si possono agevolmente trovare in bond della BEI quotati sul mercato obbligazionario italiano. Molti di questi titoli, in virtù della loro particolare struttura cedolare legata ai tassi di mercato, hanno un valore attuale di mercato molto inferiore (-10%, -15%, alcuni -20%) rispetto al valore di collocamento pari a 100. In caso dunque di disinvestimento anticipato rispetto alla scadenza si andrebbe incontro a perdite consistenti.


Quando scegliamo un titolo obbligazionario tranquillo (o ce lo propongo...) l’analisi da farsi dunque deve andare ben oltre al rating...onde evitare spiacevoli e inaspettate situazioni.


Saluti,

Matteo Franzoi

 
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