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Banchieri di lotta e di governo.

Post n°859 pubblicato il 28 Gennaio 2013 da VoceProletaria

 


Banchieri di lotta e di governo.

E il conto lo paghiamo noi

di Prc, Ufficio Credito ed Assicurazioni – 27.01.2013


Nei mesi scorsi, con decretazione d’urgenza, nelle esauste casse dello Stato sono stati improvvisamente trovati 3,9 miliardi di euro per rafforzare il patrimonio del Monte Paschi di Siena (terzo gruppo bancario italiano) ed adeguarlo ai desiderata dell’EBA (European Banking Authority). Per la precisione, 1,9 miliardi saranno utilizzati dalla banca per rimborsare i Tremonti Bond emessi nel 2009 mentre la cifra restante rappresenta un’ulteriore iniezione di “denaro fresco”, indispensabile a dare un minimo di credibilità al Piano d’Impresa 2012-2015 varato contestualmente.
Un vero e proprio sostegno pubblico, quindi, ad una banca da tempo in profonda crisi (anche di identità) con pesanti risvolti, come noto, sull’attività della stessa Fondazione azionista di maggioranza, delle istituzioni locali, dell’economia senese.
Nel mentre si sottoponeva il paese ad una cura draconiana, il “governo dei banchieri” non dimenticava di aiutare i propri amici e la propria “base sociale”.
Tra i protagonisti e responsabili degli ultimi difficili anni di Mps troviamo quel Giovanni Mussari che fino alle dimissioni dei giorni scorsi a lungo tempo e con decisioni all’unanimità) alla guida dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana).
Mussari, da sempre considerato tra i banchieri più vicini al PD, è stato nominato nel 2001 alla presidenza della Fondazione Mps e cinque anni dopo a quella della Banca, carica che ha conservato sino a pochi mesi fa. Sotto la sua guida, in particolare, è stata portata a termine la costosissima e disgraziata acquisizione di Antonveneta, operazione che ha letteralmente prosciugato il patrimonio della Fondazione e sulla quale sta indagando la procura di Siena per presunti reati di aggiotaggio e ostacolo agli organi di vigilanza (con tanto di perquisizione a ca’ Mussari). E non si tratta certo dell’unico problema giudiziario del banchiere, recentemente rinviato a giudizio per falso e turbativa d’asta nella gara per la costruzione dell’aeroporto di Ampugnano.
Un curriculum davvero brillante che tuttavia non ha impedito alla lobby dei banchieri italiani di sceglierlo due volte come proprio massimo rappresentante… Del resto, sin dal 2010, tra i principali sponsor di Mussari compaiono nomi illustri quali quelli di Corrado Passera (prima AD di Intesa Sanpaolo, poi Superministro e, da pochi mesi, con guai per reati fiscali) e di Alessandro Profumo che, guarda caso, ne ha ereditato, a maggio, la carica di presidente del Monte Paschi, uscendo così dalla situazione di dorato oblio nella quale era finito dopo l’uscita di scena da Unicredit.
Dispiace persino ripetersi ma si tratta nuovamente di un banchiere nell’orbita del centrosinistra, le cui manie di grandezza e scorribande finanziarie internazionali hanno coinciso con un periodo difficilissimo per il Gruppo che ha guidato con fiero cipiglio per oltre un decennio e che, infine, ha pure lui qualche problemino con la Giustizia, come testimonia il recente rinvio a giudizio con l’accusa di frode fiscale.
Eppure è proprio ad un personaggio come Profumo che vengono affidati il rilancio del Monte Paschi, ironicamente nel segno della discontinuità, ed il fiume di denaro pubblico indispensabile a far superare alla Banca (forse) la fase di crisi più acuta.
Ma come ripagherà il Monte Paschi il finanziamento che riceverà dallo Stato e che verrà coperto attraverso un ulteriore taglio lineare alle disponibilità di spesa dei vari Ministeri? 
Se non ci saranno utili, il capitale e gli interessi potranno essere rimborsati attraverso la conversione dei cosiddetti Monti-bond in azioni (sino al 3% del capitale) che, si precisa immediatamente, non avranno diritto di voto!
Siamo al paradosso. Lo Stato investe denaro pubblico quasi a fondo perduto e nel contempo abdica, per l’oggi e per il domani, alla possibilità di incidere nella gestione della banca, affidandosi del tutto a quella casta di banchieri e manager privati che ci hanno portato sin qui.
Il tassello mancante è ovviamente rappresentato dal nuovo Piano d’Impresa che rappresenta la cornice entro la quale si colloca l’operazione descritta. Un’ennesima serie di slide colorate dalle quali emergono sostanzialmente solo tre certezze: l’assenza di un qualsivoglia progetto di sviluppo della banca, un’infinita quanto approssimativa serie di cessioni e chiusure (anche di sportelli, oltre 400) ed il massacro delle lavoratrici e dei lavoratori.
C’è davvero l’intero repertorio di questi raffinati e originali tecnici: esodi, esternalizzazione dei back office, azzeramento di un Contratto Integrativo costruito in decenni. La riduzione dei livelli occupazionali ed il taglio del costo del lavoro sono le vere, uniche “discontinuità” buttate in pasto ai mercati.
Tutto questo con un accordo separato senza la Cgil anticipando un modello, quello dell’accordo sulla produttività di cui l’ABI si è fatta paladina portando con la complicità del governo (leggi Passera) sulle sue posizioni la confindustria, CISL e UIL.
La vicenda del Monte Paschi è quindi davvero emblematica della tremenda fase politica, economica e sociale che stiamo attraversando.
Le difficoltà della banca, causate sia da specifici errori gestionali sia dal generale contesto di crisi del capitale, vengono fatte pagare ai lavoratori ed alle classi subalterne sia direttamente (nel luogo della produzione) sia indirettamente (nella società) grazie all’utilizzo di denaro pubblico che invece non si trova per ospedali, asili, pensionati, disoccupati.
Occorrerebbe, quanto meno, che l’intervento dello Stato avviasse un percorso finalizzato a strappare le banche alle tecnocrazie finanziarie, alla speculazione, agli interessi del grande capitale cui sono state sostanzialmente consegnate, a prezzo di saldo, con le privatizzazioni degli anni novanta, servendo nel contempo quale elemento di garanzia per i livelli occupazionali ed i diritti dei lavoratori.
E invece no, il bastone del comando rimane saldo in mano agli artefici della crisi, agli inquisiti per frode fiscale, agli apologeti della finanza creativa. Se sono in difficoltà personale, al massimo cambiano di poltrona. Ce ne sono tante a disposizione: nella banca fino a ieri aspra concorrente, al governo, nei templi della burocrazia europea.

 

 
 
 
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