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LA RECESSIONE,L'ANTIPOLITICA E GLI ANNUNCI

Post n°32 pubblicato il 07 Agosto 2014 da IsolaRizzaInforma

ARTICOLO DI 

Antonio Bruno Headshot

L'Italia è in recessione e non era difficile aspettarsi un risultato del genere. Il clima da perenne campagna elettorale, nel nostro Paese, ci fa dimenticare quello che è successo dal 2009 in poi. Mentre il mondo veniva scosso da una violenta crisi economica e, più o meno, quasi tutti i Paesi occidentali si attrezzavano a mettere in atto misure politiche per affrontare la bufera economico-finanziaria, da noi si parlava di Ruby e si varavano provvedimenti di natura elettoralistica. La crisi avanzava e di pari passo aumentava la pressione fiscale. Le aziende iniziavano a fallire ma l'opinione pubblica e la politica erano distratte dagli scandali della politica. La disoccupazione iniziava a raggiungere percentuali drammatiche e noi stavamo alle prese con il dopo Berlusconi, con i CV dei tecnici di Monti, con la parità di genere nelle liste e con altre amenità varie. Più o meno da 15 anni sentiamo ripeterci che bisogna fare le riforme, che non si può mettere in discussione l'Europa perché noi siamo europeisti convinti, che il problema è la spesa pubblica, che bisogna tagliare, che bisogna abbassare la pressione fiscale e chi più ne ha più ne metta.

L'Italia è un Paese fondato sugli annunci, sul ciclico stupore per i rapporti Svimez, sui commenti alle relazioni della Banca D'Italia, sui dati di Confindustria e i documenti di Confcommercio, sulle proteste dei Sindacati e sui numeri delle banche. Un Paese che produce innumerevoli quantità di documenti e analisi, ma che non decide politicamente.

Mentre Sagunto bruciava, Roma si avvitava sui costi della politica, perché è su quello che si doveva concentrare il marketing politico. Il mercato elettorale voleva sentire parole nette su indennità, privilegi, affitti d'oro e finanziamento ai partiti. Superficialmente molti hanno pensato che l'avanzata di Grillo fosse dovuta all'indignazione degli italiani per i costi della politica. Questa è stata la lettura prevalente che si è data al fenomeno dell'antipolitica. Sia ben chiaro, ridurre i costi della politica è necessario, ma queste misure non rilanciano l'economia e rischiano, pericolosamente, di portare l'opinione pubblica su binari delicati. Di questo passo i costi della politica facilmente potranno essere confusi con i costi della democrazia. Anche perché il problema non è quanto ci costa la politica, ma la qualità della politica. Un politico incapace fa danni anche se ci costa la metà di quanto guadagna oggi.

Neppure lontanamente qualche guru della strategia politica - ora l'analisi e le modalità d'azione politica si appaltano a esperti, prima erano un compito della politica - ha colto nell'avanzata dei movimenti antipolitici la spia di un malessere ben più profondo rispetto all'odio nei confronti del benessere dei politici. L'Italia non è la Germania, non abbiamo mai avuto un senso civico sviluppato. Inutile girarci intorno, gli italiani - la maggioranza - hanno accettato un determinato modo di fare politica, non perché in Italia non ci fossero gli strumenti per rendersi conto di quanto fosse degenerato tale comportamento politico, ma semplicemente perché era conveniente. Un compromesso fondato sul do ut des, una lucida degenerazione del rapporto politico-elettorale sintetizzabile nel leitmotiv che ha accompagnato gli anni d'oro del periodo ante crisi economica: "I politici mangiano ma fanno mangiare anche il popolo".

Ad un certo punto, però, i cittadini si sono trovati nel pieno della crisi economica, senza lavoro, senza prospettive a breve termine, ma soprattutto senza la ciambella di salvataggio della politica. È qui che è scattata l'antipolitica. Solo chi ha una distorta considerazione dell'italiano medio può credere che l'antipolitica, in Italia, possa essere collegata alle indennità dei parlamentari e ai compensi di tutti quelli che ruotano intorno alla politica. Anche in questo, l'Italia ha una sua specificità. L'antipolitica nasce ed esplode nel momento in cui la politica non è stata più in grado di fare quello che ha sempre fatto: accontentare. Altro che senso civico, M5S e fustigatori della morale in politica. È semplicemente finita la benzina.

Da quando è esplosa la crisi economica la politica ha tentato di affrontare il problema con gli annunci e preoccupandosi più della ricerca del consenso che delle cose da fare per superare la crisi. Così facendo, mentre non avevamo più la possibilità di incidere sulle regole imposte dall'UE - anzi, cambiavamo la Costituzione introducendo il pareggio di bilancio - a causa della nostra debolezza politica, il Paese iniziava a perdere terreno. Negli ultimi dieci anni è calato il Pil, è aumentata la disoccupazione, il debito pubblico è salito notevolmente e la pressione fiscale ha raggiunto livelli insopportabili. La recessione non è arrivata per caso. È figlia di un lungo periodo di annunci. È figlia, anche e soprattutto, di una politica economica europea insostenibile. Perché, se da un lato ci sono le nostre responsabilità, dall'altro c'è una Germania che sta portando al conflitto sociale l'Europa. Abbiamo bisogno di autorevolezza in Europa ed è per questo che, oggi, è da sciocchi incolpare Renzi per la recessione e un simile atteggiamento rientra, esclusivamente, nella logica del clima da campagna elettorale perenne. Altresì, è da sciocchi sostenere acriticamente ogni posizione politica espressa dal Presidente del Consiglio. Non fa bene né a lui né all'Italia.

Esisterà una via di mezzo in questo Paese? Quando si potrà affrontare laicamente l'operato dei governi, riportando la dialettica politica ad un livello di civiltà? È ragionevole continuare a discutere di politica, di Italia, senza scadere nella tifoseria? L'Italia non ha bisogno né di gufi né di replicanti.

Laicamente si può dire che gli 80 euro di Renzi, al pari della finta abolizione dell'IMU fatta da Letta per soddisfare le esigenze elettoralistiche di Berlusconi, sono forse insostenibili per un Paese che ha la necessità di creare occupazione e che, probabilmente, questi 80 euro servono ad accontentare chi un lavoro già lo tiene? Magari produrranno effetti positivi sui consumi, ma c'è bisogno di spiegare meglio questi effetti. Uno scontrino della spesa è alquanto riduttivo per giustificare una misura impegnativa per le casse dello Stato.

 
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Commenti al Post:
sexydamilleeunanotte
sexydamilleeunanotte il 26/08/16 alle 11:55 via WEB
grazie a questo post mi si sono schiarite le idee. Grazie. Ciao da

cr-edilizia

(Rispondi)
 
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