Creato da soleincielo83 il 12/01/2010

Luce di Dio

NON AVERE PAURA ,LA PAURA E' UN SENTIMENTO CHE NON PORTA ALLA VERITA'

 

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Ecco L'uomo

Post n°63 pubblicato il 31 Marzo 2012 da soleincielo83

Pilato disse al popolo: "Ecce Homo",che significa: Ecco l'Uomo! L'Uomo del dolore, l'Uomo delle amarezze, l'Uomo dell'infamia, l'Uomo che porta su di Sé i peccati del mondo, l'Uomo reietto e disprezzato. Ecco l'Uomo! Quale Uomo? L'Uomo che detiene il trono, il trono di gloria: Gesù di Nazareth! L'Uomo che ha in Sé la potenza e la gloria ed é assiso alla destra del padre. Ecco l'Uomo! L'Uomo della dolcezza, l'Uomo della mansuetudine, l'Uomo dell'esempio, l'Uomo dell'amore. Ecco l'Uomo! L'Uomo che ha dato tutto per il Suo fratello! L'Uomo che ha preso e abbracciato con amore la sofferenza e la malattia del fratello.

Io sono l'Uomo, Io sono l'Uomo del Padre, Carne vivifica del Padre che si é fatto Carne nel Padre e ha dato al Padre la Sua forma umana e il Padre é divenuto Spirito e Carne. Guardate l'umiltà, guardate questa vivificazione unitaria in un mistero incomprensibile alla mente umana che né logica, né autore, né scrittore, né poeta, né scienziato, né chimico può spiegare l'elemento d'amore, l'energia vitale della Trinità santissima.

Io sono Dio fatto Carne contenente il Mistero del Padre nel Suo grande nucleo d'amore!. Come la Chiesa sarà rigenerata? Con l'acqua, lo spirito e il sangue! E come satana marchierà i suoi eletti e la Chiesa farisaica, così nelle Mie Chiese vi sarà il segno, il segno di Cristo impresso sull'altare: l'Agnello e il Sangue e questo sarà il sigillo che confermerà i Miei sacerdoti fedeli, le Mie poche Chiese che rimarranno fedeli a Me. Io sono l'effusione dello Spirito e del Sangue, chi crede in Me sarà salvo. Io fondo lo Spirito e il Sangue, lo Spirito é Parte del martirio, il martirio é parte dello Spirito perché lo Spirito contiene l'Amore alla purificazione e alla penitenza, mentre il martirio contiene lo Spirito d'accettazione al lavacro e alla penitenza. LO Spirito viene da Dio, lo Spirito é parte di Dio, chi cerca lo Spirito effuso nel martirio lo troverà, chi non lo cerca sarà condotto in pasto alla malvagità e la ferocità di chi odia l'uomo, di colui che brama sin dall'eternità di togliere le anime al Padre celeste, il Mio eterno nemico: satana.

Come il Padre ha mandato Me,così Io mando voi! Come il Padre ha la Vita, così Io dono la vita e la sapienza dello Spirito a voi. Nessuno viene al Padre se non viene a Me! Io sono l'Eterno Pensiero che si fa pensiero in parole umane per proclamare la verità nei Miei missionari della Parola del Padre. Quanti ve ne saranno che cammineranno che pur, nonostante le fatiche umane, gli affanni del corpo, continueranno a proclamare che Gesù é vivo in mezzo a loro? Tutto rivivrà! Tutto si riedificherà! Il Padre darà il Suo soffio di vitalità e riedificherà un mondo nuovo da un marciume corruttibile che diverrà incorruttibile ed anche gli uomini diverranno da corruttibili a incorruttibili.

Uomini, uomini caduchi, uomini che possedete sete di amarezze, sete di disprezzo gli uni verso gli altri, come deve camminare ancora il mondo?, quale via ancora volete far prendere a questo mondo, con quale autorità recidete e schiacciate il mondo? Con il vostro fetore di Satana! Vegliate figli, vegliate sul Mio dolore e vegliate su di voi perché il tempo della prova arriva anche per voi. Non si stanchi il vostro corpo di essere vigile, non si stanchino i vostri occhi di essere aperti e non si stanchi il vostro spirito di essere attento! In queste ore in cui tutto ho sofferto desidero che voi incontriate il Mio Cuore, ho tanto bisogno di voi! in quell'ora Io vi ho visti e siete stati i Miei consolatori. Non deludete il Mio Cuore! perché è troppo grande il dolore di un Uomo che, per Amore, si stende su una croce! troppo grande è il dolore di un Dio che, provando Sé stesso, ha ucciso la Sua carne. Io sono dentro di voi, sono il sofferente, Servo obbediente che non si oppone alla Volontà del Padre Altissimo per amore dei Suoi figli. Sono stato un uomo, sono stato come uno di voi ed aprire le Mie braccia per una umanità futura, è amore! solamente amore! Io vi ho guardati in quel momento, in cui la Mia sofferenza era atroce, vi ho guardato ed ho detto: "Questo Mio dolore, Questo Mio sangue servirà per loro, affinché l'uomo divenga la bellezza del creato"; ed ho pianto sapendovi vicino. Non deludete il Mio Cuore, Io vi amo! Vi amo tanto, non deludete il Mio dolore, perché vi renderà uomini nuovi! Vegliate con Me, alleviate le Mie pene! anche ora, anche domani, ma Io non morirò, non morirò se i vostri cuori si uniranno nell'amore; perciò vi chiedo di essere forti, di amarMi così intensamente, perché in questo giorno: voi col vostro amore potrete salvare tantissime anime, e non morirò per il dolore di averle perdute, ma gioirò perché novelli Me si sanno offrire per amore, per l'uomo, per Dio. Vi chiedo di commemorare sì le tappe del Mio calvario, ma ognuno di voi si prenda carico di una croce e stenda il proprio cuore, abbracciando i fratelli che sono in pericolo: questo è ciò che desidero, non lacrime, non tristezza, ma Amore. Perché Io non morirò! perché il vostro amore Mi terrà in Vita in quelle anime che erano morte e ritorneranno a vivere: è questo il Mio desiderio! pregate e vegliate, satana ha chiesto di vagliarvi, ma Io pregherò per voi e l'Amore vi renderà salvi.!!!!!! Perciò imparate il valore dell'amore che sarà la vita, la vita vera. Per tutti questo è il Mio desiderio: pregate, pregate figli Miei ed amatevi, amatevi in quella intensità che Dio dona a voi. Vi lascio la Mia pace, la pace vera e vi dono il sigillo dell'Amore! Vi benedico nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Io sarò con voi e non vi lascerò. Amen! !!!

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Commenti al Post:
mirarosa70
mirarosa70 il 31/03/12 alle 12:49 via WEB
Mio Gesù.....ti amo tanto....grazie x il tuo infinito Amore x noi tutti.Rosanna
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 02/04/12 alle 01:26 via WEB
E'difficile trovare persone che riescono a capire l'amore di Dio ed esserGli grate .possa splendere sempre nel nostro cuore l'unità e l'amore fraterno, grazie di seguirci affettuosamente soleincielo.
 
champions_3
champions_3 il 31/03/12 alle 16:38 via WEB
L'ANALISI, ECCO L'UOMO! Riferimento S.Giovanni cap. 29. 1. Pilato fa flagellare Gesù e lo abbandona agl'insulti ed ai maltrattamenti dei soldati. È incerto se l'ordine del governatore di flagellare Gesù, dopo aver liberato Barabba, si debba considerare come una indicazione dell'aver egli abbandonato la lotta col partito sacerdotale, ed essersi deciso a ordinare la crocifissione, di cui la flagellazione era il preludio ordinario; o se venisse dato nella speranza che i nemici del Signore se ne contenterebbero e lo lascerebbero quindi andare in libertà. L'abbandonarlo, agl'insulti dei soldati, dopo la flagellazione, pare favorevole alla prima ipotesi, ed allora il condur fuori Gesù col manto di porpora e la corona di spine, per fare un ultimo appello a suo favore, devesi considerare come il risultato di un nuovo movimento di compassione prodotto in Pilato dalla pazienza e dalla mansuetudine colle quali la santa vittima aveva sopportato quel crudele supplizio Profeta Isaia 53:7. Ma la flagellazione non bastò a soddisfare i rozzi e brutali soldati nelle cui mani Cristo era caduto. Essi fan di lui oggetto di empio scherno e di codardi insulti. Imitando i soldati di Erode, lo travestono essi pure da re, gettando sulle sue spalle insanguinate un cencio rosso, mettendo ali in capo una corona di spine, e in mano una canna a guisa di scettro; quindi gli s'inchinano per dileggio e lo salutano colle parole: "Ben ti sia, o Re dei Giudei". Poi, trattogli di mano la canna, lo percuotono con quella, ed intanto Pilato guarda questa scena vergognosa, senza far un cenno per porvi fine Giovanni 19:1-3. 2. "Pilato conduce fuori Gesù tutto coperto di sangue, e sembra di fare un ultimo sforzo per salvarlo; ma i Giudei gl'impongono silenzio, portando una nuova accusa contro al Signore. La pietà destatasi nel cuore di quel romano, non trova eco alcuna nel cuore dei Giudei. All'appello contenuto nelle parole: ""Ecco l'uomo!"" la moltitudine risponde con rinnovate grida perché venga crocifisso, e il Sinedrio mette avanti l'accusa, taciuta fino a quel momento, che Gesù si diceva: "Figliuol di Dio". Questo accresce i timori di Pilato, e, fatto ricondurre Gesù nel Pretorio, prende ad interrogarlo sulla sua origine, ma senza ottenerne risposta alcuna. Pilato allora torna fuori e fa altri sforzi per liberare Gesù; ma i Giudei lo minacciano di accusarlo a Roma come nemico dell'imperatore. Lanciando loro un ultimo insulto nelle parole: "Crocifiggerò io il vostro Re?" Pilato finalmente cede, ed ordina che il Signore della gloria venga messo a morte ignominiosa Giovanni 19:4-16. 3. La crocifissione di Gesù. Siccome i Sinottici avevano già dato ampli dettagli sulla morte di Gesù in sul Calvario, Giovanni si limita ad alcuni particolari, ed a certe spiegazioni che gli sembravano necessarie per completare il loro racconto. Da lui veniamo a sapere che a Gesù, benché ferito e coperto di sangue, venne imposto di portar la sua croce, fino al momento in cui questa fu messa in ispalla a Simone di Cirene; che l'iscrizione fatta sovrapporre alla croce era in tre lingue, e venne letta da molti dei Giudei, essendo il Golgota vicinissimo a Gerusalemme; che i Giudei tentarono invano di farne mutare il tenore, suggerendo una dicitura meno insultante per la loro nazione; che la madre di Gesù insieme alle altre donne venute dalla Galilea, ed a Giovanni medesimo, poterono avvicinarsi alla croce, e dare al Signore un'ultima testimonianza del loro affetto. Si fu in quel momento che Gesù raccomandò la madre a S.Giovanni, perché la mantenesse fino alla fine di sua vita, ed a Maria disse di considerar da ora in poi come figlio il discepolo suo prediletto. Da Giovanni solo veniamo pure a sapere che le ultime parole di Gesù, dopo di avere assaggiato l'aceto portogli da un soldato, acciocché tutta la Scrittura fosse adempiuta, e prima di rendere lo spirito, furono: OGNI COSA È COMPIUTA, pronunziate "con gran voce", come dicono i Sinottici. Finalmente egli ci dice che, per ordine di Pilato, le gambe dei due ladroni crocifissi con Gesù vennero rotte; ma così non fu fatto al Signore, perché già era morto; però un soldato gli forò il costato colla lancia, e questi fatti costituiscono l'adempimento di due profezie: "Non ne rompete alcun osso" Esodo cap.12:46; Numeri cap.9:12, e "Riguarderanno a me, che avranno trafitto" profeta Zaccaria cap.12:10; S.Giovanni 19:17-37. 4. La sepoltura di Cristo. Egli fu sepolto in un monumento affatto nuovo, posto in un giardino, a breve distanza dal Golgota ed appartenente a Giuseppe d'Arimatea, "il quale era discepolo di Gesù, ma occulto, per tema dei Giudei". Ora però quest'uomo spiegò un coraggio inaspettato. Si presentò da Pilato, domandando il permesso di scendere il corpo di Cristo dalla croce e di seppellirlo. Dopo essersi accertato che Gesù era veramente morto, Pilato annuì, e Giovanni aggiunge che un altro discepolo segreto del Signore "Nicodemo, che al principio era venuto a Gesù di notte" bandì egli pure in questa occasione ogni timore, ed aiutò Giuseppe d'Arimatea nello scendere il corpo di Gesù dalla croce, nell'involgerlo in un lenzuolo con degli aromati, per quindi deporlo in un monumento, "ove niuno era stato ancora posto"; mentre le pie donne Galilee li osservavano da lontano, per sapere dove il loro Signore verrebbe posto Giovanni 19:38-42. Giovanni 18:1-16. GESÙ VIEN FLAGELLATO PER ORDINE DI PILATO, QUINDI È INSULTATO DAI SOLDATI ROMANI. PILATO FA ANCORA DUE TENTATIVI PER SALVARLO, POI COMANDA CHE SIA CROCIFISSO S.Matteo cap.27:27-31; S.Marco cap.15:15-20 Cristo flagellato per ordine di Pilato ed abbandonato agli insulti dei soldati romani prima di venir crocifisso, Giovanni 19:1-3 1. Allora adunque Pilato prese Gesù, e lo flagellò Vediamo dai Sinottici, che, dopo il rifiuto della moltitudine di rilasciare Gesù, Pilato si lavò le mani dinanzi ad essa, e ordinò che Gesù venisse flagellato, quindi crocifisso. Nei primi versetti di questo capitolo, Giovanni ci riferisce invece altri vani tentativi suoi per salvare il Signore, anche dopo la flagellazione e, fondandosi su questo, alcuni scrittori hanno messo avanti la teoria di una doppia flagellazione del Signore. La prima sarebbe quella che ci vien qui riferita, e che avrebbe avuto per scopo di eccitare la compassione dei Giudei, e di indurli a lasciare andare Gesù; la seconda sarebbe stata il preliminare solito della crocifissione. A quest'ultima farebbero allusione Matteo Matteo 27:26; Marco 15:15, mentre Luca 23:22, riferisce semplicemente la proposta di Pilato di castigare Gesù, senza dir nulla del suo eseguimento. Una tal teoria è inutile ed improbabile: primieramente, perché quelle semplici allusioni dei Sinottici alla flagellazione, benché lascino la impressione che la crocifissione, venne subito dopo, secondo l'uso ordinario ma non universale, non hanno però necessariamente un tal senso; ed in secondo luogo, perché quella flagellazione era già cosa, così crudele in sé che Pilato, nel cui cuore qualche compassione per Gesù si era pur destata, e che si irritava per vedersi costretto a commettere un assassinio giudiziario, non l'avrebbe permessa. Di più, molti venivan meno e morivano per effetto di una sola flagellazione, e ben si può dubitare che un corpo umano potesse sopravvivere a due flagellazioni romane nel medesimo giorno. L'infelice paziente veniva denudato fino alla cintura poi legato colle mani ad un pilastro, in modo da rimanere curvo, e sulla schiena, in quel modo distesa, colpi venivano inflitti per mezzo di strisce di cuoio armate di punte di ferro, di piombo o di osso, sicché ogni colpo tagliava la pelle e la carne fino all'osso. Il nuovo intervento di Pilato in favore di Gesù ci par che possa spiegarsi così: riconoscendosi impotente a salvarlo, né sapendo a quale altro espediente ricorrere, dopo essersi lavato le mani, egli ordinò la flagellazione, come preliminare della crocifissione; ma quando poi vide Gesù insanguinato e dolente, per quel crudelissimo supplizio, coperto di un misero cencio a guisa di manto reale, e incoronato di spine, si sentì mosso a pietà, e volle, prima di crocifiggerlo, fare un ultimo appello al cuore dei Giudei. Quando poi anche questo supremo tentativo fallì, lo mandò a crocifiggere senza ripetere la flagellazione, che già aveva avuto luogo. 2. E i soldati, contesta una corona di spine, gliela posero in sul capo, e gli misero attorno un ammanto di porpora, 3. E dicevano: Ben ti sia, o Re dei Giudei; e gli davano delle bacchettate. Appo i Romani, gl'insulti e gli scherni eran l'accompagnamento obbligato dell'ultimo supplizio. I soldati adunque, tratto Gesù nell'interno del Pretorio, radunarono attorno a lui tutta la schiera o coorte Matteo 27:27, "prova questa, osserva Lange, che i fatti avvennero nella Torre Antonia, non già nel Palazzo di Erode" quindi sfogarono la brutale loro natura, beffandosi di colui che già avevano torturato. Erode aveva rimandato Gesù a Pilato, dopo averlo vestito di una "veste bianca" Luca 23:11, che era il colore dei re Giudei; è questi soldati, seguitando l'esempio di Erode, vi sostituirono "un ammanto di porpora", o, secondo Matteo Matteo 27:28, "un saio di scarlatto", ad imitazione della porpora imperiale. Gli misero pure "una canna nella man destra" Matteo 27:29, a guisa di scettro e "una corona di spine in sul capo" invece del diadema dei re. Alcuni credono che la corona di spine fosse fatta con ramoscelli del zysyphus lotus, che ha spine lunghe e forti; ma ciò non può essere, perché quella pianta, abbondantissima nella valle di, Gerico, è ignota nelle vicinanze di Gerusalemme, al cui clima invernale più rigido essa non potrebbe resistere. Crediamo piuttosto che venisse tessuta con una pianta nana e spinosissima, la quale cresce in abbondanza nei dintorni di Gerusalemme, detta lycium spinosum, il cui stelo flessibile, coperto di spine fitte ed acute, si presta all'uso qui descritto. Matteo 27:29 ci dice che, dopo avere in quella guisa mascherato Gesù da re, "inginocchiatiglisi davanti, come se fossero stati in presenza di Cesare, lo beffavano, dicendo: "Ben ti sia, o re dei Giudei". Né si limitò a questo la loro crudeltà, poiché con la canna medesima che gli aveano messa in mano, lo percossero in sul capo, cagionandogli acuti dolori a motivo delle spine, e gli sputarono in viso. Così vennero adempiute alla lettera le predizioni dei profeti: "Io ho porto il mio corpo ai percotitori, e le mie guance a quelli che mi strappavano i capelli; io non ho nascosta la mia faccia dalle onte, né dallo sputo" profeta Isaia cap.50:6. "Il rettore d'Israele è stato percosso con una bacchetta in su la guancia" Michea 5:1. Per altri particolari, Vedi Note Luca 23:26. Pilato presenta Cristo alla folla, e facendo un ultimo tentativo a, suo favore, obbliga i sacerdoti a svelare la vera ragione per cui volevano la morte di Gesù, Giovanni 19:4-7 4. E Pilato uscì di nuovo, e disse loro: Ecco, io ve io meno fuori, acciocché sappiate ch'io non trovo in lui alcun maleficio. 5. Gesù adunque uscì, portando la corona di spine, e il ammanto di porpora. E Pilato disse loro: "ECCO L'UOMO". Un'ultima volta, Pilato si presenta ai Giudei, seguito da vicino dai soldati che custodivano Gesù, e additandolo alla folla, coll'ammanto di porpora e la corona di spine, coperto di sangue e di sputi, esclama: "Ve lo meno fuori, affinché sappiate quello che penso di lui. Io non trovo in Gesù maleficio alcuno, ed ora ECCO L'UOMO! Contemplatelo, ed abbiatene compassione; contemplatelo, e rimanga soddisfatta la vostra rabbia; contemplatelo, e lasciate che, dopo averlo così duramente castigato, io lo rimetta in libertà". Questa celebre parola è capace di due sensi diversi. Pilato può aver parlato in senso di disprezzo: "Ecco l'uomo che accusate di farsi re! Qual creatura più debole, più impotente, più spregevole di lui si potrebbe mai trovare? Chi mai potrebbe temere un ribelle di quella fatta?" O può aver parlato per compassione: "Contemplate questo meschino che volete che io condanni a morte! Non è egli stato abbastanza punito?" Può darsi che entrambi questi sentimenti si trovassero nel cuore di Pilato, quando pronunziò quella parola: disprezzo del popolo giudeo, compassione verso Gesù. Non v'ha dubbio in ogni caso che egli sperava che i Giudei, visto lo stato compassionevole al quale era ridotto Gesù, lo lascerebbero andare, imperocché il governatore romano già cominciava ad impensierirsi della misteriosa origine di questa nobile vittima della rabbia farisaica. "Qualunque sia il senso di quelle" parole, la Cristianità tutta intera le ha fatte sue, e le ha tesoreggiate in cuore come una espressione sublime della sua adorazione profonda del sofferente suo Signore" (Brown). Che il Signore benedetto, la Parola eterna, si sia sottomesso con mansuetudine ad esser presentato a quella folla sitibonda di sangue come un oggetto degno di disprezzo e di compassione è cosa veramente meravigliose. "Essendo ricco, si è fatto povero per noi" 2°Corinzi 8:9. Dacché il mondo esiste, il sole non aveva mai illuminato coi suoi raggi uno spettacolo più degno della ammirazione degli angeli e degli uomini. 6. E i principali sacerdoti, e i sergenti, quando lo videro, gridarono, dicendo: Crocifiggilo, crocifiggilo. È la prima volta, dall'arresto di Gesù in poi, che vengono mentovati i "sergenti", o guardie del tempio. Essendo costoro sotto gli ordini dei sacerdoti, non appena comparve Gesù, diedero, ad istigazione dei loro padroni, il segnale delle grida per domandarne la morte, soffocando in tal modo ogni possibile movimento di pietà. Riempiono l'aria, colla breve e terribile parola: Crocifiggi, crocifiggi, che esprimeva esattamente il loro sentire, ed era una risposta delle più recise alle mezze misure del governatore. Pilato disse loro: Prendetelo voi, e crocifiggetelo, perciocché io non trovo alcun maleficio in lui. "Il soldato pagano fa inutilmente appello alla umanità del sacerdote giudaico. Nessun cuore in quella vasta moltitudine, sente un palpito, di compassione per la vittima innocente di tanta crudeltà. Il Romano avvezzo a versare il sangue come acqua, ora sul campo di battaglia, ora in massacri aperti, ora in congiure segrete, aveva di certo un cuore indurito pietrificato, ed estraneo ad ogni compassione; ma ben più gelati ed impietriti sono i cuori di questi scrupolosissimi ipocriti, di questi sacerdoti mondani" (Farrar). Pilato non fu semplicemente dispiacente di vedere andar a vuoto il suo terzo tentativo di salvar Gesù; ne fu accesa la sua ira, e con accento di ironia e di disgusto, ei grida: "Prendetelo voi, e crocifiggetelo". Devono queste parole intendersi come uno scherno della impotenza dei Giudei, o come una promessa di chiudere gli occhi, se essi medesimi mettevano Gesù a morte? Inchiniamo per il primo senso, perché Pilato non sembra ancora aver perduto ogni speranza di salvar Gesù. 7. I Giudei gli risposero: Noi abbiamo una legge; e secondo la nostra legge, egli deve morire; perciocché egli si è fatto Figliuol di Dio. Il partito sacerdotale intese evidentemente le parole di Pilato come uno scherno, ed abbandonando come inutile l'accusa di cospirazione portata fino a quel momento contro Gesù, rispose alla sfida del governatore svelando, quale ultima risorsa, l'accusa originaria di bestemmia, per la quale il Sinedrio avea condannato il Signore, e che fino a quel momento si era taciuta, nel pensiero che peserebbe poco sulla bilancia della giustizia romana. I Giudei dichiarano che la legge loro obbligavali a "lapidare chiunque avrebbe bestemmiato il nome del Signore" Levitico cap.24:16, e che Gesù aveva, trasgredito una tal legge, dicendosi "Figliuol di Dio". I Romani lasciavano ai popoli vinti le loro leggi e le loro istituzioni nazionali, in quanto almeno non eran contrarie alla loro autorità. I Giudei si fondano ora su questo, e tengono Pilato obbligato, qual governatore, ad assicurare l'osservanza delle loro leggi, mettendo a morte il trasgressore che si faceva uguale a Dio. È vero che questo titolo non è mentovato nel passo citato del Levitico, il quale proibisce solo la bestemmia; ma i Giudei consideravano evidentemente come blasfematoria, per qualunque uomo, il dirsi uguale a Dio. Olshausen dice che questo fatto prova chiaramente che i Giudei non consideravano il titolo di Figliuol di Dio, "come equivalente a quelli di Messia", o di "Re dei Giudei". Quest'ultimo titolo avevano messo avanti per accusare Gesù; ma il primo era affatto ignoto a Pilato. Di più, solo in questo nome ravvisavano essi una bestemmia che la legge puniva di morte. Notiamo infine che la legge mosaica infliggeva al bestemmiatore la morte per lapidazione, mentre i sacerdoti e le turbe domandavano che Gesù venisse crocifisso. 8. Pilato adunque, quando ebbe udite quelle parole, temette maggiormente. Dalla conversazione avuta già con Gesù, dal messaggio mandatogli dalla moglie, evidentemente "DIO" gli ha parlato nel sogno a questa donna, perchè aveva detto a Pilato che ha avuto un sogno intorno a Gesù, ma dall'odio eccessivo degli accusatori, di cui eragli nota l'ostilità al governo romano, e dal timore che la presenza di Gesù ispirava loro in modo sempre più evidente, Pilato già si era accorto esservi in questo caso qualche cosa di molto misteriosa, e questa rendevalo incerto su quanto dovesse fare. L'udire ora che Gesù avea detto di esser Figliuol di Dio accresce i suoi timori. È impossibile anche solo indovinare quali idee le parole "Figliuol di Dio" svegliassero nella sua mente. Senza dubbio conosceva le leggende mitologighe della Grecia e di Roma; aveva udito raccontare che degli dèi erano scesi sulla terra, in forma umana ed erano andati attorno in mezzo agli uomini Atti 14:11. Come molti uomini educati di quel tempo, egli professava probabilmente lo scetticismo; ma la superstizione è spesso la compagna della incredulità, e Pilato forse domandò a sé medesimo: "Che questo prigione sia un Dio in veste umana! Avrei io, nella mia ignoranza, insultato e maltrattato uno degli dèi? "Le parole dei Giudei ebbero dunque sopra Pilato un effetto al quale essi non erano preparati. Non si sarebbero mai figurato che una questione di legge giudaica dovesse fermar la sua attenzione al punto di turbarlo così visibilmente. Pilato aveva senza dubbio udito parlar dei miracoli di Gesù; ora il titolo che egli assume di "Figliuol di Dio" li spiega, e fortifica un terribile presentimento che andava formandosi in lui, cioè che quest'uomo fosse veramente un essere divino apparso in terra. Sente il bisogno di far nuove investigazioni. 9. E rientrò nel palazzo, e disse a Gesù: Onde sei tu? Lasciando di nuovo i Giudei, Pilato fece ricondurre Gesù nel Pretorio, affin di interrogarlo di nuovo in privato. La domanda: "Onde sei tu?" non si riferiva di certo al domicilio terreno di Cristo, "Pilato ben sapeva già che egli proveniva dalla Galilea", bensì alla sua origine personale, dal punto di vista del titolo che si era dato: "Sei tu di questo, o di un altro mondo? Sei tu un uomo o uno degli dèi? Qual'è la vera tua natura e la tua storia? Dimmi chiaramente se tu sei un essere superiore, od un mero uomo, affinché io sappia che cosa devo fare a tuo riguardo. Ma Gesù non gli diede alcuna risposta. Perché? 1. Gesù già aveva toccato questo argomento nel suo primo interrogatorio Giovanni 18:36-37; ma Pilato gli aveva voltato le spalle con disprezzo, e non era meglio preparato ora a comprendere la sua risposta. 2. Egli sapeva che, per quanto Pilato fosse agitato dal timore, non era però sinceramente disposto a ricevere la verità, e come già aveva ceduto alle domande dei suoi nemici, così era pronto a cedere loro ancora, epperciò non era meritevole di risposta. 3. La questione della colpabilità o della innocenza di Gesù, questione che Pilato doveva ora decidere, niente aveva che vedere colla sua origine, perciò egli ricusa di difendersi più oltre. Col suo silenzio in questo momento supremo: come pure nella sua comparsa davanti ad Erode ben fu avverata la profezia: "Egli non ha aperta la bocca" Profeta Isaia cap.53:7. 10. Laonde Pilato gli disse: Non mi parli tu? Non sai tu ch'io ho podestà di crocifiggerti e podestà di liberarti? Nel Greco il pronome personale vien primo, con enfasi singolare, nelle parole di Pilato: "A me non parli tu?" Pilato è sorpreso ed offeso al tempo stesso che un povero prigioniero disubbidisca ai chi ha dietro di sé tutta la potenza romana. Ogni allarme ed ogni simpatia sono scomparse dal suo cuore, per lasciarvi solo l'orgoglio ferito, che si manifesta nel duplice vanto che segue, e col quale si direbbe che Pilato voglia influire sul suo prigioniero mediante la speranza ed il timore. "Questo stesso vanto", dice Alford, "dimostra l'ingiustizia di Pilato. Nessun giudice integro si vanterebbe di un tal potere di punire o di liberare. Il giudice non ha altra autorità che di esaminare pazientemente le cause, e di dar sentenze conformi alla verità". Quegli uomini stessi che più vantano il loro potere, cono spesso, come Pilato schiavi d'ella pubblica opinione. 11. Gesù rispose: Tu non avresti alcuna podestà contro a me se ciò non ti fosse dato da alto; Il Signore ripudia; senza esitazione il vanto di Pilato; gli nega di possedere alcun potere indipendente sopra di lui e dichiara, che perfino la sua podestà limitata, qual magistrato romano, di metterlo a morte, gli è "data da alto", cioè dal cielo, affinché sieno adempiuti l'eterno consiglio di Dio, e tutte le profezie che lo avevano fatto conoscere. Se non fosse di ciò, egli dichiara che Pilato non avrebbe autorità di sorta alcuna, sopra di lui. Una tal dichiarazione rivela la divina sua origine, poiché lo dice proveniente egli stesso da quella regione medesima, "dall'alto" dalla quale Pilato aveva ricevuto la limitata sua podestà. perciò colui che mi t'ha dato nelle mani ha maggior peccato. Il governatore era uno strumento in mani altrui; ma il Signore, pure ammettendo questa circostanza attenuante, non lo dichiara però senza colpa, poiché aveva riconosciuto innocente l'accusato, e violentava la propria coscienza non mettendolo in libertà. Ma la colpa maggiore della morte di Cristo giacerà alla porta di altri. Chi è il "colui" di cui parla qui il Signore? Senza dubbio vengon qui indicati tutti quelli che avevano avuto parte, officialmente o no, nel metterlo nelle mani del governatore: Giuda, Anna, Caiafa, il Sinedrio, l'intero popolo Giudaico, rappresentato dai suoi rettori e dal suoi sacerdoti, i quali avevano condotto il Signore nel Pretorio, e si valevano della debolezza di Pilato per ottenerne la morte. Il loro era il maggior peccato, perché maggiore pure era la luce che possedevano. Pilato era un Gentile; nulla sapeva del Messia e dei segni suoi distintivi; i Giudei possedevano "gli oracoli di Dio", i quali rendevano testimonianza al Messia. Professavamo di conoscere il vero Dio, eppure agivano in modo direttamente contrario alla sua volontà. Pilato era semplice strumento; essi erano la causa prima; egli agiva contrariamente. alla propria volontà, per mancanza di coraggio, per timore di perdere il suo posto elevato; essi erano mossi da un odio implacabile verso Gesù. 12. Da quell'ora Pilato cercava di liberarlo; Benché Gesù lo avesse apertamente condannato, Pilato questa volta non si offende; un altro sentimento riempie il suo cuore, cioè un rispetto profondo "per quell'Essere misterioso, la cui stessa impotenza compariva più solenne e più grandiosa che la più eccelsa podestà" (Farrar). Divenne più ansioso che mai di liberarlo; ma non aveva il coraggio di farlo altrimenti che col consenso degli accusatori. Una sola parola, emanata da quel potere di cui erasi vantato a Gesù, sarebbe bastata a questo scopo; ma il suo interesse personale non gli permetteva di pronunziarla. ma i Giudei gridavano, dicendo: Se tu liberi costui, tu non sei amico di Cesare: chiunque si fa re si oppone a Cesare. Decisi ad ottenere la morte di Gesù, i Giudei passano da un'accusa ad un'altra. In sulle prime si mostrano pieni di zelo per gli interessi dell'imperatore; non ottenendo lo scopo con quel mezzo, mettono avanti l'accusa di bestemmia, che la loro legge puniva di morte; ed ora, vedendo che ciononostante Pilato cerca ancora di liberar Gesù, presentano l'accusa politica di prima dandole tal forma, che Pilato non avrebbe certo ardito trascurarla: Se tu liberi costui, tu non sei amico di Cesare. Sin dal tempo di Augusto, il titolo di "Amico di Cesare" era stato occasionalmente conferito a legati, prefetti e proconsoli, come un'alta distinzione onorifica, e può darsi che la speranza di ottenerla avesse talvolta brillato dinanzi agli occhi di Pilato. In tal caso, le parole dei Giudei potevano voler dire: "Se lasci sfuggire costui, abbandona pure ogni speranza di onori e di favori, per parte dell'imperatore". Anzi era una chiara minaccia di un'accusa di alto tradimento, quella che più temevano gli alti funzionari dell'impero, specialmente se avevano il carattere di Pilato o di Felice. Da quel momento svanisce ogni speranza per Pilato di salvare il suo prigioniero. Troppo bene egli conosce il carattere crudele e sospettoso di Tiberio, al cui orecchio già erano giunte altre lagnanze contro di lui. Un'accusa di aver trascurato gli interessi imperiali, o favorito un ribelle, non poteva che farlo cadere in disgrazia, ed anche metter la vita sua in pericolo. Piuttosto che correre un tal rischio, egli è pronto a lasciar perire un innocente. "Sarebbe difficile dire quale dei due presentava, a questo momento, lo spettacolo più dispregevole e più vile: di Pilato che calpesta la sua coscienza per timore di dispiacere ad un monarca terrestre, o dei Giudei, i quali, pur di far perire Gesù, si fingono più teneri degli interessi di Cesare che lo stesso suo rappresentante, e volontariamente proclamano la loro vergogna qual popolo vinto. Dall'una parte abbiamo lo spettacolo della codardia, dall'altra quello della duplicità; ed entrambe si dànno la mano per un assassinio crudele" (Ryle). 13. Pilato adunque, avendo udite queste parole, menò fuori Gesù, Mentre faceva un ultimo sforzo per liberarlo Giovanni 19:12, Pilato aveva lasciato Cristo nel Pretorio; ma udita la minaccia fatta contro di lui, si era deciso ad assicurare la propria salvezza a spese dell'innocente Gesù, ed ora lo conduce fuori per pronunziare sentenza di morte contro di lui, in modo ufficiale e dall'alto del suo tribunale, che non sembra avere occupato fino a quel momento. e si pose a sedere in sul tribunale, nel luogo detto Lastrico, ed in ebreo Gabbata; Essendo Erode a Gerusalemme durante la Pasqua, è certo che occupava il palazzo della sua famiglia sul Monte Sion, e che Pilato risiedeva nella torre o fortezza Antonia, che viene anch'essa chiamata palazzo, "il pretorio" Giovanni 18:28. Qui, ora nell'interno, ora al di fuori, venne condotto a compimento il processo di Gesù. Davanti alla fortezza, eravi una specie di lungo rialzo lastricato, chiamato in greco il "lastrico", ed in ebraico od aramaico Gabbata, probabilmente da gabba "esser alto". Quivi ergevasi il "tribunale", il quale, a detta di Svetonio, era fatto di lastre portatili di mosaico, facili a rizzarsi in ogni luogo, ed era portato dovunque andavano, dai rappresentanti dell'Imperatore. Su questo tribunale, Pilato ora sedette, umiliato ed irritato, ma pronto ad eseguire la volontà dei Giudei. 14. Or era la preparazione della Pasqua, In questo vers. Giovanni ricorda, passando, il giorno e l'ora della condanna di Gesù per parte di Pilato, e queste sue parole, unite a quanto è detto in Giovanni 18:28, che cioè alcuni dei membri del Sinedrio ancora non avevano mangiato la pasqua, han dato origine a grandi discussioni sulla questione se Cristo e i suoi discepoli avessero anticipato di ventiquattro ore il pasto pasquale, o se la cena, ricordata in Giovanni 13:1, non si debba considerare come un pasto qualunque, e non già come la cena pasquale. I Sinottici non permettono di mettere in dubbio che Gesù abbia realmente celebrato, ancora una volta prima di morire la gran festa nazionale dei Giudei, nel giorno stesso, "14 di Nisam", fissato dalla legge, ed abbiamo dimostrato che, ad onta delle parole di Giovanni 18:28, non v'ha divergenza fra Giovanni ed essi, riguardo alla data di quella cena, Vedi Note Luca 22:14 e Giovanni 18:28. Se non fosse quest'ultimo passo, le parole "la preparazione della pasqua", "rapa", non avrebbero presentato difficoltà alcuna. È questo il solo passo della Scrittura in cui ci venga parlato di un giorno di preparazione speciale in connessione colla festa di Pasqua; ma fatto sta che una tal connessione è solo apparente. È ammesso da tutti che appo i Giudei, il giorno che precedeva ogni sabato, cioè il nostro venerdì, era detto familiarmente la preparazione, e Giovanni lo mentova due volte in questo medesimo capitolo. Al ver. di Giovanni 19:31 ci dice che i Giudei "pregarono Pilato che si fiaccassero loro le gambe, e che si togliessero via, acciocché i corpi non restassero in su la croce nel sabato, perciocché era la preparazione"; ed in Giovanni 19:42, che Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo deposero il corpo di Gesù nel monumento, prima d'imbalsamarlo, "per cagione della preparazione dei Giudei". In entrambi questi passi, trattasi evidentemente della preparazione per il Sabato, e siccome è lo stesso giorno che quello che vien qui chiamato "la preparazione della pasqua", se ne deve trarre la conclusione che l'evangelista vuol dire: "la preparazione del Sabato della pasqua". Un attento confronto dei passi seguenti: Matteo 27:62; Marco 15:42; Luca 23:54, e specialmente della parentesi di Marco: "perciocché era la preparazione, cioè l'antisabato", conferma questa nostra asserzione. Il giorno prima di ogni Sabato
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 01/04/12 alle 01:20 via WEB
Contemplando la passione di Cristo emergono degli aspetti sconcertanti e diversi su ogni uomo che vi ha partecipato. Pilato lontano da effetti religiosi, sa muoversi a compassione, sa vedere nel Cristo un uomo particolare, ma come ogni uomo non sorretto da un credo, non sa affrontare le probabili conseguenze per una decisione che lui riteneva giusta e spera nella compassione degli altri. Ecco la debolezza dell'uomo, lasciare che altri prendano decisioni al posto proprio, soffocando coscienza e compassione. Così come fa il mondo oggi con la sofferenza altrui: si piangono lacrime di coccodrillo, ma non si fa niente per capovolgere la situazione di afflizione dell'umanità. Emerge poi l'uomo della chiesa, incarnata dalla legge e dalla superbia: solo essa poteva avere la possibilità di intravedere i misteri di Dio, mutilandoli in qualsiasi altro uomo che non fosse uno di loro, ma in ogni cosa vi è il bene e il male. Infatti un componente della stessa chiesa ha avuto il coraggio, perchè permeato dallo Spirito Santo, di richiedere il corpo sacrale del Cristo. Questo mi fa sperare ed avere la certezza che tutto quello che ha istituito il Cristo, il male non lo può vincere. La chiesa tornerà nell'antico splendore con cui l'ha istituita il nostro Maestro, forse con la partecipazione di altri uomini comuni che daranno gloria alla nascita e alla resurrezione di una nuova e santa evangelizzazione, guidati dallo Spirito e da Gesù risorto e vittorioso sul male. Ti saluto con affetto e ti ringrazio sempre per il valore con cui esponi il Vangelo che offre la possibilità e la responsabilità di meditare e contemplare la testimonianza di un Dio che è morto e risorto per la nostra salvezza. Affettuosamente, buona Domenica delle Palme.
 
zelota0
zelota0 il 31/03/12 alle 17:42 via WEB
perdonate la mia ignoranza ,cosa si intende le mie chiese. grazie
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 31/03/12 alle 20:41 via WEB
Non è affatto una questione di ignoranza, ma è il non aver centrato quello che le parole volevano intendere: nelle stesse chiese, come costruzione, c'è chi ha il sacramento dietro l'altare e chi lo ha posto di fianco , o sulla destra o sulla sinistra, decentrando così il valore e l'attenzione sull'eucaresti,quindi, come vedi, anche questo è un particolare che nasconde una spiritualità diversa. Così sarà che in alcune chiese si eliminerà la coce ed in altre rimarrà come vessillo e stendardo della cristianità. Colgo l'occasione per augurarti una santa domenica delle Palme.
 
zelota0
zelota0 il 31/03/12 alle 17:44 via WEB
così nelle Mie Chiese vi sarà il segno, il segno di Cristo impresso sull'altare:
 
linaladu
linaladu il 31/03/12 alle 17:47 via WEB
che tristezza,ripetere ogni hanno la crociffissione del nostro SALVATORE,E' COME CROCIFFIGGERLO CONTINUAMENTE,PERCHE' INVECE,NON CI PREPARIAMO PER SUO RITORNO???METTENDO IN ATTO OGNI SUA PAROLA ED OGNI SUO VOLERE???APRIAMO IL NOSTRO CUORE AL SUO AMORE,ASCOLTANDO LA VOCE DELLO SPIRITO IN CUI CI INDICA LA GIUSTA VOLONTA'.CON TUTTA LA MIA ANIMA TI ABBRACCIO NELLA FEDE DEL SIGNORE,UNITI NELLA PREGHIERA INN'ALZANDO A GESU',UN CANTICO DI LODE.FELICE DOMENICA DELLE PALME.BACIONI LINA.PACE.
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 31/03/12 alle 20:51 via WEB
CARA LINALADU,questo scritto non si riferiva alla domenica delle palme, una gloria ipocrita di chi seguiva Gesù, ma la Quaresima e la passione della settimna santa, non sono un memoriale, ma un momento forte di grazia e conversione per tutti i cristiani e come tale deve essere rispettato, perchè ognuno di noi deve avere sulla coscienza che a crocifiggere il Cristo lo facciamo ancora con i nostri peccati, ma alla Santa Pasqua, è giusto glorificarlo e gridare l'eterno alleluia del suo ritorno in mezzo a noi. Con affetto accolgo i tuoi scritti e le tue osservazioni giuste e piene di fede;lo Spirito si distingue in te e che il tuo cammino continui ad essere pieno di luce e di fede.Auguri e felice domenica delle Palme.
 
zelota0
zelota0 il 31/03/12 alle 18:02 via WEB
La Croce non è fine a se stessa. È il simbolo trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina, sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d'amore.
 
attilio.61
attilio.61 il 31/03/12 alle 19:33 via WEB
Molto bello, da meditare nel profondo. Buona Domenica delle Palme Attilio
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 31/03/12 alle 20:58 via WEB
ATTILIO CARO, conoscendoti nella profondità di un'amicizia cristiana, il cuore mi si rallegra quando nelle tue piccole frasi nascondi il credo e la purezza di un bambino che si affida con sicurezza nelle mani del Padre. Il buon Dio ti premierà per quanto tu fai nel sociale e di quanto mi aiuti negli incontri di preghiera, sia sempre la nostra vita e la nostra amicizia spesa nell'aiuto dei sofferenti e a recupero delle anime sbandate. Il Signore ti protegga e ti illumini sempre sulla via che devi percorrere. Esprimendoti con affetto tutta la mia fraterna amicizia, buona domenica delle Palme. Ciao Viviana.
 
   
attilio.61
attilio.61 il 31/03/12 alle 22:58 via WEB
Cara Viviana grazie per le belle parole, che Dio benedica te e tutti i nostri fratelli in Cristo. Con affetto fraterno Attilio
 
serenella1210
serenella1210 il 31/03/12 alle 19:44 via WEB
buona domenica delle palme potesse la parola di dio cambiare il cuore degli uomini ciao
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 02/04/12 alle 01:23 via WEB
cara Serenella scrivo anche a te in ritardo sperando che questa giornata ti abbia dato pace e serenità , anch'io spero che la parola di Dio possa convertire il cuore degli uomini per ritornare a vivere con serenità senza il terrore nel cuore del nostro domani poichè pilotato da persone crudeli senza scrupoli che di fronte al potere e al denaro riducono gli uomini a dei numeri che intralciano i loro piani . amichevolmente soleincielo
 
apungi1950
apungi1950 il 31/03/12 alle 20:44 via WEB
Ciao .. .popolo mio, che male ti ho fatto In che cosa ti ho contristato? Se ti ho fatto del male, percuotimi, se non ti ho fatto del male perché mi tratti così..felice serata cara Amica mia .buona domenica delle Palme.che la pace e l'amore dimorano. nel tuo cuore e dei tuoi cari colmando i vostri cuori di pace..ti abbraccio..Antonio
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 02/04/12 alle 01:13 via WEB
carissimo Antonio scusa il ritardo ma spero tu abbia passato una felice domenica .Sai quanto vorrei che ognuno di noi guardasse profondamente le proprie verità dell'anima i propri errori, forse ci renderemo conto che le parole " se non ti ho fatto del male perchè mi tratti così?" siamo proprio noi a meritarlo . Dobbiamo essere più vicino a Gesù con la nostra rettitudine e la nostra fede perchè i tempi che stiamo vivendo sono infami e oscuri ,la cristianità sta vacillando perchè pochi seguono la vera fede,un abbraccio affettuoso .
 
champions_3
champions_3 il 31/03/12 alle 22:17 via WEB
L'ANALISI, ECCO L'UOMO! Continuazione: veniva detto "la preparazione", perché in esso dovevansi. fare tutti i preparativi necessari per poter passare il sabato in perfetto riposo. Giuseppe Flavio ricorda un decreto imperiale che sospendeva ogni procedimento legale contro ai Giudei, non solo per il sabato, ma pure per la preparazione dopo l'ora nona Antiq. 16, 6, 2, e Wettstein cita un passo di autore rabbinico, nel quale i giorni della settimana vengono enumerati nel modo seguente: "si ricordi il lettore che fra i Giudei il giorno cominciava alle sei di sera; di più abbiamo aggiunto, per maggior chiarezza, i nostri nomi dei giorni in parentesi: Primo (Sabato sera); Secondo (Domenica sera); Terzo (Lunedì); Quarto, (Martedì); Quinto, (Mercoledì); Paraskeuè, ossia Preparazione, (Giovedì); Sabato, (Venerdì)". È chiaro adunque che il giorno corrispondente al nostro Venerdì era detto comunemente preparazione, e Giovanni, parlando qui della "preparazione della Pasqua", vuol dire semplicemente il Venerdì della settimana pasquale. Il Signore fu dunque condannato e crocifisso nel giorno stesso, "contando all'uso giudaico", in cui mangiò per l'ultima volta coi suoi discepoli l'agnello pasquale che era tipo di lui medesimo, e quel giorno era la vigilia del Sabato. Non è dunque vero che egli abbia anticipato la data del 14 di Nisam, nel celebrare la Pasqua. Va notato qui che al ver. 31 Giovanni osserva, che quel giorno non fu una "preparazione" ordinaria, bensì una di speciale notorietà, a motivo della solennità eccezionale del sabato della Pasqua: "Conciossiaché quel giorno di sabato fosse un gran giorno". ed era intorno all'ora sesta; Quest'ultima parte della parentesi è più difficile a spiegare, e ha dato un gran da fare ai commentatori in ogni età. La difficoltà proviene dal fatto che Marco Marco 15:25 dice che il Signore fu crocifisso "all'ora terza", e benché Matteo e; Luca non ci diano l'ora precisa della crocifissione, i loro racconti del fatto stesso tendono a confermar l'asserzione di Marco. Secondo Luca 23:44, risulta che già da qualche tempo Gesù stava in sulla croce, allorquando "intorno delle sei ore si fecero tenebre in su tutta la terra. "Come si spiega questa divergenza apparente fra Marco e Giovanni? Imperocché entrambi scrissero sotto l'influenza dello Spirito di Dio, epperciò non poterono errare, come affermano i critici razionalisti. Varie soluzioni sono state proposte, benché nessuna ci sembri molto soddisfacente. 1) Agostino e Bullinger dicono che Gesù fu crocifisso all'ora terza dalle lingue dei Giudei ed alla sesta per le mani dei soldati! Ma, una tale spiegazione è troppo debole e puerile per poter venir ricevuta; di più, secondo essa, Gesù sarebbe rimasto in croce solo le tre ore di tenebre e non sarebbe stato veduto da nessuno. 2) Si è detto che Marco segue il modo di contare dei Giudei, "i quali ricominciavano a contare le ore dalle sei di mattina, benché il giorno legale fosse cominciato la sera prima, come noi ricominciamo a contarle dalle dodici meridiane, benché il giorno cominci alla mezzanotte", mentre Giovanni contava le ore secondo l'uso romano, i quali, si dice, principiavano, come noi, dalla mezzanotte. Secondo questa teoria, sostenuta da molti, il Signore sarebbe stato condannato dal governatore alle sei di mattina (Giovanni), e crocifisso alle nove (Marco). Ma, oltreché il processo di Gesù dinanzi a Pilato avrebbe in tal caso dovuto cominciare assai tempo prima dell'alba, "e non è probabile che il governatore sia stato disposto a fare fino a quel punto il comodo dei Giudei", rimarrebbe sempre, fra la condanna e la esecuzione, un intervallo di tre ore, di cui non si saprebbe spiegare l'impiego. Ma l'obbiezione più seria di questa teoria si è l'erroneità dell'asserzione su cui è fondata, che cioè i Romani contassero le ore dalla mezzanotte; come i Greci e i Giudei, essi pure contavano le ore del giorno dal levar del sole, dividendolo in dodici ore, come dividevano la notte in quattro vigilie (Adam, Antichità romane, p. 305), e non v'ha luogo di credere che ai giorni di Giovanni si usasse in Palestina un altro modo di contar le ore. 3) La soluzione adottata da Eusebio, Teofilatto, Beza, Usher, Bengel, Scott, Webster e Wilkinson ed altri, si è che s'introdusse qui nel testo un errore di copia, e che la lettera z, che indica in greco il numero 6, è stata scritta invece della lettera g, che indica il 3. "La probabilità di questa sostituzione è avvalorata da un certo numero di buoni MiSSionari e dalla testimonianza di Pietro Alessandrino, il quale asserisce che la lezione originale era "terza" (Webster e Wilkinson). Un tale errore di copia non era punto impossibile; ma siccome l'immensa maggioranza dei codici porta questa soluzione della difficoltà non sarà adottata da quelli che vogliono mantenersi ad ogni costo fedeli al testo della Sacra Scrittura. 4) La spiegazione che incontra il numero minore di difficoltà è stata suggerita da Calvino e adottata da Lampe, Poole, Berkitt, Hengstenberg, Ellicott, Godet, Brown, ecc. Essa è basata sul fatto che i Giudei dividevano le dodici ore del loro giorno in quattro parti: la terza ora che andava dalle 6 alle 9; la sesta dalle 9 alle 12; la nona dalle 12 alle 3, la dodicesima dalle 3 alle 6. Queste grandi divisioni racchiudono le ore intermedie, sicché qualsiasi momento dalle 6 alle 9 di mattina poteva venir chiamato l'ora terza, e qualsiasi momento dalle 9 al mezzodì l'ora sesta. In questo modo non occorre far violenza al testo di Giovanni. Così Marco come Giovanni intendono dire che Gesù venne condannato e crocifisso verso le 9 ore ant. solo l'uno chiama quel momento ora terza, la quale stava per finire; l'altro lo chiama ora sesta, di cui era il principio. e disse ai Giudei: Ecco il vostro Re. Queste parole di Pilato contengono un amaro sarcasmo, diretto non già contro a Gesù, la cui mansuetudine ed innocenza avevano fatto sopra Pilato una profonda impressione, bensì contro i Giudei, ai quali Pilato vuol far sentire il supremo suo disprezzo. La propria coscienza lo condannava, perché, per mera debolezza, egli commetteva una ingiustizia flagrante, ed egli manifesta il proprio vivissimo dispiacere, versando la sua indignazione e il suo disprezzo su quelli che lo avevano costretto a condannare il Signore. 15. Ma essi gridarono Togli, togli, crocifiggilo. Pilato disse loro: Crocifiggerò io il vostro Re? I principali sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altro re che Cesare. Questo versetto ci presenta una lotta breve, ma violenta, fra il governatore romano e i capi del popolo Giudeo: Pilato, per ispirito di vendetta, chiama ripetutamente loro re l'uomo dai Giudei mortalmente odiato; essi domandano con insistenza ognor crescente che venga crocifisso, e finalmente, resi forsennati dal sarcasmo di Pilato, si umiliano fino nel fango, confessando, colle proprie labbra, che la teocrazia è abolita, che la loro nazionalità è scomparsa, in breve che non vogliono altro re all'infuori di Cesare. 16. Allora adunque egli lo diede lor nelle mani, acciocché fosse crocifisso. In questa umiliante confessione dei Giudei, Pilato sentì che la sua vendetta era completa, e che qualsiasi altro tentativo per liberar Gesù, non avrebbe se non peggiorato la sua posizione di fronte a Roma. Lo abbandonò adunque ai sacerdoti, per esser crocifisso. Nessuno degli 4 evangeli ci dice che Pilato abbia pronunziato colle proprie labbra le parole di condanna: Ibis ad crucem, "andrai alla croce"; ma questo non importa. Queste parole provano che, in un modo, o nell'altro, egli diede il suo consenso in forma così chiara, che il tumulto cessò, ed i quattro soldati, scelti ad eseguire la sentenza, presero in consegna Gesù, e si disposero a crocifiggerlo, sotto la direzione dei sacerdoti giudei. Giovanni 19:16-30. LA CROCIFISSIONE E LA MORTE DEL SIGNORE 16. cont. ed essi presero Gesù, e lo menarono via. I fatti occorsi sulla via dal Pretorio al Golgota non sono ricordati dal nostro Evangelo. Li dobbiamo dunque prendere dagli altri. Furon due soli. Le false tradizioni della Chiesa Romana ne narrano è vero molti altri, come accaduti sulla via Dolorosa, e ne fanno il soggetto di stazioni qua e là esposte alla adorazione, dei fedeli. Ma il Vangelo non offre per queste leggende fondamento alcuno. Son tutte invenzioni francescane, e della via Dolorosa stessa non vien fatta menzione prima del 14°simo secolo. Ci siamo convinti sul luogo che la dolorosa processione, anziché seguire la strada che va ad ovest; si volse dalla Torre Antonia verso la porta orientale di Gerusalemme, e sì fermò sopra uno dei poggi che dominano la valle di Giosafat. 17 17. Ed egli, portando la sua croce, uscì al luogo detto del teschio, il quale in ebreo si chiama Golgota. Per la situazioni del Golgota, Vedi nota Luca 23:33. Da Matteo 27:34 e da Marco 15:23, veniamo a sapere che non appena giunti al Golgota, e prima di crocifiggerlo, i carnefici di Gesù gli offrirono "aceto", ossia vino debole ed agro, che i soldati romani bevevano misto con acqua. Lo si condiva spesso con erbe amare per renderlo più atto ad inebriare, e davasi ai condannati a morte per attutire le loro sofferenze. Marco ci dice che in questo caso quell'aceto era "condito con mirra". Matteo parla piuttosto di fele, che era assai più forte. "Avendolo gustato", il Signore adempì la profezia, ma al tempo stesso ricusò di bere. A lui non occorreva aiuto esterno; alcuno per mitigare le sue pene, per fargli scordare la maledizione che portava, e la gran salvezza che stava operando. Senza dubbio respinse quel narcotico per lo stesso pensiero, che già avevagli fatto esclamare: "Non berrei io il calice il quale il Padre mi ha dato?" Giovanni 18:11. 18 18. E quivi lo crocifissero, Riguardo al modo della crocifissione, Vedi nota Luca 23:33. e con lui due altri, l'uno di qua, e l'altro di là, e Gesù in mezzo. Tutti e quattro i evangeli ricordano non solo che Gesù fu crocifisso tra due briganti, ma pure l'ordine in cui i tre vennero disposti, Gesù essendo nel mezzo dei due altri. Questo venne senza dubbio fatto con premeditazione, affin di mettere il delitto attribuito a Gesù sul livello medesimo che il loro. Era un'ultima indegnità inflittagli, una pubblica dichiarazione che non lo si giudicava punto migliore dei più vili delinquenti. Vedi nota S.Luca 23:33. Le sette memorabili parole di Gesù in croce. Una di queste è stata ricordata da Matteo 27:46, tre da Luca 23:34,43,46, e tre da Giovanni Giovanni 9:27,28,30. La prima di queste parole in ordine cronologico trova il suo posto il ed è una preghiera rivolta da Gesù al suo Padre il favore dei suoi carnefici, probabilmente al momento stesso in cui lo inchiodavano alla croce: "Padre, perdona loro, perciocché non sanno quello che si fanno. Per l'esposizione Vedi Luca 23:34. La seconda fu rivolta ad uno dei ladroni, crocifissi con lui. S.Giovanni si contenta di dire che furono crocifissi l'uno di qua, l'altro di là di Gesù; ma il fatto interessante che entrambi erano al principio nemici di Cristo, e che uno di essi continuò ad insultare il Signore, mentre il cuore dell'altro fu cambiato a segno che si affidò a Cristo come al suo Salvatore, è raccontato da Luca, che riferisce la risposta di Gesù al ladrone convertito: "Io ti dico in verità, che oggi tu sarai meco in paradiso". Per l'esposizione. Vedi Note Luca 23:39-42. Il titolo che Pilato sovrappose alla croce di Gesù, e più non volle cambiare, Giovanni 19:19-20 19. Or Pilato scrisse ancora un titolo, e lo pose sopra la croce; e v'era scritto: Gesù il NAZAREO, IL RE DEI GIUDEI. Era abitudine fra i Romani di scrivere sopra un cartello il delitto del condannato, il quale doveva portarlo egli medesimo, fino al luogo del supplizio; quindi lo si affliggeva alla croce sopra il suo capo. Giovanni ci dice che, nel caso di Gesù, Pilato stesso scrisse quel cartello di propria mano, benché senza dubbio qualche suo segretario dipoi lo traducesse per lui in Aramaico, e fors'anche in Greco. Importa poco sapere se il Signore portasse egli medesimo quella iscrizione fino al Golgota; ma è essenziale notare che, secondo Giovanni, Pilato stesso ne fu l'autore, ed invero essa è tutta quanta improntata di quello stesso spirito di sarcasmo vendicativo che già aveva dettato molte sue parole durante il processo di Gesù. Il titolo stesso non vien dato in modo identico da tutti e quattro i vangeli; ma tutti, ci riferiscono la sostanza dell'accusa nel medesimo formulata contro a Gesù, che cioè egli si era dato come re dei Giudei. 20 20. Molti adunque dei Giudei lessero questo titolo, perciocché il luogo ove Gesù fu crocifisso, era vicino della città; e quello era scritto in Ebreo, in Greco e in Latino. Luca e Giovanni ci dicono che quel titolo fu scritto in tre lingue, ma non mentovano queste nel medesimo ordine; è dunque impossibile decidere quale dei due ci dà il titolo esatto, benché alcuni propendano ad ammettere come tale il titolo aramaico dato da Giovanni, per esser quello il linguaggio del paese, oltreché, anche scritto per intero, doveva occupare meno spazio degli altri sulla tabella in capo alla croce. Checché ne sia di ciò, importa notare l'osservazione di Webster e Wilkinson, cioè che "il titolo fu scritto in tre lingue", e non semplicemente in tre caratteri diversi, e ciò basta a spiegare le varianti degli evangeli su questo punto. Ogni titolo non fu una mera copia degli altri; ma venne composto conformemente all'uso della lingua in cui era scritto. La mano di Dio si manifestò nel guidare l'ira di Pilato in modo che il vero titolo del Messia "il Re dei Giudei" rimanesse per sempre associato alla croce sulla quale lo avevano inchiodato i suoi concittadini, e che le tre lingue principali del mondo antico l'Aramaico, che era il linguaggio del paese, e poteva venir letto da tutti, il Greco, che era, la lingua colta, il Latino, che era la lingua officiale sieno state usate per proclamarlo al mondo intero. "Giovanni solo ricorda che l'iscrizione venne letta da molti. Egli fu presente alla crocifissione e vide coi propri occhi moltitudini di Giudei, accorsi da ogni dove per la Pasqua in Gerusalemme, leggere quel titolo. L'ultimo giorno solo rivelerà quale effetto una tal lettura produsse in quei dì; quali frutti, e in quali distanti paesi, risultarono dalla testimonianza di quelli che in quel giorno memorando avevano letto sulla croce di Cristo le significanti parole: "Gesù il Nazareo, il re dei Giudei". 21 21. Laonde i principali sacerdoti dei Giudei dissero a Pilato: Non iscrivere: Il Re dei Giudei; ma che costui ha detto: Io sono il Re dei Giudei. 22. Pilato rispose: io ho scritto ciò ch'io ho scritto. Pare che, per quanto sorvegliassero da vicino la crocifissione di Gesù, fosse sfuggito ai Giudei il titolo fatto preparare da Pilato. Non lo videro che quando la croce venne rizzata al suo posto, e solo allora si accorsero che Pilato si era vendicato di loro col pubblicare sulla croce l'insulto mortale che già egli aveva loro scagliato in faccia durante il processo di Gesù, facendo così conoscere al mondo che l'uomo inchiodato sul legno infame, frammezzo a due sicari, altro non era che il legittimo "re dei Giudei". "Principali sacerdoti", ossia i personaggi più influenti della nazione, subito corsero da Pilato per indurlo a modificare quel titolo, in modo da far credere che Gesù era stato un impostore, che avea detto: "Io sono il Re dei Giudei". Così speravano senza dubbio liberarsi della responsabilità della sua morte, dando a credere che egli era stato crocifisso per avere assunto un titolo cui non aveva diritto alcuno. Ma Pilato non era più l'uomo di poche ore prima. Fra il suo desiderio di salvare Gesù, e il suo timore di compromettersi di fronte all'imperatore, aveva allora mostrato una indecisione che il Sinedrio si avvide di poter volgere a suo favore, e che vinse infatti, mediante gl'incessanti clamori delle turbe. Ora però, il male che Pilato avrebbe voluto evitare era fatto; d'altra parte non si poteva accusarlo a Roma di lesa maestà; eccolo dunque libero di dare sfogo al suo odio ed al suo disprezzo verso i Giudei; indi la sua breve ed altiera risposta: "Rifiuto i vostri suggerimenti; sono capace di giudicar da me di quello che devo fare: io ho scritto ciò ch'io ho scritto". La forma della sua risposta osserva Westcott, "è eminentemente romana, benché si trovi pure negli scritti rabbinici. La descrizione che dà Filone del carattere di Pilato, "Leg. ad Caium, 38" chiamandolo ostinato ed implacabile, corrisponde a questo racconto di Giovanni. "È impossibile non osservare in tutto ciò la mano della Provvidenza. Pilato senza dubbio non pensava che ad insultare e ad esasperare i Giudei con questo titolo; in realtà egli onora e glorifica Gesù. Inchiodandolo al disopra della croce, egli proclama l'adempimento della profezia pronunziata secoli prima da Daniele Daniele 9:26, relativamente al tempo nel quale "il Messia sarebbe sterminato". Pilato non si volle dipartire da quanto aveva scritto, che cioè Gesù era "il Re dei Giudei", perché Iddio lo aveva scritto prima di lui. Ben dice Burkett: "La costanza di Pilato in questa occasione non può venire attribuita che ad una speciale provvidenza di Dio. È veramente meraviglioso il vedere quell'uomo sì incostante poco prima, ora irremovibile come una colonna di bronzo. Donde proviene ciò, se non dallo Spirito di Dio che si serve di lui come di uno strumento, movendolo prima a scrivere, quindi a difendere quello che avea scritto? 23. Or i soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero i suoi panni, e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato, e la tonica. I vestimenti dei condannati a morte appartenevano di diritto agli esecutori della sentenza, i quali, nel caso di Gesù, sembrano essere stati in numero di quattro. Quando si trattò di arrestarlo in Ghetsemane, fu mandata una intera coorte, per timore di una sollevazione dei suoi discepoli; ma ora quattro uomini comandati da un centurione Marco 15:44; Luca 23:47, vengono considerati bastanti a mantenere l'ordine sul teatro della crocifissione. Questi presero i vestimenti di Gesù, cioè l'ampio mantello di sopra e fors'anche la camicia più corta che portava in sulla pelle, insieme a ciò che gli copriva il capo, alla cintura ed ai sandali. Di tutte queste cose fecero quattro Parti; sulle quali, per evitare ogni contestazione, trassero la sorte. 24. Or la tonica era senza cucitura, tessuta tutta al di lungo fin da capo; laonde dissero gli unì agli altri: Ma quando si trattò di dividere a quel modo la stretta tunica, che dal collo scendeva ai piedi, rimasero siffattamente colpiti dalla bellezza del tessuto dovuto forse all'affetto di qualcuna delle devote donne Galilee, le quali ministravano a Gesù che mutarono parere, ed anziché stracciarla in quattro pezzi, decisero che apparterrebbe tutta intera a colui di loro che verrebbe designato dalla sorte. Non la stracciamo, ma tiriamone le sorti, a cui ella ha da essere; acciocché si adempiesse la scrittura, che dice: Hanno spartiti fra loro i miei panni, e hanno tratto, la sorte sopra la mia vesta. I soldati adunque fecero queste cose. Questo versetto ci dice che l'atto dei soldati romani fu un adempimento preciso della profezia messianica pronunziata da Davide un migliaio d'anni prima Salmo 22:18. Essi non s'immaginavano di certo che, mentre spartivano i vestiti di uno del quale avevano eseguito la sentenza, preparavano in, realtà una prova di più della verità delle Scritture. I critici invero dichiarano che i due membri della frase sono interamente sinonimi, e che non v'ha distinzione fra lo "spartire" e il "tirare la sorte", nella citazione del Salmo 22. fatta qui da Giovanni. Rispondiamo che una tale distinzione esiste chiaramente nel Salmo, ma scompare nella traduzione dei Settanta, dalla quale Giovanni cita letteralmente questo passo. "Che una profezia così specifica, non solo sia stata adempiuta alla lettera, ma sia stata da quattro soldati romani, senza intervento alcuno degli amici o dei nemici di colui che pendeva dalla croce, è certamente cosa da mettersi fra le maraviglie di quella scena meravigliose" (Brown). Gesù schernito ed insultato in sulla croce. Giovanni passa sotto silenzio questo soggetto; ma gli scrittori dei quattro Evangeli è chiaro che, oltre ai ladroni, dei quali abbiamo già parlato, tre classi di persone scagliarono ogni maniera d'insulti sul capo di Gesù, mentre egli pendeva dalla croce. 1. Gesù insultato dai passanti Matteo 27:30; Marco 15:29. Nel giorno precedente la Pasqua, i Giudei cessavano da ogni opera servile, sicché la valle di Giosafat e il pendio dell'uliveto dovevano esser coperti da una moltitudine disoccupata, e il fatto di tre crocifissioni al tempo stesso non poteva mancar di attrarre l'attenzione di molti, tanto più che il Golgota era vicino a Gerusalemme. Questa prima classe di insultatori di Gesù, giudicando dal rimprovero che gli fanno, doveva esser composta di cittadini piuttostoché di gente di campagna. S.Marco ci dice che essi "l'ingiuriavano, scotendo il capo, e dicendo: Eia, tu che disfai il tempio ed in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, e scendi giù di croce". Lo scuotere il capo, il grido "Eia" esprimevano insulto, derisione, trionfo. Nella prima visita che fece al santuario di Gerusalemme, dopo cominciato il suo pubblico ministerio, a Gesù era stato chiesto un segno della sua autorità per purificare il tempio, ed egli avea risposto: "Disfate questo tempio, e in tre giorni io lo ridirizzerò" Giovanni 2:19. Egli parlava del proprio corpo; ma quelli che l'udirono intesero le sue parole del tempio, per il quale nutrivano una riverenza idolatrica. Quel detto di Gesù aveva fatto una impressione, profonda e sfavorevole sugli abitanti di Gerusalemme. Vediamo infatti che una versione distorta di quel detto era stata il principale capo d'accusa contro il Signore dinanzi al Sinedrio, la notte precedente, e questi passanti a meno che si adotti l'idea di Farrar che essi fossero i cospiratori e i falsi testimoni che avevano tramato la morte di Gesù lo avevano pure presente alla mente e se ne valgono per insultare e coprire di ridicolo il misero che era inchiodato in sulla croce. 2. Gesù schernito dai sacerdoti e dagli anziani Matteo 27:41-43; Marco 15:31-32; Luca 23:35. Tutti e tre i Sinottici ricordano il contegno insultante e blasfematorio dei sacerdoti e degli anziani dei Giudei, appiè della croce di Cristo. Si sarebbe potuto supporre che, dopo aver ottenuto la morte di colui al quale avevano mosso una guerra così spietata, avrebbero lasciato ad altri la esecuzione della sentenza, contentandosi di rallegrarsi in privato della loro vittoria sopra Pilato; ma così intenso era l'odio loro verso il Signore, che lo seguirono fino al Golgota, per godersi la sua agonia, e beffarsi perfino della sua fiducia in Dio. S.Matteo si ferma in modo speciale a descrivere questo contegno dei rettori d'Israele. Le beffe dei passanti fondavansi sopra un punto solo: la supposta ricostruzione del tempio in tre giorni. I sacerdoti si fondano sopra due. Il primo vien loro suggerito dal titolo affisso per ordine di Pilato sopra alla croce, e che feriva così profondamente il loro orgoglio nazionale: "Se egli è il re d'Israele, scenda ora giù di croce". Questo malfattore inchiodato sul legno infame sarebbe davvero il re d'Israele! Lo provi, scendendo dalla croce, e noi crederemo in lui. Vane parole! Questi insultatori di Gesù non erano più capaci di arrendersi a qualsiasi prova. Nel loro stato di mente non potevan più credere a nulla né c'era evidenza che li potesse convincere. Eran decisi a non credere a nulla che potesse mortificare il loro orgoglio, contrariare le loro passioni, condannare il loro carattere e la loro condotta. Il grande ostacolo che li impediva di credere era la profonda corruzione della loro natura. Il secondo punto sul quale fondansi i loro scherni a Gesù, è la parola da lui stesso pronunziata poco prima dinanzi al Sinedrio: "Io sono il Figliuol di Dio". Qui il loro linguaggio più ancora che insultante diviene blasfematorio. Scherniscono in Gesù la sua fiducia nel suo Padre Celeste, la dichiarano vana, e sfidano l'Onnipotente stesso a liberarlo dalla croce, caso mai potesse compiacersi in un essere così vile. Perfino le parole che essi pronunziarono in questa circostanza erano state predette secoli prima, in uno dei Salmi messianici Salmo 22:8, nel quale tutti i vituperi che doveva subire il Messia sono partitamente descritti. In mezzo a quegli insulti, Dio volle però che la bocca dei suoi nemici proclamasse una grande verità: "Egli ha salvati gli altri". Certo, così dicendo, non intendevano testimoniare a favor suo, anzi si vantano che la sua potenza miracolosa non lo aveva salvato dalle mani degli Scribi e dei Farisei. Quelle parole sono pur sempre una testimonianza, resa al momento della sua più profonda umiliazione, che la sua era stata una vita sommamente utile e benefica, e che egli "andò attorno facendo benefici" Atti 10:38. Le ultime parole: "non può salvare sé stesso", non son vere nel senso letterale in cui le intendevano i sacerdoti, imperocché, colla stessa facilità colla quale ruppe tre giorni dopo le catene della morte, Gesù avrebbe potuto strappare i chiodi e scendere dalla croce; esse son vere però in senso spirituale, imperocché un decreto divino aveva deciso che le sue sofferenze e la sua morte in croce dovessero costituire il grande sacrificio espiatorio per il peccato, "la via recente e vivente per il ritorno dell'uomo a Dio, il fondamento di quel regno spirituale di cui Cristo è il capo, e i credenti sono i membri spirituali; e tutto questo meraviglioso e glorioso Diario di salvezza non sarebbe mai stato adempiuto ove Cristo avesse salvato sé stesso". Ecco l'Agnello di Dio! Ammiriamo ed adoriamo quell'amore per noi, che si mantenne inalterato in mezzo all'abbandono degli amici ed agli improperi dei nemici; che sopravvisse all'agonia del Ghetsemane, alle crudeltà del Pretorio, alle indicibili torture del Calvario. 3. Gesù beffato dai soldati. Questo fatto ci vien riferito da Luca, e ci fa vedere che, coll'eccezione del piccolo gruppo formato dalle donne fedeli e da Giovanni, tutti quanti si trovavano vicino alla croce di Cristo presero parte agli insulti diretti contro di lui. In Luca 23:36-37, leggiamo: "Or i soldati ancora lo schernivano, accostandosi, e presentandogli dell'aceto; e dicendo: Se tu sei il Re dei Giudei, salva te stesso". Questi soldati romani nulla sapevano della lotta che aveva condotto Cristo alla croce; ma l'esempio è contagioso. Vedendo Gesù fatto segno agli scherni ed agli improperi vogliono essi pure la parte loro della immonda gazzarra. Poco si curavano della riedificazione del tempio, e nulla dice loro il nome augusto di "Figliuol di Dio"; ma il titolo che essi medesimi avevano inchiodato al sommo della croce, e che proclamava Gesù "Re dei Giudei", dà loro un appiglio a beffeggiarlo ed a schernirlo. Pretendeva dunque quel meschino strappare la terra di Canaan al potentissimo imperatore romano? E siccome era venuto per essi il momento di desinare, gli offrono in derisione una coppa piena del vinello od aceto, che formava con acqua la solita loro bevanda, e ripetono le parole schernitrici dei Giudei contro ad un re, il cui trono è una croce, e la cui corona è tessuta di spine! "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Mentre Gesù poneva "l'anima sua qual sacrificio per la colpa", come ben si avverava la profezia di Isaia a suo riguardo: "Egli è stato sprezzato, abbandonato dagli uomini; è stato un uomo di dolori, ed esperto in languori; è stato come uno dal quale ciascuno nasconde la faccia; è stato sprezzato talché noi non ne abbiamo fatto alcuna stima" Isaia 53:3 Revisione Guicciardini. 25. Or presso della croce di Gesù stava sua madre, In Matteo 27:55 leggiamo che "molte donne", d'infra i discepoli Galilei, stavano "riguardando da lontano" la scena della crocifissione, anche fin dopo il terremoto che segnò il momento della morte di Gesù, Giovanni qui ci dice che alcune di esse si avvicinarono fino alla croce, per udire ancora qualche parola dell'amato Maestro, e dimostrargli fino alla fine il loro affetto Giovanni era con esse, benché colla sua consueta modestia non parli di sé. La prima che egli nomina è Maria, la "madre" del Signore, "che la Scrittura non chiama mai la Vergine Maria". Nessuna parola umana potrà mai descrivere il dolore che straziava l'anima di quella santa donna appiè della croce del figliuolo; ma siccome, fin dal principio, essa avea tesoreggiato ogni parola riferentesi ad esso, ora poté capir meglio che mai le parole indirizzatele da Simeone nel tempio: "Una spada trafiggerà a te stessa l'anima" S.Luca 2:35. e la sorella di sua madre, Chi era costei? Furon tre o quattro le donne appiè della croce? Il testo Greco lasciala questione indecisa. Sostengono molti che "Maria di Cleopa" è una apposizione di "sorella di sua, madre", che cioè quella sorella si chiamasse Maria di Cleopa. In questo modo il numero si ridurrebbe a tre. Ma ci par più probabile che Maria di Cleopa fosse un'altra donna che la sorella della madre di Gesù, cosicché quattro sarebbero state le donne presenti appiè della croce. Secondo noi, la sorella di Maria è Salome, madre di Giacomo e di Giovanni, che Matteo e Marco nei passi paralleli S.Matteo 27:56; S.Marco 15:40, mentovano espressamente per nome, mentre S.Giovanni lo tace, per quella sua naturale modestia ogni qualvolta trattasi di lui o dei suoi più intimi congiunti. Già al secondo secolo la versione Siriaca, "Peshito", adottò questo modo di vedere, ed inserì "e" dinanzi a "Maria di Cleopa". Ammettendo che Salome, moglie di Zebedeo, sia la persona in
 
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champions_3 il 31/03/12 alle 22:49 via WEB
CONTINUAZIONE 3°: ECCO L'UOMO! =dicata in queste parole, otteniamo i vantaggi seguenti: 1. Scompare l'anomalia di due sorelle aventi il medesimo nome; 2. Le quattro donne ci vengono, secondo lo stile abituale di Giovanni, presentate in due gruppi paralleli: "la sua madre e la sorella di sua madre", poi "Maria di Cleopa e Maria Maddalena"; 3. I passi paralleli di Matteo, Marco e Giovanni si armonizzano perfettamente, imperocché, oltre alla madre del Signore ed a Maria Maddalena, mentovate in tutti e tre i Vangeli, la Maria di Cleopa vien nominata da Matteo come "madre di Giacomo e di Iose", e da Marco, come "madre di Giacomo il piccolo e di Iose"; e la "sorella di sua madre" è indicata da Matteo coll'espressione "la madre dei figliuoli di Zebedeo", mentre Marco le dà chiaramente il nome di "Salome", Vedi Nota S.Matteo cap.27:55; 4. Se Maria madre del Signore e Salome madre di Giovanni e di Giacomo erano sorelle, gli apostoli Giovanni e Giacomo erano cugini primi di Gesù, secondo la carne, e ciò spiega, senza scusarla, la domanda di Salome a favore dei suoi figliuoli Matteo 20:20-22 come spiega pure il fatto che ora ci verrà raccontato da Giovanni, e la intimità speciale che regnava fra lui e Gesù. Maria di Cleopa, Questa espressione nel Greco potrebbe intendersi della madre o della sorella o della moglie o della figlia di Cleopa; è però più probabile che si tratti di sua moglie. Essa sarebbe dunque la madre di Giacomo il piccolo, e Cleopa lo stesso che Alfeo, Confr. Matteo 10:3; 27:56. Non c'è però ragione sufficiente per identificarlo col Cleopa di Luca 24:18, poiché nel greco egli vien chiamato e quest'ultimo il primo è nome aramaico, il secondo è greco. e Maria Maddalena. Era costei così nota ai lettori di Giovanni, per quanto ne dicono i tre primi Vangeli, che bastava darne il nome senz'altra designazione. Non poteva mancar di trovarsi appiè della croce di Cristo questa fervente e riconoscente sua seguace. Matteo ci dice che le pie donne devote rimasero vicino alla croce, finché il Signore non ebbe esalato l'ultimo respiro, e che quando il corpo ne venne tolto, si fermarono ad osservare dove veniva deposto, forse per aiutare ad imbalsamarlo, e senza dubbio per saper dove ritrovarlo alla mattina del primo giorno della settimana. Per la esposizione vedi Nota Matteo 27:61. La terza parola di Gesù in sulla croce. Egli raccomanda sua madre al discepolo che amava, Giovanni 19:26-27 26. Laonde Gesù, veggendo quivi presente sua madre, e il discepolo ch'egli amava, disse a sua madre: Donna, ecco il tuo figliolo! La prima parola di Cristo in sulla croce fu una preghiera per i peccatori, impenitenti che ve lo inchiodavano; la seconda fu un messaggio di salute per il ladrone pentito; la terza una parola di affetto filiale per la vedova sua madre. Assorto in meditazione sull'opera che stava compiendo, o preoccupato già di quel misterioso abbandono nel quale "il suo cuore come cera si struggerebbe nel mezzo delle sue interiora" Salmo 22:14, egli non aveva subito osservato quella piccola comitiva di amici più intimi, che si era a poco per volta avvicinata alla sua croce; ma quando li scorse l'occhio suo amorevole si fermò subito sulla madre e le sue parole mostrarono che, in mezzo alla sua agonia, trovava la forza di pensare e di provvedere al suo benessere: "Donna ecco il tuo figliuolo". La chiama "Donna" non "Madre", non già per risparmiarle, come credono alcuni, il dolore che un tal nome doveva risvegliare in lei, né per evitarle cattivi trattamenti per parte dei suoi nemici, quando a costoro fosse nota la loro stretta parentela; bensì per farle conoscere che la lezione che egli aveva principiato ad insegnarle alle nozze di Cana, e che l'umile contegno di lei durante il ministero di Gesù dimostrava aver essa imparata, era ora compiuta. Cessano da questo momento le loro relazioni di madre e figliuolo, per dar luogo ad una parentela spirituale assai più importante; essa non dovrà mai ambire qualsiasi onore speciale per esser sua madre, né permettere che le venga tributato da altri. Da quell'ora in poi, Maria viverà la vita della fede; come più tardi Paolo, essa dovrà dire: "Avvegnaché abbiam conosciuto Cristo secondo, la carne, pur ora non lo conosciamo più" 2°Corinzi 5:16. La ragione poi per la quale Gesù prescelse Giovanni a guardiano di sua madre, egli non la dice; ma ben sappiamo che poco tempo prima i suoi fratelli non avevano ancora creduto in lui Giovanni 7:5, e non potevano perciò esser con la madre in comunione di fede; mentre egli sapeva che nella casa di S.Giovanni, Maria troverebbe abbondantemente quell'intima relazione di amore, che sola poteva soddisfare il cuor suo. Maria ben conosceva il carattere affettuosa e mansueto del suo nipote Giovanni; epperciò si affidò interamente alle sue cure, ben sapendo che egli poteva riceverla in casa sua, e proteggerla fino alla morte e, la sua anima alla presenza eterna con "DIO". 27. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! Brevi parole, ma ricche di ogni necessaria benedizione per la povera vecchia vedova. Esse suonano: "Ricevila in casa tua; falla partecipe di tutti i beni di cui ti arricchirà il Signore; assistila nelle sue infermità, consola i suoi dolori, confortala colle speranze del mio Vangelo, che, la mia risurrezione tosto confermerà, e trovi d'essa in te tutta la gratitudine e la venerazione che un figlio deve a colei che fu la prima e la più costante nell'amarlo". Maria e S.Giovanni non potevano se non sentirsi intimamente uniti nel comune loro dolore. Giovanni capì che Gesù affidava la madre alla sua protezione speciale, e così pure intenderà queste parole chiunque le legge senza preconcetto alcuno; ma la Chiesa Romana si è ingegnata a trarne un argomento di più per la sua mariolatria, asserendo che, con queste parole, il Signore affidava Giovanni, qual tipico rappresentante della Chiesa tutta, alla custodia di Maria; e che essa è per conseguenza, la patrona dei santi, la protettrice della Chiesa, l'ausiliatrice di tutti i bisognosi. Ogni uomo di senso comune dirà con Alford che quella è una idea assurda. "Gesù non affidò Giovanni a Maria, bensì Maria a S.Giovanni. Maria non doveva esser per il discepolo la rappresentante di Gesù; ma Giovanni doveva prendere verso di lei il posto del figliuolo. Maria, non Giovanni, aveva bisogno di protezione e di aiuto". E da quell'ora quel discepolo l'accolse in casa sua. Queste parole ci dicono che S.Giovanni accettò di tutto cuore l'incarico affidatogli dall'amato Maestro, e provvide, da quel momento in poi, al mantenimento di Maria. Alcuni però ne vorrebbero trarre la conclusione che egli subito condusse a casa sua la madre di Gesù, per risparmiarle lo strazio di esser testimone dell'ultima e più dolorosa agonia di suo figlio, tornando poi egli medesimo a riprendere il suo posto appiè della croce. Questo ci par molto improbabile. Maria era tal donna da non abbandonar la croce fino all'ultimo, e neppur Giovanni se ne sarebbe allontanato sotto qualsiasi pretesto. Altri, mettendo assieme varie circostanze della vita di Giovanni, e specialmente il che suo padre Zebedeo aveva degli "operai" Marco 1:20, e che Giovanni stesso "era noto al sommo sacerdote" Giovanni 18:15, ne concludono che la sua fosse una famiglia di benestanti, ed avesse una casa propria in Gerusalemme, nella quale egli avrebbe condotto Maria, non appena spirato Gesù. Tutto ciò è pura immaginazione. L'espressione è troppo generica perché la si possa intendere di una casa propriamente detta "È vero che, quando è detta di Cristo Giovanni 1:11, La bibbia Diodati traduce, come qui, "a casa sua"; ma è chiaro che in quel passo non si tratta di una casa materiale. Il senso migliore quì è evidentemente il senso più generico: "in sua" della Vulgata, o "dai suoi" della versione inglese. Il testo greco non implica punto che l'apostolo avesse allora una casa propria in Gerusalemme. Senza dubbio egli condusse Maria nell'alloggio che occupava in città colla madre Salome, ed in seguito forse nella casa paterna sulle rive del lago di Tiberiade, finché non ebbe casa propria. Una tradizione, che risale al settimo secolo, ci dice che Maria visse con Giovanni in Efeso, fino ad età avanzatissima, il che non impedisce minimamente ai frati di Gerusalemme di farne vedere la pretesa tomba nella valle di Giosafat. Ricordato questo fatto, che occorse verso il mezzodì, S.Giovanni passa sotto silenzio tutto quello che avvenne fino alla morte del Signore, e dobbiamo perciò raccogliere dai tre primi Vangeli gli eventi di quelle tre ore solenni. Vengon prima di tutto le Tenebre miracolose, ricordate da Matteo 27:45; Marco 15:33; Luca 23:44. Matteo ci dice: "Ora, dalle sei ore si fecero tenebre sopra tutta la terra, infino alle nove". Queste tenebre non si possono spiegare coll'avvicinarsi della notte, poiché si era invece al pieno meriggio. Nemmeno possono dirsi la conseguenza di una ecclissi solare; le ecclissi di sole non accadono mai al plenilunio, e di più durano in media quindici minuti, non già tre ore. D'altra parte, di fronte alla unanime testimonianza di tre uomini integri come Matteo, Marco e Luca, non contraddetta da nessuno fra i moltissimi testimoni oculari del fatto, qual uomo onesto potrà chiamar questo un mito o un'impostura? Furon quelle tenebre mandate da Dio per nascondere sotto un conveniente velo di dolore il fatto più tragico che sia accaduto quaggiù. Durante quelle tre ore di tenebre, un silenzio di morte regnò sulla, città, sui suoi abitanti, sulla natura intera; tacque perfino la voce di Gesù al sommo della croce, e l'ora nona era quasi giunta, allorché essa ruppe nuovamente il silenzio. La quarta parola in sulla croce. La ricordano insieme al fatto che l'accompagnò, ed in termini pressoché identici in Matteo 27:46-49; Marco 15:34-36: "E intorno alle nove, Gesù gridò con gran voce, dicendo: 'Eli, Eli, lamma sabactani?'" Marco conserva la forma più puramente aramaica: "Eloi, Eloi" cioè: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai lasciato?" Son questo le prime parole del Salmo cap. 22, che contiene la descrizione profetica più minuta che si possa desiderare delle sofferenze del Messia in sulla croce. Il Signore le ripete, non nell'ebraico classico, ma nel dialetto siro caldaico che egli parlava ordinariamente coi suoi. Son, parole di doloroso lamento per l'abbandono in cui avealo lasciato il suo Padre Celeste, e che egli aveva sentito ognor più vivamente durante quell'ore di tenebre e di silenzio. Alla fine, avvicinandosi l'ora del sacrificio vespertino, che doveva pure esser quella della sua morte, le sue sofferenze raggiunsero il loro culmine e gli strapparono quel grido di angosciosa agonia. Quanto vivo sia stato il sentimento dell'abbandono di suo Padre, e l'angoscia che quello produsse nel cuor suo, lo si può vedere paragonando i nomi che egli diede all'Altissimo, mentre pendeva dalla croce. Nella sua preghiera a pro dei suoi crocifissori, lo chiama "Padre" Luca 23:34; "Padre" pure lo chiamerà di nuovo fra poco, allorquando le tenebre si saranno dileguate dalla natura e dalla propria sua anima Luca 23:46; ma mentre soffre le torture fisiche più intense, mentre grava sull'anima sua il pondo incomportabile dei peccati dell'uman genere, mentre è nascosta dagli occhi suoi la luce della faccia del Padre suo, non ardisce chiamarlo Padre, e si contenta di invocarlo col nome di "Dio mio, Dio mio". Ma anche in quelle parole, risplende la fede sua, che si dimostra incrollabile. Le ineffabili e misteriose sofferenze del Figliuol di Dio, fatto maledizione per il nostro peccato, orbato per un momento della luce della faccia di Dio, noi non le potremo mai comprendere. Però, se egli fu abbandonato nella sua natura umana, Dio non avrebbe potuto, senza rinnegare sé medesimo, abbandonarlo nella sua natura divina, Quell'abbandono non significa che Dio Padre più non lo sostenesse colla divina sua potenza, né che avesse cessato anche momentaneamente di amarlo, perché forse non lo amò mai cotanto come al momento in cui, in ubbidienza all'ordine divino, egli mise la vita sua per i peccatori. Neppur significa che furono in quell'ora ritirate a Gesù la grazie dello Spirito, imperocché fu l'esercizio vigoroso di quelle che maggiormente diede gloria a Dio in quel momento supremo, e comunicò al sacrificio di Cristo tutto il suo valore, tutta la sua efficacia. Finalmente, quell'abbandono non fu né definitivo né completo, ed ebbe anzi brevissima durata. Lo diceva lo stesso salmo profetico di cui Gesù, nell'angoscia dell'anima sua, aveva pronunziato le prime parole, poiché al vers. 24 di quello leggiamo: "Egli non ha sprezzata, né disdegnata l'afflizione dell'afflitto; e non ha nascosta la sua faccia da lui; e quando ha gridato, l'ha esaudito". Non dobbiamo dunque pensare che Dio abbia in modo assoluto abbandonato il suo Figliuolo, mentre questi era in sulla croce, ma solo che per un tempo Gesù più non sentì la presenza del suo Padre Celeste, mentre invece facevasi più che mai presente alla sua coscienza l'ira di Dio contro il peccato. Si fu in quell'ora di tenebre e di abbandono che il Cristo venne "fatto maledizione per noi" Galati 3:13. Nessuna mente umana potrà mai concepire quali dovettero essere le sofferenze del Figliuol di Dio, allorquando più non gli vennero concesse le manifestazioni dell'amor di Dio, mentre d'altra parte gravavano sull'anima sua immacolata tutte le conseguenze del peccato degli uomini. Matteo continua Matteo 27:47: "E alcuni di coloro ch'erano ivi presenti, udito ciò, dicevano: Costui chiama Elia". Meyer ed altri vedono in queste parole un bisticcio crudele dei Giudei, fondato sopra un'insulsa distorsione delle parole "Eli, Eli"; ma non ci sembra probabile che, usciti appena dall'orrore di quelle ore tenebrose, quelli che trovavansi ancora attorno alla croce di Gesù fossero disposti a far dello spirito, ed è probabile che si ti atti qui di Giudei Ellenisti, i quali, poco avvezzi al linguaggio volgare della Palestina, fraintesero realmente le parole di Gesù. La quinta parola di Cristo in sulla croce, Giovanni 19:28-29 28. Poi appresso, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, acciocché la Scrittura si adempiesse, disse: io ho sete. Alcuni uniscono la clausola: "acciocché la Scrittura si adempiesse", alle parole che la precedono, quasiché significasse che le sofferenze di Cristo già avevano esaurito tutto quanto ne dicevano le profezie. Altri invece uniscono quella clausola a quanto segue, e, secondo essi, Cristo avrebbe detto: "Io ho sete", precisamente perché venisse adempiuta una profezia speciale. Quest'ultima costruzione ci par da preferirsi, perché colla prima s'incorre in una contraddizione, poiché da una parte l'Evangelista direbbe che tutte le profezie erano già adempiute, laddove più sotto vediamo che una ve ne era ancora da adempiere. Non perdiamo di vista che i due verbi "era compiuto", e "adempiesse", si riferiscono a soggetti di versi, cioè il primo a tutte le sofferenze di Cristo quale portatore del peccato; il secondo a tutte le profezie relative a quelle, ed una delle quali restava tuttora da adempiersi. Tormento crudelissimo della crocifissione era la sete che divorava i suppliziati. Dopo esser rimasto per ben sei ore in sulla croce, Gesù deve aver provato una sete intensa. Durante le tre ore delle tenebre, l'anima sua era rimasta troppo assorta nel suo dolore spirituale, per far molta attenzione alle sofferenze fisiche. Non appena però si dissipa alquanto il suo sentimento dell'abbandono paterno, gli si fanno sentire nel modo più tormentoso i bisogni della sua natura umana, e primo fra questi la sete. Il suo grido: "Io ho sete" non ebbe però per scopo di adempiere la profezia, bensì di chiamar l'attenzione dei suoi carnefici su quel suo bisogno, e di testimoniar pubblicamente della realtà e della intensità dei suoi patimenti. Al tempo stesso, essendo questa espressione di estrema sofferenza fisica l'ultima cosa richiesta affinché il Messia fosse "consacrato per sofferenze" Ebrei 2:10, e perché la profezia dimostrasse la sua perfezione in lui, il Signore esalò questo grido, affinché i suoi nemici adempiessero essi medesimi le profezie che riguardavano loro, al tempo stesso che quelle che concernevano lui. Non dobbiamo supporre che il Signore dicesse: "Io ho sete", sol per adempiere le Scritture; la sua sete e il suo lamento furon però dalla Provvidenza divina ordinati in modo da condurre a tale adempimento. La profezia in tal modo avverata è quella di Salmi 69:21: "Nella mia sete, mi hanno dato a bere dell'aceto". Queste parole son da Giovanni dette riferirsi al Messia; dobbiamo adunque ritenerle come dette e ricordate dallo Spirito con uno scopo profetico. 29. Or quivi era posto un vaso pieno d'aceto. Poco monta che questo vaso fosse quello che conteneva il vinello, "posca", dei soldati, o un vaso più piccolo contenente una bevanda destinata specialmente ai suppliziati; importa notare però che non trattasi in questo caso del narcotico chiamato dal Vangelo "aceto mescolato con fele" Matteo 27:34, o "vino condito con mirra" Marco 15:23, che Cristo aveva rifiutato al principio del suo supplizio, bensì semplicemente della bevanda ordinaria dei soldati romani. Coloro adunque, empiuta di quell'aceto una spugna, e postala intorno a dell'isopo, gliela porsero alla bocca. Ciò fu evidentemente l'atto dei soldati, e senza dubbio è quello che narra S.Matteo, Matteo 27:48, che "uno di loro", ad onta delle beffe dei presenti, mosso da compassione, "corse e prese una spugna, e l'empiè d'aceto; e messala intorno ad una canna, gli diè da bere". Benché la croce fosse assai più bassa di quel che si veda ordinariamente nelle pitture della crocifissione, essa era però troppo alta perché chi stava sul terreno potesse giungere colla mano alla bocca del suppliziato; perciò fu necessario, far uso di una spugna legata in cima ad una canna per dar da bere a Gesù. Da quella spugna presentata alle sue labbra, il Signore poté succhiare un po' di liquido, e riprendere alquanto forza. Coll'accuratezza di un testimone oculare, Giovanni ci dice che la canna usata in questa circostanza era stata tolta dalla pianta dell'isopo. Forse nessuna delle piante, mentovate nella Sacra Scrittura ha dato origine a maggiori discrepanze che questa. Chi vede in essa l'origanum maru, ossia il saatar degli Arabi, chi la pianta del cappero, "capparis spinosa", chi qualche altro arboscello ancora; ma ciò nulla detrae dalla perfetta accuratezza del nostro Discepolo. 30. Quando adunque Gesù ebbe preso l'aceto, disse: Ogni cosa è compiuta. "Ogni cosa" non si trova nel greco; il grido trionfale del Signore consistette nell'unica parola "tetelestai" "è finito" e riesce più commovente così Giovanni solo ci ricorda questa parola di Gesù, e benché ce la presenti colla parola "disse", crediamo che corrisponda a quanto dicono i Sinottici che "egli gridò con, gran voce". Come l'infermo sospira la luce del giorno, così, fra quelle tenebre, e Gesù bramava che venisse tolto d'in sull'anima sua il pondo del peccato, e non appena vede nuovamente brillare la luce del volto di suo Padre, egli innalza quel grido di vittoria, la cui eco, si farà udire in tutti i secoli, e formerà l'argomento degli inni trionfanti degli angeli e dei credenti. L'opera che aveva accettata sin davanti la fondazione del mondo, e quindi proseguita in terra per oltre a trent'anni, in mezzo alle privazioni della povertà, alle tentazioni di Satana, alle contumelie ed all'odio degli uomini, eccola in poche ore condotta ad un esito felice Egli doveva ancora, è vero, morire; ma anche questo è compreso nel grido detelestai, imperocché a lui solo apparteneva di deporre la propria vita Giovanni 10:11,18, ed egli stava per darla. Praticamente, agile cosa era compiuta dal momento che egli aveva "posta l'anima sua per sacrificio per la colpa" Isaia 53:10, e niente ora poteva impedire l'adempimento di tutto il resto. a) Quando, dall'alto della croce, il Signore gridò "tetelestai", egli proclamò la sconfitta di Satana, e l'insuccesso di tutti i suoi sforzi per tenere schiava la razza umana. Il potente ha trovato un più potente di lui. Col far morire Cristo in croce, Satana si lusingava di assicurare per sempre l'usurpato suo dominio: la croce fu invece il monumento della sua sconfitta, imperocché in quella il Messia, "avendo spogliate le podestà, e i principati, li ha pubblicamente menati in spettacolo, trionfando d'essi in esso Colossesi 2:15. b) Con quella parola: "è compiuto", Gesù proclamò adempiuta l'opera di redenzione; la morte sua, espiazione sufficiente del peccato; avverata la profezia di Daniele Daniele 9:24, esser cioè quell'ora, il tempo fissato "per terminare il misfatto, e per far venir meno i peccati, e per far purgamento per l'iniquità, e per addurre la giustizia eterna". Da quel momento in poi Gesù sarà dinanzi a Dio la giustizia del peccatore; non vi sarà più, condannazione per quelli che sono in lui, perché "il Signore si compiaceva in lui per amore della sua giustizia" Profeta Isaia 42:21. c) Con quella parola, Gesù proclama che tutte le esigenze della legge sono appieno soddisfatte, per quanto riguarda quelli che accettano Gesù come loro giustizia. La giustizia di Dio più non gli consente di punire quelli a pro dei quali Cristo ha già patito. "Egli ha fatto esser peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, acciocché noi fossimo fatti giustizia di Dio in lui" 2°Corinzi 5:21. d) Con quella parola, Gesù proclamò abolita la dispensazione dell'Antico Testamento, avendo egli adempiuto tutti i tipi e tutte le figure della legge cerimoniale, dimodoché i sacrifici ed i riti che erano obbligatori sotto la legge di Mosè, più non lo sono per i cristiani "perciocché il fin della legge è Cristo in giustizia ad ogni credente" Romani 10:4. e) Con quella parola, Cristo dichiarò pure adempiute in lui medesimo tutte le profezie dell'Antico Testamento. Pietro ci dice 1Pietro 1:10, che lo studio prediletto dei profeti antichi consisteva nell'investigare che cosa significassero le cose loro rivelate dallo Spirito intorno a Cristo, e Giovanni dichiara, Apocalisse 19:10, che "la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia". Quei profeti avevano adempiuto fedelmente l'opera loro affidata; ma ora quella più non era necessaria, perché Gesù è il sommo profeta della dispensazione del Vangelo, e colla sua Parola, e col suo Spirito fa conoscere ai suoi la volontà di Dio. f) Finalmente, con quella parola, Gesù dichiarò che quel suo sacrificio di sé medesimo in sulla croce era unico e completo, né mai doveva venir ripetuto. Bestemmiano adunque quelli che pretendono rinnovare il sacrificio di Cristo, mediante gl'incantesimi di un prete all'altare; imperocché senza spargimento di sangue nessun sacrificio espiatorio può essere efficace, e Cristo non ha delegato a nessuno, né in terra né in cielo, il potere di versar nuovamente il suo sangue. S.Paolo ci dice che "Cristo, essendo risuscitato dai morti, non muore più" lettera ai Romani cap.6:9, che "egli è entrato nel cielo stesso per comparire ora davanti alla faccia di Dio per noi" Ebrei 9:24. L'inevitabile conclusione di tali passi delle Scritture si è che Cristo ha offerto, a favore di tutti quelli che crederanno in lui fino alla fine dei tempi, un sacrificio perfetto, e che la messa della Chiesa Greca e Latina è una imitazione blasfematoria dell'inimitabile suo sacrificio. La messa invero falsifica la testimonianza di Cristo morente in croce, ed è la rovina delle anime che ad essa si affidano, Quando il Signore pronunziò quella parola, "sia che alzasse gli occhi a Dio e pensasse all'aver egli glorificato il Padre suo, e adempiuta l'opera affidatagli in terra; sia che abbassasse lo sguardo sulla terra, e contemplasse la potenza salvatrice che la sua croce presto eserciterebbe sopra milioni di esseri umani, quello dovette essere per Gesù Cristo un momento di intensissima gioia. Egli ha patito l'ultima tortura, ha reso l'ultimo servizio, ha adempiuto l'opera sua vicaria, e ben può esclamare: "È FINITO!" La settima ed ultima parola di Cristo in sulla croce. Luca 23:46, è solo a riferirci questa parola, la quale, senza dubbio, seguì immediatamente la precedente: "Gesù avendo gridato con gran voce, disse: Padre, io rimetto lo spirito mio nelle tue mani. "Alla dolorosa esperienza dell'abbandono è succeduta ora quella della piena fiducia e della gioia; il grido di angoscia: "Mio Dio, mio Dio" dà luogo al nome abituale ed amorevole di "Padre". "Le tenebre passano, e già risplende la vera luce" 1°Giovanni 2:8, che non verrà oscurata mai più, e nel linguaggio di quei Salmi, che erano sempre sulle sue labbra Salmo 31:6, con voce che si fece udire tutto all'intorno, Gesù affida al suo Padre celeste l'anima sua, per tutto il tempo durante il quale il corpo suo giacerà nel sepolcro. Con queste parole, il Salvatore dichiara che la sua natura umana consiste di un corpo e di un'anima, che l'anima sua non sarà annichilata dalla morte, ma continuerà a sussistere, anche separata dal corpo, e che egli appieno si affida in Dio, che vorrà riceverla e custodirla in sicurezza e felicità perfetta, finché non venga nuovamente riunita al corpo al terzo giorno. Sono stati scritti, per spiegare che cosa avvenisse dell'anima di Cristo, dopo che egli ebbe reso lo Spirito, volumi senza numero, dei quali si sarebbe potuto fare a meno, se gli uomini si fossero accontentati di ricevere il semplice insegnamento della Parola di Dio. Cristo, avendo rimesso lo Spirito suo nelle mani del Padre, e il Padre avendo accettato il sacro deposito, è chiaro che fra la morte e la risurrezione, l'anima di Cristo era col Padre in cielo, il che d'altronde è comprovato pure dalle parole di Cristo al malfattore pentito Luca 23:43. Guidata da questi passi, e dalle consimili dichiarazioni di S.Paolo che il partire dal corpo è un "andare ad abitare col Signore" 2°Corinzi 5:8, e che il "partire di questo albergo ed essere con Cristo è di gran lunga migliore" Filippesi 1:23, la Chiesa Presbiteriana in Gran Bretagna, in Irlanda ed in America, ha sempre rigettato il purgatorio romano, o qualsiasi stato intermedio per le anime dei morti, come contrario alle Scritture, e sostiene nelle sue confessioni di fede che "le anime dei fedeli, alla loro morte, sono rese perfette in santità, e passano immediatamente alla gloria; e i corpi loro, essendo sempre uniti a Cristo Gesù, riposano nella tomba fino alla risurrezione. La dottrina che Cristo discese all'inferno non ha altro fondamento che una esegesi erronea delle parole: "Andò a predicare agli spiriti che sono in carcere" di 1°Pietro 3:19; mentre l'articolo del Credo: "discese all'inferno", che alcuni ritengono così tenacemente come se fosse parola inspirata, altro non è che una falsificazione introdotta nel Credo alla fine del quarto secolo dalla Chiesa di Aquileia, e non ricevuta dalla generalità che alla fine del sesto. Per ulteriori informazioni su questo soggetto, Vedi Pearson sul Credo, o il Credo del Rev. Teofilo Gay, Firenze 1883. E, chinato il capo, rendè lo Spirito Benché la vecchia bibbia Diodati traduca "rendè" in tutti e quattro i vangeli, due soli fanno uso della medesima espressione; ma tutti fanno chiaramente intendere elle la morte del Messia fu pienamente volontaria e spontanea, come lo prova pure l'alto grido che l'accompagnò. Essa non fu dunque semplicemente il risultato del suo fisico indebolimento. Fino a quell'istante, il "Signore", in mezzo a tutte le sue torture, aveva tenuto il capo eretto; ora lo china, significando che depone la vita, e l'amato suo discepolo osserva e ricorda questo minuto particolare dei suoi ultimi momenti. Ci ripugna di seguire Strauss, Hanna ed altri nelle loro congetture riguardo alla causa fisica della morte di Cristo; è questo un argomento troppo sacro per consimili speculazioni, senza contare che non sarà mai possibile di giungere, a questo riguardo, ad una conclusione soddisfacente. Con Milligan crediamo che le ricerche fatte su questo punto urtano il sentimento cristiano assai più che non soddisfino ad uno spirito legittimo di ricerca scientifica. RIFLESSIONI 1. "C'insegni l'esempio di Ponzio Pilato quali misere creature sieno anche i più grandi fra gli uomini, quando non sono guidati da principi elevati, e non credono in un Dio che governa i regnanti. Il più umile operaio che possiede la grazia e tenie Iddio, è, agli occhi del Creatore, più nobile di un re, di un governatore, di un uomo di Stato, il cui primo scopo non è già di far quello che è giusto, bensì di piacere al popolo. Avere una coscienza in privato ed un'altra in pubblico; una norma di doveri per le anime nostre ed un'altra per gli atti pubblici; vedere chiaramente quello che è bene dinanzi a Dio, eppure fare il male, per amore di popolarità ciò può parere a taluni retto, politico, abile e sapiente; ma un tal carattere, nessun cristiano lo potrà mai rispettare. Domandiamo al Signore che al nostro paese non manchino mai uomini altolocati, i quali non solo pensino rettamente, ma abbiano il coraggio di agire in conformità delle loro convinzioni, senza inchinarsi alle opinioni altrui. Uomini i quali, come Ponzio Pilato, sempre intrigano, sempre cercano compromessi, e si lasciano guidare dall'opinione anziché guidarla; uomini che temono di fare il bene per timore di offendere qualcuno, e son pronti a fare il male, per acquistar popolarità, sono i peggiori rettori che un paese possa avere. Sono spesso il più grave castigo che Dio mandi ad una nazione per i suoi peccati". Cordialmente, Antonio.
 
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champions_3 il 02/04/12 alle 13:26 via WEB
LA VERA CONFESSIONE! In questo perido si invita i cristiani a fare confessione dei propri peccati, tra l'altro, si consiglia in particolare a Pasqua, vedremo attraverso la parola di "DIO" a chi indirizzare il perdono dei propri peccati. 1°Giovanni cap.2:1-6. CRISTO È L'AVVOCATO DI CHI SI CONFESSA PECCATORE. EGLI È IL GIUSTO CHE HA VERSATO IL SUO SANGUE QUAL PROPIZIAZIONE PER I PECCATI DEL MONDO; MA NON ABBIAM COMUNIONE VERA CON LUI SE NON OSSERVANDO I SUOI COMANDAMENTI E IMITANDO IL SUO ESEMPIO. In 1°Giovanni 1:5-10 l'autore ha esposte le condizioni della comunione con Dio ch'è luce; in 1°Giovanni 2 egli parla piuttosto delle condizioni della comunione con Gesù, il Figliuol di Dio. Confr. 1°Giovanni 1:3. I versi 1°Giovanni 2:1-2 sono connessi strettamente con quanto l'apostolo ha detto prima circa la remissione dei peccati assicurata a coloro che umilmente li confessano. Quasi temesse un possibile abuso delle sue parole, egli sembra dire: Vi spingo a riconoscere e a confessare i vostri peccati, ma non perchè vi avvezziate a tollerarli, anzi, vi scrivo queste cose affinchè non pecchiate; affinchè camminiate sempre nella luce. E si rivolge ai lettori col dolce nome di figliuoletti miei, pieno di paterna tenerezza. Li chiama così non solo perch'egli è molto innanzi nell'età, ma perchè, se anche non li ha tutti generati a vita nuova, mediante l'evangelo, li ha nutriti di cibo spirituale e allevati con amore di padre. e se alcuno ha peccato, come può accadere anche a chi non vive più nel peccato; ma è esposto a cadervi ancora per debolezza, per le seduzioni del mondo e del maligno, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo il giusto. Il noi s'intende i veri cristiani. Il termine paracleto qui applicato a Gesù è lo stesso che, nel Vangelo di S.Giovanni, è applicato allo Spirito santo. In Giovanni 14:16 si legge: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà, un altro Paracleto"; il che implica che Gesù è il paracleto dei suoi, e che, per una parte almeno di questa funzione lo Spirito lo sostituisce. Il termine vale letteralmente, come il latino advocatus: uno che è chiamato presso ad un altro per assisterlo. Di solito si applica all'amico che assiste un accusato per difenderlo, per confortarlo, per fare atto di solidarietà con lui, per intercedere in favor suo; ma può significare anche uno che, in qualsiasi circostanza, consiglia, guida, insegna, conforta. È quindi, a seconda del contesto, tradotto consolatore o assistente, come nei passi del Vangelo, o avvocato come qui ove si tratta dell'opera di Gesù Cristo presso al Padre, opera di intercessione in cui Gesù fa valere a pro dei suoi la virtù del suo sacrifizio espiatorio. L'Epistola agli Ebrei, esponendo l'opera di Cristo qual sommo Sacerdote del suo popolo, dice ch'egli «non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero; ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio, per noi...», «ond'è che può salvare appieno quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro» Ebrei cap. 9:24; cap.7:25. E S.Paolo esclama trionfante: «Chi sarà quel che li condanni? Cristo Gesù è quel ch'è morto; e, più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio; ed anche intercede per noi» Lettera ai Romani 8:34. Gesù è chiamato giusto, perchè, se fosse stato peccatore non avrebbe potuto, quale agnello immacolato, toglier d'addosso a noi prendendola su di sè la pena dovuta al nostro peccato e non potrebbe quindi essere alla destra del Padre. «A noi conveniva un sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli» Ebrei 7:26. 2° Ed egli è la propiziazione per i nostri peccati. L'esser stato Cristo la vittima propiziatoria che ha offerto se stesso per soddisfare la giustizia offesa di Dio, e render possibile l'effusione della grazia sua sui peccatori pentiti, è la base su cui poggia l'intercessione di Cristo nei cieli. Egli è l'avvocato efficace dei credenti perchè egli stesso ha versato il sangue per loro. La parola ilasmos (propiziazione) non s'incontra che in (1°Giovanni 4:10); ma abbiamo nel Nuovo T. altre parole della stessa famiglia: "propiziatorio", "propiziare ed esser propiziato o placato", «sii placato inverso me peccatore», implora il pubblicano. (Luca 18:13; cfr. Ebrei 2:17; Romani 3:25). e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Letteralmente: ma anche per il mondo intero. Ad incoraggiar la fede dei credenti nella intercessione dell'unico mediatore e nella virtù del suo sacrifizio, S.Giovanni ne proclama il valore universale. Colla sua morte Cristo ha espiato i peccati del mondo intero e non soltanto quelli di una parte ristretta dell'umanità. Gli uomini possono per incredulità o per durezza di cuore rifiutare, per conto loro, il benefizio della morte di Cristo; ma ciò non toglie che Dio, abbia amato il mondo e abbia dato il suo Figliuolo «affinchè chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna» S.Giovanni 3:16. 3° Cristo è l'avvocato dei suoi presso il Padre e fa valere a loro pro l'efficacia del suo sacrifizio propiziatorio offerto una volta per sempre. Ma chi sono veramente i suoi "Chi sono coloro che a lui sono uniti e che posson dire: noi abbiamo un avvocato...??" L'apostolo risponde a questa domanda esponendo le condizioni della comunione vitale col Figliuol di Dio, in una forma analoga a quella di 1°Giovanni cap. 1, cioè in forma positiva e negativa. E da questo sappiamo (letteralmente conosciamo) che l'abbiam conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Di chi intende parlare Giovanni? Gli uni rispondono: di Dio, del conoscer Dio, dei comandamenti di Dio, della parola di Dio, dell'essere in Dio 1°Giovanni 2:5, del dimorare in Dio 1°Giovanni 2:6; e connettono il verso 3, non con quelli che precedono immediatamente, ma col capitolo 1 Giovanni 1. Per la sostanza, questa interpretazione non differisce da quella che preferiamo; perchè l'essere in Cristo, l'osservare i comandamenti di Cristo equivale all'essere o dimorare in Dio, all'osservare i comandamenti di Dio; ma ci par forzato il riferire il lui (auton - autou) del verso 3 a Dio, passando sopra 1°Giovanni 2:1-2 ove si parla di Cristo e si dice: ed egli è la nostra propiziazione (kai autoV...). Inoltre, si riconosce da tutti che in 1°Giovanni 2:6 si parla dell'imitazione di Cristo. L'apostolo dunque ammonisce i cristiani che l'osservare i comandamenti di Cristo è l'unica prova certa ch'essi l'hanno conosciuto. È chiaro che non si tratta qui di una mera conoscenza storica, ed intellettuale, ma di una conoscenza in cui hanno parte, insiem colla mente, il cuore, la coscienza, la volontà, tutto l'essere morale e spirituale dell'uomo; una conoscenza che implica relazione personale, intima, di fiducia, di amore, di appartenenza, che implica in altre parole una comunione vivente, un essere in lui, un "dimorare in lui" 1°Giovanni 2:5-6. Una siffatta conoscenza sperimentale di Cristo, noi sappiamo in modo sicuro di possederla quando osserviamo i suoi comandamenti. "Se voi mi amate, avea detto Gesù, osserverete i miei comandamenti". Se osservate i miei comandamenti dimorerete nel mio amore S.Giovanni cap.14:15; cap.15:10. Conoscenza e ubbidienza sono due elementi inseparabili di una, medesima esperienza religiosa. 4° Chi dice: Io l'ho conosciuto e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; Questo versetto è parallelo a 1°Giovanni 1:6: il conoscer Cristo risponde all'aver comunione con Dio; il non osservare i comandamenti di Cristo nella propria condotta risponde al camminar nelle tenebre; l'esser bugiardo, privo di sincerità, risponde al "mentire". Invece del "non mettiamo in pratica la verità",S.Giovanni dice qui la verità non è in lui e s'intende la verità del Vangelo non è stata accolta nel cuore di quel tale, non vi è penetrata in guisa da crearvi una vita nuova, e non vi abita. La sua professione di cristianesimo è quindi una mera apparenza religiosa. 5° ma chi osserva la sua parola cioè la parola di Cristo, termine comprensivo che abbraccia tutti i comandamenti di Cristo che sono una stessa cosa coi comandamenti di Dio Giovanni 14:24. l'amor di Dio è in lui veramente compiuto. Gl'interpreti sono divisi sul senso dà dare all'espressione l'amor di Dio. Si tratta egli dell'amor di Dio per noi, ovvero dell'amor nostro per Dio? Chi adotta il primo senso lo spiega così: in chi mette in pratica la parola di Cristo (o di Dio), l'amor che Dio ha per lui raggiunge appieno il suo fine pratico ch'è di render perfetta la sua creatura. Chi adotta il secondo senso lo espone così: in chi osserva la parola di Cristo, l'amore per Dio ch'è il gran comandamento, l'ideale della vita cristiana, non è soltanto una vana parola, nè una mera aspirazione, nè un semplice inizio di vita, ma è cosa reale, e che raggiunge la sua perfezione. Infatti dove la parola di Cristo è perfettamente osservata, ivi è compiuto l'amore per Dio giacchè l'amore perfetto si manifesta colla perfetta obbedienza. Con ciò Giovanni non afferma che, praticamente, il cristiano giunga all'amore perfetto per Dio, in questa vita, poichè, come afferma in 1°Giovanni 1, l'ubbidienza ai comandamenti ch'è la prova dell'amore, resta sempre imperfetta; ma afferma che amore ed ubbidienza vanno di conserva. Da questo, cioè dell'ubbidienza ai comandamenti di Cristo, conosciamo che siamo in lui. Essere in Cristo descrive sotto l'aspetto suo più intimo e più profondo la vita cristiana ch'è vita di comunione vitale con Cristo. Paragonando se stesso alla vite e i discepoli ai tralci, Gesù avea detto: "Dimorate in me e io dimorerò in voi. Io son la vite voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro porta molto frutto... Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto.. Dimorate nel mio amore" Giovanni 15:4-10. ( Le parole di Cristo sono forse state dette per la chiesa di quel tempo? Gesù cristo è lo stesso, ieri, oggi e in Eterno!) 6° Chi dice di dimorare in lui, deve, nel modo ch'egli camminò, camminare anch'esso. C'è una progressione dal "conoscere Cristo" allo "essere in lui", al "dimorare in lui", la quale ultima espressione contiene, oltre all'idea della intima comunione con Cristo, quella della costanza in questa comunione presentata così come lo stato abituale del cristiano. Chi fa professione di vita cristiana, ha l'obbligo imprescindibile, se vuol essere coerente e non ingannar se stesso e gli altri, di seguire nella sua condotta d'ogni giorno l'esempio perfetto dato da Cristo nella sua vita terrena. Similmente S.Paolo: "Siate dunque imitatori di Dio, come figliuoli suoi diletti, e camminate nell'amore come anche Cristo vi ha amati" (Efesini 1:2. Cofronta 1°Pietro 2:24). AMMAESTRAMENTI 1. Il vangelo che parla di grazia e di perdono dei peccati a conforto di coloro che anelano alla pace con Dio e all'affrancamento dal male, è sempre stato esposto all'accusa di favorire il peccato. In (Romani cap.6) all'obiezione: "Rimarremo noi nel peccato affinchè la grazia abbondi?" L'apostolo Paolo risponde: "Così non sia. Noi che siam morti al peccato come vivremmo ancora in esso?" Ammonisce la chiesa di Galati a non fare della loro libertà cristiana "un'occasione alla carne", e S.Pietro esorta i cristiani a non usare della libertà "qual manto che copra la malizia". S. Giuda parla di "empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio". Non è quindi inutile il ripetere l'avvertimento di Giovanni: "Vi scrivo queste cose acciocchè non pecchiate"; ma ciò non deve distogliere i banditori del Vangelo dall'additare sempre, alle anime travagliate, Cristo quale unica propiziazione per i nostri peccati e quale unico avvocato presso il Padre. 2. Tre grandi affermazioni troviamo qui circa il Cristo. Egli è il giusto in senso perfetto, il solo dei figli d'Adamo che sia tale, il solo che risponda all'ideale di Dio riguardo all'uomo, il solo che sia esempio perfetto di vita umana 1°Giovanni cap.°2:6. Come tale egli ha potuto essere nella sua persona divina-umana la propiziazione per i nostri peccati e per i peccati del mondo intero, per tutti i peccati e per i peccati di tutti. Col suo sacrifizio espiatorio, egli giusto portando i peccati degli ingiusti, ha potuto "placare" la giusta ira del Dio di santità, soddisfare alla legge e assicurare il favore divino ai peccatori pentiti. Giovanni che proclama l'amor di Dio, non dimentica la giustizia sua. "Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figliuolo per essere la propiziazione per i nostri peccati" 1°Giovanni cap.4:10. Come la vita quaggiù e la morte di Gesù avevano per fine la salvazione dell'umanità, così la sua vita celeste è consacrata a condurre a compimento la salvezza dei credenti e a trarre il mondo alla vera fede. Egli è l'Avvocato dei suoi presso il Padre, per loro egli intercede del continuo facendo valere a loro pro il sacrifizio compiuto, una volta per sempre, sul Golgata. Possono i peccatori perdonati, ma sempre ancora bisognosi di perdono e di guarigione spirituale, intercedere per i loro fratelli; ma Uno solo è il Mediatore tra Dio e gli uomini. Uno solo è l'Avvocato dei credenti presso il Padre, perchè Egli solo è il Giusto, Egli solo è la propiziazione per i peccati. Nota S. Agostino «Giovanni non disse: Avete un avvocato, nè disse: Avete me; ma mise loro innanzi Cristo Gesù, non se stesso, e disse: Abbiamo, non avete. Preferì mettersi nel numero dei peccatori onde avesse Cristo per avvocato, anzichè mettersi al posto di Cristo come avvocato ed esser trovato tra i superbi meritevoli di dannazione». Questa parola è la condanna della dottrina e della pratica di tutti coloro che, lasciando Cristo nell'ombra, mettono al suo posto la nostra cara amata Maria, ed i Santi, o uomini, quali avvocati presso a Dio. Per i credenti consci delle loro colpe e della loro debolezza l'aver Cristo per avvocato, Salvatore, e, per amico, per aiuto pronto nelle distrette, è sommo conforto Eterno. 3. Chi è che ha la certezza (non la probabilità o la speranza vaga) di aver "conosciuto" veramente Cristo? di averlo conosciuto non di mera conoscenza storica od intellettuale, ma col cuore e colla coscienza, per esser entrato con lui in relazione personale intima di fede e di amore? S.Giovanni risponde: Coloro che osservano i suoi comandamenti che imitano il di lui esempio. Essi non sono solamente dei cristiani di nome che "dicono e non fanno", la cui vita smentisce la professione delle labbra, il cui cuore non è rinnovato; ma si sforzano di camminar nella luce sulle traccie del loro Signore. L'albero si riconosce dai frutti. "Non chiunque mi dice: Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli". Un tale ha edificato la sua casa sulla roccia; egli è in Cristo e dimora in lui, egli onora l'evangelo davanti agli uomini, ama e glorifica il suo Dio e quando Cristo apparirà non avrà da ritrarsi da lui coperto di vergogna 1°Giovanni cap.2:28. 4. La grande verità sulla confessione dei peccati, Gesù guarisce il paralitico di Capernaum dicendo: Figliuolo, i tuoi peccati ti sono rimessi. Or alcuni degli scribi (dottori della legge sacra) erano presenti e ragionavano tra di loro: perchè parla costui in questa maniera? Chi può rimettere i peccati, se non uno solo, ciè DIO? S.Marco cap. 2:5-11. Quindi, se le autorità religiose in quei tempi, conoscendo le sacre scritture che solo "DIO" può intercedere per il perdono dei peccati, e avendo accusando Gesù di questa violazione anche se non l'aveano ricosciuto come Messia che egli era "DIO", con quale diritto si espongono molti religiosi a farsi confessare i peccati dei credenti dicendo che sono loro gli intercessori tramite "DIO"? In verità, il credente deve chiedere perdono direttamente a "DIO" se ha commesso dei peccati e, attraverso la sua preghiera personale rivolta a DIO" con pentimento DIO assolverà i suoi peccati. 5. L'apostolo ha così ricordato ai cristiani tutti, vecchi e giovani, i privilegi ch'essi posseggono come credenti: han ricevuto il perdono dei peccati, han conosciuto l'amor del Padre, hanno conosciuto il Figlio ch'era dal principio, hanno vinto il maligno. È questo il loro stato cristiano descritto in modo ideale; ma questo ideale si tratta di tradurlo in realtà pratica nella vita quotidiana; questi benefizi si tratta di non perderli. Hanno tutti (non i giovani soltanto) vinto il maligno ch'è il principe di questo mondo, ma intanto devono vivere in questo mondo e guardarsi dal male; hanno conosciuto il Padre ed il Figliuolo venuto in carne per salvarli, ma non devono lasciarsi sedurre dagli anticristi che storcono la sana dottrina e negano il Padre ed il Figlio. Da ciò le esortazioni che seguono. 6. Pregando per i suoi, Gesù disse: «Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Santificali mediante la verità». Il mondo materiale creato da Dio, il cristiano può servirsene per provvedere ai bisogni della sua vita terrena purchè "con rendimento di grazie"; può giovarsene per accrescere la propria conoscenza delle perfezioni di Dio. Il mondo umano lo può e lo deve amare come Dio lo ama, cioè per salvarlo, per affrancarlo dal peccato che lo perde. Ma "il mondo" in quanto serve a caratterizzare i principii, le tendenze, le brame, le abitudini, il genere di vita materialista, sensuale, egoistica, vanitosa degli uomini quali il peccato li ha fatti, quel mondo il cristiano non lo può e non lo deve amare. Egli appartiene a una sfera superiore ch'è quella del regno di Dio ove la norma della vita è la volontà del Padre. Ma quanto ha bisogno che gli venga ripetuto l'avvertimento di guardarsi dalla mondanità! Se ne avevano bisogno i cristiani cui scrive Giovanni, quanto più quelli dell'oggi che si studiano di unire due cose incompatibili ed opposte: la professione cristiana e la mondanità. Tutta quella vita di concupiscenze e di vanità, di piaceri, d'intemperanze, di lusso, di fasto, di avidità di guadagno per superare gli altri, di brama di brillar nel mondo, è vita senza Dio, nonostante la vuota professione cristiana; è vita lungi da Dio, è vita opposta all'ideale voluto da Dio. Ove penetra l'amor del mondo, muore l'amor di Dio; ove il cuore, la mente, l'attività, si muovono nell'atmosfera della mondanità, la fiamma della vita religiosa si affievolisce e finisce collo, spegnersi. Cordialmente, Antonio.
 
 
zelota0
zelota0 il 03/04/12 alle 16:48 via WEB
In verità, il credente deve chiedere perdono direttamente a "DIO" se ha commesso dei peccati e, attraverso la sua preghiera personale rivolta a DIO" con pentimento DIO assolverà i suoi peccati. Vorrei capire bene se con questa affermazione ,dovremmo fare a meno dei ministri di DIO per confessarci?Se cosi fosse non é cio che affermano i nostri fratelli Evangelisti?Grazie.
 
   
champions_3
champions_3 il 03/04/12 alle 23:44 via WEB
Credo che se hai letto attentamente il commento biblico a riguardo, dovresti sapere che il perdono va chiesto solo a "DIO". Ad ogni modo, gli scribi anticamente erano dottori della legge e conoscevono le sacre scritture, anche se, nella loro incredulità religiosa non hanno riconosciuto il messia, ovvero, Gesù Cristo, poichè anche a lui gli dicevano che solo "DIO" può perdonare i peccati, perciò, hanno contestato a Cristo che essendo lui un uomo non aveva nessuna autorità di intercedere per il perdono. Quando il Signore Gesù faceva i miracoli sui malati, diceva ad alcuni: i tuoi peccati ti sono rimessi, si avvicinavano a Cristo per essere guariti dei credenti e, chiedevano direttamente a Gesù di perdonali perchè avevano riconosciuto in Lui il messia. Comunque, ti invito a consultare la bibbia, così vedrai direttamente cosa dice la parola di "DIO" sulla confessione. Troverai dei credenti servi di "DIO" che, hanno espresso direttamente la loro confessione a "DIO". Consulta: Profeta NEHEMIA, capito 9 verso 2. - SALMO, cap. 32 verso 5.- SALMO, cap. 84 verso 12. - PROVERBI, cap. 16 verso 20. - PROFETA DANIELE, cap. 9 verso 4-5. EPISTOLA AGLI EBREI, cap. 9 verso 11 a 13. - PRIMA EPISTOLA DI GIOVANNI, cap. 1 verso 7-8. - E cap. 2 verso 12. Quindi, da tutti questi passi biblici la confessione viene espressa a "DIO" nel vecchio testamento, e a Cristo nel Nuovo. NoN vi è nesuna persona che si definisca ministro della parola di "DIO" di chicchessia religione che ne può essere l'intercessore dei nostri peccati, poichè ogni forma umana è antiscritturale e non veritiera della parola di "DIO". La nostra confessione va data a " CRISTO GESU' IL SIGNORE". Cordialmente, Antonio.
 
     
zelota0
zelota0 il 04/04/12 alle 19:13 via WEB
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al veder il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv. 20, 19-23).Credo che si riferisca ai suoi apostoli,quindi da un mandato ai suoi apostoli,e che credo non si ferma solo a loro.Così, dunque, un uomo limitato entrerà nella nostra coscienza e noi gliela apriremo in compimento del mandato di Gesù Cristo. Ciò è possibile perché quest’uomo è sacerdote e con l’ordinazione sacerdotale ha ricevuto il potere di rimettere i peccati, conferito da Cristo stesso ai suoi apostoli.«Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Così l'umile pescatore della Galilea diventava, per volontà divina, il principe degli apostoli. Così, annesso al mandato, veniva dichiarata una inviolabilità della Chiesa, fondata sulla roccia, che è Cristo e su Pietro, confermato nella fede. Ci ha voluto dare anche una garanzia di vittoria «sulle porte degli inferi», sul male e sui nemici della Chiesa. Da quella Cattedra, segno episcopale, dove siede il Vicario di Cristo, attendiamo la verità della dottrina e una guida sicura. Con affetto fraterno ti abbraccio ,Gianni(si puo' rispettare ,ma non condividere).
 
     
champions_3
champions_3 il 06/04/12 alle 01:12 via WEB
E' Stata già data una risposta a tale proposito vedasi nel blog, sulla remissione dei peccati. Remissione dei peccati può darla solo Cristo, ciò non significa che c'è un intermediario tra gli uomini a tale scopo e, gli sia stato dato un carisma da Gesù per di ricevere la confessione personale dei peccati altrui e, a sua volta rimetterli. ""Se così fosse Gradirei che ne citasse i passi biblici!"" Ripeto, il mandato di Cristo era rivolto non soltanto agli apostoli in quel tempo, ma a tutti quelli che si adoperano a fare la volontà di DIO in questo mondo. Il passo citato di Giovanni-20:19-23, si deve intendere che, chi riceve la predicazione del vangelo, poichè è la parola di DIO, riconosce e dichiara in se stesso il suo stato di peccatore davanti a DIO, quindi, riceve quell'adempimento di rimettere i propri peccati a Cristo Gesù. Infatti, il capitolo 20 di Giovanni,lo possiamo associare a quello degli Atti degli Apostoli cap. 10:12-13, dove troviamo scritto: che il Cristo soffrirebbe, e risusciterebbe dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si predicherebbe ravvedimento e remissione dei peccati, chi crede in Lui riceve la REMISSIONE dei peccati mediante il suo nome. Quindi, qui parla di remissione di peccati e, nel nome di Gesù, non dice di confessare i propri peccati ad un'altro uomo, sacerdote o altro. E' detto che Gesù è l'unico *mediatore*,(si traduca questa parola) infatti, c'è un solo DIO e anche un solo Mediatore fra DIO e gli uomini. Cristo Gesù uomo, che ha dato sè stesso come prezzo di riscatto per tutti. 1° Timoteo cap.2:5. Per quanto riguarda S.Pietro, ci sarebbe da fare un lungo commento, comunque, Gesù non disse a Pietro che lui ha le chiavi del regno, *questa parola non esiste nella sacra scrittura*, ma, Gesù disse: tu sei Pietro ed io su questa Pietra edificherò la mia chiesa, il suo significato è che, non è Pietro la chiesa, ma, Gesù intende come chiesa la fede di Pietro, poichè la pietra Angolare è nient'altro che Cristo. Gesù disse: ciò che legherai qui in terra sara legato nel cielo, e ciò che scioglierai qui in terra sarà sciolto nel cielo, il suo significato consiste che, con la predicazione della parola di Dio in Pietro, e non solo, tutto quello che il credente riceverà potra essere legato o a sua Salvezza, o a sua perdizione. Quindi, concludo, sul confessare e, ne citerò solo un verso del Salmo 32:5; IO ti ho dichiarato il mio peccato, non ho coperto la mia iniquità. Io ho detto: ""COFESSERO' le mie trasgressioni "ALL'ETERNO""; e tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato. Carissimo Gianni, la condivisione è una cosa, il credere è un'altra cosa! Un saluto Fraterno! Antonio.
 
ambretta2009
ambretta2009 il 02/04/12 alle 15:56 via WEB
Il Signore non ci lascia ami soli, siamo noi che lo perdiamo di vista. Le sue braccia spalancate sulla croce sono un costante invito a lasciarci abbracciare da Lui e insieme a Lui portare la nostra piccola a grande croce. Il suo sangue che scorre dalle sue ferite è lavacro eterno e noi dobbiamo lasciarci lavare sempre, così come ogni giorno si rinnova sull'altare la sua Pasqua. E' Lui la vita, da Lui impariamo ad amarci come fratelli, dal suo spirito attingiamo la forza per combattere satana, con Lui, per Lui ed in Lui siamo vincitori. La sua misericordia è fino all'ultimo momento della nostra vita..poi è la sua giustizia.
 
champions_3
champions_3 il 04/04/12 alle 11:28 via WEB
PASQUA, SUO SIGNIFICATO, PASSARE OLTRE. Al primo posto del calendario liturgico di Israele troviamo una solennità chiamata in ebraico PESAH, aramaico PASHÀ. Essa viene celebrata la notte dal 14° al 15°del mese di NISAN (nel calendario cananeo ABIB), corrispondenti ai nostri marzo - aprile, il primo mese secondo il computo primaverile dell'anno nuovo. L'etimologia del termine è controversa. Fuori dal contesto pasquale, la radice PSH appare in 1° Re cap.18:21; 2° Samuele cap.4:4; 1° Re cap.18:26; profeta Isaia cap.31:5. In quest'ultimo verso il verbo significa evidentemente "passare oltre", "aver riguardo per", "saltare" nel senso di non includere qualcuno in una determinata lista o azione. Fino all'epoca del re Giosia,servo del Signore, 2° Cronache cap. 34,e della sua riforma la festa ebbe un carattere esclusivamente familiare, carattere che del resto non ha mai perduto, legato alla casa che veniva aspersa col sangue della vittima; e tale casa non si soleva abbandonare prima dell'alba (Esodo cap. 12:22,33), per non cadere sotto la mano dell'angelo sterminatore il quale risparmiava le case segnate, ma naturalmente non gli individui, per i quali non era stato stabilito alcun segno. Casa ebraica segnata dal sangue Nella mente di chi celebrava la pasqua nella propria casa con i propri parenti ed amici era presente anzitutto il concetto di salvezza, come appare chiaramente da Esodo cap.12. Durante la notte ivi descritta, quella dal 14° al 15° di NISAN, mentre i primogeniti venivano uccisi dall'angelo sterminatore in Egitto, i nostri vennero risparmiati e noi tutti restammo in vita. Attraverso tale atto si costituì il popolo di Dio. Tale atto viene rievocato nel culto di adorazione, vi viene attualizzato: la comunità celebrante diviene contemporanea con quella primordiale, trema insieme ad essa nella imminenza del pericolo e con essa sospira di sollievo e loda il proprio Signore non appena è passato. Le comunità fedeli moderna dunque, soffre, prega, spera, ringrazia insieme all'antica attraverso quella misteriosa comunicazione che è insita nel culto ebraico, ovvero, dell'adorazione a Dio. In Esodo cap. 12:14, dove abbiamo il termine Zikkaron, radice ZKR che significa "attuazione, ricordare, commemorare". La liturgia della Pasqua, la Haggadah Sel Pesah il cui significato è: "tradizione pasquale", recita infatti testualmente: «Eravamo schiavi del Faraone di Egitto…, ma il Santo sia Egli benedetto, non si contentò di trarre dall'Egitto soltanto i nostri progenitori: ecco, noi, i nostri figli ed i nostri nipoti eravamo schiavi del Faraone in Egitto…!» (confr. Deutoronomio cap.6:21). LE FONTI La celebrazione della Pasqua è attestata dalle fonti più antiche (Esodo cap.12:23; cap.12:14-17; cap.34:21-23) appare ancora in Deutoronomio 16:1-8; Levitico cap.23:5-8; Numeri cap.28:16-25; 2° Re cap. 23:21-23; un'attestazione storica l'abbiamo in Giosuè cap.5:10-12. Abbiamo ancora un'attestazione extrabiblica molto importante: il cosiddetto papiro "pasquale" di Elefantina, datato nel 419. AMBIENTE E CELEBRAZIONE L'ambiente è chiaramente quello del clan seminomade o famiglia in senso lato… La celebrazione della solennità avveniva secondo i testi nella seguente maniera: la notte di luna piena del mese di Nisan, cioè quella da 14° al 15° del mese, il gruppo familiare, che, ove risulti di dimensione ridotta può essere aumentato mediante la partecipazione dei vicini (verso:4), che si riunisce nella propria casa. La Pasqua non richiedeva nessun sacerdote Levitico di quei tempi, nessun altare, e il sangue della vittima vi aveva grande importanza… L'OFFERTA L'animale da offrire varia a seconda dei testi in Esodo cap.12:5 ha una capra o una pecora di un anno; in Deutoronomio cap.16:2 abbiamo invece animali di mandria, ma si tratta in questo secondo caso della celebrazione della festa nel tempio, non delle case private. Col sangue dell'animale venivano poi aspersi gli stipiti della porta esterna mediante un mazzetto di issopo (verso:22), il segnale convenuto per tenere lontano lo sterminatore notturno. La carne dell'animale ucciso viene poi arrostita al fuoco ed il pasto accompagnato da erbe amare e pani azzimi (Esodo cap. 12:8; cap.34:25); questi ultimi sono poi presenti per tutta la settimana seguente. È vietato, (Esodo cap.12:9) carne poco arrostita o bollita, di conservare gli avanzi per il giorno seguente: essi dovranno essere bruciati. Oltre tutto, Dio vieta di mangiare quasivoglia sangue di Animale. I partecipanti alla solennità prendono parte al convito in stato di allarme, per così dire: Agnello pronti a partire (Esodo 12:11) ed effettivamente sul far del giorno (Esodo 12:33 ), partono in tutta fretta. Da tutti questi dati appare chiaramente il carattere originariamente familiare della celebrazione; così è restato del resto fino al giorno d'oggi, e non pubblico, che ne costituisce un secondo aspetto. S LA PRIMA PASQUA - un nuovo inizio Quello che per l'Egitto sarebbe stato il mutamento di una serie di giudizi, per Israele sarebbe stato il momento culminante della liberazione e della redenzione. In perpetuo ricordo di questo fatto, Israele doveva fare di quel mese, Abid (chiamato più tardi Nisan) il primo mese dell'anno. E così fu sino alla morte del re Salomone, servo di Dio, vedi cap.9 in 2° Cronache. Solo Giuda poi continuò allo stesso modo, perché secondo un attento confronto… in quel che è scritto nel libro dei Re, le dieci tribù settentrionali, staccatesi dal tempio,… avevano portato l'inizio del nuovo anno al primo giorno del settimo mese di TISHIRI. "Questo mese sarà per voi il primo dei mesi dell'anno". Qualcosa del tutto nuovo cominciava; per "Dio", ciò che era passato non contava. L'anno civile continuerà a seguire il suo corso, ma un nuovo anno si apriva, contrassegnato da relazioni con "Dio" fondate su tutta un'altra base. Non è così, per noi, della conversione e della nuova nascita spirituale? Si può essere condotti al Signore a dodici, a venti, a sessant'anni, ma per "Dio" avranno un'importanza solo gli anni della nuova vita: «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie son passate: ecco, son diventate nuove» (2° Corinzi cap. 5:17). LA PRIMA PASQUA e la fede (Esodo cap.12:3-13) Prima di liberare Israele dall'Egitto, "Dio" lo liberò dal giudizio della decima piaga: la morte dei primogeniti in Egitto. Con questa liberazione, la Pasqua del Signore (Esodo cap. 12:11), "Dio" manifesta la Sua grazia provvedendo per Israele un mezzo di salvezza, un sacrificio, un sostituto. Un agnello avrebbe preso il posto dei primogeniti. Pasqua ebraica. Questo tipo di redenzione non era applicabile soltanto per grazia, ma anche per fede. Per fede ogni familiare doveva spruzzare col sangue gli stipiti e l'architrave della propria porta. Per fede dovevano mangiare il pasto pasquale con le vesti cinte come essendo pronti a partire, con i sandali ai piedi e i bastoni da viaggio in mano. Dovevano anche mangiare in fretta, nell'attesa di partire da un momento all'altro. Per undici volte Faraone si era rifiutato di lasciarli partire quindi dovevano agire in fede, credendo che questa volta erano davvero alla vigilia della tanto sospirata partenza, credendo anche che il sangue che avevano spruzzato le porte li avrebbe protetti dalla morte. Esso sarebbe stato considerato come un segno visibile della loro fede, e "Dio" avrebbe fatto in modo che la piaga passasse oltre le loro case. "Per fede Mosè celebra la Pasqua" (Ebrei cap.11:28) La loro fede doveva esprimersi con l'ubbidienza alle precise istruzioni divine. LA PASQUA COME MEMORIALE La liberazione dall'Egitto è stata compiuta una volta e per sempre. La prima Pasqua che in Egitto si era celebrata non doveva essere mai più ripetuta, nel senso rituale almeno, mai più da allora il sangue sarebbe stato messo sulla porta; infatti "l'Eterno IDDIO" aveva dichiarato: quel giorno sarà per voi un giorno di ricordanza… una festa in onore all'Eterno… una festa di istituzione perpetua (verso 14). Da quel giorno e per gli anni a venire, com'è ripetuto più volte in Deutoronomio cap.16:1-8, la Pasqua avrebbe ricordato al popolo, che era "uscito" dall'Egitto. Di anno in anno si raduneranno attorno all'agnello arrostito che ricorderà loro il prezzo pagato per la loro liberazione. LA PASQUA COME MEMORIALE NEL DESERTO Nei Numeri cap.9:1-14 troviamo la Pasqua come memoriale nel deserto. Nel primo mese del primo anno (anno religioso) Israele lascia l'Egitto. L'anno seguente, il primo giorno del primo mese, Israele erige il tabernacolo nel deserto, seguito dalla dedicazione dell'altare per 12 giorni (Numeri cap.7). Erano state accese le lampade in questo santuario, e consacrati i Leviti al servizio di "DIO". Per la prima volta dopo essere stati liberati dal giudizio di Dio, che era caduto su Faraone e sull'Egitto, il popolo celebra il memoriale della Pasqua attorno al Santuario. L'Ebreo che non era impuro, che non era in viaggio e non presentava l'offerta della Pasqua all'Eterno avrebbe portato il suo peccato. Non si prendeva la Pasqua per se stessi, ma per l'Eterno che l'aveva ordinata. LA PASQUA COME MEMORIALE NEL PAESE Deutoronomio cap.16:1-8 ci dà le istruzioni per la Pasqua nel paese. In questo caso viene posta enfasi sul luogo dove "l'Eterno IDDIO" avrà stabilito il ricordo del Suo Nome (versi,2,7). Questo era il solo luogo ove si poteva celebrare la Pasqua. Giosuè cap.5:10-12 ci presenta la Pasqua celebrata in Canaan dopo il passaggio del fiume Giordano. Questa Pasqua è accompagnata da un nutrimento nuovo: 1. vecchio grano del paese 2. pani azzimi 3. grano arrostito. Nei secoli la Pasqua è stata celebrata tante volte, ma la scrittura ce ne riferisce solo sette occasioni, tra queste la Pasqua del profeta Ezechia (2° Cronache cap.30) e la Pasqua di Giosia (2° Cronache cap. 25); in quest'ultimo caso, la fede e l'energia di Giosia, proprio in occasione della Pasqua, portano il popolo ad un risveglio, al ritorno alla Parola e al desiderio di celebrare il memoriale. LA PASQUA COME MEMORIALE IN OGNI LUOGO Sarebbe venuto il giorno in cui il sacrificio di cui la Pasqua non era che l'ombra, doveva compiersi. Nella notte in cui il Signore fu tradito, udiamo la voce del Signor Gesù che parla al cuore dei Suoi discepoli: Ho grandemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima ch'io soffra…». Alla fine della cena, il Signore istituisce un altro memoriale: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo… questo è il mio sangue» per il cristiano, la Cena del Signore ha sostituito la Pasqua Ebraica. Parlerà forse meno ai nostri cuori? Ce ne staremo lontani quando il Signore ripeterà: «Fate questo in memoria di Me» (S.Luca cap.22:15-20). Quindi, Cristo, ha istituito la Pasqua ebraica con la santa Cena, memoriale che dovrebbe ripetersi più volte ai nostri giorni e ogni anno corrente, finchè EGLI non ritorni per prendere i suoi e condurli nel suo Amato regno. Non vogliamo noi ripetere col profeta: «Al tuo nome, al tuo ricordo anela l'anima nostra» (Profeta Isaia cap. 26:8). Oggi, tutti noi oggi che partecipiamo al memoriale della morte del nostro Signore in qualità di veri credenti fedeli, potrebbe esserci rivolta la domanda dei nostri figli,o amici: "Che significa per voi questo rito?" (Esodo cap. 12:26). Certamente con emozione e con affetto non ci lasceremo sfuggire l'occasione di far vibrare nei giovani cuori dei nostri figli e amici qualche risonanza per Cristo, per Colui che ci ha amati sino alla morte e per mezzo del quale abbiamo avuto non solo libertà, ma più ancora vita, vita eterna. A Lui solo degno sia la lode, la gloria e l'onore in eterno. AMEN! LA PASQUA SUPPLEMENTARE «Or vi furono alcuni uomini, i quali essendo immondi per una persona morta, non poterono fare la Pasqua in quel giorno; quindi si presentarono davanti a Mosè e davanti ad Aronne, in quel giorno stesso e dissero loro: noi siamo immondi per una persona morta; perché saremmo noi divietati di offrire l'offerta al Signore nella sua stagione, fra gli uomini di Israele? E Mosè disse loro: Statevene in pace; ed io udrò ciò che il Signore comanderà intorno a voi. E il Signore parlò a Mosè, dicendo: Parla ai figliuoli d'Israele dicendo: "Quando alcun di voi, o delle vostre generazioni, sarà immondo per una persona morta, ovvero sarà in lontano viaggio, non lasci però di fare la Pasqua al Signore. Facciala nel quattordicesimo giorno del secondo mese, fra i due vespri; mangila con azzimi e con lattughe selvatiche. Non lasciarne nulla di resto fino alla mattina; e non ne rompano osso alcuno; facciansi secondo tutti gli statuti della Pasqua» (Numeri cap.9:6-12). Tutto ciò ci parla dell'amore di Dio verso l'uomo; cioè ci parla di una ulteriore possibilità di convertirsi (vedasi per esempio la storia di Ninive - Libro di Giona; l'esperienza di S.Pietro: 'Mi ami tu…?' etc.). SIGNIFICATO TIPOLOGICO DELLA PASQUA La pasqua è sinonimo di passaggio. Con Cristo e in Lui siamo passati dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Egli è la nostra Pasqua (1° Corinzi cap. 5:7). La Pasqua è tipo dell'opera espiatrice di Gesù Cristo (S.Giovanni cap.1:29; 1° Corinzi cap.5:6-7). Questa tipologia è ravvisabile soprattutto nell'agnello pasquale, mirabile figura di "Cristo Gesù" e del Suo sacrificio. Sono almeno tre le tipologie: Prima. L'agnello doveva essere senza difetto (Esodo 12:5) Cristo fu senza alcuna macchia (S.Luca 11:53,54; S.Giovanni 8:40). Seconda. L'agnello doveva essere ucciso (Esodo 12:6) Gesù morì per i peccatori (Giovanni 12: 24; Lettera agli Ebrei 9:22). Terza. Il sangue dell'agnello salvava dalla morte il primogenito della casa (Esodo 12:13). Per il sangue di Cristo abbiamo riscatto e perdono (Giovanni 3:36). TIPOLOGIA DELL'AGNELLO 1. Un agnello. L'agnello della Pasqua era figura di Cristo, "la nostra Pasqua" (1° Corinzi cap.5:7). Cristo è l'agnello di Dio; così Giovanni il Battista Lo indicò (Giovanni 1:29) e il Profeta Isaia disse di Lui: «Come l'agnello menato allo scannatoio, come la pecora muta dinanzi a chi lo tosa, Egli non aperse bocca» (Isaia cap.53:7). 2. Anticamente Un maschio di animale di un anno veniva sacrificato, doveva essere un maschio preso nel periodo migliore della sua vita. Cristo Gesù offrì se stesso nel periodo migliore della sua maturità. Questo parla della forza e della capacità di Gesù. 3. Senza difetto. Questo fa riferimento alla purezza di Gesù. L'Apostolo S.Pietro dice di Lui che era come un agnello senza difetto (1° Pietro cap.1:19); Pilato, che Lo consegna per la crocifissione, disse di non aver trovato alcuna colpa in Lui. Egli era assolutamente innocente. 4. Messo da parte. L'agnello da offrire veniva messo da parte quattro giorni prima della Pasqua. Prima della stessa fondazione del mondo, Dio aveva predisposto il piano della redenzione e Gesù era stato designato per quest'opera. È interessante notare che Gesù entrò trionfalmente in Gerusalemme esattamente quattro giorni prima della Pasqua. 5. Ucciso e arrostito. Ecco raffigurate in modo chiaro le terribili sofferenze di Gesù quando porta i nostri peccati, i nostri dolori e le nostre malattie sulla croce. Egli fu fatto maledizione per noi e soffrì la nostra pena. 6. Ucciso dalla congregazione religiosa. L'intera congregazione di Israele prendeva parte a questa osservanza. Anche per Gesù avvenne la stessa cosa, poiché quando Pilato propose la scelta tra Gesù e Barabba, «essi gridarono tutti insieme: Fa morire costui e liberaci Barabba» (S.Luca 23:18). 7. Nemmeno un osso rotto. Uno degli ordini inerenti al rito della Pasqua era di non spezzare nessun osso dell'agnello: «Non ne spezzate alcun osso» (Esodo Cap.12:46). Ciò si compì esattamente in Cristo (S.Giovanni cap.19:33,36) e mostra la sua forza invitta e il fatto che la morte non aveva, e non ebbe, alcun potere su di Lui. TIPOLOGIA DEL SANGUE 1. Doveva essere asperso. Non bastava versare il sangue dell'agnello, doveva essere applicato sugli stipiti e sull'architrave. Per l'uomo non è sufficiente che Gesù abbia versato il Suo sangue sul Calvario; se per mezzo della fede, non lo applica al suo cuore, non riceverà purificazione. 2. Applicato con l'issopo. (Esodo 12:22). Si trattava di un mazzetto di erbe, immerso nel catino dov'era il sangue che si doveva applicare alla porta. Come possiamo applicare il sangue di Cristo alla nostra vita? È per fede che applichiamo a noi stessi le promesse, «per le quali Egli ci ha largito le Sue preziose e grandissime promesse onde per loro mezzo voi foste fatte partecipi della natura divina dopo essere fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza» (2° Pietro cap.1:4). 3. Messo sugli stipiti. Ciò rappresenta la pubblica dichiarazione che si accetta Cristo come Salvatore. Gli Israeliti non dovevano mettere il sangue dietro le loro case, ma dovevano metterlo davanti. È impossibile seguire Cristo celatamente (S.Matteo cap.5:14-16). 4. Non sulla soglia. (Esodo cap.12:7). Il sangue doveva essere asperso sull'architrave e sugli stipiti. Bisogna avere riverenza per il sangue; bisogna stare attenti a non calpestarlo (Ebrei 10:29), è sangue prezioso (1° Pietro 1:19). 5. Un mezzo di preservazione. I figli di Israele si salvarono perché il Signore vide il sangue e "passò oltre". Siano rese grazie a Dio, poiché il sangue di Cristo protegge il credente fedele dalla Sua ira, dalla condanna della legge e dalla dannazione dell'inferno (Lettera ai Romani cap.8:1). TIPOLOGIA DEL PASTO O NUTRIMENTO DELLA PASQUA In una famiglia sulla quale incombeva la morte è stato introdotto l'agnello; tutto è cambiato, ora vi è la sicurezza e la pace. La notte in cui passa il distruttore ci si nutre della vittima arrostita al fuoco, con dei pani senza lievito e con delle erbe amare. Sette volte nell'istituzione della Pasqua (Esodo cap.12:11) è detto di "mangiare ". Credere al Signore Gesù non è una semplice adesione intellettuale a ciò che la Parola ci dice di Lui, non è una formula magica che occorre ripetere, come qualcuno pretende. Dopo aver detto: "chi crede ha la vita eterna", il Signore Gesù aggiunge: «Se non mangiate la carne del Figliuol dell'uomo e non bevete il Suo sangue, non avete la vita in voi» (S.Giovanni cap.6:47;53). Certamente non si tratta di mangiare e bere fisicamente la Sua carne e il Suo sangue ("le parole che io vi ho dette sono spirito e vita" Giovanni cap.6:63). Ma per avere vita bisogna spiritualmente, nelle nostre anime, con tutto il nostro essere, appropriarsi di questo corpo dato e di questo sangue versato dal Signore Gesù, che solo toglie i peccati: 1. L'agnello doveva essere mangiato. Il proposito di Dio non era che l'agnello fosse semplicemente immolato, bisognava nutrirsi d'esso. In relazione a Cristo, ciò significa che non si deve soltanto ammirarLo per il Suo sacrificio, o sapere soltanto che si è sacrificato, ma bisogna appropriarsi di Lui e riceverLo nella propria vita… 2. L'agnello doveva essere mangiato tutto. Alcuni vogliono prendere soltanto una parte di Cristo, ma non vogliono accettare le responsabilità di una vera vita cristiana. Non basta essere disposti a prendere Cristo e la Sua corona, Egli ha anche una croce e un giogo per il credente. 3. Mangiato subito. (Esodo 12:10). Gli Israeliti non dovevano lasciare nulla fino al mattino, ma dovevano mangiare, possibilmente, tutto l'agnello e bruciare ciò che restava. È una raffigurazione dell'appello del vangelo: «Eccolo ora il giorno della salvezza» (2° Corinzi cap.6:2); non bisogna rimandare al domani la decisione di accettare Cristo nella propria vita. 4. Le erbe amare. Questa specie di lattughe selvatiche accompagnavano il pasto, insieme al pane azzimo, "pane di afflizione" (Deutoronomio cap.16:3); alla gioia prodotta dalla salvezza, a cui si lega la semplicità e la purezza degli azzimi, si mescola il sentimento amaro, (le lattughe), di quanto sono costati i nostri peccati al Signore Gesù. Cordialmente, Antonio.
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 04/04/12 alle 14:33 via WEB
Ti ho comunicato nella posta privata che per stasera credo di completare quanto mi avevi richiesto. Dammi poi un tuo sincero parere.. affettuosamente ti saluto Viviana.
 
champions_3
champions_3 il 04/04/12 alle 17:46 via WEB
IL CAPITOLO DI GIOVANNI 20: 19-23 da te citato; Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al veder il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti. Questo verso biblico va meditato profondamente per conoscere il vero significato e, non soltanto la via letterale, infatti, la chiesa romana si basa solo su questo passo per fare le sue vedute umane. Ma la parola di Dio va meditata ed associata ad altri significati paralleli, quindi, esaminiamo scrupolosamente la parola: Gesù disse: dopo aver dato lo Spitito santo; Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Perciò, Gesù ha stabilito un mandato ai suoi discepoli, quale? N°1 Quello di andare a predicare il Vangelo ad ogni creatura. N°2 La predicazione del Vangelo e ricevuta per fede nel cuore dei veri credenti. N°3 Il credente che riceve la parola predicata ha un effetto nel suo cuore facendo riflessione sulla sua condotta di peccato e, produce in lui un ravvedimento dei propri peccati che, a sua volta procura una remissione dei propri peccati per la fede in Cristo Gesù, il SIGNORE. Ecco perchè Gesù avea detto: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, essa è in virtù della predicazione della sua parola. Pertanto, possiamo associare questo passo biblico dove dice: che il Cristo soffrirebbe, e risusciterebbe dai morti il terzo giorno, " e che nel >> suo nome <<>> si predicherebbe ravvedimento e <<<>>> remissione dei peccati <<>> crede in Lui riceve la REMISSIONE dei peccati <<< mediante il suo nome. Atti degli Apostoli,cap. 10 verso 12-13. Quindi, predicare, ed accettare Cristo nella propria vita produce una gloriosa remissione dei propri peccati. Tra l'altro, Gesù è l'unico mediatore tra DIO e gli uomini. Infatti, c'è un solo DIO e anche un solo Mediatore fra DIO e gli uomini. Cristo Gesù uomo, che ha dato sè stesso come prezzo di riscatto per tutti. 1° Timoteo cap.2:5. Del resto ci sarebbe molto da commentare, ma credo che ciò basti per chi desidera credere alla verità di DIO. Per quanto riguarda la confessione, vedasi i passi biblici precendente a questo commento, ovvero, la risposta all'amico Zelota0. Cordialmente, Antonio.
 
apungi1950
apungi1950 il 04/04/12 alle 19:28 via WEB
Ciao .. Luce e una luce Candida che entra dentro di noi senza bussare irradiando Grazie alla celestiale purezza l'anima ed il cuore di gioia è serenita una splendida serata cara amica con infinite gioie e Amore nel tuo cuore ..un abbraccio..Antonio
 
 
soleincielo83
soleincielo83 il 05/04/12 alle 03:15 via WEB
In questo momento ho il mio turno di preghiera in attesa del venerdì Santo. ti porterò con me,ponendoti davanti al crocifisso in unità di preghiera.Santa notte
 
zelota0
zelota0 il 06/04/12 alle 12:04 via WEB
sull'Eucarestia di san Francesco:"noi abbiamo sempre mostrato a tanti fratelli che vengono dall'inferno, pieni di ferite e di disprezzo verso se stessi, che nella Santa Eucaristia il Signore fa presente il suo amore, morendo e risuscitando per loro; non solo, ma preparando una mensa, un banchetto escatologico, che fa presente il Cielo e dove Lui stesso, pieno di amore, li fa sedere e passa a servirli: "Li farà mettere a tavola e passerà a servirli" (Le 12,37). In questo modo ogni volta che celebrano l'Eucaristia sperimentano la forza che ha il sacramento per trascinarli nella Pasqua di Cristo, facendoli passare dalla tristezza all'allegria, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita ..."Dal Testamento del Serafico Padre. Sul Sacerdozio: "[111] 4 E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: 5 Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. [112] 6 Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. 7 E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. [113] 8 E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. 9 E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. 10 E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. [114] 11 E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. 12 E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso Dal Testamento del Serafico Padre. Sul Sacerdozio: "[111] 4 E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: 5 Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. [112] 6 Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. 7 E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. [113] 8 E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. 9 E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. 10 E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. [114] 11 E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. 12 E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso. Sul Sacrificio Eucaristico: "E cosi ora tutti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l’altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, 10 perché è l’Altissimo stesso che ne dà testimonianza, quando dice: “Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza [che sarà sparso per molti”] (Mc 14, 22.24), 11 e ancora: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna” (Cfr. Gv 6,55)." "[207/a] 1 Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all’ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte che santificano il corpo." "[218] 14 Prego poi nel Signore tutti i miei frati sacerdoti, che sono e saranno e desiderano essere sacerdoti dell’Altissimo, che quando vorranno celebrare la Messa puri, in purità offrano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli uomini (Cfr. Ef 6,6; Col 3,22). 15 Ma ogni volontà, per quanto l’aiuta la grazia divina, si orienti a Dio, desiderando con la Messa di piacere soltanto allo stesso sommo Signore, poiché in essa egli solo opera come a lui piace. 16 Poiché è lui stesso che dice: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11,24), se uno farà diversamente, diventa un Giuda traditore e si fa reo del corpo e del sangue del Signore (Cfr. 1Cor 11,27)."
 
 
champions_3
champions_3 il 06/04/12 alle 19:23 via WEB
IL VERO SACERDOZIO. Ebrei 10:1-10. I sacrificii legali, ogni anno rinnovati, essendo figurativi e meramente animali, non potevano veramente espiare il peccato; per cui la S. Scrittura preannunziava che sarebbero sostituiti dall'offerta migliore del corpo di Cristo. La legge, infatti, avendo l'ombra dei futuri beni, non la forma reale stessa delle cose, non può mai, con i sacrificii che si offrono ogni anno, sempre gli stessi, in perpetuo, render compiuti quelli che si accostano (a Dio). Il gar (infatti) si riannoda al pensiero centrale dei versi precedenti. Era necessario che Cristo apparisse per abolire il peccato portandolo, poichè quanto ai sacrificii prescritti dalla legge, non avevano e non potevano avere efficacia reale per purificare la coscienza del popolo. Che non l'avessero lo dimostra il fatto stesso che ogni anno se ne doveva fare la esatta ripetizione e la ragione per cui non la potevano avere cotesta efficacia stava nel loro valore inferiore. Dei sacrificii animali non, potevano avere che un valore figurativo, provvisorio, educativo. La legge, cioè l'economia legale, non aveva se non l'ombra dei futuri beni. Per futuri beni s'intendono quelli che erano promessi dall'A.T. per l'epoca del Nuovo Patto, vale a dire il perdono completo ed assoluto dei peccati, la riconciliazione con Dio mediante un'espiazione adeguata, il cuore nuovo e lo spirito filiale. La legge data da Dio a scopo di educazione della coscienza, aveva dei sacerdoti ch'erano dei tipi del vero, dei sacrificii ch'erano l'ombra o la figura imperfetta del vero; garantiva un perdono ch'era parziale, rituale, temporaneo, ombra di quello vero ed eterno; non aveva la forma reale delle cose ossia la sostanza stessa, la realtà della salvazione. Il testo dice «l'immagine stessa» ( eikwn ); ma è chiaro che si tratta qui della realtà nella sua vera e propria forma, o come dice Tholuck, della forma essenziale delle cose. L'ombra e l'immagine stessa non sono contrapposti come la statua abbozzata nelle sue grandi linee e la statua condotta a termine, finita in tutti i suoi particolari. C'è più che una differenza nel grado di perfezione; c'è il divario che corre tra la mera ombra di un corpo e la realtà di esso. Per quanto i tre codici unciali più antichi (alef A C) seguiti da critici valenti (Lachm ann , Tregelles, Wescott-Ht, Nestle) abbiano la lezione dunantai (non possono, s'intenderebbe: i sacrificii), siccome l'autore dell'Epistola scrive sempre un greco non solo corretto ma elegante, preferiamo seguire il Tischendorf e il Weiss che, cedendo all'evidenza interna, ritengono il verbo al singolare ( dunatai ) com'è singolare il soggetto (la legge). Le tre espressioni qui adoprate: ogni anno, cogli stessi sacrificii, in perpetuo. sembrano descrivere lo sforzo fatto attraverso lunghi secoli dalle istituzioni legali; ma quello sforzo sempre rinnovato conduce alla conclusione: la legge non può mai render compiuti quelli che si appressano per rendere il loro culto a Dio. La legge coi suoi sacrificii lascia l'adoratore sempre allo stesso punto, non mai pienamente soddisfatto, bisognoso sempre di ricorrere a un nuovo sacrificio, perchè una purificazione interna non è mai raggiunta. Non può render compiuti assicurando il perdono perfetto, la pace con Dio, la libertà filiale di accesso presso a Lui e quindi la comunione permanente con Lui. La prova di questa impotenza dell'istituzione legale sta nel fatto che perdura nel popolo, dopo il sacrificio, la coscienza dei peccati, il senso di colpa, di non compiuta riconciliazione, il bisogno di un nuovo sacrificio, mentre che, se ci fosse nei sacrificii di che soddisfare la coscienza, il popolo, preso collettivamente, dovrebbe sentirsi riconciliato con Dio così da non aver più necessità di offrir sempre nuovi sacrificii. 2 Il testo emendato del v.2 ch'è quello dei codici antichi dà alla frase la forma più viva dell'interrogazione: Altrimenti non si sarebbe egli cessato di offrirli, per la ragione che gli adoratori, una volta purificati, non avrebbero più avuto coscienza di peccati? 3 Ma, invece di questo, c'è in essi [sacrificii] una rammemorazione dei peccati di anno in anno. Invece di compiere la reale espiazione dei peccati, la cerimonia annuale delle espiazioni (kippurim) rievoca la memoria dei peccati commessi così dai sacerdoti come dal popolo, acuisce il senso dello stato di impurità, d'indegnità in cui si trovan tutti, per cui non possono accostarsi liberamente al trono di Dio. N'è chiusa ancora la via. Quei sacrificii «proclamano dunque un bisogno che non soddisfano e che per la loro essenza, non sono in grado di soddisfare» (Westcott). Sotto al Nuovo Patto, invece, Dio non si ricorderà più dei peccati e se nell'adorazione vi sarà una rammemorazione (anamnhsiV), sarà quella della Redenzione compiuta dal sacrificio di Cristo. 4 Perciocchè è impossibile che sangue di tori e di becchi tolga i peccati. Qui sta la ragione ultima dell'impotenza dei sacrificii leali a render compiuti gli adoratori, e l'autore l'esprime in modo esplicito prima di terminare la sua esposizione dottrinale. Il sacrificio d'un animale come quelli che si offrivano alla festa di Kippur non ha nè può avere valore morale; è quindi inadeguato a compier l'espiazione delle colpe d'una creatura morale. Potrà avere un valore rituale educativo e figurativo, ma per la sua natura inferiore non può togliere i peccati cioè togliere dalla coscienza il senso di colpa prodotto dai peccati. Finchè non è espiato da un sacrificio adeguato e cancellato dal perdono, il peccato resta sul peccatore come colpa che aggrava la coscienza e conturba il cuore. Di fronte alla evidente inefficacia dei molti sacrificii rituali, lo scrittore pone il sacrificio di Cristo. l'unico che possegga una efficacia reale per la purificazione del popolo. L'inefficacia dei primi, l'eccellenza del secondo, la sostituzione di questo a quello l'autore la trova preannunziata di già nelle Scritture. È dunque cosa conforme al piano eterno di Dio, talchè chi lascia le ombre dell'antica economia per attenersi alla realtà ch'è Cristo non fa che uniformarsi all'intento divino. 5 Perciò, stante, cioè, la inefficacia inerente ai sacrifici animali, entrando nel mondo, egli dice: Tu non hai voluto sacrificio ed offerta, ma tu mi hai apparecchiato un corpo; non hai gradito olocausti e [sacrifici] per lo peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo, è scritto di me nel rotolo del libro, per fare, o Dio, la tua volontà. Il Salmi 40 essendo ritenuto messianico, l'autore considera le parole qui citate come suscettibili di applicarsi direttamente a Cristo, come esprimenti i sentimenti di lui alla sua entrata nel mondo, cioè nel tempo della sua incarnazione ed umiliazione. Le espressioni «entrar nel mondo», «venir nel mondo» 1°Timoteo 1:15 ed altre analoghe presuppongono la preesistenza del Figlio preso al Padre. Sacrificio ed offerta abbracciano le varie specie di sacrificii cruenti ed incruenti prescritti dalla legge. Gli olocausti espressione dell'adorazione e della consacrazione ed i sacrificii per il peccato ossia espiatorii, sono due specie di sacrificii cruenti. Dicendo: Non hai voluto... non hai gradito, colui che parla nel Salmo non intende già negare la divina istituzione del culto di adorazione rituale, ma vuole semplicemente accentuarne un carattere inferiore, transitorio di fronte a qualcosa di meglio. Questo meglio corrisponde alla volontà ultima di Dio riguardo alla salvezza dell'uomo. Il vero sacrificio, secondo il disegno di Dio, non è quello di vittime animali, ma quello d'una personalità morale, vivente, santa, di valore infinito, in una parola, quello del Figlio fatto carne. A siffatto sacrificio accenna il Messia quando dice: Tu mi preparasti, o formasti, un corpo. L'incarnazione infatti era la condizione necessaria perchè il Figlio potesse offrir sè stesso in sacrificio, Cofronta Ebrei 2:14-18. 7 Le parole seguenti: Ecco io vengo... per fare o Dio la tua volontà, descrivono il carattere volontario dell'abbassamento del Figlio e la sua disposizione fondamentale ad ubbidienza durante la sua vita terrena. «Trovato nell'esteriore come un uomo, abbassò sè stesso, col farsi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce» Filippesi 2:7-8. E questo per compiere tutto il consiglio di Dio rivelato nel volume delle Scritture, per la salvazione del mondo. Di tale disposizione fanno fede molte parole di Cristo riferite nei Vangeli. Esemp. Giovanni 6:38; 17:4; Matteo 26:39-40 ecc. Il termine kefaliV (kefalis) significa propriamente la estremità del piccolo cilindro di legno attorno al quale si avvolgeva la pergamena od il papiro che formava il rotolo o volume contenente una porzione della Scrittura. Quindi venne a designare il rotolo stesso. Risponde all'ebraico meghillah. La citazione qui riportata è tolta da Salmi 40:7-9. Come al solito, l'autore segue la versione dei Settanta, ma, la cita abbreviandola e facendovi qualche lieve cambiamento come avviene a chi riporta a memoria un passo conosciuto. L'esame di questa citazione offre però delle difficoltà più serie quando la si confronti coll'originale ebraico. Dove la Settanta legge «tu mi hai apparecchiato un corpo», l'ebraico legge «tu mi hai aperto (lett. scavato) delle orecchie». La versione Diodati «tu mi hai forate le orecchie» non si giustifica. Come spiegare l'espressione della Settanta che si ritrova in tutti i codici meno uno? C'è chi vi ha veduto una svista di amanuense nel copiare le due parole hqelhsaS WTIL di cui il copista avrebbe fatto hqelhsaV, SWTMA de... trasformando così, per una certa somiglianza di lettere, «orecchie» in «corpo». Si sa che tutti i codici più antichi del Nuovo T. sono copiati in lettere maiuscole, senza separazione tra le parole. Altri invece considera la Settanta come versione libera intesa a rendere il pensiero dell'ebraico in una forma intelligibile ai Greci. C'è poi sempre la possibilità che il traduttore avesse una variante nel suo testo ebraico. Dove poi la Settanta seguendo letteralmente l'ebraico, legge: «Nel rotolo del libro è scritto intorno a me», varie versioni moderne traducono: «col rotolo del libro scritto a mia intenzione», o per me. In genere, è evidente che la versione greca si presta assai più facilmente dell'Ebraico ad una applicazione messianica, così per la prima come per la seconda delle varianti notate. Ma è chiaro che l'autore non ha potuto alterare lui il testo, poichè altrimenti l'argomento che ne trae avrebbe perduto ogni valore agli occhi dei lettori che conoscevano la Settanta. Da questo passo, però, come da Ebrei 9:15-18 e da altri luoghi, e chiaro che l'ipotesi di un originale ebraico della Lettera è insostenibile. È del pari evidente che il metodo di citazione dell'Antico T. seguito dall'autore non è quello di S.Paolo. Più importante è la questione di sapere in qual senso il Salmi 40 può riguardarsi come messianico. Profezia diretta non è, poichè il Salmo ha il suo senso storico. La soprascritta lo attribuisce a Davide e non c'è argomento interno che si opponga all'indicazione della soprascritta. Essa risponde alla situazione d'animo in cui ha dovuto trovarsi Davide quando, perseguitato, aveva già fatto l'esperienza delle liberazioni dell'Eterno in cui avea posta la sua fiducia. Gli sgorga allora dal cuore il sentimento della riconoscenza e la supplicazione per l'avvenire. Come manifesterà egli la sua grata divozione? Non con dei sacrificii solamente, ma con qualcosa di più personale, coll'ubbidienza che val meglio dei sacrificii. (Cofr. 1°Samuele 15:22; Salmi 50:7-15; 51:17-18; profeta Isaia 1:11; profeta Geremia 6:20; 7:21-23; Osea 6:6; Amos 5:21-24; Michea 6:6-8). Egli presenta quindi la propria persona quale offerta vivente, per fare, nelle circostanze in cui Dio lo pone, la volontà di Dio secondo ch'è scritta nel libro della legge, cui il re teocratico era tenuto di prestare ascolto in modo speciale Deuteronomio 17:18-20. Per questo gli ha Iddio aperta la mente per comprendere ed il cuore per ubbidire. In questi sentimenti del re teocratico per eccellenza per quanto peccatore Ebrei 10:13 ed incapace di tradurli pienamente in atti, vengono prefigurati quelli del Servo di Geova perfetto, il quale offrirà sè stesso in sacrificio per adempiere il piano di Dio per la salvazione del mondo (Cofr. Isaia 53). Il poco valore dei sacrificii legali figurativi ed il valore superiore, reale, dell'offerta volontaria di sè stesso fatta dall'Unto del Signore per compiere i disegni di Dio, sono i due punti in cui meglio combaciano le dichiarazioni di Davide con quelle del Messia. Solo, gli slanci ispirati del personaggio tipico, acquistano un senso assai più profondo ed assoluto nel caso dell'antitipo ch'è Cristo. Egli solo ha veramente abolito i sacrificii legali sostituendovi il proprio sacrificio. Egli non ha ubbidito soltanto, imperfettamente, ma per conseguire la salvazione degli uomini si è reso, lui giusto, ubbidiente fino alla morte della croce. Nelle espressioni ispirate del Salmo davidico l'autore vede quindi una dichiarazione anticipata del carattere inefficace e transitorio dei sacrifici legali, e l'annunzio profetico della sostituzione a quelli del sacrificio volontario ed unico del Messia. 8 Avendo detto più sopra: «Tu non hai voluto nè gradito sacrifici ed offerte, olocausti e sacrificii per lo peccato», che sono appunto quelli che si offrono secondo la legge, allora ha detto: «Ecco io vengo per fare la tua volontà». Egli toglie il primo affin di stabilire il secondo. L'espiazione mediante il sacrificio di Cristo è fin dal principio la pietra fondamentale del disegno di Dio per la salvazione. I riti levitici non sono voluti da Dio che in via di preparazione tipica e pedagogica, la quale ha da cessare quando siano maturi i tempi per l'offerta del vero sacrificio. Onde il popolo non perda di vista il carattere transitorio dell'economia mosaica, la profezia ricorda spesso che i riti in sè non hanno valore morale agli occhi di Dio e che una migliore economia sta per venire. (Cofrontare Salmi 110; profeta Geremia 31:13 e segg.). 10 Per questa «volontà» noi siamo stati santificati, per mezzo [cioè] dell'offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. Per quella volontà o per quel disegno di Dio adombrato nel Salmo e compiuto da Cristo, siamo stati santificati, siamo stati purificati dalla contaminazione del peccato che ci impediva di appressarci a Dio, e siamo stati a lui consacrati qual popolo suo. È usato il perfetto perchè si tratta di un atto compiuto una volta per sempre a favore dell'intiero popolo di Dio e considerato nelle sue conseguenze ultime che sono la santificazione perfetta e perpetua dei veri credenti. Infatti a meglio specificare che il centro del disegno di Dio è il sacrificio di Cristo, lo scrittore aggiunge per mezzo dell'offerta... fatta una volta per sempre. 11 Ebrei 10:11-18. Il sacrificio di Cristo offerto una sola volta, ha una efficacia eterna. E mentre ogni sacerdote è in piedi ogni giorno ministrando ed offrendo le molte volte gli stessi sacrificii, i quali giammai non possono togliere completamente i peccati, questi avendo offerto un unico sacrificio per i peccati, si è posto a sedere per sempre alla destra di Dio. I codici antichi e i critici si dividono tra le due lezioni «ogni sommo sacerdote» (arciereuV) e «ogni sacerdote» ('iereuV) ma le maggiori probabilità sono per quest'ultima lezione stantechè difficilmente può dirsi del sommo sacerdote ch'egli è ogni giorno in piedi per fare il suo servizio. La descrizione del ministerio del sacerdote levitico ordinario mira a dimostrare quanto fosse effimera l'efficacia dei sacrificii rituali. Sono offerti da ogni sacerdote a misura che si succedono le generazioni; sono offerti ogni giorno, per cui il sacerdote non ha requie e deve esser in pie' senza posa per compiere un servizio che non raggiunge mai il suo fine. Ed i sacrificii sono sempre gli stessi che si devono offrire un numero di volte incalcolabile; eppure, nonostante tutta questa perpetua ripetizione, giammai non si giunge a un risultato positivo e definitivo; giammai questi sacrificii non possono togliere i peccati espiandoli. Il verbo qui usato periairein significa letteralmente «togliere tutto intorno» e sembra contenere l'immagine di una veste che avvolge la persona e di cui ha bisogno d'essere spogliata completamente in una volta (confr. 2°Corinzi 3:16). Questo levare del tutto dalle spalle del peccatore il grave manto della colpa che lo avvolge, è cosa che gl'innumerevoli sacrificii legali non possono compiere. Sempre sono rinnovati e giammai non raggiungono il fine di dar pace all'anima. 12 Al perpetuo, monotono e inefficace affannarsi dei sacerdoti levitici, l'autore contrappone l'opera compiuta una volta per sempre e per sempre efficace del Sacerdote del Nuovo Patto. Egli ha offerto un unico sacrificio, quello della propria vita, e dopo questo, come fa chi ha «tutto compiuto» ed entra a godere i frutti della propria fatica. si è posto a sedere per sempre alla destra di Dio. Oramai, l'unica opera sacerdotale ch'egli compia è quella di far valere l'efficacia del proprio sacrificio intercedendo per i suoi. All'opera sacerdotale, innalzato com'è alla destra di Dio ed associato al suo governo, egli unisce l'opera regale estendendo il suo regno nel mondo «adoprando il suo potere nel promuovere il trionfo del bene sul male, dirigendo la battaglia tra il regno della luce ed il regno delle tenebre» (Bruce), sicuro della vittoria finale. 13 Del rimanente aspettando che i suoi nemici sieno, secondo la promessa divina contenuta nel Salmo 110, posti per sgabello ai suoi piedi, ossia vinti ed a lui sottoposti. Lo saranno senza eccezione al suo glorioso avvenimento. 14 Egli può tenere una tale attitudine, perciocchè, con un'unica offerta, egli ha resi compiuti per sempre i santificati. Non ha quindi da rinnovare il suo sacrificio in lor favore. Quell'unico da lui offerto sulla croce ha un'efficacia completa ed eterna in favore dei santificati cioè di coloro che sono purificati col suo sangue e posti in grado di servire a Dio come un popolo di sacerdoti. Per parte di lui tutto è compiuto; ma ciò non toglie che l'efficacia del sacrificio venga poi sperimentata. dalla vera fede individuale in modo graduale. 15 Or anche lo Spirito Santo, che parla per mezzo dei profeti, ce ne rende testimonianza.
 
   
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champions_3 il 06/04/12 alle 19:25 via WEB
Nelle S. Scritture; attesta cioè che nel Nuovo Patto sarà raggiunto il compimento e la piena ed eterna riconciliazione con Dio. 16 Infatti dopo aver detto: «Questo è il patto che io stabilirò con loro, dopo quei giorni», Il Signore dice: «metterò le mie leggi nei loro cuori, e le scriverò nel loro intendimento, e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità». Ora, dove c'è remissione di questo, non c'è più offerta per il peccato. Il passo qui recato, e liberamente abbreviato è quello stesso che l'autore ha già citato e commentato al Cap. VIII; profeta Geremia 31:31 e segg. L'inciso dice il Signore fa parte della parola profetica in Geremia. Ma siccome manca alla fine del verso 16 il verbo corrispondente al «dopo aver detto» del 15, è naturale che lo si veda in questo inciso. «Dopo aver detto» così e così «il Signore dice» quest'altro che l'autore vuol sottolineare, in ispecie la promessa del perdono assoluto e perpetuo contenuta nell'ultima parte della parola profetica. 18 Ora quando il popolo riceve un tal perdono concesso sulla base del sacrificio che ha da inaugurare il Nuovo Patto, non c'è più bisogno di altro sacrificio, nè quello offerto ha da esser ripetuto poichè ha ottenuto il suo fine. Le trasgressioni occasionali che si verificheranno sono coperte dall'efficacia infinita e perpetua dell'unico sacrificio di Cristo. Ammaestramenti 1. La realtà del sacrificio di Cristo ci è qui attestata dalle varie espressioni adoperate per designarlo. È stato un offrir se stesso, un essere offerto, un soffrire la morte, il sacrificio di sè stesso, l'offerta del proprio corpo per parte di Gesù Cristo e le sezioni precedenti ci parlavano del sangue di Cristo. Il carattere espiatorio del sacrificio è parimente affermato in varii modi in questi pochi versetti. Cristo è apparso per l'abolizione del peccato mediante il sacrificio di sè stesso, per portare i peccati di molti. Coll'offerta del proprio corpo egli ha santificato il suo popolo, ha resi compiuti in perpetuo i santificati, ha ottenuta per loro la remissione dei peccati. La sapienza di qualche filosofo potrà affermare che «il riscatto non: è stato pagato al diavolo che non ci aveva alcun diritto; non è stato pagato a Dio perchè il Padre non ne aveva alcun bisogno; ma e stato pagato agli uomini peccatori dall'amore stesso di Gesù che li volea salvare» (A. Sabatier). La «virtù redentrice dell'amore» si rivela in questo che il Cristo ha dato la propria vita per portare i peccati del mondo. Sopratutto, l'Autore pone qui in rilievo l'unicità del sacrificio di Cristo. Come unico è il sacerdote del Nuovo Patto, unico è altresì il sacrificio da lui offerto. Già in Ebrei 10:12 avea detto: «è entrato una volta sola» nel santuario; e qui svolgendo il contrasto tra i sacrificii levitici offerti ogni anno, anzi ogni giorno, egli vien ripetendo «Una volta Cristo è apparso», «una volta è stato offerto», «una volta per sempre» fece l'offerta di sè stesso, «con un'unica offerta» ha resi compiuti i santificati che si appressano a lui, e dopo questa «non c'è più luogo ad offerta per il peccato». Se il suo sacrificio avesse avuto una efficacia limitata e temporanea come quelli offerti dai successori di Aaronne, la storia avrebbe dovuto registrare una serie di successive incarnazioni del Messia seguite da altrettante passioni; ma la storia registra un'unica incarnazione del Verbo nel compimento dei tempi. E quando il Figliuol di Dio assunse la nostra natura egli fu simile a noi in ogni cosa salvo il peccato. Non gli fu imposto quindi di morir più volte. Infatti, come lo proclama la sua risurrezione, coll'unico suo sacrificio egli ha ottenuta una redenzione eterna, egli ha abolito il peccato, ne ha procurato, completa ed eterna remissione, ha reso compiuto il popolo di Dio, ha purificata la coscienza dalle opere morte. A che ripetere un sacrificio che ha pienamente raggiunto il fine? A noi spetta l'appropriarci, mediante la fede, l'efficacia perfetta di quell'unico sacrificio; il cibarci per fede, *spiritualmente*, della carne e del sangue di Cristo; «l'appressarci di vero cuore, con piena certezza di fede, per la via che ci è stata aperta dal sangue della croce, il ricorrere in ogni tempo pentiti e fidenti alla virtù di esso, affinchè il sangue del Figliuol di Dio» ci purghi d'ogni peccato». «Figliuoletti miei, vi scrivo queste cose acciocchè non pecchiate; e se alcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto; ed esso è la propiziazione per i nostri peccati...» 1°Giovanni 2:1-2. 2. La ripetizione annuale, anzi quotidiana, protraentesi per lunghi secoli, degli stessi sacrificii animali, e considerata dall'autore come prova evidente della loro intrinseca inefficacia, attestata d'altronde dalla profezia, a liberare la coscienza con adeguata espiazione del peccato. A quella moltitudine di sacrificii adombrativi, egli contrappone l'unico sacrificio di Cristo, offerto una volta per sempre e di efficacia assolata e perpetua. Di fronte ad un insegnamento così esplicito è impossibile fare astrazione della dottrina romana circa il sacrifizio della messa. Ne abbiamo toccato di già al Cap. VII riportando una citazione del Martini il quale osserva intorno alla fine del Cap. IX: «Cristo è tuttora pontefice perchè sè stesso offerto già e sacrificato sopra la croce, di continuo offerisce all'eterno suo Padre, e ciò singolarmente nell'augustissimo sacrificio della Messa pel quale i meriti della passione e morte di lui sono a noi in singolar maniera applicati». E altrove (sub. Ebrei 8. «Cristo presente sui nostri altari, in virtù delle parole della consacrazione, si offerisce quotidianamente all'eterno Padre, per le mani del sacerdote, ostia viva, santa, sempre gradevole a Dio, sempre atta ad impetrare per noi le benedizioni celesti». Ed ancora (sub. C. X): «Lo stesso corpo adunque e lo stesso sangue di Cristo offerto un dì sulla croce, offeriamo noi a Dio, ogni giorno; sui nostri altari». A sua volta il gesuita Curci così scrive: «Chi s'immaginasse che il sacrifizio della Messa sia cosa distinta e peggio se lo supponesse diverso da quella oblazione UNICA, romperebbe certamente nei gravi errori in cui si ravvolse nel sec. XVI, per tale rispetto la Riforma, la quale riuscì a costituire una religione senza sacerdozio, (quello di Cristo non conta??) se pure è vero che sacerdozio non può esservi senza sacrifizio. Ma il Concilio di Trento trovò nella dottrina e nella pratica della Chiesa quanto bastava a condannare quegli errori... La sostanza n'è che il sacrifizio della Messa lungi dall'essere distinto e meno ancora diverso dall'unica oblazione compiuta da Cristo, è affatto identico con quella, della quale è una riproduzione, o se vuolsi ancora una continuazione incruenta con due effetti che in questa materia sono capitalissimi. L'uno, ordinato da Gesù medesimo S.Luca 2:19; 1°Corinzi 11:24 è commemorativo, ne già della cosa, la quale come dissi, è sostanzanzialmente la, medesima, ma del modo cruento, a cui com'è chiaro per sè, non si potea dar luogo che una sola vota. L'altro effetto, è per così dire, applicativo, in quanto per esso l'unica oblazione, sufficiente per sè anzi esuberanti alla espiazione di tutti i peccati passati e futuri, non viene recata in atto pei singoli, se non sotto condizioni richieste dal loro essere di ragionevoli e liberi». E più sotto riparla di «quella espiazione perpetuata sapientemente come se ne perpetua l'incessante bisogno». Alla base della dottrina del sacrifizio della Messa sta quella della transustanziazione del pane e del vino, dottrina che non trova appoggio nelle sacre Scritture ove non mancano i luoghi in cui l'hoc est equivale a: «questo significa» o «rappresenta», e che sta in violenta contradizione colla ragione e coi sensi. Ma dato pur che Cristo fosse presente corporalmente negli elementi e che i partecipanti mangiassero materialmente la sua carne ed il suo sangue, non ne risulterebbe che la Messa fosse un sacrifizio offerto a Dio. Alla formazione di una cotal dottrina contribuì, più che altro, la nozione che il ministro cristiano sia un sacerdote in senso speciale ed il clero costituisca una casta sacerdotale. Ora anche questa nozione derivata dal paganesimo e dal giudaismo non trova appoggio nel Nuovo Testamento ove i ministri del Nuovo Patto sono chiamati banditori del Vangelo, pastori e dottori, conduttori, sorveglianti, ecc., non mai sacerdoti. E l'Epistola agli Ebrei in ispecie insiste sul fatto che l'unico sacerdote del Nuovo Patto è il Cristo immacolato, ora sedente alla destra di Dio, il qual non ha successori perchè vive sempre per interceder per i suoi. Mercè l'opera sua, i credenti sono tutti fatti sacerdoti in quanto che tutti hanno libero accesso al trono di Dio e tutti possono e devono «per mezzo di lui, offrire del continuo a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto delle labbra che confessano il di lui nome», ovvero ancora i sacrificii a Dio graditi della «beneficenza e comunicazione dei beni» Ebrei 13:15-16; Filippesi 4:13; Cofr. Romani 12:1. Non regge dunque l'affermazione del Curci che la Riforma, ritornando al Vangelo, abbia costituito una «religione senza sacerdozio». Al sacerdozio di uomini peccatori e mortali, il Cristianesimo, e dopo di esso la Riforma, ha sostituito il sacerdozio perfetto, unico ed eterno del Cristo. Se il prete non ha alcun sacerdozio speciale distinto da quello di ogni credente cade di necessità anche la nozione del sacrifizio della Messa. Rispetto a questo, una confusione tra sacrifizio espiatorio e sacrifizio di ringraziamento si venne infiltrando gradualmente nella chiesa. I primi cristiani chiamarono bensì Eucaristia (ringraziamento) la Santa Cena, perchè facendo la commemorazione del sacrificio di Cristo non potevano a meno di offrire a Dio i loro rendimenti di grazie. Ma da questo ad una ripetizione del sacrifizio espiatorio corre un abisso. La natura ed il fine precipuo della S. Cena vennero definiti da Cristo quando disse: «Fate questo in rammemorazione di me», e volle dire del suo corpo rotto e del suo sangue sparso per la remissione dei peccati. Si tratta di commemorare un fatto compiuto una volta per sempre e ciò a scopo di personale edificazione nella pietà, di comunione fraterna coi veri credenti, di confessione della fede davanti al mondo. «Ogni volta, dice S.Paolo, che voi mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finchè egli venga» 1°Corinzi 11:26. Non si tratta dunque di «ripetere» lo stesso sacrificio, di «continuarlo», di «riprodurlo» in modo incruento ma pur sostanzialmente identico, di «offrirlo a Dio per le mani del sacerdote» sopra «gli altari», di «perpetuarlo sapientemente». Come si può parlare di riprodurre o ripetere l'identico sacrificio del Golgota, quando manchi l'essenza di esso, lo spargimento del sangue, il dono della vita? Si può «continuare» la morte sofferta dal Cristo? Con qual diritto si vuol limitare il carattere commemorativo della Santa Cena al solo «modo cruento» del sacrificio del Golgota? Questo sa di cavillo per sfuggire all'evidenza. Gesù disse: «Fate questo in memoria di me», della mia passione e della mia morte espiatoria per le quali avete la remissione dei peccati. Quanto al veder nella Messa il mezzo di applicare ai fedeli la virtù del sacrificio di Cristo, è nozione fondata non solo sopra la erronea dottrina della transustanziazione, ma sopra una interpretazione materialistica del discorso tenuto da Cristo in Capernaum sul pane della vita Giovanni 6. Eppure, a prevenire una simile materializzazione delle sue parole, Gesù aveva avuto cura di spiegare l'immagine del «mangiar la sua carne e bere il sino sangue» dandone il senso con queste altre: «Chi crede in me ha vita eterna» ed osservando in fine che le sue parole erano «spirito e vita», non materia e rito esterno. Di fronte a queste aberrazioni della teologia romana che ha ricondotto la Chiesa sotto al regime dei molti sacerdoti, sempre in piedi per offrire, ogni giorno, gli stessi sacrificii, che mai non affrancano la coscienza, la nostra Epistola proclama alto e forte che Cristo «apparve una sola volta nel compimento dei secoli per abolire il peccato», che soffrì una sola volta, che morì una sola volta, che offrì un unico sacrificio di eterna efficacia, e l'offrì una volta per sempre ponendo fine con esso alla. moltitudine dei sacrificii adombrativi. Ora siede nei cieli, ne tornerà la seconda volta per coronar di gloria i suoi. Ricorrano liberamente le anime affamate ed assetate di perdono e di pace alla virtù perfetta del sacrifizio di Cristo, ma vi ricorrano rivolgendosi direttamente, senza umani mediatori, con fede personale, al Cristo vivente e simpatizzante, ed al Padre nel nome di lui e troveranno vera pace. «Venite a me, ha egli detto, ed io vi darò riposo». Il sistema romano che materializza e sottopone alla mediazione di uomini peccatori la virtù del sacrificio di Cristo, quale tipo di pietà ha esso prodotto? Una pietà senza conversione, senza interna pace con Dio, senza certezza della salvazione finale, senza libertà filiale, senza inni di allegrezza, schiava di forme e di riti e di uomini. 3. Osserva lo Schlatter che qui si delinea sotto varii aspetti la differenza che separa l'antica dalla nuova, economia. Là c'è ricordanza continua di peccati, qui c'è perdono; là non c'è vera purificazione, qui c'è santificazione; là ogni cosa resta incompiuta, qui c'è perfezione. Ma, obietta egli, forse che non dobbiamo quotidianamente vigilare sul peccato ch'è in noi e domandare quotidianamente il perdono? Sì certo, poichè Gesù stesso c'insegnò a farlo. Ma la diversità fra noi e gli uomini dell'antico patto sta non in ciò che noi siamo in noi stessi o facciamo da per noi: ma sta in ciò che per noi Cristo è e fece; sta nell'opera e nel dono di Dio in Cristo. In Lui abbiam pieno perdono, libera entrata presso a Dio, compiuta santità, piena introduzione nei beni eterni. Il risultato ed il frutto dell'opera di Cristo è la nostra teleiosis o perfezione. Questi beni li possediamo ora per fede in Cristo, donde la necessità di dimorar fermi in essa. 4. «Il mistero dell'Incarnazione sta in questo che Dio abitò in un corpo. Il mistero della Espiazione consiste nell'offerta fatta una sola volta del corpo di Cristo. Il mistero della Redenzione compiuta consiste nell'abitazione dello Spirito Santo nel corpo per santificare appieno anche cotesto organo dell'anima. Il vostro corpo è tempio dello Spirito... Glorificate Iddio nel vostro corpo» Non ho nulla contro le persone di qualsiasi religione, mi attengo al comandamendo di Gesù, Ama il prossimo tuo come te stesso! Ma sono contrapposto verso tutte quelle teologie che non sono altro che figura di dogma umano, e non secondo DIO. Se i sacerdoti desiderano rimanere tali, quandanche non vi sia più il servizio sacerdotale come lo esercitavano i Leviti, come i Leviti si debbono sposare per non dimorare nel peccato. Or il Sacerdote di Madian aveva sette figliuole, ed esse vennero ad attinger acqua, e a riempire gli abbeveratoi per abbeverare il gregge del Padre loro. Esodo,cap.2:16. Confrontare, Esodo,cap. 21: 1 a 15; Nessun Sacerdote berrà vino...Non prenderanno per moglie nè una vedova, nè una donna ripudiata , ma prenderanno delle vergini della progenie della casa D'Israele...Ezechiele, cap. 44:21 a 25, Poi Gesù, entrato nella casa di Pietro, vide la *suocera* di Lui che giaceva in letto con la febbre... S. Matteo,cap.8:14; Confronta, 1° Corinzi, cap. 9:1 a 5; Bisogna dunque, che il VESCOVO sia irreprensibile, Marito di una sola moglie, sobbrio, assennato...che governi bene la propria famiglia e tenga i Figliuoli in sottomissione e in tutta riverenza...1°Timoteo, cap.3 verso 1 a 7. Dunque, ciò è stato stabilito da Dio, e non dagli uomini! Appressarsi a Dio! E questo il bisogno umano che sta alla base di tutte le religioni anche le meno pure, e che solo il vero cristianesimo è in grado di soddisfare. Per secoli, sul luogo santissimo degl'Israeliti stava scritto: Non entrare! L'uomo non può abitare alla presenza di Dio, nè dimorare nella sua comunione. Ora tutto è mutato. Mediante l'opera sacerdotale di Cristo, e più propriamente, mediante il suo cruento sacrificio espiatorio, la via ad una intima e filiale comunione con Dio è stata aperta e non ad alcuni soltanto ma a tutti quanti i credenti. Inoltre sulla casa di Dio è stabilito in perpetuo qual Sacerdote ed unico Mediatore il Figlio di Dio fatto uomo, ed egli vive sempre per intercedere a favor dei suoi. Appressiamoci al Dio vivente, liberamente, in ogni tempo e luogo, ministri e fedeli tutti, per offrirgli, nel nome di Cristo, il sacrificio delle nostre lodi e della nostra riconoscenza, per presentargli l'incenso delle nostre supplicazioni, per udir la voce sua, per goder della sua santa e dolce presenza, per ricevere nuova misura del suo Spirito di amore e di forza che faccia di noi degli strumenti di benedizione. Una vita di costante comunione con Dio è dovere nostro ed è cosa possibile. Dio vi ci chiama, il sangue di Cristo ce ne apre la via, il grande Sacerdote vive per mantenerci in quello stato felice. Appressiamoci con le disposizioni che si convengono al vero adoratore del Nuovo Patto: di vero cuore, non di corpo, o di labbra, o di testa soltanto, ma di cuore e non con un cuor freddo e diviso, ma con cuor devoto, sincero, umile, riconoscente, filiale; la religione non è nulla se non è cosa del cuore: appressiamoci con piena certezza di fede nelle promesse di Dio e nell'opera compiuta da Cristo; con la pace e l'allegrezza del perdono eterno assicuratoci dal sangue di Cristo, e per conseguenza come veri figli al Padre riconciliato e non più come dei peccatori tremanti dinanzi al Giudice. Il cuore ch'è conscio della grazia ricevuta, ed in cui lo Spirito spande del continuo il senso dell'infinito amor di Dio e quello ch'è meglio disposto ad avvicinarsi a Dio per adorare e per servire. Cordialmente, Antonio.
 
zelota0
zelota0 il 06/04/12 alle 13:00 via WEB
Quando ci vediamo davanti a Dio come sudici e lebbrosi, privi di bontà,combattendo per credere in Dio, sempre pieni di desideri carnali, sappiamo che, nel profondo delle nostre anime, niente basta per renderci degni. Così Dio, nel suo amore e misericordia infinita verso tutte le persone in ogni tempo,mantiene la Chiesa viva, affinché i cancelli dell' Ade non prevarranno contro di Lei. Finché il suo Signore non tornerà sulla terra, Essa continuerà a predicare la verità, anche se essa sia nascosta dal mondo e debba essere trovata attraverso una diligente ricerca. Ma Essa sarà là. Le eresie verranno e le eresie se ne andranno. I Santi illumineranno la sua sacra esistenza prima che essi, a loro volta, passeranno per lavorare per i suoi membri in paradiso. Ma il messaggio rimane lo stesso. La verità non cambia mai. Coloro che vendono la loro fede per le cose terrene (anche se essi mantengono il nome di cristiani alla fine essi svaniranno nell'oblio che hanno guadagnato. "La verità del Signore durerà di generazione in generazione" (Salmi 99:5). "Combatti per la Fede che una volta fu consegnata ai Santi" (Giuda 3).
 
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zelota0 il 06/04/12 alle 13:08 via WEB
M A R I A. Nel Nuovo Testamento, Maria è presente soprattutto nei tre momenti costitutivi del mistero cristiano: l’Incarnazione, il Mistero pasquale e la Pentecoste. - È presente nell’Incarnazione perché essa è avvenuta in Lei; il suo grembo - come dicevano i Padri della Chiesa - è stato il "telaio" o il "laboratorio" in cui lo Spirito Santo ha intessuto al Verbo la sua veste umana, il "talamo" in cui Dio si è unito all’uomo. - È presente nel mistero pasquale perché è scritto che "presso la croce di Gesù stava Maria sua madre" (cfr. Gv 19,25). - È presente nella Pentecoste, perché è scritto che gli apostoli erano "assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù" (cfr. At 1,14). Seguendo Maria in ognuna di queste tre tappe fondamentali, siamo aiutati a metterci alla sequela di Cristo in modo concreto e risoluto, per rivivere tutto il suo mistero.
 
zelota0
zelota0 il 06/04/12 alle 14:17 via WEB
Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me"... Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». È Pasqua, l'evento legato indissolubilmente alla morte e risurrezione del Figlio di Dio e alla sua croce. Il mistero della croce, che noi vediamo e viviamo quotidianamente in tutta la sua crudezza. "Scandalo e stoltezza" se il nostro sguardo non è illuminato e sorretto dalla luce della fede, se ci trova nella stessa situazione dei giudei e dei pagani del tempo, o se leggiamo gli eventi come i due discepoli di Emmaus prima del loro incontro con il Risorto, ma vessillo di vittoria e garanzia di vita nuova se siamo e possiamo dirci "illuminati" come i primi fedeli cristiani, certi di risorgere con Cristo dopo le nostre personali e dolorose "passioni". Pasqua è dunque la possibilità nuova che riceviamo da Dio, quella di comprendere che davanti a noi c'è un futuro di speranza, che la croce non è la fine di tutto, ma l'inizio di una vita nuova. Ci proietta oltre gli eventi del tempo, al di là della nostra fragile storia, verso le definitive certezze ultraterrene, nel Regno dei viventi. Troviamo sicuro motivo di fiducia, alimento salutare alla nostra fede, la gioia di vivere la Pasqua se con fede fissiamo lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto con i nostri peccati, se ci lasciamo avvolgere dal fascino misterioso di una storia che ci svela un Amore infinito e misericordioso, che ci spinge perfino a credere che il buon Dio sul Calvario abbia quasi rinunciato alla sua onnipotenza per far brillare in tutto il suo fulgore la volontà di riaverci tutti come figli in un vincolo di perenne comunione e indefettibile alleanza. Saliamo insieme sul monte e poniamoci in ascolto per cogliere in modo sapienziale un momento particolare che accade sul calvario: rileggiamo un insolito dialogo tra due uomini appesi a una croce, sospesi tra terra e cielo: da una parte Gesù il Figlio di Dio, destinato a una morte ignominiosa quanto ingiusta e assurda; dall'altra un comune malfattore, uno dei tanti, uno come noi, tutti rei di peccato e intaccati dal male, che pagava il prezzo legale dei suoi crimini. In questo insolito dialogo, dinanzi alla tragedia della morte, si parla di vita ultraterrena. Il malfattore crede che la sofferenza, la croce e la morte non siano la parola finale della sua esistenza terrena; crede che c'è un Regno e un "cielo" in cui è possibile entrare e da questo Regno chiede a Gesù di non essere escluso: "Ricordati di me, quando entrerai nel Tuo Regno". La domanda è accolta; la risposta di Gesù non lascia dubbi: «Oggi con me sarai nel paradiso». Il "buon" ladrone, in fondo, rompendo il silenzio ribalt a la storia, la riscrive con Gesù. La sua è la più straordinaria professione di fede che i Vangeli ci raccontino, la più sofferta, la più intima. Al suo fianco, inchiodato a un legno, c'è Dio, il Dio incarnato, non un altro uomo corrotto dal peccato e meritevole di un destino di morte, c'è l'Autore della vita, che morendo dona la Vita a tutti. Il ladrone non si lascia impressionare vedendo Gesù in croce, impotente nella debolezza della carne spogliata dai peccati altrui. Il suo cuore non si lascia intimorire, pur dinanzi alla schiera dei carnefici che acclamavano alla morte. Neanche il clamore del popolo inferocito lo impressiona, né il fanatismo degli infedeli o il vituperio dei bestemmiatori e dei calunniatori. Di tutto ciò il malfattore non si cura, ma con franchezza professa la sua fede, dicendo ad alta voce: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». A ben vedere è questo il primo, grande annuncio della Pasqua, il primo anticipo di luce della Pasqua che accende le tenebre del monte Golgota. Questa professione di fede, che parte dal cuore di un uomo, dice che ogni cuore umano è fatto per la Pasqua, non per la morte; per la gloria, non per la sconfitta umana. Anche a te è riservata la stessa sorte! Come avrebbe potuto Gesù non rispondere dinanzi a tanta fede? Lui che si era commosso per la fede della gente stanca che lo seguiva, per la fede del centurione, per la fede della Cananea, ora ha dinanzi a sé l'umanità che chiede la Pasqua, che vuole risorgere; che non crede nella morte, ma nella vita; che non vuole la tristezza, ma la gioia; che non è fatta per l'inferno, ma per il Paradiso. Poniamoci quindi dinanzi al crocifisso risorto: Egli ci attira a se, Egli vuole che la Sua Pasqua diventi la nostra, la tua Pasqua, Egli vuole il Bene, vuole che il Vero Bene trionfi, Egli in persona ci affianca, ci guida, ci riconduce nell'amplesso gioioso del Padre. «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
 
florasabina
florasabina il 07/04/12 alle 07:09 via WEB
La gloria della Tua Resurrezione è l'irradiamento dello Spirito Santo che si è impadronito di tutta la nostra natura umana...Santa Pasqua cara amica.....sabina anna
 
zelota0
zelota0 il 18/05/12 alle 11:20 via WEB
LA NOVENA RECITATA DA TUTTI I PARTECIPANTI A QUESTO BLOG HA DATO I SUOI FRUTTI. QUESTA NOVENA E' STATA RECITATA PER DISUADERE I PROMOTORI SULLA LEGGE A FAVORE DELL'ABORTO,ANDIAMO AVANTI PERCHE' POSSIAMO FERMARE NEL NOSTRO PAESE LA LEGGE SUI MATRIMONI GAY , ------------------------------------------------------------------------------- COSA DICE LA BIBBIA IN MERITO. ------------------------------------------------------------------------------ « Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno. [...] E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa. » (Rom 1,24-28.32) « O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. » (1 Corinzi 6,9.10) « Sappiamo anche che la legge è fatta non per il giusto ma per gl'iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e gl'irreligiosi, per coloro che uccidono padre e madre, per gli omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i mercanti di schiavi, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina » (1Tim 1,10) Genesi 1:27 Così DIO creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di DIO; li creò maschio e femmina. Genesi 1:28 E DIO li benedisse e DIO disse loro: «Siate fruttiferi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e sopra ogni essere vivente che si muove sulla terra». MARCIA PER LA VITA: 15.000 PERSONE A ROMA PER DIFENDERE IL DIRITTO ALLA VITA Il popolo della vita si sta svegliando dal torpore in cui ha vissuto in questi decenni e vuol far sentire la propria voce di Giano Colli Con grande gioia e commozione sono stato una delle 15.000 persone che, sotto il sole cocente a Roma, hanno sfilato il 13 maggio 2012 alla Marcia per la Vita. Nel pullman degli amici di BastaBugie c'erano molti giovani, anche un farmacista che ha sfilato in testa al corteo con indosso il proprio camice, insieme a nostri cari amici come Renzo Puccetti e Giuseppe Noia. E poi famiglie con i loro bambini piccoli e due coppie un po' più collaudate con 5 e 6 figli ciascuna. Neppure la partenza alle 4.00 ci ha fermati dall'intento di essere con gli altri a poter testimoniare il nostro convinto sì alla vita e no all'aborto. Siamo partiti ben muniti di bandiere, cartelloni e lo striscione del nostro sito di BastaBugie per testimoniare la nostra convinta adesione alla manifestazione. Così abbiamo colorato insieme agli altri le strade della Capitale, rendendoci ben visibili e speriamo anche udibili da un'opinione pubblica ormai assuefatta alla cultura della morte. Erano presenti diverse delegazioni dei movimenti per la vita stranieri giunti a Roma per l'occasione. Ha colpito, per numero e per organizzazione quella polacca. Erano proprio loro, nel nostro settore, i più rumorosi: con i loro canti animavano quella che sotto certi aspetti è stata davvero una festa in onore della vita in tutte le sue fasi. La Marcia per la Vita ha unito tutti coloro che ritengono la vita il bene più prezioso per la società. In un paese, l'Italia, in cui la crescita demografica è tra le più basse del mondo, mentre sale vertiginosamente il numero degli anziani, non c'è futuro, né a livello economico, né a livello morale. Un numero così alto di partecipanti, provenienti dalle più variegate realtà, ma uniti da uno scopo comune, dimostra che il popolo della vita si sta svegliando dal torpore in cui ha vissuto in questi decenni e vuole far sentire la propria voce a tutti coloro che, accecati dall'ideologia, ci bollano come integralisti e oscurantisti. La ragione è dalla parte di coloro che sostengono l'inizio della vita fin dal concepimento e che chiamano barbarie lo sterminio legalizzato di cinque milioni di embrioni umani: cioè di bambini che già possedevano il loro specifico patrimonio genetico, quindi individui unici ed irripetibili che oggi sarebbero giovani dai venti ai trentacinque anni. Vedere sfilare insieme così tante persone gioiose, così belle famiglie con tanti bambini e anche malati in carrozzina, ha risvegliato in tutti noi la speranza nel futuro e la consapevolezza che ancora non tutto è perduto. Ovviamente c'è molto da fare per riparare i danni di trentaquattro anni di aborto legalizzato che ha lasciato alle sue spalle, oltre alle vittime innocenti, schiere di mamme distrutte dal dolore e dal rimpianto, anch'esse vittime di un sistema, che le incoraggia a compiere un atto contrario alla loro stessa natura, imbottendole di menzogne e giocando sulle loro ansie e difficoltà. C'è da fare una valanga di contro-informazione per smontare le istanze della cultura dominante che ci vuole far credere che i figli siano una disgrazia! Il successo della marcia è testimoniato dal fatto che anche i telegiornali nazionali si sono "dovuti" accorgere della marcia mostrando le immagini. Certo rimane la disparità di trattamento. Ad esempio molti più servizi hanno seguito la marcia organizzata dai radicali il 25 aprile a Roma per porre il problema del sovrappopolamento delle carceri. Erano meno di duecento persone eppure i servizi televisivi e sui giornali sono stati tanti. E' anche da rilevare che nei giorni precedenti la Marcia per la Vita c'è stato anche chi ha dato ad intendere che i cattolici l'avrebbero organizzata con Forza Nuova e altri gruppuscoli fascisti. Come al solito la menzogna tentava di spostare l'attenzione da ciò che stava in realtà accadendo: la spontanea organizzazione di semplici cattolici attorno a una battaglia giusta e doverosa. Sempre per confondere le acque alcuni anonimi disturbatori, muniti di telecamera, si sono infiltrati facendo interviste "sul campo" che iniziavano con domande generiche ai partecipanti alla marcia e poi portavano il discorso sulla contraccezione per far passare da fesse le persone intervistate in modo che chi guardasse i filmati (messi prontamente su YouTube nella giornata stessa di domenica) avesse l'impressione che le persone partecipanti alla marcia fossero sprovvedute e poco intelligenti (quando invece la realtà è che per rispondere a domande a bruciapelo poste con studiata malizia bisogna comprendere al volo chi si ha davanti e non sempre risulta facile per chi non è abituato a sostenere dibattiti pubblici...). Purtroppo occorre anche notare, con rammarico, che i media cattolici hanno snobbato la grande marcia del 13 maggio. Chissà cosa sarebbe avvenuto se questa manifestazione fosse stata posta all'attenzione generale, almeno al pari di battaglie fatte da una parte del mondo cattolico che si è impegnata perché fosse abbattuto il precedente governo o perché il referendum sull'acqua pubblica trionfasse... Vabbè, vedremo se per il prossimo anno ci saranno miglioramenti. Mi piace infine ricordare che durante la marcia ho avuto occasione di parlare con tanti lettori che seguono fedelmente BastaBugie e sono stato piacevolmente sorpreso di vedere come il nostro servizio sia così apprezzato e diffuso. E' per noi motivo di incoraggiamento a continuare su questa strada senza esitazioni. Ho poi anche incontrato e parlato, durante la marcia o subito dopo, con molti degli autori di cui pubblichiamo gli articoli: Roberto De Mattei, Massimo Viglione, Costanza Miriano, Danilo Quinto, Renzo Puccetti, Francesco Agnoli, Mario Palmaro, Virginia Lalli, Gianfranco Amato, Magdi Allam, Andreas Hofer, Giulia Tanel e tanti altri. Mi ha fatto piacere vederli tutti in piazza mescolati tra la gente comune e tutti mi hanno confermato che anche loro, come me, erano molto felici del risultato raggiunto con questa bella iniziativa nata dal basso e che nessuno mai potrà strumentalizzare per fini propri. Concludendo va ricordato che l'allegria è regnata sovrana in questa giornata, nella misura in cui si vedevano scorrazzare i più piccoli con i loro palloncini colorati o quando li vedevamo portare fieramente il loro cartellone. Chi chiama irresponsabili coloro che accettano il dono della vita sempre e comunque non ha mai visto la serietà con cui i fratelli più grandi accudiscono quelli più piccoli e come l'essere in tanti formi in famiglia persone generose, dedite alla condivisione e pronte anche al sacrificio per il bene di tutti. Con famiglie di questo tipo si forma una società che progredisce, ricca di uomini e donne che possano mettere le loro capacità a disposizione del bene comune, ciascuno nella propria misura. Non rimane che darci appuntamento alla prossima Marcia per la Vita per una nuova pagina da scrivere insieme... L'appuntamento è già fissato per il 12 maggio 2013, sempre a Roma. Nota di BastaBugie: consigliamo qui sotto la visione del nostro video e della galleria fotografica sulla Marcia per la Vita. http://www.youtube.com/watch?v=Iq14qMf1oPA
 
zelota0
zelota0 il 18/05/12 alle 11:30 via WEB
”Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro!” (Is. 5:20). Vi sono oggi chi afferma che la Bibbia non condanni l’omosessualità. Fino a qualche tempo fa nessuno avrebbe mai messo in dubbio, tanto è palese ed ovvio, che la Parola di Dio consideri l’omosessualità un’infrazione dell’ordinamento creazionale di Dio. Oggi, però, sembra realizzarsi la profezia che dice: “Verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole” (2 Ti. 4:3,4). Un tempo, almeno, chi non era d’accordo con la morale cristiana fondata sull’insegnamento biblico, semplicemente lasciava la chiesa e viveva come meglio gli pareva senza più dovere rendere conto del suo comportamento a nessuno e senza più dovere ascoltare ciò che non gli era gradito. Eventualmente, poi, in privato o in pubblico, si opponeva in modo militante contro la fede cristiana, la Bibbia, o “la religione”. Accade ancora oggi ed è certamente un atteggiamento coerente. Oggi però succede che chi non concorda con la morale cristiana, pretende non solo di “rimanere nella chiesa”, ma di agire affinché la chiesa, la dottrina cristiana e la Bibbia stessa si pieghi e si adatti alle sue pretese, giustificando così il proprio comportamento. Molti sono i movimenti eversivi (di ogni tipo) che hanno cercato e cercano di farlo. Fra questi anche la lobby (oggi sempre più forte) degli “omosessuali credenti”. Là dove non riescono ad imporre alla chiesa le loro concezioni, non esiteranno a crearsi la propria indipendente “chiesa gay”. Vero e proprio cristianesimo “riveduto e corretto”, avranno così il proprio clero compiacente, le loro liturgie, i loro intellettuali che si premureranno di riformulare la loro “base teorica” interpretando la Bibbia a loro uso e consumo. Sono proprio questi i “maestri” che distorcono le Scritture prendendole fuori dal loro contesto, quelli che vorrebbero “spiegarle” e relativizzarle tanto da svuotarle, in pratica, della loro autorevolezza e normatività. Tutto questo per far trionfare, naturalmente, la loro malintesa ed immorale “libertà”, magari in nome di un altrettanto malinteso “amore”. I “teology gay” [traduzione dell’inglese “Queer theologians”, così si autodefiniscono] si vantano così di essere coloro che “salvano” la chiesa da secoli di equivoci e di oppressione della loro categoria ristabilendo le cose come devono essere! Uomini e donne ribelli a Dio, così, rivendicando a sé stessi le chiese cristiane, le prendono in ostaggio e le condizionano a loro vantaggio, manipolando la Bibbia stessa a loro piacimento, facendole dire quel che non dice. Come direbbe l’apostolo Paolo, essi “soffocano la verità nell’ingiustizia” (Ro. 1:18), “si son dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, son diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile” (Ro. 1:21-23). Non a caso questo stesso testo continua e dice: “Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente” (Ro. 1:28). “Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette” (Ro. 1:32). Più chiaro di così l’Apostolo non potrebbe essere. La verità, però, non può essere soppressa. Sono tentativi vani di manipolare e distorcere la Parola del Signore. Accanto a tanti altri comportamenti devianti da quanto Dio ha stabilito come buono e giusto, la Bibbia condanna l’omosessualità considerandola un peccato. E’ quello che esamineremo qui, anche se sommariamente.
 
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Se ti fermi a guardare IL FINITO, L’IMPERFETTO, SE TI FERMI A RACCOGLIERE IL DOLORE, SE TI FERMI A PARLARE CON IL DOLORE, ESSO APRIRA’ DAVANTI A TE SOLO UNO SPAZIO DOVE LE OMBRE SI MUOVONO e l’ombra rappresenta l’incognita;  ma se ti fermi a raccogliere il Mio pensiero, se ti fermi a parlare con l’amore che esso possiede, queste ombre si dileguano e sentirai il mio calore avvolgerti, accarezzare la tua anima.

 

Ecco, questo è l’uomo perfetto che IO desidero, l’uomo che innanzi tutto si è saputo vedere e riconoscere lontano da ME, ma che ha fatto di tutto, per accorciare le distanze, fino a sentire il calore del mio amore, invaderlo e accoglierlo. La vostra paura nasce dall’incertezza e l’incertezza porta l’uomo a condurre sentieri sbagliati: la paura si combatte con la fiducia e l’incertezza con la convinzione che IO posso essere quella mano che vi può condurre oltre il vostro buio, oltre ogni vostra fragilità.

 

“Nella preghiera del Padre Nostro si recita: non ci indurre in tentazione. Questa frase che Io ho inserito significa una cosa sola: non che DIO ci induca alla tentazione, ma ho voluto insegnare che vi deve essere un rapporto tra Padre e Figlio molto stretto, dove il figlio chiede al Padre di non lasciarlo solo nella prova, di non lasciarlo solo quando il male viene a tentarlo e vuole separare il suo cuore dal suo”

 

L’uomo cammina su sentieri tortuosi, ma non si accorge che il mio sguardo è sempre poggiato sul suo capo e che quando IO sembro lontano, in realtà, sono più vicino che mai.

 

Non dimenticare che il grano e gramigna crescono insieme, sotto lo stesso sole, sulla stessa terra, ma poi viene il tempo della separazione, affinché l’erba cattiva non soffochi l’erba buona, perché ricorda, che mai il tuo Dio abbandona l’uomo giusto, mai il tuo Dio può lasciare il suo uomo nella tempesta, ma la mia mano, per amore del giusto si alza e ordina ai venti di placarsi e al sole di tornare a risplendere.

 

 

“Guarire i cuori affrantisignifica: portare consolazione a tutti gli uomini, aiuto e lo spirito di verità affinché la loro fede e la loro fiducia in Dio cresca ed  si possa  istaurare il regno promesso da Dio per l’uomo.

 

 

Il giusto non è solo colui che compie la volontà del Padre,

 il giusto non è solo colui che opera per mezzo della fede,

 il giusto è colui che cammina ancora, dopo tanto tempo e tanta fatica,

 per amore, con coraggio e forza, perché questa forza non appartiene alle vostre membra,

ma mi viene data in conformità alla vostra volontà.

 

 

 

 

 

Vedete sulla terra possono nascere  bambini che hanno degli handicap,  e tutto ciò è fonte di dolore sia per chi è genitore e per lo stesso  bambino che vive quella vita molto diversa dagli altri,  ma pensate che  l’amore di DIO abbia voluto  che  la sua creatura  possa essere cosi diversa da tanti? Eppure esiste la diversità, esiste la sofferenza e  solo elevandovi dalla terra capirete che quelle creature  sono un dono di DIO, perché portano a chi le accoglie una grazia particolare e la vita su questa terra è solo un piccolo percorso, poi quando essi rientrano  nella dimensione  del cielo, essi   si ritrovano a  vivere ugualmente ad altri,  in una perfezione indicibile, e qui si capiscono le parole del CRISTO: BEATI I POVERI DI SPIRITO, perché sono proprio queste persone  che hanno sofferto che possono dare  una conoscenza in più alle tante anime che  sono qui e hanno avuto una vita  molto diversa.

 

 
 

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