Creato da: a.benassi il 10/08/2006
Esplorazioni speleologiche nei monti lepini

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Messaggi di Agosto 2006

 

Parco Didattico Tra il Monte S.Marino e Campo di Caccia

Post n°11 pubblicato il 28 Agosto 2006 da a.benassi

La nuova associazione culturale "Terre Lepine", con sede a Gorga, ha ottenuto un finanziamento per la realizzazione entro il 2006 di un  progetto di tabellazione e creazione di sentieristica nell'area del monte S.Marino, nel territorio comunale di Gorga. il progetto finanziato dalla provincia di roma in collaborazione con legambiente, vorrebbe proporre una lettura complessa del territorio, in particolare mettendo in correlazione tanto gli aspetti geologici quanto quelli storico-sociali. Per la parte più propriamente speleologica, siamo contenti che sia stata presa in considerazione proprio l'area tra Fontana Canai e Campo di Caccia, dove si concentrano importanti fenomeni carsici e che ben si prestano ad una lettura didattica.  Questa zona era stata anche da noi suggerita come possibile percorso educativo in una pubblicazione del 2002 edita nell'ambito del progetto Vivere il verde, sempre a cura della provincia, e sempre degli stessi anni era una prima tabellazione eseguita dalla Cooperativa La Montagna (Roma) nell'ambito di un progetto che interessava l'intera area dei lepini, ma che purtroppo ha avuto poco seguito. Speriamo che questa volta, partendo direttamente dal territorio interessato, l'iniziativa possa svilupparsi e crescere fino a diventare un reale strumento di conoscenza e fruizione della zona.


Parte del progetto si può trovare sul sito:
www.legambiente.lazio.it/BandoIdee/IMPAG%20BANDO%20DELLE%20IDEE.pdf -
  

 
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Post n°10 pubblicato il 24 Agosto 2006 da a.benassi
Lepinia é un sogno ed allo stesso tempo un idea possibile. Lepinia è il
nome che alcuni speleologi del Lazio diedero negli anni '90
all'immaginario complesso che doveva esistere sotto i monti Lepini. Se
la maggior parte delle grotte della regione sono in questo massiccio
doveva esistere anche qualcosa di importante e probabilmente si sarebbe
dovuto solo insistere abbastanza. Il tempo comincia a darci ragione.
Attualmente la maggior parte delle più importanti grotte del Lazio sono
sui Lepini: La Rava Bianca (-800) l'abisso Consolini (-555) l'occhio
della Farfalla (-451), l'Erdigheta (oltre -350) L'inghiottitoio di
Campo di Caccia (-610) il Fato (-336) l'Ouso di Passo Pratiglio (oltre
-580) il Faggeto (-301) il Due Bocche (-221) l'Abisso del sacco (-220)
e molte altre. In modo particolare si trovano tutte concentrate in due
grandi macro aree poste a cavallo della valle di Carpineto Romano.
Questo blog tratta in particolare le esplorazioni del secondo gruppo,
concentrato nell'area orientale dei monti Lepini, a cavallo tra Pian
della Croce e l'altopiano di Gorga, tra i comuni di Carpineto Romano,
Supino, Gorga e Morolo. Qui un piccolo gruppo di speleologi, riunitisi
negli ultimi anni come sezione speleo dell'associazione ARSDEA, sta
portando avanti da oltre dieci anni il sogno di creare Lepinia. Dal
2000 abbiamo cominciato a vedere oltre la singola grotta e ad intravede
tracce e frammenti del sistema. Il lavoro è ancora enorme, e siamo
convinti che le sorprese saranno tante. Ogni nuova scoperta invece di
semplificare le cose, complica la nostra visione dell'insieme e delle
sue potenzialità. I Lepini sono senza dubbia l'area carsica più
importante della regione, ma è ormai chiaro che non regalono nulla a
nessuno. Profondità e sviluppi anche modesti per altre regioni, vengono
qui strappati con estrema fatica in ambienti mai banali; ma ormai il
sogno ci ha definitivamente conquistato e proprio le sue difficoltà ci
spingono ad immaginare di poter un giorno tracciare il grande rilievo
della Lepinia.
 
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Primi appunti sulla circolazione dell’aria nel sistema:

Post n°8 pubblicato il 24 Agosto 2006 da a.benassi

L’ingresso attualmente conosciuto
dell’Ouso di Passo Pratiglio, si comporta da bocca aspirante in estate, quindi
apparentemente da ingresso alto, il che vista la quota di 1353, su una cresta
che culmina nella cima di 1480 della Malaina, appare normale. Le cose cambiano
nella parte profonda della cavità. Nell’area appena precedente il Meandro delle
Murge, ad una profondità di circa -220/-245 si assiste ad una decisa inversione
della corrente, con un’aria  che si
avverte decisamente uscente. La zona interessata presenta almeno un camino
importante, che in questa prospettiva sembra comportarsi da ingresso basso
rispetto a q.1353. Ma andando avanti le cose si complicano. Al passaggio del
primo lago nel meandro delle Murge, è evidente che l’aria è uscente,
confermando la perdita nei camini, ma appena giunti nei pressi del grande
arrivo denominato l’Affluente, si riscontra che una parte importante dell’aria
risale lungo questo ramo, attualmente inesplorato, che sembra costituire il
vero tratto a monte del sistema, e che si comporta decisamente da ingresso
basso. A questo punto ci troviamo con una decisa corrente d’aria che sale dal
fondo, particolarmente violenta nel passaggio a Nord Ovest o nella Foce del
Vento, che porta ad immaginare l’esistenza di un importante ingresso alto-relativo
di quota superiore rispetto al precedente ingresso basso assoluto, quindi da
stimare ad una quota tra i 1250 ed i 1350. L’attuale conoscenza della montagna
ci porterebbe ad escludere l’esistenza di un tale ingresso aperto, ed è più che
probabile che si tratti di una importante area di assorbimento ricoperta da
terra e sassi sul modello dell’area del 5° Elemento, ma considerato che
non è assolutamente chiaro dove possa
trovarsi questo ingresso, non è da escludere nulla. Di sicuro c’è che si tratta
di una corrente d’aria particolarmente forte, che non sembra reagire minimamente
alle differenze di temperatura giorno-notte, o alle temperature medie, come
fanno invece altre correnti nella zona. Si ritiene quindi che si possa
immaginare un dislivello altimetrico importante tra i due ingressi: basso
assoluto e alto relativo, forse di anche 200 metri, tale da giustificare una
circolazione stabile. All’interno della grotta è evidente che l’aria percorre
l’unica via esistente, la stessa che percorriamo noi, il che esclude per ora
l’esistenza di ambienti fossili, mentre la stessa conformazione fortemente
acquatica delle parti profonde è dovuta proprio a questa forte circolazione
d’aria, che abbassando l’acidità dell’acqua costringe ad una continua
sedimentazione di calcite sotto forma di latte di monte che a sua volta crea
dighe e sbarramenti che si trasformano in laghi e pozze. La vecchia teoria del
collegamento dell’Ouso di Passo Pratiglio con il sistema Fato-Campo di Caccia,
appare attualmente sorpassata e da escludere anche in presenza di eventuali
errori di rilievo, in ragione della attuale profondità raggiunta, ormai già
intorno alla q.760 slm, ritenuto il livello del sifone di monte (Fonte della Giovinezza)
di Campo di Caccia ad una distanza di ancora oltre 1,5 km in linea d’aria. Viene quindi ad essere scartata anche l’ipotesi che la forte corrente d’aria
sia da mettere in relazione con quella presenta all’abisso di monte Fato, che
appariva concorde comportandosi da ingresso alto con aria in entrata. In
ragione della colorazione tra Fato e Campo di Caccia, risultata positiva, un’eventuale
collegamento di queste due correnti d’aria, risulterebbe estremamente anomalo e
dovrebbe avvenire attraverso una rete di condotti fossili ormai completamente
svincolati dalla circolazione idrica.

 
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Prima descrizione dell’Ouso di Passo Pratiglio -299/-580 (circa)

Post n°7 pubblicato il 24 Agosto 2006 da a.benassi

Il termine conosciuto del meandro
delle murge era fino al 1996 rappresentato da un ennesimo tratto
allagato, dove rimanevano non più di 4-5 cm d’aria libera. L’imbocco si
presentava oltretutto come un tratto meandriforme non particolarmente largo, e
non era visibile nessun allargamento. Attraversato per la prima volta con l’uso
di un boccaglio per sfruttare la lama d’aria, nonostante la testa immersa, il
tratto si è scoperto essere lungo circa 10 metri, completamente diritto, e con
il fondo abbastanza alto da camminare comodamente. Il tratto è stato chiamato Passaggio
a Nord Ovest. Al termine la volta si rialza ed il meandro piega
bruscamente a destra. Si percorre quindi un tratto di circa 20 metri di
condotta 1 x 1,5 completamente ricoperta di latte di monte ed in parte
allagata, fino ad un saltino di meno di 2 metri. Grazie a questo dislivello, è
stato possibile durante la seconda punta scavare nel deposito di latte di monte
e abbassare considerevolmente il livello di piena dell’intera condotta e del
sifone. Attualmente il passaggio presenta non meno di 20-25 cm d’aria e permette il transito con la testa completamente
fuori dall’acqua, senza l’uso di boccaglio, ed al più respirando con il naso.
Si ritiene inoltre possibile che a seguito dell’abbassamento dell’acqua, l’aria
che circola nel sistema sia aumentata. Questo passaggio non dovrebbe presentare
nessun rischio particolare in caso di piena, ed è difficile che i depositi di
fango e latte di monte si riformino in breve. Appena dopo il primo saltino
s’incontra subito un P6 (1s) quindi uno scomodo laminatoio inclinato che
presenta solchi e marmitte d’erosione. Si giunge quindi all’imbocco del Pozzo
dei Sifonauti, un P20 terrazzato. Appena dopo la partenza (1s + 1n) si
traversa l’imbocco ingombro di lame fino ad una partenza più comoda (1s) che
permette di scendere i primi 12 metri, passando da un terrazzo e poi in un
colatoio battuto dall’acqua fino al frazionamento (1n) che porta al fondo.
Seguono una serie di due salti P4 e P5 (2n) e quindi un breve tratto di meandro fino alla partenza del successivo P10.
Il pozzo (1n+1s) porta nella saletta Tomba di Guido. (-350 circa). Qui si
dipartono due vie, quella seguita dall’acqua scende un paio di salti P8+P10 e
termina su un sifone, Sifone Morto, ma la stessa si
ricongiunge all’altra via che funge da Bypass. Dalla saletta si imbocca invece un
breve cunicolo che immette direttamente su un P10 (1n+1n). Alla base di questo
si sente l’acqua della via attiva che scorre dietro in fragile diaframma di
roccia. Sulla sinistra invece una stretta condotta percorsa da una furiosa
corrente d’aria, (uscente in estate) Foce del Vento, porta in alcuni
metri ad affacciarsi sul successivo P30 Pozzo dei Gorgonauti.  Il pozzo parte direttamente dall’uscita della
condotta, (1n+1n), ma essendo in parte appoggiato su una grande colata non si
presenta particolarmente scomodo. Segue un primo frazionamento (1n) quindi
proseguendo sempre contro colata si arriva sul primo gradone a circa metà del
pozzo. Qui da una stretta cengia di concrezioni e lame parte la seconda tratta (2n) che in libera permette di atterrare
nel lago sottostante. Gli ambienti in questa parte sono più ampi, ma costantemente
battuti dall’acqua e privi di qualsiasi spazio dove sostare. Segue quindi un
saltino P3 (1n) con partenza stretta e scomoda; s’incontra a questo punto
l’unico arrivo attualmente conosciuto: una bella condotta di apre sulla
sinistra a non più di 3-4 metri d’altezza, apportando una discreta quantità
d’acqua. Segue immediatamente un P7 (1s+1n) con arrivo sul solito lago e quindi
una serie di brevi salti arrampicabili fino all’imbocco del P55 Pozzo
delle Meteoriti. Questa
verticale è composta da tre salti interrotti da cenge, ed appare impostata su
ambienti più grandi e con roccia pulita, anche qui l’aria che sale è sempre
forte. La partenza (1s+1s+1s) porta subito a traversare sulla sinistra per
evitare il getto della cascata, quindi nuovamente a sinistra (1s) fino ad una
calata di circa 15 metri che permette di atterrare sulla prima cengia. A questo
punto sempre ruotando a sinistra (1s) si scende fino alla seconda cengia per
altri 15 metri. Da questo terrazzo (1s+1n) una partenza esposta su un grande ponte
di roccia a sinistra permette di scendere in libera per altri 20 metri circa,
evitando l’acqua. L’intero pozzo è comunque molto bagnato, anche considerato
l’uso delle mute.(-450/470) Dallo stato delle corde, non sembra comunque che
questa parte della grotta risenta di piene particolarmente violente durante
l’inverno, e considerata l’assenza di grandi arrivi la cosa appare credibile.
Il pozzo termina sull’ennesimo lago da attraversare più o meno a nuoto. La via,
sempre evidente, continua lungo un meandro in discesa che porta subito ad un
P10 (1s), segue un P15 (1s+1s) e quindi in successione un P5 (1s) e un P10 (1n)
e quindi un P15 (?) Anche lungo questa seri di salti, denominata Via
dell’Acqua Marcia, non s’incontrano tratti asciutti, ma solo grandi marmitte
allagate, e brevi tratti di gallerie piene di latte di monte. La sequenza di
salti è questo punto interrotta da alcune decine di metri di meandro in ripida
discesa, fino alla partenza del successivo P17 (1n), (-530/550) che in due
salti permette di affacciarsi infine su un ambiente più grande, forse un P30.
L’aria è sempre forte e si avverte distintamente.

 

 

 
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Dagli di tacco e dagli di punta al Pratiglio

Post n°6 pubblicato il 23 Agosto 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi

Nuova puntata all'ouso di Passo Pratiglio per mercoledì giovedì e venerdi 29-31 agosto. il programma è semplice portarsi un paio di centinaia di metri di corde e vedere da -580 dove si va a finire. Poi risalendo rilevare il tutto con tanta calma per vedere di quanto ci siamo sbagliati. per ora il rilievo è di quelli mnemonici per ricordarsi dove si è e di cosa si parla, ma viste le corde che sono già entrate, la lunqhezza dei pozzi e la profondità e realistica con un errore del 10-20% sulla parte nuova, che si traduce in 25-50 metri, quindi tra 530 e 580. 

 
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Svampa kid ed i Corsari della Nuova Atlantide

Post n°5 pubblicato il 23 Agosto 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi

La vecchia strega di Pian della
Croce era stata chiara: se volevamo scoprire la rotta per la corrente dei Sargassi,
la via per il cimitero delle grandi aragoste, dovevamo prima doppiare Capo Horn
e metterci sulle tracce di un vecchio tesoro. La cosa non ci aveva
entusiasmato. La stagione era buona per la rotta australe, ma la via che
da Campo Oceanico porta fino alla Nuova
Atlantide è infida. Si racconta che durante le burrasche appaia beffardo il
grande armadillo ad annunciarti il
naufragio, ed allora nessuno può salvarti. Questi erano i nostri pensieri
mentre si attendeva il cielo buono accampati sotto i grandi faggi. Salendo, il
nipote di Epifanio era riuscito a spaventarci con il racconto dell’ultima tempesta
che aveva trasformato tutte le montagne in enormi meringhe. A Gorga avevano già
tirato fuori le luminarie di natale;  non
trovandole in magazzino si erano poi ricordati di averle appena montate per il San
Domenico di mezz’agosto. Una riunione speciale del consiglio aveva quindi  votato all’unanimità il ritorno dell’estate, e
le cose sembrarono tornare alla normalità. Dalla nostra postazione di vedetta
questo sabato mattina non promette nulla di buono. Tra il Semprevisa ed il
Capreo si vedono fiumi di nuvole nere, corrono veloci verso di noi e
s’illuminano come le trecce di lampadine delle fiere. Se non riusciamo a
recuperare il tesoro che abbiamo sepolto al capo dei magiari, ci toccherà
passare tutto l’inverno all’osteria del gatto zoppo. C’è il rischio di morire
di bile e cirrosi guardando il rilievo della Rava Bianca. Quei quasi trecento
metri di buona corda ci servono, certo che se potessimo evitare la morte per
affogamento anche quello sarebbe utile. La prima soluzione che ci viene in
mente è semplice e sicura: andare a fare razzie in qualche porto tranquillo:
“potremmo disarmare tutto il Due Bocche, da li entriamo ed usciamo in meno di
cinque ore e con qualsiasi tempo; saranno
quasi duecento metri di corda, una buona bordata per attaccare la Via dell’acqua
marcia…” l’idea è buona, il rischio è di
finire nel grande registro dei pirati senza speranza, primi della lista nell’albo dei balordi della
Tortuga. Sono tempi bui per la pirateria, per ora è meglio comportarsi al
massimo da bucanieri, o da corsari… per issare la bandiera col teschio c’è
sempre tempo. Mentre cerchiamo di pianificare una strategia le nuvole si
alternano a frammenti di cielo, sappiamo bene che è un trucco, domani è
prevista una grande mareggiata con lampi tuoni e tutto il necessario, il peggio
deve ancora venire.  L’altra soluzione è
semplice, mollare tutto, sganciare tutta la zavorra, rinunciare ad ogni
tentativo di nuove esplorazioni, niente ramo di utopia, niente sifone della
giovinezza, niente rilievo delle parti mancanti, solo una rapidissima corsa al
golfo magiaro. Schizzare veloci come brigantini con il vento al traverso,
doppiare il capo, disseppellire il tesoro e risalire la corrente di bolina
stretta. Non ci sono terze vie. Calcoliamo che in queste modo potremmo
impiegare non più di dieci ore per entrare ed uscire. Tre per arrivare ai -500
del vecchio campo, poi 6 o forse 7 per trascinare fuori le casse colme.
Guardiamo il cielo: nell’arco di uno sguardo passa dall’azzurro al nero,
guardiamo la piccola parte azzurra: “… in fondo non sta ancora piovendo, in dieci ore cosa vuoi che possa
fare…”  da lontano ci pare di udire il
grande armadillo che annuisce, o forse ride. Issiamo le vele e facciamo rotta per il fondo. Sono anni che veniamo da
queste parti,  abbiamo timore di questi
luoghi. Sappiamo che di tanto in tanto succedono cose che gli uomini è meglio
non vedano, perché potrebbero non raccontarla. Il vecchio sifone degli ignudi è
uno che si diverte in modo particolare a spaventarci, è uno di quelli che ci fa
vedere con la coda dell’occhio la faccia del grande armadillo. Di tanto in
tanto lo troviamo pieno di sassi grandi come mele, riempito di metri cubi di
pietra: “…è stata l’acqua, hai visto cosa può fare a mezz’ora dall’ingresso,
pensa se tu l’incontrassi nelle gallerie basse…” E’ un vecchio bastardo è non bisogna
ascoltarlo, sono anni che diciamo di farlo fuori e dovrebbe solo ringraziarci
se ancora è parte del rilievo, invece lui continua a comportarsi anche con noi
da guardiano, vuole fiaccarti il morale appena entrato. Se la tua mente
comincia a dargli retta è finita. Il resto della navigazione fila liscio e
tranquillo. La linea dei pozzi è sicura. La corda  che tieni in mano alla partenza, continua fino
in fondo; mica come quella volta che su ogni pozzo c’e n’era solo metà, che se
non eri abbastanza furbo da guardarci ti ritrovavi con in mano un discensore
vuoto, utile come un uccello
moscio. 

 

Il campo di Capo Magiaro è un bel
posto. Tutto è rimasto come l’ultima volta, e molto è fermo da tanti anni. Una
lattina di wurstel, di quelle che solo a Budapest sanno confezionare, ci
propone di passare l’inverno con lei: “…sono quattro anni che sono qua sotto è
guarda come sono bella e appetitosa, non dare retta a quelli di fuori la vera
vita comincia a -500…” effettivamente si presenta bene, per lei il tempo sembra
essersi fermato, magari potremmo anche andare a dare un occhiata nei rami
Utopia.

 

 “non ascoltarla, non è vero niente,
disseppellite il tesoro e scappate in fretta prima che arrivi la grande onda,
qui stiamo tutti marcendo per l’eternità”

 

la vocina che a risposto è triste
e allo stesso tempo melodiosa come un coro. Sposto una buatta di carburo e
dietro trovo una distesa di piccole palline pelose che escono da una busta
infangata.

 

“guarda come siamo diventate, anche
voi farete la nostra fine se non scappate subito.. anche voi diverrete grandi
palle di muffa”

 

Prendo la busta, sotto la crosta
di fango e carburo si legge ancora: “Deliziose Arachidi Tostate”, osservo di
nuovo le piccole palline grigiastre e un brivido mi percorre la schiena.

 

“Non è la fine, è solo un
passaggio necessario, rimanete con noi, tutto questo è solo l’inizio di una
grande esplorazione oltre ogni sifone” 

 

La lattina ha ripreso la parola,
le grandi zuppe liofilizzate ascoltano e tacciono, loro in fondo è una vita che
dormono e sognano di acqua bollente. Una vecchia bottiglia di grappa risponde
che ad essere abbastanza pieni, in fondo non ci si accorge neanche della
differenza.

 

Decidiamo che forse è meglio
ascoltare le arachidi e cominciamo a caricare il tesoro. Duecentocinquanta
metri di corda: dalle sottili 8mm che ornavano il vecchio pozzo Cuccurucù alle pesanti e indistruttibili 11mm da lavoro
donate dal Pollo. Tutte ovviamente inzuppate come un biscotto nel latte. A
fargli compagnia oltre trenta attacchi di ogni genere, chiodi, ancorette,
fettucce. Il bottino vale la corsa, il problema adesso è tirarlo fuori, è anche
in fretta. Si vede subito che siamo in minoranza rispetto ai sacchi, loro
spingi e bestemmia diventano tre, noi restiamo due.  Non ci sono altre soluzioni, questa volta va
così, in meandro bisognerà mettere in pratica la famosa tecnica zen del
passa-sacco, mentre suo pozzi ci giocheremo il magico tre per due, oggi a me
domani a te. Dopo i primi duecento metri di pozzi comincio a fare l’abitudine
alle due casse appese alle palle, però comincia a venirmi in mente di aver
letto da qualche parte di una famosa tecnica tibetana di meditazione detta “dei
tre sacchi”. Mi sembra di ricordare che il fedele che vuole raggiungere
l’illuminazione si lega tre sacchi sotto l’imbraco e comincia a salire; dopo un
numero non precisato di pozzi avviene il miracolo, la sublimazione, la mistica
transustansazione finale. L’adepto nell’apice della sublime fatica svampa  e svapora, lasciando solo una dolce nuvola al
profumo di violette, mentre l’imbraco resta appeso alla corda, vuoto, con sotto
i tre sacchi appesi. Sembra anche che un attimo prima del miracolo il fedele
urli qualcosa del tipo: “si, ti vedo, principio ultimo, grande motore immobile,
sono ormai giunto alla grande svampata”

 

Non mi sento ancora pronto per
svampare, e sono contento di portarne solo due; poi la ruota del tre per due
gira, e sono ancora più contento di portarne uno solo. La rotta del ritorno è bastarda ed è fatta
principalmente di trucchi della memoria, l’unico modo per andare avanti. Finché
sei sui pozzi maledici la dimensione verticale con il suo spazio freddo e
distaccato e non vedi l’ora di essere
coccolato teneramente tra le braccia del meandro. Quando finalmente arrivi nell’orizzontale
infinito, in posti da cui potresti uscire anche al buio tanto sono stretti,
allora invochi il grande pozzo. Mentre ci trasciniamo sdraiati in un tubo verso
il meandro egiziano penso che se dovesse arrivare la grande onda, dopo essere
passata,  guardandosi indietro,  si farebbe una grande risata: un sacco, un
coglione affogato, un sacco, un altro coglione affogato e un altro sacco, e
soprattutto passando per il Maelstrom, andrebbe poi a riferirlo alla vecchia
lattina, allora tutta la Lemuria risuonerebbe di fragorose risata come non si
sentiva da quando le rudiste scoprirono che non avrebbero mai più rivisto il
mare. Questa soddisfazione proprio non bisogna dargliela. Due ore dopo siamo
fuori nella notte stellata, della grande onda non c’è traccia, tutto
tranquillo, fa anche caldo. Ci mettiamo a dormire sotto l’albero maestro, sono
passate undici ore dall’ingresso. Tre ore dopo la grandine ricopre i sacchi a
pelo, e l’acqua tenta di trasformarli in bustine da tè. Siamo tranquilli, le
mucche ci hanno insegnato che quando piove è inutile agitarsi, tanto prima o
poi passa, il porto e sicuro ed anche questa volta non faremo la muffa sulle
orecchie. Mentre mi giro di fianco mi sembra di sentire la voce triste delle
palline di muffa che furono arachidi: “non ci dimenticare…”

 
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La lunga via dell'acqua marcia

Post n°4 pubblicato il 10 Agosto 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi


Il nuovo fronte delle esplorazioni nell'altopiano di Gorga è ormai
chiaro che passa attraverso i sifoni dell'Ouso di Passo Pratiglio,
altrimenti noto come Muscutriglio. Dopo il superamento del sifone di
fondo di q. -299 a luglio dell'anno scorso, una serie di tre fortunate
punte ci ha portato velocemente ad una quota da verificare di circa
-580. Se pensavamo di aver trovato posti bagnati nel collettore di
Campo di Caccia, ci siamo dovuti prontamente ricredere: il Pratiglio le
batte tutte. Dallo spogliatoio di q. -245 dove inizia il vecchio
meandro delle murge, (esplorato nel 1996 dallo speleo club roma) la
muta in neoprene da 5mm diventa la tua amica per la pelle. Se dopo aver
abbassato la soglia del sifone, evitando così il simpatico passaggio
del boccaglio, pensavamo che ricambiarsi sarebbe stata solo questione
di qualche pozzo, ormai siamo abbastanza convinti che dovunque sia
arriveremo al fondo vestiti di neoprene. La punta del 21-23 luglio in
questo senso ha segnato il passaggio al sistema della doppia muta;
completa sotto, più canotta in neoprene da 3mm sopra, a chiusura
ermetica della prima, quasi elastico da buatta, per evitare il
passaggio d'acqua e trasformare il tutto in qualcosa di semi-stagno.
ovviamente sopra la tuta, ed a chiusura guanti sempre in neoprene.
Vestiti in questa maniera il posto diventa quasi frequentabile, e le 20
ore circa della punta passano abbastanza bene. Anche se ancora
stimata, l'attuale profondità fa del Pratiglio la terza grotta della
regione per profondità, con ottime possibilità di migliorare. E'
infatti ormai chiaro che le nostre vecchie teorie su un suo
collegamento con il sistema Fato-Campo di Caccia, sono da escludere. Il
Pratiglio è a questo punto un sistema a se. La quota d'ingresso a 1353
ci da un potenziale enorme, considerato che in ampie aree attorno a
Pian della Croce la falda si trova a quote inferiori a 300. (cfr.
Abisso del Faggeto, Alien, pozzo delle Bombe). Praticamente dopo il
breve tratto meandreggiante fino al vecchio fondo, l'andamento ritorna
prettamente verticale, con brevi salti intervallati da pozzi profondi
fino a 30 metri. Non sembra esserci praticamente spostamento in
pianta, il che ci porta a pensarci ben al di sotto di Pian della Croce.
Una rapida osservazione delle sezioni geologiche della zona sembra
confermare che oltre questa quota non sono noti particolari livelli di
discontinuità, cambi litologici o altro su cui impostare un livello di
falda. A questo punto la parola torna alle corde, tante, intorno alla
prima settimana di settembre.

 
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Ritorno a Campo di Caccia...

Post n°3 pubblicato il 10 Agosto 2006 da a.benassi
Foto di a.benassi

Circa un anno fa disarmammo le parti profonde di Campo di Caccia dalla Nuova Atlantide (-465) al fondo lungo il ramo della Lemuria. Terminate le risalite nella zona dell'Ultima Thule siamo ormai abbastanza convinti che il superamento del sifone di -600 non sia impresa facile. La presenza di una grande faglia ortogonale rispetto alle gallerie sembra bloccare tutti i livelli fossili nel medesimo punto, riportando sempre al sifone. Nella zona restano da rilevare una serie di sale alte sopra la zona di Gondwana. Di sicuro interesse anche se molto impegnative almeno un paio di risalite in corrispondenza di grandi camini con arrivi d'acqua. Altro discorso invece per la zona a monte. Nonostante le recenti esplorazioni all'Ouso di Passo Pratiglio ci abbiano portato ad abbandonare l'idea che le due grotte facciano parte del medesimo sistema, l'intero ramo rimane di estremo interesse. Per questo motivo tra venerdì e domenica 11-13 vi faremo un'accurata visita. principali obiettivi, terminare l'esplorazione delle gallerie di Utopia, terzo livello fossile che si diparte dal pozzo di Rapa Nui, verificare la possibilità di svuotare il sifone di monte, e riguardare un paio di interessanti risalite. Non meno importante, si proseguirà il disarmo della grotta riportando fuori il materiale di disarmo del fondo.

 
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