Lettera per ad un amica per un amico

Post n°42 pubblicato il 07 Luglio 2009 da PedroBolos

È sempre bello incontrarci sulla nostra ideale panchina della panoramica, seguire le nostre orme posate per trovarci ed esser certo che saprai stupirmi con i tuoi racconti e la visione del mondo che hai.

Resto affascinato dai voli di fantasia in cui ogni volta mi trascini, dal tuo parlare calmo e pacato o dai tuoi silenzi sempre pieni di tutto.

Ricordi il volo di un falchetto; imponente e deciso nel batter d'ali a risalire in alto, affascinante, intrigante a volteggiare immobile quando il suo sguardo volge sulla terra, letale in picchiata sulla preda certa destinata a cadere.

E se l'altra sera mi son tirato indietro è perché davanti a me avevo un falchetto imprigionato, impaurito, cosi dolce e tenero che desideravo solo ritornasse a volare per rimpossessarsi della sua natura fiera e sicura.

E se in qualche modo potevo aiutarlo, ecco, allora lo avrei fatto senza aspettarmi nulla in cambio, non uno sguardo, non un bacio ma solo la bellezza di vederlo riprendere il volo nell'attesa di divenire io la sua preda. 

 
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Giovanni

Post n°41 pubblicato il 19 Novembre 2007 da PedroBolos

Se aspettare aveva un senso..non lo sapeva…

Eppure stare fermi tra via Garibaldi e corso Mazzini con la cartelletta sottobraccio, proprio li nell’angolo..un inquietudine da sentirsi vivo….

Forse era piacevole ascoltare i tacchi estranei delle donne scandire sospeso il tempo di quell’attesa senza attesa, e affondare lo sguardo dentro le camicette per poi pensare se davvero sarebbe stato capace di scivolare li in mezzo.

Se il cielo fosse stato più leggero, se solo qualche nuvola ne avesse regalato uno spiraglio…

…Partiamo.

Ancora no..ancora è bello essere fermi tra le gambe che vanno, distinguersi nel non far nulla e essere così l’odore fermo tra la gente che passa..

Così era Giovanni, qualcosa di diverso ma mischiato, come la sensazione della coda dell’occhio o una piccola sfumatura su un colore già spento, forse l’impalpabile presenza del sentore di un sogno già dimenticato.

Cerca ogni volta di uscire dal clichè di se stesso, sa che dietro i suoi capelli che legano gli occhiali di plastica, oltre il suo naso e sotto la sua bocca ci sono parole che urlano e spingono per uscire, sente in sé una sorgente per rinascere, il fiotto sgorgare dell’anima nella sua estema nuda crudezza…

Eppure stare fermi tra via Garibaldi e corso Mazzini con la cartelletta sottobraccio, proprio li nell’angolo è come essere un masso, una grande pietra che blocca la sorgente..guardare altri che ci passano accanto, l’attesa è sperare uan mano per spostarlo; ecco il senso allora, non gocciolare…esplodere!!

 
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Post n°39 pubblicato il 25 Marzo 2007 da PedroBolos
immagine

Costellazioni e cene non cordiali

Li respiri e gli attimi di estranei danno il tempo al tuo essere: c’è aria ferma che sa di gente che passa.

È stato il mio sentire nella costellazione che ci girava intorno, aria nuova mista al mio solito essere e l’impulso di scriverlo e fissarlo questo mio pensiero che era il mio animo….mentre tu vivevi in altra gente, io mi cercavo dentro, proiettavo i miei pensieri lontano e sapevo dove ritrovarli….

E se un segnalibro può servire come scorciatoia, un punto segnato della vita basta a sapere che da lì in poi le cose saranno diverse.
Sarà la vita a darti la chiave per trovare ancora tra le righe nuove strutture, diversi punti, capoversi infiniti e mutevoli di una trama già scritta.

Tanti modi per trovare delle risposte e altrettanti per porsi delle domande, l’illusione di sistemare un segnalibro che ferma i passi del nostro romanzo è solo un modo di difendersi.
Ma se davvero guardi indietro per capire come andare avanti, già ti sei perso…posi gli occhi su qualcosa di avvenuto, pezzo unico che puoi solo interpretare e affinare, smussarlo così che entri nel puzzle che hai davanti adesso, come se potessi finirlo, come se dal passato ti diano l’ultimo pezzo della serenità.
Frughi nelle tasche e ne trovi di continuo, pezzi strani, mutevoli che oggi si accordano con gli altri e domani ci faranno a botte, non sei tu che potrai mai mettere l’ultimo pezzo della tua vita…è compito d’altri.
Se ne sta lì in fondo al mare pronto a risalire e completarti solo quando le tue mani saranno lievi.

Costellazioni di altri…la nostra orbita non può cambiare solo guardano i residui delle stelle che c’erano prima di noi…Capire…così…cambiare solo l’angolo di visuale, questo sì.
Una fuga piacevole, smembrarsi e ricomporsi diversi, scrullare le mani per uscire da qualcosa che non ci appartiene, che ci lascia annichiliti e spossati per intensità e potenza…Arricchisce ma non completa.

Li respiri e gli attimi di estranei danno il tempo al tuo essere:  c’è aria ferma che sa di gente che passa.

Lo devi aver pensato anche tu in quell’appartamento che neanche i cinesi….e il fumo e i deliri, che pena che ho provato, non per loro, non per noi…solo che sarebbe bello essere sempre capaci di staccarsi, questo si, entrare in costellazioni diverse senza subire l’influsso di quello che ci gira attorno…
Se lo sapessi fare non mi sarei sentito così stupido ieri sera; li, in mezzo a altri che non sono me, di sicuro non mi dovevo sentire coinvolto, tu neanche…potevano camminare da soli lo stesso.

Eppure orbite segnate tracciano strade impervie e fuorvianti…
Sarebbe stato più facile dopo tutto fermarsi in una classica pizzeria e chiaccherare di cose semplici, ridere di noi e di quelli del tavolo di fianco, filare la mozzarella con la bocca o far freddare la pizza per non smettere di parlare con te….
E invece mi sento stupido ad averti trascinato li.
Questo segnalibro lo butto via, con tante scuse….spero anche tu
 
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A spasso con Tobia...

Post n°37 pubblicato il 20 Marzo 2007 da PedroBolos
 

immagineCiao bellissima che appari dalle finestre....

come sei apparsa, non ti si è vista più domenica.

Quanti passi dietro al mio cane, dall'odore di acqua ferma e eliche del canale, giù fino alla darsena e il suo via vai di gente decisamente troppo coperta, poi di corsa, un fiato di mare, e la spiaggia ci guarda calare piano verso il fiume.

Quante volte a chiamarlo Tobia, a imprecare che non si buttasse in acqua e ridere per come sbuffa e annaspa vicino all'argine, locomotiva a vapore in difficoltà.

Avanti e indietro, un pendolo Tobia, di corsa, saltando ostacoli invisibili, cercandomi e io dispettoso mi nascondevo dietro ai ponti facendolo impazzire in spirali di panico senza di me.

Squilla il telefono e sono sotto casa tua, sembrava una serenata: affacciati alla finestra, ecco una bella videochiamata, condividere l'immagine e l'odore e il caldo del sole e ciao, ci si vede dopo, sei bellissima.

L'erba è asciutta ed è facile lasciarsi atterrare, fisicamente rilassati faccia al sole e un venticello che suona fresco nelle orecchie, il parco si presenta ospitale e noi cogliamo subito tutto il dono della terra e del nostro affetto.

Lo esploriamo insieme, passi i miei e falcate le sue, con la lingua di lato a far entrare quanta più aria possibile in un galoppo sfrenato fermato solo da odori che come briglie tirate lo inchiodano all'improvviso.

Si comporta bene, risponde e non dà fastidio, ne alle persone ne agli altri cani, vuol giocare, questo si, e come negarglielo; mi accorgo che non avrò modo di leggere il mio libro, troppi giochi da fare oggi.

ecco che sono sereno, in fondo basta poco e il parco è la mia isola felice.....

assaporo la giornata, lentamente...

È ora di tornare indietro, c'è strada da fare; non è il caso di porsi domande ....oggi stanno arrivando risposte inaspettate....

Ritorno al fiume, sotto casa tua....stavolta non chiami e non importa...ho perso il guinzaglio di Tobia e mi guarda sereno, chissà dove abbiamo conquistato entrambi un po' di libertà.

Torniamo a casa...e il cuore vola ancora.

 
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Incisioni

Post n°36 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da PedroBolos
 

immagineSe ne stava fermo lì, indifferente, e sembrava aspettarmi, vestito come solo un animale sa essere: nudo.
Non mi guardava e sulle prime non lo notai neanche...solo il bianco marmoreo dello scalino ne esaltava la sagoma mentre la luce indiretta della strada ne smussava la forma.
Una macchia marrone-verde scuro sulla bianca pelle di un costosissimo e freddo scalino di marmo, il primo dei tre che portano a quello spazio limite tra l’essere privato nella tua casa e il bisogno di divenire l'essere pubblico da mostrare alla strada: la veranda.
Magari si era perso inseguendo una falena notturna, ridicolo, un rospo dietro ad una falena, ridicolo.

Se ne stava lì, indifferentemente immobile, a neanche una spanna dal mio mocassino destro, incurante di come una scarpa possa dare dolore, se pestati o colpiti dal lancio d'ira di tua moglie, prima nel cuore, poi se ha mira, nella testa.
Non arrivava ad essere grande neanche lo spazio delle mie dita dei piedi, e da laggiù non mi guardava, assorto, forse ancora alla ricerca della sua falena.
Pura incoscienza o consapevolezza che se proprio si deve morire sotto un mocassino in saldo, allora tanto meglio se si è a pancia piena?

Ce ne stavamo lì, fermi. Non sapevo cosa dire ad un rospo.
Allora lo toccai.
Il braccio rinculò come se il mio dito avesse premuto il grilletto di chissà quale pistola; lui, alla faccia della fisica che vuole che per ogni azione corrisponda una reazione uguale e contraria, solo un piccolo balzo composto in avanti, quasi un tuffo.
Di nuovo immobile, ancora a non guardarmi.

Rinculo-balzo - rinculo-balzo - pausa - riculo-balzo.

È finito lo scalino, comincia il giardino per il rospo; io entro in casa.

Ritrovo l'abbraccio delle mie cose, di mia moglie, è così da anni, qualche volta andiamo a mangiare fuori, altre ci accoccoliamo sul divano e ridiamo o litighiamo: Se c'è ancora luce prima di cena ce ne stiamo né dentro né fuori, nel limbo della veranda, a un passo da casa se ci vien voglia di far l'amore e a uno dalla strada se ci vien voglia di scappare...

Per ogni giorno, c'è una piccola gioia che lo sostiene, come al mare, quando è inverno e c'è un sole che ti scalda dentro, quel leggero sapore di felicità che le piccole gioie di ogni giorno regalano al palato.

Ripenso al rospo, immobile a non guardarmi, fermo ad aspettare un mio tocco per saltare, come se fossi io la sua spinta di vita. E come sarei buffo, io, a saltare sulle gambe, balzo in avanti, solo quando toccato da grandi felicità ma per il resto immobile.

Mi chiedo quanda strada si possa percorrere così...

Avanti piano, costanti, a cercare in ogni cosa un piccolo passo di felicità.

Assaporare, un poco per volta, un lecca lecca la vita.

 
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