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DELITTI DOC / 1: COGNE, quel circo mediatico sulla pelle del piccolo Sammy

Post n°1680 pubblicato il 30 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Dopo la scarcerazione di Annamaria Franzoni, condannata per l’omicidio del figlio di tre anni, ripercorriamo uno degli eventi delittuosi che hanno cambiato il modo di vedere e di “vivere” la cronaca

di Andrea Accorsi

Annamaria Franzoni è tornata a casa. Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha concesso i domiciliari alla mamma condannata per l’omicidio del figlio Samuele Lorenzi. «Che bello, non ci posso credere, sono felice» ha detto la donna non appena ha appreso la notizia.
Quello di giovedì è stato l’ultimo atto di una lunga e tormentata vicenda giudiziaria, iniziata dopo la morte del piccolo Sammy. Una vicenda che, come sempre, ha diviso il Paese tra innocentisti e colpevolisti, anche autorevoli. E che per lungo tempo ha oscurato ogni altro fatto di sangue, anche grave: pochi mesi dopo, una donna uccise i due figli di 4 anni e di 21 giorni annegandoli in un laghetto vicino ad Aosta. Un fatto molto simile, eppure passò quasi inosservato. Ma soprattutto, il delitto di Cogne ha cambiato il modo di vedere e di “vivere” la cronaca. Come altri eventi delittuosi che ripercorreremo in questa sede nelle prossime domeniche.
«MIO FIGLIO STA MALISSIMO, È TUTTO INSANGUINATO». È il 30 gennaio 2002, un mercoledì, quando Samuele, tre anni, viene ucciso nella villetta di Montroz, frazione di Cogne, nella quale vive con i genitori e il fratello più grande, Davide. Alle 7.30 il padre, Stefano Lorenzi, è uscito di casa per andare a lavorare. Tre quarti d’ora dopo, Annamaria accompagna Davide alla fermata dello scuolabus, lì vicino. Quando rientra in casa, Samuele, che dormiva nella camera da letto dei genitori, è in fin di vita: il piccolo è stato colpito con violenza alla testa per 17 volte con un corpo contundente. Alle 8.28 la madre telefona al 118 per chiedere soccorso. Trasportato in elicottero all’ospedale di Aosta, il bambino spira un’ora e mezza dopo il ricovero.
Accusata dell’omicidio del figlio, Annamaria Franzoni si proclama da subito innocente e non cambierà mai versione. La sua detenzione in attesa del giudizio è discussa perfino dalla Cassazione, che stabilisce che la donna non deve tornare in carcere, pur essendoci alcuni gravi indizi a suo carico.
Il processo, celebrato nel 2004 nel Tribunale di Aosta, si conclude rapidamente con la condanna per omicidio volontario aggravato a trent’anni di reclusione, il massimo previsto per il rito abbreviato chiesto dal difensore, Carlo Taormina. In appello la pena viene ridotta a 16 anni, divenuti 13 con l’indulto.
La Franzoni viene incarcerata a Bologna. Lo scorso 7 ottobre ottiene di lavorare in una cooperativa sociale dove cuce borse, astucci e altri accessori.
SANGUE E MEDIA. Fin da subito, intorno al delitto di Cogne si scatena un circo mediatico che sorprende gli stessi cronisti inviati sul posto, convinti di rientrare dopo pochi giorni e invece destinati a rimanervi per mesi. La villa teatro dell’omicidio diventa presto un’immagine indelebile nella memoria collettiva, come il trattorino giocattolo nel giardino. Ma la (sovra)esposizione mediatica del delitto non risparmia al grande pubblico alcun dettaglio. È il caso delle fotografie della stanza dove fu consumato, con il materasso e le pareti macchiate di sangue, e del pigiamino della vittima. Istantanee “sparate” in copertina da un settimanale e riprese da molti mass media.
Perfino la telefonata della Franzoni al 118 diventa di dominio comune, quando ne viene diffusa la registrazione. Ma a far discutere è anche il comportamento dell’unica imputata per l’omicidio, che non fa nulla per evitare i riflettori, anzi. La mamma di Samuele annuncia in pubblico fatti privati, come l’attesa di un altro figlio (Gioele) e partecipa perfino al salotto tv di Maurizio Costanzo per difendersi dalla terribile accusa che le viene mossa.
La cronaca esce così dai telegiornali e diventa show. Ma anche quiz. È stata la mamma o no a uccidere Samuele? Se è stata lei, perché lo ha fatto? E se invece è innocente, chi è stato e perché? Le domande si ripetono sulla bocca di tutti, che seguono passo dopo passo ogni sviluppo delle indagini. Parole ed espressioni tecniche quali Luminol, profilo genotipico, Bloodstain Pattern Analysis escono dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori per diventare patrimonio degli spettatori di un macabro e inedito spettacolo.
Fra gli attori, oltre all’imputata, carabinieri e magistrati, legali e periti, criminologi e commentatori. Tutti impegnati a darsi battaglia su alcuni elementi-chiave, quali i tempi materiali necessari per compiere il delitto, gli zoccoli e il pigiama dell’assassino (indossato a rovescio e con il davanti dietro), l’arma utilizzata (mai ritrovata). Elementi sui quali, nonostante le sentenze, rimangono ancora dei dubbi.

dalla Padania del 29.6.14

 
 
 
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