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ESPORTARE LA LIBERTA’

Post n°50 pubblicato il 12 Marzo 2007 da enricolucre
Foto di enricolucre

La tv non è solo paccottiglia. Per fortuna. Qualche volta, seppur con fatica, si può persino beccare un programma che valga la pena di essere seguito. È il caso della rubrica di tarda mattinata su Rai Tre, a cura di Corrado Augias, dove hanno spazio discussioni notevoli su argomenti non frivoli. Il 28 febbraio scorso è intervenuto a presentare il suo ultimo saggio dal titolo “Esportare la libertà. Un mito che ha fallito”, edito da Mondatori, Luciano Canfora, noto filologo e storico di origine barese. Il libro ha come oggetto la discussione sull’abuso del concetto di libertà, attraverso l’analisi storica di guerre apparentemente liberatorie. Basta riflettere sulle recenti e permanenti campagne militari in Iraq ed Afghanistan, per scoprire le profonde contraddizioni dell’utilizzo di questo termine. Canfora si addentra in un viaggio interpretativo delle storie dell’uomo a partire dalla pretesa da parte di talune oligarchie di imporre il proprio punto di vista e la propria concezione del mondo come l’unica possibile. Tutti gli imperialismi e le politiche di potenza hanno cercato di affermarsi attraverso sistematiche opere di violenza, fallendo miseramente nell’obiettivo prefissato: l’omologazione culturale a propria immagine e somiglianza. È in questo atteggiamento dalla logica controversa che si consuma il fallimento di un’ideologia e di un vero e proprio mito. Le tappe storiche di questo fallimento sono diverse: Sparta combatté la guerra del Peloponneso, sostenendo di voler liberare la Grecia dall'oppressione ateniese; la rivoluzione francese in nome della libertà si risolse in una atroce campagna di terrore e privazione di diritti; le guerre napoleoniche determinarono la trasformazione della Francia rivoluzionaria in un impero bonapartista, non lontano dai meccanismi totalitari del ventennio precedente; i conflitti regionali della Guerra Fredda (Vietnam, Medio Oriente, Afghanistan), furono sempre inseriti nel contesto di una lotta per l'affermazione della democrazia nel mondo. Non dimenticando il crollo del blocco sovietico, “idealizzato” sistema di libertà apparente. Sullo sfondo di questi fatti storici si consuma quella “torsione morale, culturale, politica” che predispone uno Stato alla volontà di sognare ed esercitare progetti di egemonia, fregiandosi contemporaneamente del titolo di “strenuo difensore della libertà”. I danni mondiali di questi tentativi di “imposizione libertaria” sono terribili ed irreversibili. Governi e stati, dunque, si adoperano con ampie campagne di altisonanti dichiarazioni per celare gli interessi, che sono i reali motivi delle guerre da loro scatenate. Le motivazioni, sconfessate ad ogni livello, che hanno condotto alla guerra in Iraq, sono state solo l’ultimo esempio di un laborioso meccanismo propagandistico americano, piuttosto diffuso. Del resto “esportare la libertà” anche stilisticamente non funziona. Trattasi di una sorta di ossimoro interno ed inconcludente. Campeggia a riguardo la frase di un illuminista controverso, Robespierre, che in tempi di lucidità “pre-terroristica” affermava: "L'idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo politico è quella di credere che sia sufficiente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati; il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli come nemici".

Ma il concetto di libertà non si esaurisce in un modello collettivo: è anche un modus essendi del singolo. Socrate la indicava come una preziosa virtù (quindi non come dato semplicemente acquisito, ma come percorso in divenire). Le grandi religioni e il criticismo kantiano l’hanno riassunta nella formula del “Non fare agli altri, quello che non vuoi sia fatto a te stesso”.  La tradizione popolare afferma che “la mia libertà inizia dove finisce la libertà altrui”, riportando alla ribalta un’impostazione di carattere liberale, che marca i confini, relegando il tutto a questioni di mera proprietà. Credo che sia difficile dare una definizione totalmente condivisa di questo termine, proprio a causa dell’eccessiva personalizzazione e di un uso diventato abuso anche nel parlare comune. Occorre notare che proprio questo processo di “personalizzazione” e di “libertà a proprio uso e consumo” ha poi generato forme equivoche che hanno tentato di giustificare presso l’opinione pubblica “bombe intelligenti”, “guerre preventive” ed altri derivati devastanti. Libertà è anche e soprattutto verità. Per questo, la propaganda bellica ha colpito l’informazione rendendola veicolo di una libertà falsata. Nel nostro paese, ad esempio, sulle operazioni militari del governo Berlusconi si è verificato lo stesso meccanismo distorto per suscitare nell’opinione pubblica il consenso artificialmente creato negli USA. Per non parlare dell’atteggiamento liberale, che da noi è spesso una copertura piuttosto che una realtà concreta. La parata di presunti liberisti accoglie in primis lo stesso Berlusconi, che ha fatto della libertà uno slogan pubblicitario a 162 denti. A ben vedere, ci si rende conto che il tizio in questione è l’unico convinto “liberista” monopolista. Una contraddizione evidente che non ha nulla a che fare col liberismo di Gobetti o di Jefferson, uno dei padri fondatori degli USA, che affermava: “Quando la stampa è libera, e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”. E  aggiungeva:“E’ solo l’errore che ha bisogno del sostegno del governo. La verità si regge da sola.”; per concludere con: “Non riconosco nessun’altra sovranità se non quella del popolo stesso. E se si ritiene che il popolo non sia maturo per esercitarla, la soluzione non sta nel sottrargliela, ma nell’educarlo ad usarla”. Libertà è verità, dunque. Educazione ad essa. E sono convinto che, al contrario di quanto si va comunemente affermando, la mia libertà inizi proprio dove inizia quella altrui.

 

      

 
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