Non amo le domande esistenziali. Non le ho mai amate.
Ricordo con ansia i primissimi temi liceali, quando le insegnanti ponevano queste fantastiche domande a capo di un foglio bianco.
Bianchissimo, anzi. Le facce dei compagni diventavano muri davvero impenetrabili, e le loro penne non riuscivano a scalfire nemmeno il blocco della brutta copia. Io scrivevo. Scrivevo con un sorriso gentile e, in apparenza, sereno.

Chi sono?
Dove sto andando?

Svolgimento.
Correva veloce, sì, il mio svolgimento e sapeva dipanarsi per le sue quattro o cinque facciate con la limpidezza realmente chiara(ops...gioco di parole!)mi sentivo chiamare sicura di me, 'self-confident', come si direbbe in gergo psicologico.
Però, bastava scavare tra le frasi e accorgersi che quella scritta lì sul foglio, blu su bianco, con una grafia non abbastanza regolare visto che uso la sinistra, era una bella storia etichettabile come 'narrazione'.
Io raccontavo. Ma non di me.
Parlavo di viaggi ideali, uomini dal lungo mantello e la ventiquattrore accanto, parlavo di facoltà e di lavori pieni di ricompense, di ville alle Maldive (giusto sogni!) e di approdi sulla Luna. Certo, ora sto esagerando, ma il concetto è lo stesso: bastava sfumare le esagerazioni, riuscire a calarle nel possibile, se non nel probabile, ed il gioco era fatto.

Tema, ottimo tema.
Svolgimento senza sbavature.
Sei rimasta in tema, complimenti, mentre gli altri tuoi compagni si lasciavano trasportare.
Adesso domando io, ma come avrei potuto uscire di tema se era proprio il tema il fulcro del mio svolgimento? Non ho mai potuto portare delle esperienze personali fuorvianti, perché quello era sogno.

E le domande, ancora adesso, restano senza risposta.
Chi sono?
Dove vado?
Io non mi chiedo...continuo soltanto a sommare i passi e dirigerli verso alcuni sogni che, come tali, non si rivelano. Arriverà di certo anche il momento per guardarsi indietro e capire che, a quelle domande, s'è risposto da un pezzo.