Creato da VELENOnelleVENE il 21/09/2007

PUNTO. E A CAPO

Minchiate assortite gusto fragola, vaniglia, rabarbaro, caffè o mais.

 

 

PASOLINI

Post n°104 pubblicato il 02 Luglio 2011 da VELENOnelleVENE

"La mia indipendenza

che è la mia forza,

implica la mia solitudine

che è la mia debolezza"


 

[Pier Paolo Pasolini]

 
 
 

IL MIO ALLEGRO CANE MORTO

Post n°103 pubblicato il 30 Giugno 2011 da VELENOnelleVENE

Non aveva mai avuto una gran simpatia per l’acqua. Anche con quaranta gradi all’ombra innaffiarla con la gomma del pozzo costituiva farle un dispetto. Molte volte mi aveva seguito nelle mie scampagnate lungo l’argine del canale davanti a casa nostra, avvicinandosi alla sponda con circospezione solo per dissetarsi se l’acqua era abbastanza alta. Le anatre che vi starnazzavano invitanti la facevano impazzire per il suo innato istinto predatore, ma mai si sarebbe tuffata ad inseguirle come avevo visto fare ad altri dei miei cani.

L’avevo scelta io tra le sei femmine bastarde nate dal pastore tedesco di un falegname che conosceva mio padre. Erano i primi di maggio del 1997 e la cucciolata aveva appena due settimane. La mia attenzione era stata immediatamente catturata da quel fagottino a pelo corto che a malapena teneva gli occhi aperti e ancora non era assolutamente in grado di reggersi sulle zampe, MA GIA' ABBAIAVA. Contro le sorelle, contro la madre, contro di noi. Era diversa da tutte le altre anche per colore e dimensioni. Indubbiamente era la più piccola. Ben nutrita, ma la più piccola. Una striscia di pelo nero le partiva da dietro il collo e finiva nella coda contro il resto del mantello marrone focato tipico dei pastori tedeschi.

Aveva appena cinquanta giorni quando il falegname ci intimò di venircela a prendere. La caricammo sul sedile posteriore della vecchia Uno dicendo a mia sorella, di appena quattro anni, di tenerla ferma. Nei pochi chilometri di strada la pazienza della bambina fu già messa a dura prova dall’esuberanza del cucciolo. Le fu attribuito in ragione di ciò il nome GAIA. Mostrava ora ben evidenti anche alcuni caratteri del padre, un collie. Il muso leggermente più affusolato rispetto al pastore tedesco, le orecchie a mezz’asta che mai avrebbe drizzato completamente ma soprattutto quella ben definita linea nera “di eyeliner” a sfilare gli occhi che conferisce fierezza e dolcezza insieme allo sguardo di Lessie, se avete presente.

 Le sue dimensioni rimasero sempre abbastanza ridotte, un animale di taglia media sui ventidue-ventitrè chili di peso al massimo del suo sviluppo. La libertà assoluta del giardino e delle campagne di casa nostra di cui godeva durante il giorno ne avevano modellato il fisico come raramente si osserva nei cani urbani. Le spalle ed i glutei erano fasci di nervi e muscoli capaci di farla gareggiare senza sforzo col Ciao di mio babbo a tavoletta lungo le capezzanie.

Era meglio non provocarla al gioco perché la sua esuberanza poteva diventare in brevissimo tempo incontenibile. Non mordeva per ferire ma ugualmente la violenza dei suoi assalti ludici mi lasciava le braccia piene di graffi e segni. Alle volte, quando la sua ilarità si scatenava oltre misura, tendeva agguati. Si nascondeva subdolamente dietro una porta o dietro la macchina in garage, dritta, immobile ed in silenzio spiando le mie mosse. Non appena le voltavo le spalle usciva allo scoperto e, rapida come un aspide, mi pizzicava le natiche con i minuscoli incisivi, facendomi ricordare di lei per giorni quando mi sedevo.

Di quando in quando riusciva a catturare un fagiano. Non li toccava mai. Si limitava a spezzargli la schiena ed abbandonarli nella corte. Se avevamo la fortuna di rinvenirli quando erano ancora caldi si mangiava fagiano in umido.

Non sporcava mai nel cortile di casa né nel box in cui la chiudevamo la notte. Attendeva rigorosamente di essere liberata la mattina per espletare i suoi bisogni fisiologici in campagna.

A volte avevo la sensazione di avere a che fare con una intelligenza superiore che si spacciava per cane. Sapeva spiegare perfettamente  anche con un solo sguardo o un movimento rapido della testa il suo desiderio di mangiare o di guidarmi da qualche parte. Fu la confidente della mia adolescenza solitaria ed arrabbiata. Quando non c’erano parole ma solo lacrime per dire dei miei genitori che non si parlavano, una lingua sbrigativa ed impaziente le leccava via come a dire “Semttila di frignare, andiamo a correre!”.

Non la facemmo mai accoppiare ma del resto non era particolarmente socievole con i suoi simili. Maschi o femmine che fossero.

Invecchiando aveva cominciato a ridurre le scampagnate. Gli occhi castani si erano velati di cataratta ma non diventò mai completamente ceca. Né completamente sorda benchè negli ultimi anni non la svegliassero neanche le cannonate. Anche l’olfatto – e di conseguenza il gusto – si era notevolmente affievolito per cui cominciò a schifare le normali crocchette ed accettare solo quelle per gatti o per cani anziani congegnate più saporite. Nonostante il notevole appettito che l’accompagnò fin quasi ai suoi ultimi giorni di vita, andò via via perdendo peso verso la fine.

Il suo odio per il veterinario era atavico. Non si risparmiò un tentativo di staccargli una mano nemmeno dopo l’emorragia celebrale che la colpì la scorsa estate e che la lasciò per diversi giorni quasi incapace di alzarsi ed alimentarsi. Un cane della sua taglia può aspirare a vivere non più di quattordici – quindici anni. Tredici ci sembravano anche abbastanza. L’avevamo già data per spacciata allora ed invece nel giro di alcune settimane fu di nuovo abile, compatibilmente con l’età.

Ma ora, da alcune settimane le complicanze della sua vecchiaia si erano aggravate, rendendole sempre più difficile alzarsi. Il peso dei suoi anni la avviliva visibilmente mentre ci vedeva muovere per la corte ad una velocità per lei ormai proibitiva. Nonostante ciò non si è mai risparmiata di starci appresso non appena vi riusciva agitando la coda in segno d’affetto. L’abbiamo curata finché ce l’ha consentito con omogeneizzati, cortisone e digitale per il suo vecchio cuore.

La mattina del 27 giugno si è infine allontanata da casa. Ha percorso con le sue ultime forze i centocinquanta metri che la separavano dal canale e vi si è gettata.

Era solo un cane certo, ha seguito il suo istinto. Ma come si fa a non credere che abbia compiuto un atto di coraggio indotto dall’autocoscienza quando è il tuo cane per metà della tua vita?!E come si fa dunque a non piangerlo come si piangono gli uomini?! Continuo a vedermela nella testa incamminarsi lenta e silenziosa verso il canale, consapevole di essere già finita salutare la vita con un lieve ondeggiare della. coda. IL MIO ALLEGRO CANE MORTO.

 
 
 

NEI PANNI DI UNA BIONDA

Post n°102 pubblicato il 16 Giugno 2011 da VELENOnelleVENE

"Abbiamo ormai passato i trent’anni e siamo senza scopo alcuno nella vita. A parte far arrivare il weekend per ubriacarci con gli amici. Siamo socievoli e disinibiti solo quando non idonei alla guida.
Le donne sono attraenti ma inutili e fastidiose.  Le ventenni non capiscono un cazzo e son buone solo per due colpi nel bagno di un locale. Le trentenni han voglia di famiglia e stabilità per cui son buone solo per due attenti colpi nel bagno di un locale. Mai abbassare la guardia. Si sa mai come possono incastrarti queste troie.
A volte ci costruiamo castelli in testa di vita di coppia come quella dei nostri genitori, di figli da crescere, di mutuo da pagare. Diventiamo romantici con la prima ragazza che incontriamo e confondiamo la passione con l’amore. Non sappiamo più dire la verità. Poi quando gli ormoni si spengono, il pensiero di rinunciare alle birre per il mutuo si fa insopportabile, diventiamo tristi e insofferenti ed abbandoniamo il campo con la coda tra le gambe.
Ricominciamo con le scopate disimpegnate sulla spiaggia, nei bar, nei locali, sui tetti, nei granai, in vacanza, in ufficio. Finché non ricaschiamo di nuovo nel romanticismo e così via all’infinito.
Dissimuliamo la nostra inettitudine esibendo ostentata mascolinità. Gonfiamo i nostri bicipiti in palestra. Ci inventiamo passatempi fondamentali per renderci interessanti. Ci circondiamo di amici di cui non ci ricorderemo più quando non li vedremo nei locali che frequentiamo. Non ci frega un cazzo di nessuno. Nemmeno di noi stessi."

 
 
 

PESSIMISMO & FASTIDIO

Post n°101 pubblicato il 25 Maggio 2011 da VELENOnelleVENE

Sono nevrotica. Ansiosa. Paranoica. Pessimista. Non ne faccio mistero. Paleso la mia indole in parole ed opere esponendomi senza vergogna allo sdegno di chi mai si comporterebbe in tal modo.

Ieri sera, mentre stiamo cenando io e mio padre solamente, gli squilla il telefono. Risponde uscendo dalla cucina e dirigendosi verso lo studio. Ne fa ritorno meno di un minuto più tardi. “Chi era?” domando. “Non ho capito.” Risponde vagamente. Strano penso subito, sembrava aver inteso benissimo con chi stava parlando quando è uscito dalla stanza. “Non sono proprio riuscito a capire chi era” ripete, alimentando ulteriormente i miei dubbi. E la mia cazzo di fantasia psicolabile parte al galoppo. Puntate tutto su Prince Psycho ragazzi! Prince Psycho vincente dieci a uno!

Più tardi, mentre è sotto la doccia, ficco il naso nel registro chiamate del suo cellulare. Rinvengo ed annoto il numero – sconosciuto – che lo ha chiamato e che lui ha richiamato poi in seguito. Lo so, sono una persona orribile. Queste cose non si fanno. E bla bla bla.  

L’ipotesi più rosea è quella che si tratti di un’amante o prostituta. Del resto non è un mistero che i miei non si vogliano più bene da un pezzo ed il loro restare sia una semplice assunzione di responsabilità. Quando mi fa discorsi “da uomo a uomo” mio padre non risparmia brutalità sull’argomento. L’idea mi infastidisce, non lo nego, ma lo considero il male minore.  

L’ipotesi più cupa è invece che abbia preso contatto con un medico per problemi di salute. Giusto un paio di giorni fa mi arrabbiavo con mia nonna per il pessimismo e l’angoscia con cui ammorba le nostre vite. “Tuo papà dice sempre che è così stanco. Avrà mica qualche cosa?!” mi diceva col suo solito sguardo lacrimoso da morte nel cuore. E io a farle violente sfuriate delle mie quando mi scende la catena che dopo mi sento uno schifo perché in fondo è solo una vecchia di novant’anni che ne ha passate troppe ed è ormai stanca della vita. Mi incazzo con lei perché pensa sempre al peggio e poi io sono uguale. Mi angoscio per un nonnulla. Mi costruisco nella mente futuri tragici che mi piombano nel panico e nelle lacrime. Anche le recenti brutte notizie di Matteo hanno lavorato sotto terra. Non ci ho dato peso sul momento. Ma era inevitabile. Non fu solo una complicità estrema a legarci per quel lungo, strano anno. Le nostre sensibilità si fondevano a tal punto che il dolore dell’uno era compreso ed avvertito dall’altro senza nemmeno che se ne parlasse. Immedesimazione. Un solo cuore per due persone. Un tale abominio era giustamente destinato a soccombere. Averlo sentito simulare serenità come suo solito ma avere chiara cognizione del tormento che è in lui di questi tempi mi ha spossato. E risvegliato le mie paure e vulnerabilità. Non sono assolutamente ancora pronta per fare a meno di mio padre. E so che se ne constaterà mai la necessità si concederà un’uscita di scena gloriosa. Altro reperto dai “discorsi da uomo a uomo” questo. E come dargli torto.

Ma la cosa che più mi spaventa è che difficilmente sarò mai pronta. Pronta ad essere del tutto sola nell’amministrazione di questa famiglia. Perché oltretutto sospetto che la mia solitudine circostanziale debba rendersi necessaria di questi tempi e forse per molti tempi. Probabilmente non sono in grado di gestire una relazione che vada oltre il sesso. Ed al contempo non ho più voglia di relazioni programmaticamente disimpegnate. Ho gettato la spugna anche con Fabrizio benché mi piaccia ancora innegabilmente. Ciò testimoniato dall’abbattimento, piuttosto che la rabbia, che ho avvertito nel sapere che si filava una  qualsiasi agganciata ad un pijama party, quando a me pochi giorni prima ancora dispensava i suoi “sto bene da solo in questo periodo”. E cavolo, mai che trovasse il coraggio di rompermi i denti con una poco politicamente corretta verità tipo “non vali il rischio che c’è a scoparti”.

Con Giulio è andata molto meglio per esempio. Un lieve interesse, forse mi sbaglio, ma non credo, reciproco. Due chiacchere casualmente calcolate sulla questione. E mezz’ora dopo era già colpo di fulmine per una mia amica. Cazzo, così si fa!Stimo gli uomini che hanno l’immediata risolutezza di ammettere di non avere le palle!Sul serio, senza ironia.

Comunque sia vedo un po’ di luce anche sul fronte Fabrizio. Le premesse sono buone per sigillare la questione sul piano dell’amicizia. Rapporti civili e rispettosi, contatti frequenti ma fermamente referenziali, distanze ben gestite e speriamo che il tempo curi le mie ferite. Nascondo nel portafogli il biglietto col numero di telefono rubato a mio babbo. Non lo faccio chiamare da nessuno per ora. E vedo di mettermi in pace da sola.

 
 
 

RABBIT ON YOUR HEADLIGHT

Post n°100 pubblicato il 15 Marzo 2011 da VELENOnelleVENE

L’apocalisse si avvicina e comincia dal Giappone. Ed invece di ringraziare la mia buona stella per non essere radioattiva oggi il mio coraggio vacilla. Mi chiedo se mi sarà concesso ancora di amare. Perché so che potrà accadere solo se qualcuno deciderà di entrare nella mia vita a dispetto dei rischi. E dovrà farlo con consapevolezza non per disperazione, ho imparato la lezione. Mi sento esattamente come l’uomo col parca nel video di Rabbit on your headlight. Cammina in mezzo alla strada in un tunnel trafficato di macchine inveendo contro un nemico invisibile in un linguaggio incomprensibile. Alcune auto lo schivano, altre lo investono in pieno alle spalle sgommando subito via. Ogni volta lui si rialza come se nulla fosse, continua ad inveire e camminare verso l’uscita del tunnel . Ecco proprio così mi sento. C’è chi mi schiva e chi mi prende sotto. E fa male. Dio se fa male. Ogni volta mi rialzo come fossi insensibile rivolgendo al nulla la mia rabbia che nessuno può comprendere. La mia rivolta è contro chi mi vorrebbe indurre ad abbandonare ogni speranza per la mia pericolosa diversità, che mi ghettizzassi da sola rinunciando alla vita. Le persone che mi usano la violenza dell’indifferenza per vedere fino a che punto mi reggerò in piedi. E certi giorni, come oggi, una stanchezza gelida alla fine mi spegne. Le mie speranze scivolano nel tentativo di scavalcare il muro liscio della mia solitudine. Una solitudine ormai diventata essenziale. La mia croce. Il mio baluardo.

 
 
 

 

AREA PERSONALE

 
"But I don't want to go among MAd people." Alice remarked.

"Oh, you can't help that," said the Cat "we're all MaD here. I'm
mAD.
You're
MAD."

"How do you know I'm
mAd?"

"You must be" said the Cat "or  you  wouldn't have come hERe!"

[Lewis Carroll]
 

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