Creato da indiana_63_883 il 12/08/2008

Vita On The Road

Storia di un uomo e della sua moto..."In Viaggio"

 

 

« Alla mia unica Principessa...Riflessioni e scelte »

Ruote Tassellate

Post n°108 pubblicato il 18 Gennaio 2009 da indiana_63_883
 

Seduto sul divano, sfoglio un vecchio libro, ricordo della mia adolescenza: "Il grande libro del motocross". Leggendo e guardando le figure in bianco e nero, mi tornano in mente anni in cui ero molto impegnato in uno sport che mi faceva venire i brividi solo a nominarlo. Di pagina in pagina, mi passano davanti moto e nomi familiari, da quelli che erano piloti in erba e che oggi dopo essere stati grandi campioni sono direttori di team o supervisori di scuderia. Moto infangate, curve, traiettorie, salti, consigli di tecnica, e poi foto di boschi e sottoboschi, volti sorridenti di piloti sedicenni con l'espressione di uomini già grandi. Mentre leggo, inizio a fantasticare sul "viaggio" per eccellenza che avrei sempre voluto fare, Napoli-Nuova Delhi. Mi vedo alla guida della mia vecchia e inseparabile Yamaha Ténéré 660 con la quale sto attraversando il ponte di istambul. La moto è carica all'inverosimile, ho le borse laterali, la borsa da serbatoio, il bauletto posteriore e le ruote tassellate per i grandi raid, il road book è stato magistralmente e meticolosamente messo a punto nei minimi particolari. Sono vestito come un pilota della Parigi-Dakar, chiuso nella mia giacca tecnica e con gli stivali da enduro. Il punto di transito più famoso al mondo, rappresentativo della porta verso l'oriente è il ponte di Istambul; in un secondo si passa dalla civiltà occidentale a quella orientale, senza nemmeno rendersene conto. Sono diretto ad Ankara, e sono consapevole di tutte le difficoltà che da questo momento in avanti dovrò affrontare. Attraverso tutta la Turchia, l'Armenia e l'Arzebaijan diretto a Baky; per quanto ovvio non attraverso l'Iran e l'Iraq ma spero poi in un traghetto che mi aiuti ad tagliare per il mar Caspio e che mi porti in Turkmenistan, e poi in Uzbekistan e ancora in Afghanistan, dopo tante fatiche e foto, e volti visti finalmente giungerò in Pakistan. A pronunciare tutti questi nomi sembra quasi una filastrocca, ma chi è pratico di quelle zone, almeno a livello teorico-geografico, sa bene che spesso è terra di nessuno, ci sono paesi con leggi proprie, dove la vita umana ha un valore diverso rispetto all'occidente. Frequentemente si rischia la vita solo per una parola pronunziata male, o per non aver foraggiato a dovere un militare al posto di blocco, o ancora per non aver visto una buca a cento all'ora. I camion invadono la tua carreggiata e fai fatica con gli abbaglianti accesi e con i fari antinebbia al massimo a vedere se la strada va dritta oppure curva dopo cento metri. Le strade ad un tratto vengono a mancare, lunghissimi tratti di sterrato prendono ora il posto delle carrerecce piene di buche, lo scenario è impervio, arido, quasi desertico, ma non proprio, perchè in alcuni punti ci sono scenari degni di un grande fotografo. A differenza del Sahara, dove si vedono dune a perdita d'occhio modellate dal ghibli, qui, ci sono solo rocce e montagne altissime da superare. L'inizio della salita mette in conto alcune considerazioni: l'autonomia della moto che per quanto lunga non è mai abbastanza, l'aria priva di ossigeno che oltre i tremila metri di questi altopiani fa venire mal di testa e smagrisce la miscela aria-benzina, "la strada" che strada non è, perchè parliamo di un viottolo strettissimo, una mono carreggiata in pendenza su strada dissestatissima senza guard rail e sulla quale arrivano camion in discesa su tratti spesso ghiacciati, in pratica una roulette russa a quattro colpi nel tamburo. Spero nella buona sorte, nelle capacità tecniche acquisite da giovane e nella salute mentale degli autisti di camion che di sicuro incontrerò durante la scalata di questo passo che ho di fronte. Salgo in quota e sento la moto che avanza sicura su un terreno a lei familiare, spingono i suoi cavalli verso la cima, e ad una velocità di dieci all'ora tengo d'occhio il baratro alla mia destra che sembra divenire sempre più profondo. Incontro alcuni camion che come previsto suonano il clacson ripetutamente e avvisano in tempo del loro arrivo. Giunto in cima, incontro dei militari dai tratti asiatici, con la pelle di colore quasi marrone, forse per l'aria priva di ossigeno che qui rispetto alle nostre città o alle altitudini inferiori è molto rarefatta, mi creano qualche problema perchè prima di me deve scendere una colonna di camion con a bordo derrate alimentari destinate ai paesi sottostanti, chiedo il permesso di passare davanti per non dovermi sorbire la loro lentezza ed i gas di scarico. La risposta è negativa, mi dicono che devo attendere il loro passaggio e devo dargli almeno due ore di vantaggio sulla discesa dal passo. Comincio ad accusare i sintomi della mancanza di ossigeno al cervello, sembra niente, ma per un occidentale, a quella quota senza maschera ad ossigeno è veramente difficile sopravvivere per molto tempo se non si è al cento per cento con la salute. Evidentemente, il viaggio mi ha provato, la stanchezza è forte e il mio fisico avverte maggiormente questa difficoltà. Mi avvio al posto medico, mentre aspetto che i soldati mi diano il via per ripartire, un ragazzo dagli occhi neri e la pelle bruna, mi accoglie in una specie di baracca di forma tondeggiante, simile a quei rifugi presenti in antartide per gli studi sul clima. Il giovane parla inglese, e fortunatamente è più gentile dei militari, mi sente la pressione e fa un monitoraggio dell' ossigeno presente nel sangue, le cose non vanno tanto bene, perchè i livelli sono molto bassi, mi aiuta una mascherina collegata ad una bombola di ossigeno, che ritengo provvidenziale, in quanto, grazie ad essa, pochi secondi dopo mi riprendo e comincio a stare meglio. Fuori di lì la temperatura è di trentacinque gradi sotto zero e sono le undici del mattino, non oso pensare cosa sia qui di notte. Questo è il motivo del malore dice il medico, perchè l'altitudine è praticamente la stessa delle dolomiti italiane, solo che in aggiunta gioca molto il freddo fortissimo che rallenta ogni cosa, in primis l'olio del motore e poi il fisico del suo pilota. Finalmente sto meglio e ricevo il lasciapassare per scendere sul fianco ovest della montagna, la strada è in ombra, ghiacciata, pericolosissima. In discesa ho paura di procedere, prevedo che una scivolata possa veramente essere letale, perchè perderei il controllo della moto che andrebbe giù nel burrone ed io a seguirla. Decido di rasentare il fianco della montagna, dove però il pericolo è il crollo di massi grandi e acuminati, ma delle due... l'una, scelgo il male minore. Sono in prima, senza manetta, la moto scende, forte del peso, questa volta ringrazio il carico, che poco prima di ripartire avevo provvidenzialmente spostato maggiormente sulla ruota posteriore, che quindi adesso, aderisce meglio. Scendo piano e incrocio camion in salita che percorrono la strada a velocità sostenuta per non incorrere mai nella casistica di dover ripartire in salita "a fermo" e quindi per evitare di scivolare all'indietro. Arrivo più in basso, tutto va meglio, il cuore ricomincia a battere in modo cadenzato, la moto prende meglio la strada, il ghiaccio sta lentamente scomparendo, la visuale è migliore, il passo sta finendo, sono quasi in pianura. In serata arrivo a Dera Ghazi Khan, nel cuore del Pakistan, e poi mi dirigo verso le rive dell'Indus, fiume grande e rigoglioso, qui dormirò in una casetta di legno sulle rive del fiume,e domani sarò pronto per entrare in India e giungere finalmente a Nuova Delhi. D'improvviso, un suono familiare ma fastidioso, mi riconduce alla realtà. E' il mio cellulare, è un amico harleysta che mi fa fare ritorno a casa alla velocità del suono, mi racconta della giornata appena trascorsa in compagnia di tutti gli altri proprietari di harley davidson, andati insieme a fare un giro di un centinaio di chilometri andata e ritorno. Sorrido, mentre parla, amichevolmente, sorrido, lui mi dice ma perchè ridi? Non mi stai ascoltando? Cosa c'è da ridere, ed io tra una parola ed un'altra gli dico, scusami, stavo vedendo una scenetta di un cabarettista alla televisione, mi è sfuggito un sorriso in più. Dai racconta, allora com'è andata la gita?

Indy

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/HarleyMyLife/trackback.php?msg=6331733

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 19/01/09 alle 15:25 via WEB
Amore mio bellissimo, grande avventuriero, soprannominato ad hoc Indiana Jones, leggendo il tuo racconto bramo dalla voglia di arrivare con te in capo al mondo e, sotto il cielo del grande Nord, godere insieme lo spettacolo luminoso del sole a mezzanotte... Tua Oly P.S. Pensami nelle tue fantasie on the road...
 
indiana_63_883
indiana_63_883 il 19/01/09 alle 15:33 via WEB
Sei sempre nelle mie fantasie perch sei l'ispiratrice di tutti i miei racconti... Andare a Capo Nord il sogno di una vita e voglio realizzarlo con te. Ti bacio, Indy.
 
principessina_magghy
principessina_magghy il 20/01/09 alle 22:15 via WEB
Viaggio super dettagliato come sempre…riesci a fare in modo che sembra di stare li’ ad affrontare quelle salite impervie…ad aver paura degli strapiombi…a trattenere il fiato come se fossimo in alta quota ed avere bisogno dell’ossigeno…ma poi come sempre in quest’era di totale “consumismo” ecco che un trillo di un cellulare ci riporta alla realtà…ma per fortuna era un tuo amico harleysta. P.ss Magghy
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 22/01/09 alle 18:43 via WEB
Ciao carissimo, sempre splendidi i tuoi racconti. Questo mi ha avvinto in modo particolare perchè, da ragazzina, la Parigi- Dakar è stato uno dei miei sogni. Un sorriso. Micky
 
Gli Ospiti sono gli utenti non iscritti alla Community di Libero.
 

ESCRIBE TU HISTORIA

 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: indiana_63_883
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 60
Prov: NA
 

IO E L'HARLEY


"La vernice che scottava e toccarla era un piacere.
Il motore incerto e pigro nei primi chilometri.
Ne è passato di tempo e di strada.
Ne abbiamo visto di mondo.
Ne abbiamo avuto di freddo.
E abbiamo riso.
E una volta ti ho spinta per sei chilometri.
E però ci siamo divertiti.
E le rughe non le sento più.
E quel fumo leggero che vien fuori dagli scarichi è senz'altro allegria.
Non può essere olio.
Ma poi ti guardo nel tappo e capisco che hai sete.
Ho sete anch'io e siamo in un bar.
Io dentro che bevo e tu fuori che stai lì.
C'è una ragazza bionda che mi parla.
Io intanto bevo."
Carlo Talamo

 

AREA PERSONALE

 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 

POESIA DI CARLO TALAMO.


Non vivo per te.

Vivo con te.

Da tanto tempo,sono abituato ai tuoi difetti e ai tuoi capricci.

Da cent'anni sopporto gli scherzi e la malattie immaginarie che tanto inquietano chi

non ti conosce.

Sto qui.

Sto con te.

Me ne vado a spasso con te.

Traffico con tutti quei pezzi che hai.

E mi diverto.

E vibro.

E vivo.

 

IL VIAGGIO DEI PENSIERI....

Are You Going With me?

Pat Metheny e Anna Maria Jopek

 

PINK FLOYD - HIGH HOPES

Per Viaggiare... anche oltre la strada...

 

Copyright EMI records

 

PERCHé IO VIAGGIO SU UNA MOTO

 

Perché io viaggio su una moto

E assaporo il vento

Si è vero…è piena di bulloni…

Ma quando mi perdo nei miei pensieri

Lungo questo asfalto

Non c’è nessuno che

Mi può fermare!

 

PINK FLOYD - SHINE ON CRAZY DIAMOND LIVE

 

L'AMORE E LE PASSIONI NON DORMONO...

Niente è più brutto di una parola d'amore pronunciata freddamente da una bocca annoiata.

(Nagib Mahfuz)

 

VAGABONDO - I NOMADI

Dedicato a tutti coloro che ancora conservano un bimbo nel profondo...
 

LIVE BY IT

Filosofia Harleysta On The Road
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963