Creato da stalin il 05/11/2005 |
Post n°11 pubblicato il 10 Marzo 2011 da stalin
Alla fine deciderà l’Uomo in bianco» ripetono a Milano. Sarà il Papa a esprimersi in via definitiva su chi sarà l’erede del cardinal Dionigi Tettamanzi, il vescovo destinato a guidare la diocesi più grande del mondo. Non è una scelta di poco conto in un momento in cui Benedetto XVI ha messo in primo piano le esigenze di una nuova evangelizzazione dell’Occidente, di cui Milano è una delle grandi capitali. |
Post n°10 pubblicato il 10 Marzo 2011 da stalin
I pettegolezzi dal Vaticano sul cambio della guardia al vertice della più grande diocesi del mondo, quella di Milano, città che nella primavera 2012 ospiterà l'incontro mondiale delle famiglie ( con la presenza di oltre un milione di pellegrini che si troveranno al cospetto di Papa Ratzinger ) si sono ammutoliti, quando si è saputo dell'avvio della procedura formale per arrivare, entro la fine dell'anno, alla designazione del nuovo vescovo di Milano. Chi sperava in un'ulteriore proroga del mandato di Tettamanzi, si è dovuto arrendere quando ha visto spedire, all'indirizzo dei sacri palazzi della Regione Lombardia, le lettere firmate dal Nunzio vaticano in Italia, Giuseppe Bertello. Gesto ufficiale che segna l'inizio del dopo Tettamanzi. Il Pontefice ha deciso per il cambio, pensando di arrivare alla nomina in tempi rapidi, forse addirittura per l'estate, programmando il passaggio ufficiale delle consegne alla fine di settembre. Adesso è tutto un lavorio per raccogliere le opinioni e i consigli dei vescovi che operano in Lombardia, ognuno dei quali ha proprie idee su chi potrebbe occupare una delle sedi vescovili più prestigiose d'Italia, e comunque quella che certamente dopo Roma è considerata la più importante, anche per il rapporto e l'influenza che il vescovo di Milano ha nei confronti del mondo dell'imprenditoria e della finanza, quella che conta. Da Milano sono passati vescovi famosi, come Giovanni Battista Montini - poi diventato Papa Paolo V I- e, andando a ritroso nel tempo, altri grandi nomi di poporati come quello del Cardinale Ildefonso Schuster e del Cardinale, poi Beato, Andrea Ferrari. Ciò che i vari porporati lombardi riferiranno, verrà poi valutato nelle segrete stanze vaticane dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e dal Capo della congregazione per i vescovi, il canadese Marc Quellet. La decisione finale spetterà solo al Papa. E ora è battaglia di supposizioni ma anche di insinuazioni.
Se Ravasi ben rappresenterebbe Milano e la sua diocesi, in realtà - dicono - non sarebbe apprezzato dalle tante parrocchie lombarde che vogliono un pastore, una guida vera, che comprenda le loro istanze e agisca di conseguenza. Scola invece in questo sarebbe considerato perfetto, è un ottimo pastore, sa delegare ma sa anche seguire molto bene le parrocchie, in più può vantare la sua stretta amicissima col fondatore di CL, il che suscita entusiasmi negli animi ciellini lombardi, che già con Ratzinger sperarono in una maggior disponibilità vaticana ma restarono delusi, ora ci riprovano con Scola. La gara è comunque senza esclusione di colpi. Le cattive lingue, sussurrano che se Ravasi si facesse troppo sicuro potrebbero anche uscire dalle segrete stanze delle notizie disdicevoli, così come dal fronte veneto c'è chi insinua che, poichè sarà molto difficile trovare un sostituto del Patriarca, alla fine il Papa troverà il modo per far fare marcia indietro a Scola, e aggiungono "e sarà molto meglio così". Insinuazioni e veleni non mancano. C'è anche da dire che Ravasi è estremamente soddisfatto del ruolo che attualmente ricopre in Vaticano, così come Scola, tutto sommato, a Venezia non ci sta male. Certo, la Ragion di Stato Vaticano impone obbedienza, e poichè le alternative non possono essere attuate per questioni di giovane (e il Papa non vuole rapide ascese) oppure di eccessiva età, la corsa si restringe a Ravasi-Scola. Ma questo non significa affatto che sarà uno di loro il prossimo vescovo di Milano. Papa Ratzinger è abituato a sorprendere tutti, e poichè è lui - dopo aver naturalmente ascoltato Tarcisio Bertone e Marc Quellet - a decidere, e adesso che ha annunciato che la sua intenzione è quella di agire rapidamente, all'ultimo momento Sua Santità potrebbe sconvolgere ogni previsione |
Post n°9 pubblicato il 10 Marzo 2011 da stalin
di Fabio Massa Altro che corsa a due. La questione della successione di Dionigi Tettamanzi alla guida della diocesi più grande d'Italia è apertissima. E per questa "corsa" non ci sono in lizza solo Gianfranco Ravasi e Angelo Scola. Secondo quanto ha potuto apprendere Affaritaliani.it da fonti d'Oltretevere, ci sono ostacoli difficili da superare, sia per Ravasi che per Scola. Gianfranco Ravasi, classe 1942, lombardo doc (è nato a Merate), dal 2007 è presidente Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Un cumulo di cariche importanti, che testimoniano una carriera davvero rapida. E sarebbe proprio questo il problema. Benedetto XVI ha infatti enunciato il principio, tra i suoi più intimi collaboratori, che nella Chiesa non ci siano "carriere di corsa". Niente più promozioni veloci, dunque. E, quindi, strada difficile, quella verso Milano, per Ravasi.
Nelle "primarie" per il Duomo di Milano c'è anche un'altra regola di Papa Ratzinger che va tenuta in considerazione. Benedetto XVI ha infatti stabilito che non ci sia un nuovo cardinale dove c'è ancora in attività un cardinale elettore, come nel caso di Tettamanzi. L'attuale arcivescovo di Milano ha 77 anni e per altri tre avrebbe il diritto di partecipare al conclave. Ovviamente, quindi, una eventuale nomina di Scola o Ravasi sarebbe in contrasto con la volontà di Ratzinger. C'è già chi vocifera di altri arcivescovi tra i "papabili" del Papa...
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Post n°8 pubblicato il 05 Marzo 2011 da stalin
Fra i "papabili" del Corriere della sera alla successione di Dionigi Tettamanzi, c'è anche Bruno Forte, l'arcivescovo di Chieti Vasto. L'autorevole quotidiano aggiunge a candidati "scontati" quali Gianfranco Ravasi e Angelo Scola, cardinale uno e patriarca di Venezia l'altro, una rosa di nomi sui quali starebbe riflettendo papa Ratzinger, al quale spetterà l'ultima parola. Al rosario di candidati nordisti, quali i vescovi di Piacenza, di Bergamo, di Brescia e di Crema, si aggiungono Carlo Casalone, superiore dei gesuiti in Italia; Pierbattista Pizzaballa, francescano e custode di Terrasanta; Bruno Forte, appunto, "il biblista", scrive il Corsera, attuale arcivescovo di Chieti-Vasto. Il nome di Forte come successore di Tettamanzi, alla diocesi più grande del mondo, è sussurrato da qualche tempo nei corridoi vaticani. L'attuale cardinale arcivescovo milanese è vicino alla scadenza dei due anni di proroga, e la congregazione dei vescovi è al lavoro da tempo per suggerire a Ratzinger i tre nomi di rito. I quali tre nomi saranno suggerimenti, fermo restando il potere del papa di sceglierne un quarto. Si sa che Ratzinger è orientato a scegliere un pastore residenziale. E di Ratzinger è nota la stima per Forte, da lui stesso ordinato vescovo a Napoli prima dell'ingresso a Chieti. La stima riguarda il vescovo teatino come teologo di prim'ordine e come pastore. Il suo ruolo di punta nel dialogo con le chiese d'Oriente e con gli ebrei è un riconoscimento alla sua sapienza e alla sua straordinaria capacità di lavoro. Forte è un grande comunicatore, cosa che al papa non dispiace, come collaboratore del Sole 24 Ore, del Corriere della Sera, dell'Avvenire, oltre che del quotidiano abruzzese "il Centro" per il quale scrive dai tempi della direzione di Antonio Del Giudice. Come si sa, la Chiesa è molto riservata nelle sue scelte, né ci si può aspettare conferme o smentite se con gli atti ufficiali. Si può aggiungere anche un episodio eloquente. Dopo qualche tempo del suo arrivo a Chieti (quasi 10 anni fa), interrogato da alcuni amici sul suo futuro, l'arcivescovo rispose: "Mi sono già scelta la tomba qui a Chieti, per il resto deciderà il Signore". Commenti dei lettori REMO: Ho avuto occasione, il 31 gennaio, di assistere alla presentazione del libro di Mario Luzi "LA PAROLA DI DIO" la cui prefazione è stata scritta da Sua Ecc. Mons. Bruno Forte, presso la Blblioteca Ambrosiana di Milano. C'era anche il nostro Mons. Ghidelli che adesso vive a Milano, ero passato a trovarlo. Ci Siamo fatti anche una breve passeggiata in piazza Duomo. Ho notato che Mons. Forte è conosciuto e molto apprezzato anche a Milano. |
Post n°7 pubblicato il 04 Marzo 2011 da stalin
L’espansione del potere di CL ha assunto caratteri tali che chi si oppone a essa, o semplicemente critica lo stile della potente lobby cattolica, è sottoposto a pesanti pressioni. Esemplare il caso del dottor Enrico De Alessandri, un dirigente della sanità lombarda sottoposto a un severo provvedimento solo per aver criticato lo strapotere di CL in un sito,www.teopol.it , nel quale De Alessandri pubblica un dossier in cui è illustrato l’assalto al potere in una regione che gestisce un bilancio da 20 miliardi di euro, pari a quello di un piccolo Stato. |
Post n°6 pubblicato il 03 Marzo 2011 da stalin
Dall'ira di Comunione e liberazione non si salva nessuno. Neppure Silvio Berlusconi. Nel dicembre 2009 il premier aveva osato sostituire Luigi Roth, fedelissimo di Roberto Formigoni e da dieci anni presidente della Fondazione Fiera di Milano, con Giampiero Cantoni, imprenditore meccanico, docente alla Bocconi, tre volte senatore Pdl e soprattutto amico suo. Formigoni abbozza, fa buon viso a cattivo gioco, intanto prepara la sua vendetta. Fredda e spietata, come si conviene a un potere sicuro di sé. Capito come funziona? O gli affari li facciamo noi di Cl, o ti accordi con noi accontentandoti delle briciole. Se ti metti contro, fossi anche l'unto del Signore, prima o poi ti tagliamo le gambe. E se non ti possono distruggere, ostentatamente ti snobbano. Berlusconi, i ministri Roberto Maroni, Ferruccio Fazio e Maria Stella Gelmini, la Moratti, il cardinal Martini: c'erano tutti, il 14 marzo scorso, al San Raffaele a festeggiare i 90 anni di don Luigi Verzé. Tutti tranne Formigoni, memore forse di quando il fondatore dell'ospedale, prete col pallino degli affari, tentò di accreditarsi anche come erede di don Luigi Giussani, il fondatore, sfilando qualche adepto alla ditta Formigoni & Co. Si capisce, uno se le attacca al dito, queste cose. Ora, vedremo, la partita è tra Cl e la Lega, i due galli nel ricco pollaio del Nord. Un po' battagliano e un po' s'accordano, in un gioco che per il Carroccio si sta rivelando pericoloso, causa di liti, spaccature interne, liste contrapposte per i vertici Asl, persino una cacciata, quella di Alessandro Cè, ex capogruppo alla Camera, dal 2005 assessore lombardo alla Sanità, costretto a lasciare per aver denunciato che il tanto decantato modello sanitario lombardo "si basa su analisi e cifre manipolate e sull'occupazione sistematica del potere". La Compagnia delle Opere, il loro braccio operativo nell'economia, conta 34 mila aziende, per un fatturato annuo di 70 miliardi di euro: una volta e mezza la Fiat, per capirci, o un ventesimo dell'intero Pil nazionale. È vero, quasi metà sono in Lombardia, culla del movimento e cuore del suo potere, esteso dal presidente della Regione fino al portiere di notte dell'ultima clinica. Ma nuove direttrici d'espansione sono il Veneto, l'Emilia-Romagna, la Sicilia, il Lazio: a Roma hanno ormai 1.500 iscritti, un seggio in Camera di commercio, il presidente dell'azienda dei trasporti Atac. E se i confini nazionali fossero troppo stretti, a fine giugno Matching, l'annuale fiera del business della Compagnia, si terrà per la prima volta fuori Italia, a Mosca: dove è di Cl l'arcivescovo, monsignor Paolo Pezzi |
Post n°5 pubblicato il 03 Marzo 2011 da stalin
Al peggio non c'è mai fine: questa è la reazione immediata che ho avuto di fronte alle incredibili affermazioni di mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, esponente di primo piano della Cei, pubblicate da La Stampa di ieri in una intervista di Giacomo Galeazzi. Merita leggerne qualche brano per rendersi conto della bassezza etica a cui è giunta tutta una parte della gerarchia cattolica italiana e vaticana, forse quella che conta e in ogni caso quella che parla, a parte qualche eccezione. «Ci sono le condizioni per orientare cattolicamente la restante parte della legislatura verso i principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di istruzione - dice il prelato, non a caso ciellino, e rincara la dose - Le incoerenze etiche di un governante non distruggono il benessere e la libertà del popolo, gli attacchi alla famiglia e alla sacralità della vita devastano la vita sociale ... Un politico è più o meno apprezzabile moralmente in base a quanto si impegna a vantaggio del bene comune, cioè di un popolo che viva bene e di una Chiesa che operi in piena libertà. Non è edificante sentir evocare anche in ambienti cattolici l'indignazione, il disprezzo, l'odio verso l'avversario politico. A far male alla società sono i Dico, la legislazione laicista, la moralità teorizzata e praticata da quanti ci inondano di chiacchiere sulla rilevanza pubblica di taluni comportamenti privati ... La moralità personale è importante e Berlusconi va richiamato come tutti, ma nella sua storia la Chiesa interviene sulla promozione del bene comune e su ciò valuta un'autorità pubblica. In due anni e mezzo i cattolici potranno incidere di più sulla vita politica e sociale, per esempio contro i registri delle coppie di fatto e il sì al farmaco abortivo Ru486». C'è chi evoca la simonia e il mercato delle indulgenze. «La Chiesa simoniaca di Ratzinger Bertone e Bagnasco sabato ha riscosso il suo prezzo - scrive Paolo Flores D'Arcais su Micromega - siamo tornati, cioè, alla vendita delle indulgenze, un regresso di alcuni secoli». Non mi piacciono le denuncie enfatiche e le sparate mediatiche oggi tanto di moda. Mi costa anche rimestare continuamente in questa melma maleodorante e pestifera che sa di putrefazione, mentre tanto sangue corre nei paesi del Nord Africa nel doloroso parto di un mondo nuovo. Ma come non dare ragione a D'Arcais? Questa la prima reazione che ho provato. Poi però ho volto lo sguardo al positivo crescere continuo di prese di posizioni pubbliche di cattolici, non solo laici ma anche pastori. E mi son detto: non tutto il male vien per nuocere. Certo è un po' frustrante che si debba sempre toccare il fondo per aprire gli occhi e trovare la forza della denuncia profetica. Di fatto però è quello che sta accadendo. Sono consapevole dei rischi di prendere la parola in un mondo, quello ecclesiastico, dove la parola è prima di tutto rivelazione, Verbo incarnato. Non credo però che la Parola di Dio annulli le parole umane. Ritengo anzi che le valorizzi e le ispiri, non soltanto quelle dei pastori e non solo dall'esterno ma anche dall'interno delle coscienze dei credenti. «Il Signore Dio ha parlato: chi può non profetare?» dice il profeta Amos che era un povero pecoraio di Tekoa. Penso che siano considerazioni come queste a indurre parroci, religiosi e suore a rompere il silenzio. Non vanno lasciati soli. Meritano rispetto e solidarietà. La scelta di parlare non deve essere stata facile. Se lo hanno fatto è perché hanno avvertito e sofferto il montare di un grande disagio fino al disgusto e alla perdita di fede nelle comunità in mezzo a cui vivono e che animano. Nella Chiesa si stanno moltiplicando i segni e i semi di una nuova stagione di profetismo rinnovatore. E si sta rompendo quella specie di omertà da paura di vescovi, teologi, preti e laici muti e immobili di fronte a un ciclone che scuote le fondamenta dell'istituzione ecclesiastica. Qualcuno invoca un nuovo Concilio aperto a tutto il Popolo di Dio e non solo ai vescovi. Fermarsi tutti, ascoltare lo Spirito che preme anche oggi per «fare nuove tutte le cose» e discutere insieme dell'assetto istituzionale ecclesiastico che dimostra di non reggere più di fronte alle sfide di un mondo nuovo che sta nascendo. |
Post n°4 pubblicato il 03 Marzo 2011 da stalin
Cl, affari con la 'ndrangheta di Paolo Biondani L'indagine sui clan calabresi nel nord Italia svela gli impressionanti legami tra la macchina di potere di Comunione e Liberazione e la malavita organizzata. Dalla sanità fino ai cantieri edili (01 marzo 2011) C'è il revisore dei conti della fiera di Milano che "divide i soldi in nero" con il capo della 'ndrangheta. Il direttore sanitario arrestato per mafia che svende appalti in cambio di "un sacco di voti" per un parlamentare "legato a doppio filo a Formigoni". C'è il nuovo manager degli ospedali lombardi che è tanto amico dei boss calabresi da farsi definire "il nostro collaboratore". C'è il vicepresidente del consiglio regionale, già indagato per bancarotta e corruzione, che si vede inserire dai giudici nel "capitale sociale della 'ndrangheta". E poi ci sono gli imprenditori mafiosi, che continuano ad avvelenare terre e acque della Lombardia. Mentre la politica reagisce vietando ai tecnici regionali di aiutare le inchieste della magistratura. Gli atti d'accusa della direzione antimafia di Milano svelano il lato oscuro di Comunione e liberazione. Alla base di Cl c'è un movimento forte di migliaia di persone oneste, laboriose, profondamente cattoliche. Al vertice però, attorno a Roberto Formigoni, governatore-padrone della Lombardia dal 1995, si è creata una macchina di potere con agganci spaventosi. A documentarli è la requisitoria dei pm (3.286 pagine, in gran parte inedite) che nel luglio 2010 ha portato in carcere più di 300 imputati di mafia. Tra tanti reati, i giudici delle indagini hanno ritenuto provati molti fatti al limite della legalità: relazioni di "contiguità e vicinanza", che non raggiungono gli estremi della complicità penale, ma consentono ai capimafia di "beneficiare di rapporti continuativi con altri poteri, economici e politici". Il campionario delle contiguità si apre con la Fondazione che controlla il gruppo Fiera di Milano, storicamente il primo feudo ciellino. Sulla poltrona di presidente del collegio sindacale, che è l'unico organo di controllo interno, siede un commercialista di Palmi, Pietro Pilello. Già intercettato nel 2007 mentre aiutava Berlusconi a reclutare parlamentari per far cadere Prodi, il revisore calabrese è tornato alla ribalta quando si è scoperto che nel 2009 organizzava "cene elettorali con i boss" a favore di Guido Podestà, il presidente della Provincia di Milano. Ora "l'Espresso" può svelare come è nato il suo rapporto con un capomafia del calibro di Pino Neri, un avvocato massone nominato "reggente" delle cosche lombarde direttamente dalla cupola calabrese, per chiudere una guerra di mafia esplosa nel 2008. Tra Neri e Pilello, secondo i magistrati, c'era un patto occulto: "Una compartecipazione ufficiosa alle cause civili, di cui si dividevano i guadagni in nero". Il problema è che "compare Pino" era uscito dal carcere nel 2007, dopo una condanna definitiva a 13 anni per un colossale traffico di droga, per cui non poteva più comparire come avvocato. Di qui l'accordo tra i due fiscalisti che hanno fatto fortuna al Nord: le parcelle vengono "intestate allo studio di Pilello, presenziato da suo figlio", ma "il boss Neri incassa il 50 per cento". Il capomafia intercettato si lamenta perfino che Pilello gli avrebbe "fottuto soldi in nero" e "rubato clienti", citando "una pratica da un milione di euro" per un centro commerciale. Ora Neri è in cella, mentre Pilello continua a collezionare poltrone, mettendo d'accordo formigoniani e berlusconiani: è revisore dei conti di 28 società, tra cui Finlombarda, Mm, Asm Pavia e Raiway. Queste e altre rivelazioni dei boss sono state registrate dalle microspie nascoste dai carabinieri sull'auto di Carlo Antonio Chiriaco, un super manager della sanità lombarda arrestato come "mafioso da più di vent'anni". Rievocando estorsioni, riciclaggi nell'edilizia e tentati omicidi, lo stesso Chiriaco si è autodefinito "fondatore della 'ndrangheta a Pavia". Nel 2008, dopo vent'anni di promozioni, la giunta Formigoni lo ha nominato direttore sanitario dell'Asl di Pavia, una delle più importanti d'Italia, con 780 milioni di fatturato. Qui Chiriaco, concludono i giudici, ha "costantemente operato nell'interesse della 'ndrangheta". "Questo è il centro di potere più grosso della provincia", spiegava lui ai boss, "perché da noi dipendono tutti gli ospedali, i medici, i cantieri, la veterinaria... Siamo noi che diamo i soldi e noi che controlliamo... Ho una squadra che funziona che è una meraviglia". E Neri confermava: "Ha tutta la provincia sotto di lui, ci fa centomila favori... Lui è molto vicino a me, da anni siamo tutt'uno". Il più potente sponsor di Chiriaco è l'onorevole Giancarlo Abelli, detto "il faraone di Pavia". Ex dc non ciellino, è diventato, nell'era Formigoni, il grande burattinaio della sanità. E nel 2010, quando si ricandida in Regione, Chiriaco si scatena. Corrompe elettori: "Venti euro a voto, ecco la busta". Alluviona Pavia di sms: "Chiedo la preferenza per Abelli, molto più che un amico. Scrivi Abelli (Pdl) sulla scheda. Grazie per questo favore". Anche il boss Neri fa votare l'onorevole e il 15 febbraio 2010 gli manda in ufficio uno scagnozzo per farsi "ringraziare". Chiriaco spiega così ai mafiosi i vantaggi del voto: "Abelli è legato a doppio filo a Formigoni. E nei prossimi cinque anni c'è l'Expo". Ma cosa promettesse Abelli, resta un mistero: è parlamentare, proibito intercettarlo. Di certo il manager mafioso dell'Asl di Pavia aveva già brigato per far scarcerare sua moglie, Rosanna Gariboldi, arrestata (e poi condannata) per aver riciclato fondi neri del "re delle bonifiche" Giuseppe Grossi. Lady Abelli finisce in cella il 30 ottobre 2009. Mentre i big di Cl e Pdl parlano di "tortura giudiziaria", Chiriaco organizza due false visite mediche per far certificare un'inesistente malattia della detenuta. Al telefono, precisa che il medico disponibile, un ciellino doc, è stato "contattato da Pietro Caltagirone": il dirigente della sanità che fu nominato a Lecco, la città di Formigoni, nonostante una condanna definitiva per appalti truccati. A sua volta l'imprenditore Grossi, prima delle manette, era al centro di una lobby che univa Formigoni al ministro Gelmini, passando per Abelli e Paolo Berlusconi. La sua fortuna è finita a Santa Giulia: il maxi-progetto edilizio, approvato dal Comune di Milano, che è risultato avvelenato da montagne di rifiuti tossici. Il piano di disinquinamento era stato certificato da un esperto ciellino, Claudio Tedesi, ora indagato. La bonifica però era finta, anzi Santa Giulia era diventata una discarica abusiva della 'ndrangheta. I cumuli di "scorie cancerogene" sono stati scoperti, alla fine, da una squadra di tecnici regionali dell'Arpa, scelti dai pm. Ma nessuno potrà più fare nuove indagini: da dicembre il direttore dell'Arpa (un fedelissimo di Nicola Sanese, l'eminenza grigia del Pirellone) ha tolto ai tecnici tutti i poteri di polizia giudiziaria. Proprio adesso che la Procura scopre che decine di grandi lavori, dall'ospedale di Como alle strade dell'Expo, sono inquinati dai veleni mafiosi. Dopo l'arresto di Chiriaco (e lo strano suicidio di un dirigente indagato per mafia dell'ospedale San Paolo) Formigoni ha promesso di nominare "i più meritevoli". Detto fatto. Il 31 dicembre, dopo una feroce spartizione tra Cl e Lega, la giunta sforna i nuovi direttori della sanità. Al vertice dell'Asl Milano 1 sale Pietro Gino Pezzano. Quando "Il Fatto" pubblica una sua foto con i boss della Brianza, l'opposizione insorge. Pezzano minimizza: "Un caso. Io sono un medico, quelli erano tra i tanti miei pazienti". Peccato che per i capimafia lui non sia uno dei tanti. Il boss Pino Neri, come ha verificato "l'Espresso", lo inserisce nella cerchia degli "amici stretti". "I nostri collaboratori", arriva a definirli, spiegando a un complice che "Gino Pezzano è un pezzo grosso della Brianza, della sanità... Fa favori a tutti!". Tra Monza e Desio il suo nume è Massimo Ponzoni, che fino allo scandalo Grossi era l'assessore lombardo all'Ambiente, rifiuti e bonifiche. I giudici antimafia ora osservano sbalorditi che gli altri politici vengono contattati da imprenditori collusi, mentre lui è l'unico ad avere "rapporti diretti con i boss", inserendosi così nel "capitale sociale della 'ndrangheta". Ricandidato anche se indagato per bancarotte immobiliari e presunte tangenti tra edilizia e sanità, Ponzoni è tuttora uno dei quattro vicepresidenti del consiglio regionale. Benvenuti in Lombardia, Italia 2011. |
Post n°3 pubblicato il 03 Marzo 2011 da stalin
PADOVA. Fede, affari, potere. Dalla «creatura» di don Giussani fino al «sistema» di Formigoni & C: Comunione e liberazione (l’alternativa alla Chiesa conciliare) si è trasformata nella Compagnia delle Opere indissolubilmente legata alla politica (non solo di centrodestra). E’ la lobby di Dio perfettamente descritta dal libro di Ferruccio Pinotti e Giovanni Viafora, cronisti puntuali in grado di offrire la prima compiuta «radiografia storica» di una realtà che anche in Veneto fa discutere. Prima della pubblicazione di questa mole di informazioni di dominio pubblico, forse c’era chi ancora poteva arrampicarsi sugli specchi, sminuire nessi evidenti, negare appartenenze o fingere di non immaginare. Adesso, non più: è tutto squadernato fin nei dettagli. Compresa la fedeltà di Pierluigi Bersani (con il suo braccio destro Filippo Penati) e la “vocazione” di Matteo Renzi che tanto va di moda nel miope furore democratico. E’ lo stesso humus della cosiddetta sussidiarietà che ha attecchito in Calabria come in Veneto. Perfino al di là delle inchieste della magistratura, l’organizzazione di questi «cattolici leninisti» si è prima incistata nei gangli del pubblico e poi ha macinato spietatamente finanziamenti, appalti, concessioni, contributi. Fino a diventare potere forte, dietro la facciata ammiccante della comunità religiosa. Tant’è che il Corriere della Sera ha definito il sindaco Flavio Zanonato «il Formigoni del Veneto». Ma sanità e Università (pubbliche) di Padova si dimostrano nei loro vertici più che ostaggio dei Memores Domini. A Venezia, invece, brilla il riferimento ecclesiastico e a Verona si è appena riorganizzata la CdO che fa «ponte» con la Lombardia. Pinotti e Viafora accendono i riflettori, documentano tutto, evidenziano legami e storie. Vale davvero la pena leggersi anche le note a pie’ di pagina, perché dalle mani sulla politica e sull’economia si scopre un business che fa impallidire la stessa mitologia del Nord Est. Chi si immagina un libro «giustizialista» fa male i conti: il garantismo è fondamento della cultura laica. Se si pensa alla solita «inchiesta a tesi», è un altro errore: le testimonianze in presa diretta non occultano niente, nel bene e nel male. Infine, non c’è nessuna paura a chiamare persone, fatti e atti pubblici per nome e cognome: il re nudo è incapace di intimidire. E’ la lobby formato holding con tanto di società anonime all’estero. Con coperture politiche che spaziano dalla Dc degli «squali» fino al Cavaliere e ai rami business oriented della vecchia Quercia. Con chiare complicità di convenienza perfino dentro le carceri. Dio fa da contraltare alle carriere di Lupi, Mauro, Vittadini, Debellini, Scholtz. E’ il bene pubblico che s’inabissa nel privato «sociale» fino a coincidere con il circolo ristretto degli «eletti» che grantiscono i voti. Un’Italia di intoccabili e innominabili. Il libro di Pinotti e Viafora, al contrario, li cita uno per uno. Per di più connettendo funzioni, mappando gli interessi, verificando conti. Sintomatico il caso della sanità lombarda, accreditata di eccellenze gestionali più che paragonabili a quelle di casa nostra. Enrico De Alessandri (funzionario dell’assessorato regionale alla Sanità), è stato sospeso dal lavoro, dal 16 novembre al 16 dicembre 2009. Ha avuto la colpa di dare alle stampe Comunione e liberazione: assalto al potere in Lombardia, in cui dimostra il «potere monopolistico» di Cl con l’occupazione «militare» dei centri di potere. Ancor più inquietante l’esperienza di Alessandro Ce (capogruppo leghista alla Camera dal giugno 2001 all’estate 2005): racconta cosa significa, da medico e assessore regionale alla Sanità, «convivere» con i seguaci di Formigoni nell’amministrare 16 miliardi di euro. «Confrontarsi con una realtà così è stato devastante, per me c’è anche in Veneto; c’è un pacco alto così di società, enti, consiglieri di amministrazione, collegi di revisione che non fanno nulla, non segnalano mai niente, zero assoluto». Zaia è avvisato. Del resto, un paio d’anni fa Eugenio Scalfari scriveva: «Nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere. Negli ospedali, nell’assistenza, nell’università…». Pinotti e Viafora non hanno aspettato il richiamo del Capo dello Stato per applicarsi al giornalismo d’inchiesta: «Fanno parte della Compagnia delle opere aziende come Aslan di Padova (sanificazione e sterilizzazione con ozono). E le Industrie Guido Malvestio Spa, una societa che fornisce arredamenti per la sanità». E sempre per restare alla «compagnia dei pellegrini» formato Vip, si scopre il segreto dell’acqua calda: «Fa capo alla Cdo anche la cooperativa sociale Giotto, che ha vinto l’appalto – all’interno del carcere Due Palazzi – per il lavoro dei detenuti, ricevendo sostanziosi finanziamenti dall’Unione europea e dalla Cassa di Risparmio. Tra i progetti finanziati c’e quello della costruzione di 27 call center per il lavoro dei detenuti all’interno del carcere: attualmente ne sarebbero attivi solo quattro. Sfruttando il buon nome della CdO, la cooperativa Giotto ha stretto un accordo con l’Azienda ospedaliera di Padova, ottenendo che il servizio di prenotazione delle visite specializzate dell’ospedale di Padova fosse affidato al call center del carcere». Tutto nero su bianco. Con accesso agli atti pubblici. Informazione allo stato puro. Con buona pace della comunicazione istituzionale in perenne conflitto d’interesse, che non sopporta la «curiosità criminale» in grado di rivelare cosa c’è dietro le quinte. Questo libro di Pinotti e Viafora dovrebbe essere adottato dall’Ordine dei Giornalisti, non solo per l’esame professionale. Potrebbe diventare un’ottima materia di approfondimento per i ricercatori, alle prese con il doppio gioco del Bo. Sarebbe soprattutto il miglior antidoto alla cura senza consenso informato che regna in via Giustiniani. Insomma, da domani nessuno potrà più cadere dalle nuvole. E’ già successo vent’anni fa. Anche all’epoca, la lobby era stata descritta con largo anticipo. Basta saper leggere per evitare di essere complici o, peggio, conniventi. |