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Perché Vendola vale più di Renzi

Post n°24 pubblicato il 08 Dicembre 2012 da portorecanatimagazin

Il sindaco di Firenze ha catalizzato lo scontento contro il ceto dirigente del PD e ha beneficiato delle beghe interne al partito. Ma Nichi resta il leader più credibile e nel lungo periodo si vedrà

Vendola al 15% contro Renzi al 35%. Venti punti di differenza nel risultato del primo turno delle primarie che, ad un’analisi superficiale, sembrano dare ragione al moderatismo del sindaco di Firenze contro il riformismo radicale del presidente di SEL. Quest’ultimo ha giustificato il calo dei consensi attribuendolo ad una campagna elettorale vissuta come una sorta di congresso interno al PD. Altri hanno evidenziato l’appoggio quasi unanime dei media (una volta si sarebbe detto della stampa borghese) a Renzi. C’è del vero, ma c’è anche dell’altro.

Vendola fino ad un anno e mezzo fa era accreditato come il più probabile candidato premier del centrosinistra se si fossero svolte le primarie. I sondaggi erano quasi tutti in suo favore. Poi, piano piano, Bersani è riuscito a recuperare, anche attraverso un’abile campagna mediatica che, abbandonando le iniziali ingenuità e gli strafalcioni (ricordate i manifesti in bianco e nero?), lo ha fatto percepire come leader affidabile, riformatore, alla guida di una grande forza politica. Il “voto utile” al leader del maggior partito è un richiamo molto forte nell’elettorato del centrosinistra, come si è visto nelle elezioni del 2008, nonostante oggi non esista più il pericolo Berlusconi e nonostante l’appoggio del PD a Monti.

Questo spiega ampiamente la vittoria di Bersani, ma non l’ascesa di Renzi. Il sindaco di Firenze si è ben inserito nel recupero dei voti dei delusi dal ceto dirigente del PD. Appena Renzi è stato percepito come un pericolo, sia pure solo potenziale, la nomenklatura del partito si è scagliata quotidianamente contro di lui, con attacchi che gli hanno fatto gioco. Mentre Renzi parlava di “rottamazione”, i potenziali rottamati lo criticavano, regalandogli migliaia di voti ogni volta che aprivano bocca.

Pensateci: è lo stesso schema vissuto nel 2005 e nel 2010 in Puglia con Vendola. Soprattutto nel secondo caso. Le inchieste sulla sanità pugliese avevano fortemente fiaccato il consenso intorno a Nichi, anche se i fatti dicevano cose chiare sulla limpidezza dei suoi comportamenti. Ma quando piove, piove per tutti, e chi è al vertice deve comunque rispondere. Il Pd pensò di approfittare di questa debolezza e mise in discussione la ricandidatura di Vendola. A quel punto Nichi è tornato alla ribalta e, battendosi come un leone, è riuscito a vincere le primarie con un margine larghissimo. L’elettorato del centrosinistra ha infatti percepito chiaramente che il siluramento di Vendola avrebbe dato fiato alle vecchie glorie del PD, contro le quali aveva votato nel 2005.

Qualcosa del genere è successo anche per Renzi, sebbene non sia bastato a farlo vincere. Il voto di protesta, lo scontento, l’avversione nei riguardi della vecchia classe politica del PD sono ancora molto forti e hanno fatto la fortuna del “rottamatore”.

Vendola, al contrario, ha chiaramente improntato la sua campagna sull’immagine dell’alleato affidabile, visto che il posto dello sfasciacarrozze era già ampiamente occupato. E male non ha fatto, perché la politica della serietà paga: alcuni sondaggi hanno provato a “contare” il successo di Renzi fuori dalle primarie, scoprendo che un eventuale partito del sindaco otterrebbe meno del 5% contro il 6% di SEL. Questa è la riprova che, alla fine, la differenza per Renzi l’ha fatta il voto di protesta, il quale però non si trasferirebbe facilmente ad una forza politica da lui guidata, mentre il 15% di Vendola corrisponde proprio al peso potenziale di SEL nell’elettorato di centrosinistra. In altre parole chi ha votato Vendola lo ha fatto per convinzione, chi ha votato Renzi nella maggior parte dei casi ha solo votato contro D’Alema e Rosy Bindi.

Non c’è ovviamente solo la protesta: a questa si sommano anche gli scontri interni al PD, soprattutto a livello locale, dove una parte del ceto dirigente ha provato a garantirsi entrando in una “cospicua minoranza” e sfuggendo alla fila di chi chiederà un posto a Bersani. Meglio primi in minoranza che ultimi nella maggioranza. Solo seguendo Renzi personaggi assolutamente insignificanti sia dal punto di vista elettorale che politico potrebbero garantirsi un posto al Parlamento.

Ma a parte questo la cifra della campagna renziana è stata chiara ed inequivocabile: rompere, protestare, denigrare gli avversari, fino ad insinuare il dubbio che vi fossero brogli, per raccogliere il consenso di tutti quelli che volevano mandare una lezione al PD (il quale, sia chiaro, la merita).

Ora, passate le primarie, Vendola ha l’occasione di riallacciare rapporti positivi con quest’area di protesta per portarla verso posizioni rinnovatrici ma non distruttive. Mantenere un equilibrio tra l’esigenza di rinnovamento e ricambio da una parte e la garanzia di stabilità ed affidabilità dall’altra è complesso e rischia di scontentare tutti. Ma se ci si riesce, il consenso intorno a Nichi potrebbe tornare facilmente quello di un anno e mezzo fa. E Renzi sarebbe solo il pallido ricordo di una bolla mediatica sgonfiatasi appena la politica, quella vera, è tornata protagonista.

Guido Iodice

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