Creato da andry5221 il 28/07/2007

Scollinando

Paesaggi emozioni ricordi e esperienze di gente delle Langhe.

 

 

Omaggio alla gente di Langa

Post n°11 pubblicato il 14 Aprile 2012 da andry5221
 
Foto di andry5221

Storia di semplice grande gente di Langa

 

Il temporale era veramente minaccioso, i lampi e  i tuoni si susseguivano con guizzi e scoppi terrificanti.

Ginota aveva chiamato i bambini, aveva radunato i pulcini nel pollaio e  aveva acceso un cero davanti alla statuetta della Madonna perché stendesse una mano a protezione del loro raccolto.

Pinotu e i due ragazzi più grandi erano fuori per controllare tutte le ‘mposte (piccoli solchi per regimentare l’ acqua piovana) perché a volte bastava una piccola zolla a deviare l’ acqua e rovinare il terreno.

Ginota era veramente angosciata.

In cielo si vedeva la terribile nuvola bianca ribollente tipica della grandine e Pinotu e i ragazzi erano ancora fuori con solo un sacco in testa per ripararsi.

Quel terreno era quanto di più prezioso avevano, se lo erano veramente strappato con i denti.

Pinotu era andato fino in America per guadagnare un po’ di soldi e comprare della terra  per non continuare a fare il mezzadro, sempre incerto del suo futuro, legato all’ umore dei ricchi.

Il terreno che era riuscito a comprare non era un granchè.. un pezzo di boscaglia e una parte di collina instabile che si “sedeva” su se stessa ad ogni pioggia prolungata, con un piccolo “Ciabot”.. ma era sempre meglio della vita misera del mezzadro.

Ginota e Pinotu si erano conosciuti alla festa di carnevale durante un ballo e si erano subito innamorati. Non c’ era stato bisogno di bacialè (sensale di matrimoni) per combinare il matrimonio.

Lei era figlia di mezzadri e senza dote ma a Pinotu non importava.

Lei era giovane e forte e non si era mai tirata indietro davanti a nulla, la dote ce l’ aveva nell’ olio di gomito!!

Insieme avevano cominciato a disboscare il terreno e per l’ autunno avevano già piantato un po’ di grano.

Durante l’ inverno Pinotu aveva iniziato lo scasso per impiantare anche un vigneto.

Il terreno era instabile e bisognava risanarlo.

Aveva studiato bene i punti critici  e aveva scavato dei canali profondi che arrivavano fino al tufo, disposti a lisca di pesce per raccogliere tutta l’ acqua  e lì sul fondo aveva costruito dei cunicoli con le pietre raccolte in mezzo alla terra.

Li aveva poi coperti con dei rami affinchè ci fosse un buon drenaggio e infine aveva ricoperto il tutto di terra.

Per due anni avevano piantato il grano e quando furono sicuri che il terreno non sarebbe più franato avevano tracciato i filari per piantare un vigneto di dolcetto.

I filari costeggiavano lo scosceso versante della collina con un impercettibile movimento di discesa verso le capezzagne affinchè l’ acqua dei temporali  defluisse verso il fosso di regimentazione senza formare solchi nei punti sbagliati e trascinasse via la preziosa terra strappata al sottosuolo tufaceo. Questo avrebbe anche agevolato i buoi che in qualunque senso avessero tirato l’ aratro  non sarebbe mai stato in salita.

 

Questo vigneto avrebbe dato un reddito sicuro perché sarebbero arrivati i ricchi margari dalla montagna e i cascinè della pianura per accaparrarsi la pregiata uva “Dolcetto” e non ci sarebbe stato bisogno di sottostare ai sensali per la vendita.

Pinotu, insieme ai suoi fratelli, aveva tagliato molti pali di castagno nelle “piantunere” e durante l’ inverno li aveva scortecciati e appuntiti, quindi li aveva piantati tutti con le punte rivolte lungo il filare per dare un senso di ordine.

Il risultato era una armoniosa  ragnatela di filari che dava un senso di prosperità e riempiva di speranza per una vita migliore.

Ginota era bravissima  a legare con precisione i tralci, tutti ben dritti, con i grappoli ben separati, che potessero maturare bene ed avere un raccolto di prima qualità. 

Verso la fine dell’ estate, quando i lavori erano meno pressanti, Pinotu e Ginota si sedevano all’ ombra ad ammirare il loro piccolo appezzamento e pensavano che quello era una specie di Paradiso terrestre.

Ad ogni stagione c’ era un frutto, una pianta di ciliegio, qualche pianta di pesche, susine, fichi, mele e pere per l’ inverno.

Allo sbocco dei cunicoli di risanamento Pinotu aveva costruito una cisterna di raccolta dell’ acqua e predisposto una grande vasca con una grossa pietra che fungeva da lavatoio, così Ginota poteva fare il bucato quasi tutto l’ anno senza dover andare al torrente in fondo alla valle.

Quell’ acqua serviva anche per bagnare le piante del loro piccolo orto ed avere verdura in abbondanza.

E tutto questo ricavato da un pezzo di terra su cui nessuno avrebbe scommesso nulla!

 

Intanto alcuni chicchi di grandine cominciarono a cadere rumorosi insieme agli scosci di pioggia.

Alcune lacrime scesero sul viso di Ginota, Pinotu e i ragazzi erano ancora fuori…e tutto il lavoro di quell’ anno era a rischio…

Quando li vide arrivare di corsa, bagnati fradici il cuore si allargò e anche la grandine cominciò a diminuire, a cadere mista all’ acqua e infine cessò.

Per questa volta erano stati graziati!

Il danno non poteva essere molto e se fosse stata l’ ultima avrebbero avuto ancora un buon raccolto.

 

Questa piccola storia di vita quotidiana è stata scritta per ricordare cosa c’ è dietro questo paesaggio viticolo delle Langhe, oggi proposto come patrimonio UNESCO.

Le Langhe sono state plasmate  così come sono ora, da tanti Pinotu, Ginota, Vigin, Jetina……..che ne conoscono i segreti fin nelle viscere e con fatica, tenacia e lungimiranza le hanno modificate cercando per loro e per i loro figli, un futuro migliore.

Le vigne più belle restano ancora quelle tracciate da questa gente semplice ma GRANDE!!

Vorrei rendere omaggio a tutti loro con la speranza che questa  opera sopravviva alla burocrazia, alla tecnocrazia e alla globalizzazione selvaggia.

Infine, a tutti coloro che  capiteranno qui e si fermeranno ad ammirare i nostri paesaggi, a coloro che rastandone incantati vorranno scegliere di stabilirsi qui, dico: “Quando vedrete qualcuno lavorare nei vigneti, fermatevi per un saluto.   Senza di loro e di quelli  prima di loro, nulla sarebbe così com’ è. Per questo meritano il più rispettoso omaggio.”

 
 
 

Vigin e il bue Miclot

Post n°10 pubblicato il 17 Ottobre 2008 da andry5221
 
Foto di andry5221

Eccomi con una storia di molti anni fa (neanche tanti...) sull' amicizia fra uomo e animale, legata anche alla fatica di sopravvivere in un mondo dove la vita era durissima per tutti.

Il periodo dell' anno e' quello di Dicembre in concomitanza della Fiera del Bue Grasso di Carru'.

Per altre storie potete visitare www.viniromana.it

Quel mattino Vigin  si alzò alle tre del mattino,accese il lume,si vestì e andò in cucina. Mise un po’ d’acqua nel catino e si lavò la faccia. Quella notte non aveva chiuso occhio e neanche Jetina sua moglie. Era il giorno della fiera del “Bue Grasso” a Carrù  e  quell’ anno era giunta l’ ora di vendere il vecchio bue “Miclot”.

Uscì,andò nella stalla,prese la coperta da bue,lo coprì,lo slegò dalla catena e insieme uscirono dalla stalla. La strada era lunga,il bue era lento nel camminare e avrebbero impiegato almeno tre ore per arrivare a Carrù.

Il buio era fitto e lungo la strada si scorgevano ombre di altre persone che si recavano alla fiera con i loro animali.

Vigin aveva comprato il bue dieci anni prima da Miclot e per questo gli aveva dato questo nome.

Miclot gli aveva raccomandato di non avvicinarsi mai al bue con un bastone o un rametto,perché era spaventato a morte da queste cose,(forse era stato picchiato dai precedenti proprietari…..) ma che avrebbe ubbidito anche se non si aveva nulla in mano.

Infatti,a differenza degli altri buoi che temevano solo il bastone, questo sembrava capire le parole.

Vigin e Miclot ararono insieme campi e vigneti per intere stagioni e non ci fu mai bisogno di nessuno a guidare il bue.

Vigin diceva: “Miclot.. sotto! E il bue scendeva nel solco. Miclot…sopra! E il bue saliva sopra.  Quando Vigin si fermava un momento all’ ombra per una fumata di “trinciato”(tabacco preferito dagli uomini di Langa) il bue si riposava con lui e annusava  anche lui il fumo del tabacco.

L’ inverno in cui Vigin e suoi fratelli avevano fatto lo scasso per piantare il vigneto dell”Utin Grand” il bue Miclot era stato un grande aiuto.

Con l’ aratro tracciavano un solco,poi un altro all’ interno di questo e poi con le pale svuotavano lo scavo e ancora così per altri due solchi.

Impiegarono tutto l’ inverno,ma fecero un bel lavoro.

Nelle giornate fredde il bue sudato non poteva stare fermo,si sarebbe ammalato. Allora nel tempo che si impiegava a svuotare lo scavo il bue doveva tornare alla stalla.

Miclot non ebbe mai bisogno di farsi accompagnare. Vigin lo slegava dall’ aratro e gli diceva: “Miclot…a casa”  e il bue tornava da solo.A casa la vecchia madre apriva la  porta della stalla e lui entrava tranquillo.

Quando il solco era pronto Vigin e i suoi fratelli facevano un fischio alla madre seduta vicino alla finestra a fare lo “scapin”(parte sottopiede delle calze che veniva sostituita sovente per il logorio dentro gli zoccoli di legno). Lei apriva la porta della stalla e Miclot partiva e si avviava verso

l’ aratro senza mai dimenticare a che punto del campo l’ aveva lasciato.

Dieci anni erano tanti e ora Miclot non ce la faceva proprio più. Era vecchio e stanco e tenerlo ancora non era più possibile. Per questo Vigin camminava  sulla strada per Carrù con un bue al seguito.

Arrivarono alla fiera verso le cinque del mattino e Vigin legò “Miclot” alle sbarre con gli altri buoi, gli battè una pacca sul collo e andò all’osteria a mangiare un piatto di bollito e bere un bicchiere di dolcetto.

Lì incontrò molti amici che come lui erano venuti, chi a comprare e chi a vendere i buoi.

Quando si aprirono le contrattazioni “Miclot” fu venduto fra i primi perché pur essendo vecchio era ben tenuto,con il pelo lucido e curato e si vedeva che non aveva fatto la fame,la sua carne avrebbe dato ancora del buon bollito.

Più tardi,dopo le premiazioni,i buoi vennero condotti alla stazione per essere caricati sui carri bestiame.

Vigin si avviò anche lui con il suo Miclot e quando arrivarono alla stazione e vide i    “tucau”(conduttori di buoi) con dei grossi bastoni nodosi in mano si ricordò della paura del suo bue.

Chiese allora di condurlo personalmente sul vagone. Salì per primo e Miclot salì la rampa dietro di lui fra lo stupore generale. Vigin legò la corda alla sbarra,gli battè una pacca sul collo e si allontanò col capo chino. Miclot si girò,emise un leggero muggito,forse un saluto e si rassegnò al suo destino.

Vigin non si fermò a parlare con nessuno quel giorno e qualcuno disse di aver visto una lacrima sul suo viso segnato dalla fatica e bruciato dal sole delle Langhe .

Vigin ebbe ancora molti buoi,ma nessuno come Miclot.

 
 
 

Il telo di Plastica

Post n°9 pubblicato il 27 Giugno 2008 da andry5221
 
Foto di andry5221

Storia di quando la plastica arrivo' nelle nostre case.

Il temporale  era cessato improvvisamente e Cichin e Pinota fecero capolino da sotto al carro di fieno dove si erano rifugiati per ripararsi.

Avevano visto i nuvolosi avvicinarsi minacciosi e  avevano ammucchiato velocemente il fieno ormai quasi secco. Se si fosse preso il temporale sarebbe stato tutto rovinato.

Quando era quasi tutto caricato sul carro erano arrivate le prime gocce e le ultime inforcate le avevano raccolte di corsa e poi avevano aperto il telo per coprire il tutto.

Quando finalmente il telo fu legato loro erano bagnati fradici ma il fieno era in salvo.

Pinota era molto orgogliosa di quel telo fatto di un materiale nuovo, leggero e impermeabile chiamato plastica.

L’ aveva cucito lei durante l’ inverno.

Cichin aveva comprato del concime contenuto in sacchi di questo materiale e li aveva tagliati con cura per non rovinarli. Lei li aveva lavati nel ruscello  e cuciti con la vecchia macchina da cucire a pedale.

Aveva  sistemato tutte le scritte rivolte dalla stessa parte e aveva fatto una doppia cucitura come per le camicie.

In questo modo risultava un lavoro ordinato, robusto e impermeabile alla pioggia.

Man mano che il telo aumentava di volume il lavoro diventava sempre piu’ difficoltoso ma Pinota non si scoraggiò e dopo alcuni giorni il telo era abbastanza grande da coprire un carro.

Il bello di questo nuovo materiale era che, oltre ad essere impermeabile, era molto leggero e facile da trasportare.

Loro avevano un telo di materiale incerato ma era pesantissimo e quando pioveva molto cominciava a trasudare acqua e alla fine si finiva di bagnare ugualmente le cose.

Anche il bue non si era bagnato perche’ anche per lui Pinota aveva cucito una leggera coperta di plastica.

Questo nuovo materiale era veramente una scoperta eccezionale.

Pinota aveva gia’ comprato degli utensili di plastica: un secchio per l’ acqua del pozzo e un mastello per lavare i panni.

Il secchio aveva un piccolo difetto, era difficile da riempire nel pozzo perche’ galleggiava sull’ acqua ma con un po’ di accorgimenti si riusciva a riempirlo.

Bastava lasciarvi entrare un po’ di acqua per appesantirlo e poi sollevarlo e farlo scendere di colpo ed ecco che si riempiva completamente.

A quel punto si aveva un secchio pieno di acqua molto piu’ leggero da trasportare dei secchi zincati o di legno.

Questa plastica era veramente una innovazione strabiliante!!!

Gia’  Pinota  e Cichin pensavano all’ uso che  avrebbero potuto farne…

Avrebbero cercato di non sprecarne neanche un pezzetto….!!!

 

In quegli anni le scoperte si susseguivano ad una velocita’ incredibile.

Prima l’ elettricita’ che permetteva di avere la luce di notte senza il pericolo delle candele e dei lumi, poi il “pipigas” che permetteva di cucinare le piccole cose senza accendere il fuoco, il concime chimico che aiutava nelle coltivazioni ed ora questa “plastica”… leggera, impermeabile e quasi indistruttibile!!!

 

50 anni dopo: stiamo affogando in un mare di plastica  leggera impermeabile e indistruttibile ..!!

 
 
 

Esiste anche un altro macchinario. sara' valido?

Post n°7 pubblicato il 26 Febbraio 2008 da andry5221
 

Letto e riportato da www.pmnet.it

Il sistema THOR compatta e sterilizza ed il rifiuto è ancora lì da smaltire anche se sotto forma di CDR (Combustibile Da Rifiuto). Il nostro sistema (PIROMEX) gassifica SENZA BRUCIARE quindi non abbiamo camini e non abbiamo emissioni e tutto il rifiuto viene convertito in gas pulito ed una percentuale intorno al 6-10% in residuo solido inerte, che ha un suo impiego nell'edilizia o fondo stradale.

Non c'e scarto, non resta niente da smaltire e NON SERVE LA DISCARICA.
L'impianto pur essere prodotto integralmente in Italia perchè abbiamo il diritto anche di costruzione. Questo è uno dei nostri impianti ed anche gli altri lavorano in camera stagna.

Cordialmente Dr. Nicola Deiana/PYROMEX ITALIA

PS: L'impianto è stato installato in Germania per avere la certificazione tedesca che è la più restrittiva di quelle europee.


(red. PMnet) Si deduce quindi che l'impianto di cui si parlava nel servizio della RAI è un impianto italiano, mentre sembrava si trattasse di tecnologia straniera ex novo da importare in Italia. Il che è effettivamente una buona notizia.

Per ulteriori informazioni su questo impianto suggeriamo una visita a PYROMEX ITALIA - Via Dante, 67 Gozzano - Tel. 3404071600
www.pyromex.com - www.pyromex.it - www.pintermuvek.hu

 
 
 

Ci sono altri modi per riciclare i rifiuti?

Post n°6 pubblicato il 21 Gennaio 2008 da andry5221
 

Letto e riferito.

Nella gestione dei rifiuti arriva Thor, il sistema di riciclaggio indifferenziato

Un passo oltre la raccolta differenziata e il semplice incenerimento, con cui la spazzatura diventa una risorsa e che comporta un costo decisamente inferiore a quello di un inceneritore

Quanto sia oneroso e problematico il trattamento dei rifiuti, lo dimostra la tragedia della Campania alla quale media e istituzioni stanno prestando la loro allarmata attenzione in questi giorni.

Ma i rifiuti solidi urbani, com’è noto, possono rappresentare anche una risorsa. In questa direzione va Thor, un sistema sviluppato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche insieme alla Società Assing SpA di Roma, che permette di recuperare e raffinare tutti i rifiuti e trasformarli in materiali da riutilizzare e in combustibile dall’elevato potere calorico, senza passare per i cassonetti separati della raccolta differenziata.

Un passo oltre la raccolta differenziata e il semplice incenerimento, con cui i rifiuti diventano una risorsa e che comporta un costo decisamente inferiore a quello di un inceneritore. Thor (Total house waste recycling - riciclaggio completo dei rifiuti domestici) è una tecnologia ideata e sviluppata interamente in Italia dalla ricerca congiunta pubblica e privata, che si basa su un processo di raffinazione meccanica (meccano-raffinazione) dei materiali di scarto, i quali vengono trattati in modo da separare tutte le componenti utili dalle sostanze dannose o inservibili.
Come un mulino di nuova generazione, l’impianto Thor riduce i rifiuti a dimensioni microscopiche, inferiori a dieci millesimi di millimetro. Il risultato dell’intero processo è una materia omogenea, purificata dalle parti dannose e dal contenuto calorifico, utilizzabile come combustibile e paragonabile ad un carbone di buona qualità.

“Un combustibile utilizzabile con qualunque tipo di sistema termico - aggiunge Paolo Plescia, ricercatore dell’Ismn-Cnr e inventore di Thor - compresi i motori funzionanti a biodiesel, le caldaie a vapore, i sistemi di riscaldamento centralizzati e gli impianti di termovalorizzazione delle biomasse. Infatti, le caratteristiche chimiche del prodotto che viene generato dalla raffinazione meccanica dei rifiuti solidi urbani, una volta eliminate le componenti inquinanti sono del tutto analoghe a quelle delle biomasse, ma rispetto a queste sono povere in zolfo ed esenti da idrocarburi policiclici”.

E’ possibile utilizzare il prodotto sia come combustibile solido o pellettizzato oppure produrre bio-olio per motori diesel attraverso la ‘pirolisi’. L’impianto è completamente autonomo: consuma infatti parte dell’energia che produce e il resto lo cede all’esterno.

Il primo impianto Thor, attualmente in funzione in Sicilia, riesce a trattare fino a otto tonnellate l’ora e non ha bisogno di un’area di stoccaggio in attesa del trattamento; è completamente meccanico, non termico e quindi non è necessario tenerlo sempre in funzione, anzi può essere acceso solo quando serve, limitando o eliminando così lo stoccaggio dei rifiuti e i conseguenti odori. Inoltre, è stato progettato anche come impianto mobile, utile per contrastare le emergenze e in tutte le situazioni dove è necessario trattare i rifiuti velocemente, senza scorie e senza impegnare spazi di grandi dimensioni, con un costo contenuto: un impianto da 4 tonnellate/ora occupa un massimo di 300 metri quadrati e ha un costo medio di 2 milioni di euro.
L’impianto può essere montato su un camion o su navi. In quest’ultimo caso, la produttività di un impianto imbarcato può salire oltre le dieci tonnellate l’ora e il combustibile, ottenuto dal trattamento, reso liquido da un ‘pirolizzatore’, può essere utilizzato direttamente dal natante o rivenduto all’esterno.

“Un impianto di meccano-raffinazione di taglia medio-piccola da 20 mila tonnellate di rifiuti l’anno presenta costi di circa 40 euro per tonnellata di materiale - spiega Paolo Plescia - Per una identica quantità, una discarica ne richiederebbe almeno 100 e un inceneritore 250 euro. A questi costi vanno aggiunti quelli di gestione, e in particolare le spese legate allo smaltimento delle scorie e ceneri per gli inceneritori, o della gestione degli odori e dei gas delle discariche, entrambi inesistenti nel Thor. Quanto al calore, i rifiuti che contengono cascami di carta producono 2.500 chilocalorie per chilo, mentre dopo la raffinazione meccanica superano le 5.300 chilocalorie”.

Un esempio concreto delle sue possibilità?
“Un’area urbana di 5000 abitanti produce circa 50 tonnellate al giorno di rifiuti solidi - informa il ricercatore.- Con queste Thor permette di ricavare una media giornaliera di 30 tonnellate di combustibile, 3 tonnellate di vetro, 2 tonnellate tra metalli ferrosi e non ferrosi e 1 tonnellata di inerti, nei quali è compresa anche la frazione ricca di cloro dei rifiuti, che viene separata per non inquinare il combustibile. Il resto dei rifiuti è acqua, che viene espulsa sotto forma di vapore durante il processo di micronizzazione. Il prodotto che esce da Thor è sterilizzato perché le pressioni che si generano nel mulino, dalle 8000 alle 15000 atmosfere, determinano la completa distruzione delle flore batteriche, e, inoltre, non produce odori da fermentazione: resta inerte dal punto di vista biologico, ma combustibile”.

Un’altra applicazione interessante di Thor, utile per le isole o le comunità dove scarseggia l’acqua potabile, consiste nell’utilizzazione dell’energia termica prodotta per alimentare un dissalatore, producendo acqua potabile e nello stesso tempo eliminando i rifiuti soldi urbani.

 
 
 
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