Creato da PapaveriSparsi il 26/04/2010

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Post n°32 pubblicato il 25 Marzo 2014 da PapaveriSparsi


A volte sembra che la notte non debba finire mai.
Che nel buio si perda il contatto tra anima e occhi, e ogni profumo diventi quasi l'ombra di un ricordo lontano, un ricordo di luce talmente distante da risultare un alone impalpabile, come una candela accesa dietro ad un vetro appannato.
Ma l'orizzonte si veste sempre di un rosato mantello e il sole torna a benedire il giorno.
Quando ero piccola credevo alle fiabe, e crescendo mi è capitato a volte di inciampare in piccole grandi illusioni, di principesse e principi, in castelli di carte che finivano poi per sgretolarsi al primo alito di verità.
L'abito che le menzogne avevano tessuto finiva dismesso in un cassetto e i pizzi della speranza che ne ornavano i bordi si ingiallivano di botto, a sembrare foto di seppia di antichi rimandi, dove la predestinazione era solo follia e falsità.
Ma le scorciatoie vestite da destino portano sempre ad invalicabili muri contro i quali non c'è risoluzione. Solo oblio.
E mi intristivo.
Credevo che nei miei occhi fosse caduta la nebbia, che il mondo avesse indossato l'abito della malinconia, che tutte le parole fossero cadute come gocce di pioggia in pozzanghere di fango e i sentimenti fossero numeri scritti su strade polverose su cui saltare come giochi di campana.
E i ricordi si intrecciavano come cesti di vimini fatti da mani stanche a contenere solo steli appassiti di chini girasoli, i cui petali non erano mai esistiti.
Al tempo che viaggia su auto d'epoca alimentate a giudizi rispondo con un sorriso.
Il sorriso che la consapevolezza disegna sui volti puliti.
Perchè la vita si rinnova, rinasce da sè stessa e le macerie diventano castelli più solidi e sicuri. E le finestre si spalancano su panorami reali e bellissimi, caleidoscopi di luce e colori, boschi di opportunità.
I ponti ci conducono da una riva all'altra e a volte capita di fermarsi nel mezzo ad incornicare un attimo. Ma in realtà disegnano un sorriso all'inverso, una smorfia di tristezza. La realtà è un attimo dopo, quando la vita ricomincia dalla verità.
E i sorrisi tornano a guardare il cielo, mentre tutto il resto è lontanissimo.


 

 

 
 
 

Sedici

Post n°31 pubblicato il 16 Giugno 2012 da PapaveriSparsi

L’attesa di una risposta abita in un luogo sospeso.
Non ci sono pareti né pavimenti, solo aria, che filtra la luce che danza sul pulviscolo leggero.
Un luogo dove il tempo segue il metronomo del silenzio e attende una scadenza indefinita.
Lui non le aveva dato il suo numero di telefono, né il suo indirizzo. E lo aveva fatto di proposito, per poterla rivedere, per guardarla negli occhi e sfiorarle ancora le mani.
Voleva ripeterle a voce la domanda, voleva che quelle parole uscissero dalla sua bocca per accarezzarle il viso, dondolare sugli occhi, fremere sulle ciglia facendole chiudere per un istante e poi scivolare sulle labbra, attendendo una parola, una sola.
La decisione di una risposta non ha dimora. Vaga come un senzatetto lungo i sentieri più desolati della mente, non incontra ristoro, non saluta amici, non si mescola alla gente.
Resta a rigirarsi addosso come se non ci fosse una via d’uscita perché ogni strada conduce ad un punto interrogativo.
E lei non sapeva cosa dire, cosa fare.
Non aveva il numero di lui, nessun indizio per poterlo rintracciare, non sapeva dove trovarlo, né dove cercarlo, se non in quei sentieri tortuosi che l’indecisione ci disegna addosso quando non sappiamo quale sia la nostra vera meta.
Avrebbe voluto dire si.
Lo desiderava follemente. Voleva perdersi nel sorriso di lui, nel fare compiaciuto di chi sente condiviso un suo desiderio, nello sguardo pieno di chi già sa come procedere, come organizzare.
Voleva sentirsi presa per mano e condotta a bussare alla porta di un sogno per vedere lo spiraglio di luce aprirsi e il buio diventare prima grigiore e poi arcobaleno.
Voleva ricambiare il sorriso e stringere forte quella mano, lasciarsi condurre, come una bimba che torna alle giostre sapendo che ciò che l’aspetta può essere meraviglioso.
Ma aveva paura di dire di si.
Aveva paura di inciampare in una emozione che poteva diventare una caduta, che poteva essere dolorosa ben oltre la sbucciatura delle ginocchia. Sentiva dentro un freno tirato, un allarme inserito, temeva che la vita potesse esaurirsi in una speranza sbagliata e lasciarla precipitare in un nero senza fine.
Ogni passo nella vita può essere l’ultimo.
Ogni istante può diventare l’istante per sempre, quello che ci congela il cuore dentro una eternità inattesa.
Di ogni cosa ci si può pentire e questo timore le paralizzava i pensieri.
Scese dall’ufficio con il tremore dell’indecisione che accompagnava ogni passo.

Sul portone, dal vetro fumè, lo vide aspettarla sul marciapiede. Fermo. Attento.
Non si dissero nulla.
Lui la prese per mano mentre lo sguardo di lei osservava quelle mani strette, unite, ritrovate.
Iniziarono a camminare insieme senza sapere dove stessero andando, mentre intorno a loro la gente si muoveva svelta, distratta, in cerca di un qualcosa che la fretta non avrebbe mai potuto donare loro.
Sparirono tra la folla, come due anime controcorrente che hanno una riva da raggiungere, con la calma di chi sa che di ogni attimo va sempre rispettata la dignità.
Intanto il sole si avvicinava al suo crepuscolo e le rondini disegnavano scie di vita nel cielo.
L’aria profumava di gelsomini.


 

 

(continua...)

 

 
 
 

Quindici

Post n°30 pubblicato il 01 Giugno 2012 da PapaveriSparsi

 
A volte il respiro diventa padrone di un attimo.
Come se il tempo si fermasse mentre l'aria si rincorre nei polmoni.
E in un battito di ciglia si mescolano l'incredulità e il sorriso, con quelle labbra
socchiuse per inumidire il preludio di un bacio.
Era stata a Parigi da bambina, si ricordava un cielo azzurro sperduto sulla poesia
di una città profumata di pane, con il ticchettio dei tacchi alti sui marciapiedi.
Ma era solo una visione confusa di bimba, a cui era rimasto per decenni il desiderio
di tornare, a scoprire alberghetti e bistrot, in quei piccoli angoli caratteristici che
hanno il sapore vero di Francia.
Parigi era un suo piccolo sogno segreto, che custodiva quasi come un progetto
di fuga.
Una di quelle cose che in effetti si potrebbero fare, ma che si preferisce tenere lì,
in equilibrio tra i sogni e gli occhi, per non togliersi il gusto di avere una meta
nascosta nel cuore, dove riparare se necessario.
Quelle parole scritte a penna sul bianco della carta le avevano aperto una
finestra su un desiderio troppo spesso dimenticato.
Ed era rimasta ferma con quel bigliettino nel leggero tremore delle mani.
Lui aveva inavvertitamente toccato una corda sensibile di Chiara.
Non poteva conoscere certi suoi desideri, ma non è sempre il caso che ci
disegna il destino addosso, a volte può capitare che ci sia un qualcosa che
interviene, un segno, una sensibilità, una percezione.
O forse solo una affinità, di quelle che capitano tanto raramente da abitare solo
nelle speranze più ardimentose del difficile cammino della vita.
Stefano voleva portarla via da quel grigiore che aveva contaminato entrambi,
voleva allontanarla dal resto, qualunque esso fosse, e ritagliare una cartolina
tutta per loro, di quelle dal sapore un po' antico, color sabbia, con vecchi timbri
un po' scoloriti, con una storia da raccontare.
Voleva aprire una scatola del cuore e cominciare a mettere in ordine dei ricordi,
tutti loro, da aprire nei momenti di freddo, quando la nebbia bussa e ci confonde i pensieri.
Sperava di non essere stato affrettato, di non aver osato troppo.
Ma era fortemete convinto che rimanere immobile davanti ad un'emozione è come
non averla mai vissuta.
E lui voleva vivere Chiara, in tutto e per tutto.
Sperando in un suo si.
Lei era in equilibrio sul filo del forse, come una funambola del domani, con una
titubanza incerta e incredula, come quando ancora non ci si rende bene conto di
cosa stia accadendo, e si ha paura di crederci ancora, di seminare i propri sorrisi
su un nuovo sentiero e aspettare i germorgli, vederli crescere.
Tutto era inatteso.
Tutto era inebriante.
Tutto era quasi irreale.
Ma ogni suo pensiero, ogni sua piccola sensazione, ogni sussulto del cuore, ogni sfumatura di emozione era già un nuovo vestito per l'anima, pieno di nuovi colori.
E ogni sua incertezza arricchiva di un pizzo leggero quell'abito impalpabile.
Chiara assaporava quel momento unico che precede una decisione, quello in cui
 per pochi istanti si è totalmente disarmati ed inermi di fronte al futuro.
E nelle mani si stringe la voglia di ricominciare.
Chiuse gli occhi.
Fece un respiro profondo.
E sorrise.

 

(continua...)

 
 
 

Quattordici

Post n°29 pubblicato il 24 Maggio 2012 da PapaveriSparsi


E lunedì arrivò con uno scroscio di pioggia.
Improvvisa.
Grigia.
In ufficio i colpi di tosse degli influenzati di turno rompevano un silenzio monotono,
banale. Sui vetri delle finestre le gocce colavano lentamente, trascinando la
polvere e lo smog, e formando dei sentierini sempre più scuri, fino ad arrestarsi
in piccole perle di fango nerastro.
Un corriere entrò per fare due consegne.
Una era per Chiara.
Lei fece posare il pacchetto sulla sua scrivania mentre distrattamente fotocopiava una
serie infinita di documenti.
Pensava molto quella mattina. Pensava alla sua stanchezza, all'inerzia con cui ormai
conduceva la sua vita, senza nemmeno rendersi conto di come il tempo passasse velocemente senza concedergli la gioia di un momento pieno, da assaporare fino in
fondo, fino a coglierne il gusto intenso di libertà.
Il lavoro in una compagnia di assicurazioni, che anni prima aveva iniziato con tanto
entusiasmo, si era trasformato in una galera.
Ascoltava ogni giorno decine di lamentele, di reclami, di palesate insoddisfazioni, sia dei clienti, sia dei colleghi, ed arrivare a sera era come raggiungere il traguardo di una sudata maratona.
Andò a prendere un caffè alla macchinetta, un veleno quotidiano che la disgustava
e che ogni volta la faceva riflettere sul fatto che sopravvivere a quella brodaglia
significava essere immune anche al cianuro.
Al ritorno prese il pacchetto, immaginando fosse inviato da un qualche cliente per fornire documenti, ma lo sentì stranamente pesante.
Lo aprì e vide una lettera e un qualcosa confezionato con carta regalo.
La busta conteneva un foglio scritto a mano.
Non era quasi più abituata a decifrare una calligrafia, e iniziò a leggere stringendo leggermente gli occhi.

"Ciao Chiara,
so che sarai sorpresa ( e mi piace), ma non sono riuscito ad evitare di pensarti.
E' da quando ti ho accompagnato a casa l'altra sera, che cerco di inventarmi
un pretesto per rivederti. Tornare al negozio di scarpe alla fermata del bus,
capitare 'per caso' vicino al tuo portone, cercare il tuo numero di telefono dell'ufficio
e farmi fare un preventivo per una nuova polizza.
Tutte ipotesi che mi facevano sentire come un ragazzino impacciato.
Ho deciso quindi di essere come sono, senza pretesti, senza invenzioni.
In questi giorni ho pensato a te. Molto.
E ho pensato a me, a come mi sono sentito con te, ai tuoi occhi puliti, alle tue mani
eleganti, alla tua voce timida e forte al tempo stesso.
Ho sentito la mancanza del tuo sorriso.
Di quel tuo modo delizioso di ridere, con le fossette sulle gote e il rossore sulle guance.
Ho voglia di rivederti, anzi...ho bisogno di rivederti.
Stefano"

Con gli occhi affamati di curiosità tolse la carta dal pacchetto.
Aprì la scatola di cartoncino bianco e vide un sfera di vetro.
Subitò non capì, poi la prese in mano e vide una piccola Tour Eiffel dentro una
palla di neve, con polvere argentata che danzava dentro.
Con il respiro che inciampava in gola vide un bigliettino dentro la scatola.
Lo prese e sentì la voce di lui che le sussurrava agli occhi mentre lo leggeva.

"Vieni a Parigi con me..."

 

(continua...)

 

 

 
 
 

Tredici

Post n°28 pubblicato il 10 Maggio 2012 da PapaveriSparsi

'Sto male'
pensò Chiara sotto la doccia.
'Non ce la faccio ad andare avanti così'.
Ma poi si riesce sempre a farcela, anche contro la vita, il destino, il dolore, l'infelicità.
Anche contro se stessi.
E il fine settimana sarebbe trascorso lento come i titoli di coda di un film, quelli che non interessano a nessuno, quelli che passano inosservati perchè si porta ancora negli occhi il ricordo delle ultime sequenze della trama.
Lui era arrivato da lei.
Aveva posato il trolley.
Aveva mangiato il minestrone distrattamente.
L'aveva guardata distrattamente.
Scambiato quattro parole distrattamente.
E si era addormentato sul divano davanti al solito dibattito politico in televisione.
Lei aveva messo le cose da lavare in lavatrice.
Aveva pulito la cucina.
Ed era andata a letto.
I pensieri vincevano sulla stanchezza e la noia.
E si era ritrovata a perdersi in considerazioni sempre uguali.
Non riusciva più ad inventarsi i sogni prima di addormentarsi.
Per tanto tempo, tanti anni, aveva preso l'abitudine di raccogliere alla sera i desideri sulla vita, per formare un mazzolino profumato di speranze, e addormentarsi poi con il sorriso negli occhi, sperando che al mattino il sogno si sarebbe avverato.
Si raccontava una favola, come fosse ancora una bimba con davanti un orizzonte d'arcobaleno.
Ma il tempo delle fiabe era finito, e il mazzolino ora profumava di disillusione.
Ogni giorno era un petalo in meno del fiore della sua vita.
Non si sentiva amata, non si sentiva desiderata, nemmeno rispettata nel suo soffrire il corso del vivere, non era ascoltata, nessuno le chiedeva 'come stai?'.
La sua era una presenza data per scontata, quasi meccanicamente portata avanti.
E tutti i suoi disagi restavano lì, sul terreno della noia, a radicare e rafforzarsi, pronti a far germogliare nuove insicurezze, nuovi malesseri, nuove solitudini.
Accese la televisione in camera.
Una casa. Due persone in due stanze diverse. Due televisoni accesi in due stanze diverse.
In mezzo solo l'unione di due audio differenti. Il solo abbraccio sotto quel piccolo cielo grigio.
I ricordi del passato le passavano accanto quasi ad irriderla.
Entravano sotto le coperte e le facevano sentire freddo.
I vecchi sorrisi le danzavano intorno come polvere sospesa nell'aria, a riflettere inquietudine come specchi opacizzati da un presente senza forma, senza sostanza.
Aveva di fronte un'altra notte.
Lunga e nemica. Di quelle notti di cui si apprezza solo il silenzio che un po' allontana dal mondo, ma che rende il dolore più corrosivo.
Sapeva che si sarebbe addormentata e poi svegliata. Che avrebbe passeggiato in casa a piedi nudi, steso fuori in balcone i panni della lavatrice, acceso il pc per controllare la posta, fatto una maschera al viso e altre cose talmente lontane da lei da sembrare appartene ad un'altra donna.
Si addormentò con la tristezza sulle palpebre.
Aveva perso un'altro petalo del fiore.

 

(continua...)

 
 
 
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