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La distribuzione veloce di prodotti cotti: il “cook & chill method” ed analoghi- Parte prima

Post n°10 pubblicato il 02 Gennaio 2006 da fct1970
 

La distribuzione veloce di prodotti cotti: il “cook & chill method” ed analoghi- Parte prima


Salvatore Parisi,
FoodChemTopics,
http://blog.libero.it/FoodChemTopics/


pubblicato il 02/ 01/ 2006



Introduzione

Da quando la cultura del Fast Food Service si è andata affermando in tutti i Paesi occidentali, si è verificata un’evidente accelerazione di tutti quei processi che vanno sotto il nome di “produzione continua” e che hanno come scopo la distribuzione di pasti di qualità accettabile a costi contenuti ad uso di comunità di medio-grandi dimensioni.
Ci si riferisce qui a:

comunità ospedaliere;
mense aziendali;
mense per scuole, asili, ecc.;
servizi di ristorazione senza budget predeterminato (ristoranti, alberghi);
servizi di ristorazione mobili, senza fissa sede e destinazione (banchi mobili per fiere, eventi sportivi, congressi, etc.);
altre unità legate all’attività di teams sportivi;
altre strutture del tipo.

Esiste un problema di gestione delle procedure che riguarda tutti i casi menzionati in precedenza, relativo in linea di massima a queste tematiche :

acquisizione materie prime ;
gestione flussi materie prime in entrata, con particolar riferimento a date di scadenza ;
manipolazione, produzione derrate, distribuzione ;
aumento della rapidità dei processi di cui al punto c, in particolar modo per quelle strutture senza budget predeterminato ;
assicurazione GMP (Good Manufacturing Practices), od in altri termini gestione HACCP – tendenziale del processo ;
gestione dati in entrata ed in uscita ;
gestione dati statistici, stime inventari, etc. ;
gestione utenze impreviste (buoni pasto speciali, emissione Food-Mat Cards, etc.) .

In tal senso un’azienda che debba sorvegliare i punti critici d’ogni macroprocesso (identificabile sbrigativamente con ognuno dei punti messi in evidenza precedentemente) si ritrova senza punti di riferimento ben precisi in tema di controllo, cui fa però da contraltare una straordinaria varietà di nuove preparazioni alimentari che hanno qualche indiscutibile pregio in termini d’ammortizzazione dei costi.
In riferimento al punto d, in particolar modo, si assiste alla proliferazione di confezioni di prodotti semicotti o cotti da “ricuocere” al momento dell’uso: una categoria del tutto al passo dei tempi, ma sfortunatamente non regolamentata né peraltro facilmente comprensibile per chi abbia fatto studi in materia di prodotti alimentari “classici”.
In questo lavoro facciamo il punto sui cosiddetti alimenti “Hyper–fastly ready” o meglio da distribuzione veloce, caratterizzati dalla possibilità di essere sostanzialmente scaldati per riacquistare in tutto (?) od in parte le proprietà originali del prodotto originale, tanto da avvicinarsi alquanto alla versione comunemente accettata.
I casi più comuni sono questi:

patatine prefritte da industria;
preparazioni a base di carne, pesce, prodotti lattiero-caseari e condimenti vari, costituenti un tutt’uno (panzerotti industriali, focacce fritte, etc.);
risotti, paste condite, ed altri tipi di preparazione, disponibili sotto vuoto, in busta, in vaschette plastiche termosaldate, in vaschette metalliche verniciate, ecc.;
preparazioni di carni, verdure, riso cinese (o d’altri Paesi dell’estremo Oriente);
altri prodotti diversi da ricostituire al momento dell’uso, aggiungendo acqua.

Spesso prodotti simili sono entrati nell’immaginario collettivo della gente comune, tanto da essere associati a note marche del Fast Food (vedi per esempio McDonald’s, Kentucky Fried Chichen – KFC, Pizza-Hut, etc.) o del mondo del catering italiano (Arena Holding, Buitoni, etc.).
Questo fa capire come il fenomeno della distribuzione veloce sia ormai arrivato a conquistare fette importanti di mercato sia da noi sia all’estero.
E non bisogna dimenticare tra l’altro la moda, tutta “made in the U.S.A.”, di prepararsi da sé cibi preconfezionati in appositi locali dotati di forni a microonde o simili.
Ma bisogna pur riconoscere, esulando dall’aspetto del marketing e dalle analisi sociologiche che questa visione comporta, che non esiste a tutt’oggi un piano di comprensione per tali prodotti, se non l’impressione che essi, dopo “ricostituzione”, siano assolutamente eguali a quelli cui si fa riferimento (non precucinati, dunque).
Vediamo dunque in dettaglio il problema, cominciando dalla definizione corretta dei termini processuali che stanno alla base della tecnologia di produzione-distribuzione di queste categorie alimentari.

Definizione dei termini “cook & chill” e “cook & freeze”
Il “Cook & chill method” è essenzialmente un processo di preparazione alimentare (Rimmaudo, 2002) che segue la cottura di un alimento qualunque.
La traduzione dall’originale (cuoci e raffredda) rende bene il concetto: in sintesi un prodotto alimentare (alimento + package) subisce (Rimmaudo, 2002) un processo di cottura adeguato alla tipologia di merce, e subito dopo un raffreddamento abbastanza rapido (0’ – 90’ al massimo) in modo tale da arrivare a far sì che l’alimento sia in tutte le sue parti, “cuore” compreso, termostatato a +3°C.
Una volta raggiunta questa condizione, il prodotto deve essere mantenuto a +3°C almeno fino a quando dovrà essere consumato.
Per rendere tale prodotto edibile, bisognerà, infatti, riportare l’alimento in condizioni tali da riacquistare tutte o quasi le sue proprietà originali, e per questo necessita un trattamento termico inverso al precedente, quindi una scottatura tale da portare tutto alla temperatura di +75°C almeno.
Si consideri che in genere l’alimento può essere ricostituito con vari condimenti, trattati anch’essi con lo stesso identico procedimento o meno: questa situazione si verifica frequentemente con pasti di tipo orientale (Canton Rice, Soya Chicken, ecc) o con alimenti Francesi o dell’Est europeo.
È anche possibile imbattersi in prodotti del tipo “Cook & Freeze”, trattati (Rimmaudo, 2002) con un procedimento simile al precedente ma caratterizzato dalla necessità di arrivare al “cuore” del prodotto con 18°C sotto zero o meno ancora.
Questo significa che tale temperatura deve essere mantenuta in condizioni da “catena di surgelazione ” molto diverse da quelle precedenti.


BIBLIOGRAFIA

Rimmaudo C., 2002. Cook and chill. Il Chimico Italiano, XIII, n. 6 novembre-dicembre.

 
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Commenti al Post:
minsterr999
minsterr999 il 25/03/09 alle 09:02 via WEB
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