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osservazioni "politicamente" scorrette

 

 

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A "Vostro Onore" tutto è permesso..

Post n°108 pubblicato il 06 Marzo 2011 da Vince198



mah..

 

 


 

.. tanto che nel 99,3% dei casi sono sempre stati assolti dalla sezione penale del Csm, come risulta dall'indagine fatta dal giornalista dell'Espresso Stefano Livadiotti e che si evince dal suo libro “L'ultracasta”..

 

E dunque, guardando qua e là nei media, anche quelli della carta stampata, prendendo spunto da internet e da interessanti libri “ad hoc” (fra cui L'ultracasta di Livadiotti), viene da commentare che costoro straparlano sui giornali, in televisione, nelle manifestazioni pubbliche.. rovesciando insulti su chiunque: sui colleghi e sulla giustizia, sul governo come sulle forze dell'ordine.

Ma il Csm riesce sempre a trovare un buon motivo per assolverli. Salvo quando il bersaglio delle contumelie diventa proprio Palazzo dei Marescialli..

 

Una lettura che i magistrati italiani non si perdono proprio mai è quella dei "Quaderni del Consiglio superiore della magistratura" sulla disciplina. In quelle pagine hanno trovato, nero su bianco, l'elenco dei loro doveri: correttezza, diligenza, imparzialità, operosità. Il riserbo, quello veniva per ultimo, E dunque, si sono detti, era certamente il meno importante. Così, hanno deciso in massa di ignorarlo. Per rendersi conto della coerenza con cui hanno applicato la scelta ai loro comportamenti di tutti i giorni occorre armarsi di una lente d'ingrandimento e andare a curiosare tra le note di uno strabiliante e corposo tomo, intitolato La libertà di espressione dei magistrati.

 

Sostiene l'autore, Sandro De Nardi: "Se a fronte di singolari esternazioni poste in essere in occasione dell'espletamento di funzioni giudiziarie si negasse qualunque forma di sindacato e di eventuale responsabilità disciplinare al fine di non compromettere l'indipendenza funzionale degli esponenti dell'ordine giudiziario, questi ultimi diventerebbero una casta di intoccabili: il che non sarebbe concepibile in base alla nostra Costituzione".

 

Ha scritto nel 1984 Giuseppe Ferrari, costituzionalista, professore emerito di diritto pubblico ed ex membro del Csm e poi della Consulta, in Soliloquio sulla magistratura: " Assolutizzando e dilatando il principio dell'indipendenza dei giudici si perviene all'intoccabilità dei magistrati. Questi, quando amministrano la giustizia, è in nome dell'indipendenza che non possono essere perseguiti, per abnormi che siano i loro provvedimenti e sgangherate le relative motivazioni [...] E, quando non amministrano la giustizia, allora è in nome della libertà di manifestazione del pensiero che si perpetua l'intoccabilità". È esattamente ciò che succede in Italia, dove i magistrati straparlano, inondando tutti i giorni di interviste gazzette di ogni risma. Non resistendo all'irrefrenabile impulso di pararsi davanti a qualunque telecamera risulti a tiro. E facendo a gara a chi la spara più grossa, sicuri di poter contare, sempre e comunque, sulla comprensione della sezione disciplinare del Csm.

 

Negli ultimi decenni, una sola delle tante toghe linguacciute ci ha rimesso la poltrona, destituita il 19 marzo del 2004, ma non aveva solo violato il riserbo. Il tipo in questione, "già condannato per corruzione aggravata in atti giudiziari, perseguendo interessi personali di natura patrimoniale attraverso una condotta del tutto contraria ai suoi doveri istituzionali, aveva accettato da un noto imputato (dei reati di associazione camorristica ed estorsione continuata e aggravata) di rivelare i contenuti della camera di consiglio del collegio giudicante di cui faceva parte come “giudice a latere” e s'era impegnato a suggerire la strategia processuale più utile per pervenire all'assoluzione del suddetto imputato e dei suoi associati".

Diciamo pure che buttarlo fuori era stato davvero inevitabile. Ma in quasi tutti gli altri casi il Csm, in un modo o nell'altro, ha trovato la strada per assolvere i magistrati. Anche quelli che hanno divulgato particolari delle istruttorie a loro affidate, così contravvenendo alla circolare del consiglio del 22 aprile 1966.

Aveva detto l'allora presidente della repubblica Scalfaro davanti all'assemblea plenaria del 9 luglio 1998: "Non ho mai visto arrivare a termine una procedura per violazione di segreto istruttorio".

 

Ora, di seguito, alcuni esempi di magistrati che si sono lasciati andare a dichiarazioni quantomeno lesive ma che l'hanno sfangata per la solita cocciuta benevolenza della sezione penale del Csm.

 

Ecco quello del magistrato che, commentando una proposta sulla liberalizzazione delle droghe leggere, aveva insultato alcuni parlamentari (tranne poi correggersi in una successiva intervista): "Non commette illecito," ha deciso la disciplinare, "allorquando le espressioni usate [definite dal Csm stesso 'inopportune e poco meditate'] appaiono fortemente condizionate dal suo appassionato impegno professionale nello specifico settore".

 

In un altro caso, il comportamento poco urbano di Vostro Onore è stato addirittura giustificato "dall'esuberanza legata alla giovane età". Aspettando che un giorno, chissà, il magistrato sbarbatello metta giudizio pure lui, quelli della sezione intanto hanno assolto anche un suo collega che aveva "inserito in un provvedimento giurisdizionale riferimenti capaci di offendere la reputazione di terzi estranei".

Nella motivazione, gli uomini del Csm hanno superato se stessi, e pure Niccolo Machiavelli:

"[Gli insulti] erano necessari e, quantomeno, utili all'economia complessiva dell'atto processuale".

 

È stato assolto il magistrato collaboratore di un giornale che, rispondendo privatamente a un lettore denunciato per possesso di armi da guerra, aveva coperto di insulti sia la polizia ("banda di ignoranti e di imbecilli... crassa ignoranza... una tale bestialità") sia il perito del tribunale ("un imbecille").

 

Assolto anche il magistrato che aveva distribuito, all'interno degli uffici giudiziari, un volantino su un pubblico dibattito con allegati due scritti di un prete operaio prossimi all'istigazione a delinquere: "Occorre demolire il sistema puntellato da giudici e polizia e perfino dalla chiesa. Occorre far sparire i padroni e creare una nuova società con una giustizia diretta dal popolo [...] Bisogna affrettare l'abbattimento dei padroni, l'abbattimento di questa giustizia".

 

Assolta la toga che aveva definito quello di Giuseppe Pinelli "suicidio per conto terzi" e parlato di Luigi Calabresi come del "commissario finestra". Quelli della sezione hanno riconosciuto, bontà loro, che "alcune espressioni impiegate davano prima facie l'impressione di aver superato il limite che gli esponenti dell'ordine giudiziario dovrebbero rispettare allorquando esercitano la loro libertà di manifestazione del pensiero".

Poi, però, hanno spiegato: "Tuttavia bisogna valutarle tenendo conto [...] del particolare clima di scontro che aveva caratterizzato quegli anni". Assolto pure il magistrato che, riferendosi all'epoca del terrorismo, aveva scritto sul "manifesto" in un pencolante italiano: "Già oggi è una realtà che questo tipo di processi possono trattarli soltanto quei giudici culturalmente attrezzati ad accettare senza obiezioni la rinuncia a ogni elementare cautela giuridica quando si tratta di incarcerare presunti terroristi".

Gli aguzzini, insomma.

"L'affermazione, pur potendo essere letta come offensiva dei magistrati che trattavano processi di terrorismo," si legge nella sentenza, "rappresentava certamente un'opinione critica, certamente sgradita, ma liberamente manifestabile, anche da parte di un magistrato, in virtù dell'articolo 21 della Costituzione".

 

Nessuna sanzione neanche per il presidente del Tribunale del riesame di Lecce, che, in un messaggio di posta elettronica inviato a venti colleghi, e finito sulle pagine di un quotidiano locale, chiamava l'allora (come oggi) presidente del consiglio, Berlusconi, "Silvio Banana", definendolo "decisamente fesso" e invocava "una commissione d'inchiesta, pubblica e trasparente, sul rincoglionimento degli italiani".

 

Idem per il procuratore della repubblica che, impegnato in un'indagine sull'utilizzo di minorenni nella realizzazione di materiale pornografico, in un guazzabuglio di dichiarazioni si spingeva fino a dire: "In Italia esiste, ed è innegabile, una vera e propria lobby dei pedofili, che è appoggiata anche da molti esponenti di partiti politici [...] i ministri Bianco, Fassino e Turco [...] sembrano voler escludere in ogni modo che il materiale pedo-pornografico sia prodotto in Italia" ("si era in sostanza trattato soltanto," hanno sentenziato alla disciplinare, "di un modo di richiamare l'attenzione anche delle altre istituzioni su un fenomeno presentato spesso alla pubblica opinione senza la doverosa sottolineatura della sua gravita").

 

E stesso trattamento anche per il consigliere della corte d'appello di Genova che, di nuovo riferendosi a Berlusconi e ai suoi ministri, dichiarava in un'intervista:

"Questo squallido, pessimo governo sta distruggendo la struttura stessa del paese, la sua immagine, il suo futuro [... ] adesso tiriamo via questa brutta gente. È un impegno che ho preso e non mi sembra poco". A quelli del Csm, invece, è sembrato poco.

 

Addirittura, non è stata proprio esercitata l'azione disciplinare per il caso del consigliere della corte d'appello di Torino (finito peraltro sotto processo penale) che, come direttore di un periodico, aveva dato il via libera alla pubblicazione di un articolo sul processo Eichmann dove era scritto:

"II popolo ebraico, in quanto tale, dovrebbe ritenersi deicida e conseguentemente amorale e perciò indegno di giudicare chiunque".

E la sezione disciplinare ha continuato a sonnecchiare pure sulla vicenda del giudice istruttore che, partecipando a una trasmissione televisiva gestita da un partito politico, l'Msi, aveva accusato le istituzioni repubblicane di "atteggiamento criminale" e "persecuzione" nei confronti dei fascisti. Tranne risvegliarsi dal torpore quando un incauto magistrato le aveva tirato contro una sventagliata di mitra per la decisione di condannare alcuni esponenti dell'ordine giudiziario risultati iscritti alla loggia P2. Parlando con un cronista dell'agenzia Ansa, la toga ci aveva messo il carico da novanta:
"Si tratta, per quanto mi riguarda, di un tipico atto di ferocia istituzionale da dilettanti del potere [...] Nell'indifferenza dei garantisti, la lottizzazione di condanne e assoluzioni chiude questa caccia alle streghe in base a norme retroattive dopo un processo illegale davanti a un organo fuori legge. Con questi ingredienti la cucina di Palazzo dei Marescialli non poteva che sfornare pietanze da pattumiera".
Questo sì, l'hanno condannato. Quando ci vuole, ci vuole!

 

I magistrati italiani si ritengono liberi di esprimere i giudizi che meglio credono e su chicchessia. Ma se qualcuno se la prende con loro, diventano permalosi come le scimmie.

Quando il procuratore generale di Ancona, G.D., ha pubblicato sul suo blog 43 sentenze con clamorosi svarioni e salti logici (tipo: "si concedono le attenuanti generiche perché l'imputato è africano e l'Africa è povera") è successo il finimondo. L'Anm ha convocato un'affollatissima assemblea e il caso è finito, per sospetta incompatibilità ambientale, direttamente al Csm, che in un soprassalto di dignità s'è dichiarato incompetente, rimettendosi alle decisioni del ministro e del procuratore generale della cassazione. Non senza aver prima stigmatizzato "la caduta di stile". E si trattava di un collega. Figuriamoci quando la critica arriva da una controparte.

Sempre più spesso, quando qualcuno le attacca, le nostre toghe corrono a chiedere la protezione dell'intero Csm. È il meccanismo delle cosiddette "delibere a tutela". Spiega De Nardi: "A partire dalla metà degli anni settanta sono stati davvero numerosi i pronunciamenti con cui il consiglio superiore è pubblicamente intervenuto per tutelare vuoi singoli magistrati vuoi interi uffici giudiziari [...] da attacchi denigratori e calunniosi [...] le deliberazioni in parola hanno subito una vera e propria impennata nell'ultimo quindicennio. Il tenore di queste delibere a tutela è questo: "Gli atti dei magistrati possono certamente essere discussi e criticati, le soluzioni giuridiche da essi adottate possono essere contestate, le loro ipotesi accusatorie possono risultare infondate, ma, comunque, non possono essere mai adoperate, sotto il pretesto della libertà di critica, espressioni oltraggiose verso il singolo magistrato o vilipendiose dell'intero ordine giudiziario". Non sia mai.

Tanto che, recentemente, un certo Palamara s'è dato da fare per avere le identità di chi, nel sito de Il legno storto ( http://www.legnostorto.com/ ), si è permesso di criticarlo, anche ferocemente.
Ironicamente - e molto amaramente - mi viene da dire: «Evviva l'art. 3 della costituzione che viene invocato da noti berlusconofobici, spesso capeggiati da un “eccitato e diversamente laureato”, quando si tratta di inveire, more solito, contro il premier!»
Siamo a posto!

 

 
 
 
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