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Libri, articoli e altro di Andrea e Daniela

 

I LIBRI DI ANDREA

- 35 borghi imperdibili a due passi da Milano (2019)

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- 35 borghi montani imperdibili della Lombardia (2019)

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- Il patrimonio immateriale dell'Unesco (2019)

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- L'arte della botanica nei secoli (2018)

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- 35 borghi imperdibili della Lombardia (2018)

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- I grandi delitti italiani risolti o irrisolti (2013, nuova edizione aggiornata)

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- Bande criminali (2009, esaurito)

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- La sanguinosa storia dei serial killer (2003, esaurito)

 

I NOSTRI LIBRI

- Itinerari imperdibili - Laghi della Lombardia (2018)

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- Caro amico ti ho ucciso (2016)

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- Milano criminale (2015, II edizione)

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- I 100 delitti di Milano (2014)

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- I personaggi più malvagi della storia di Milano (2013)

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- Milano giallo e nera (2013)

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- Gli attentati e le stragi che hanno sconvolto l'Italia (2013)

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- Le famiglie più malvagie della storia (2011, II edizione)

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- 101 personaggi che hanno fatto grande Milano (2010)

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- Il grande libro dei misteri di Milano risolti e irrisolti (2006, III edizione)

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- Milano criminale (2005,  esaurito)

 

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I LIBRI DI DANIELA

- Josephine Baker Tra palcoscenico e spionaggio (2017)

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- La vita che non c'è ancora (2015)

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- Le grandi donne di Milano (2007, II edizione)

  

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- L'eterno ritorno, un pensiero tra "visione ed enigma" (2005)

 

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Treviso, urla e arance per la “prima” di Renzi a lezione di Veneto

Post n°1610 pubblicato il 27 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il neo premier contestato al grido di «buffone» e «vai a casa, non sei stato eletto da nessuno»

di Andrea Accorsi

Un esordio così difficile non se l’aspettava nemmeno lui. Voleva fare passerella nella Treviso riconquistata dopo vent’anni dal suo partito, ha dovuto fare i conti con una folla di contestatori. Militanti della Lega con le bandiere col leone di San Marco, indipendentisti e un piccolo gruppo di attivisti dei “Forconi” e di Forza Nuova. «Buffone», «vergogna», «arrestatelo», «vai a casa, non sei stato eletto da nessuno»: così hanno urlato a Matteo Renzi i contestatori, tenuti a distanza dalle forze dell’ordine. Alla prima visita ufficiale, il neo presidente del Consiglio si è beccato anche il lancio di un paio di arance, finite fuori bersaglio.
«Noi non facciamo passerelle, non siamo qui a tagliare nastri - ha replicato il premier a chi lo contestava -. Siamo qui a parlare con il Paese reale, è normale che ci siano anche contestazioni». Dopo la visita alle scuole medie “Coletti”, dov’è stato protagonista di un botta e risposta con gli studenti, Renzi è arrivato al museo di Santa Caterina, dove ha incontrato il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, quello della Provincia, Leonardo Muraro, e alcuni sindaci della Marca, fra i quali il primo cittadino del capoluogo, Giovanni Manildo. «Avete ragione - ha detto ai sindaci riferendosi al Patto di stabilità -, questa cosa dovrà essere sbloccata.Rispetteremo i vincoli modificando innanzitutto il Patto di stabilità interno». Fra le altre critiche mosse dai sindaci, la scarsità del personale e l’impossibilità di fare lavori di edilizia scolastica.
Uscito dal museo, il premier ha deciso di raggiungere a piedi tra le vie del centro Palazzo Rinaldi, sede del Comune, per incontrare gli imprenditori. I contestatori lo hanno seguito per tutto il tragitto. È invece saltato l’incontro annunciato con i lavoratori della Electrolux. «L’incontro ci sarà la settimana prossima a Roma - ha promesso - con i lavoratori di tutti gli stabilimenti italiani, non solo quelli di qui. La vertenza è sul tavolo del governo, la sento particolarmente forte e presente tra le priorità che ho sul tavolo personalmente».
Ultima tappa della visita, la H Farm di Riccardo Donadon. Il presidente del Consiglio era già stato in visita a questo innovativo incubatore di start up l’anno scorso durante la campagna elettorale per le primarie del Pd. «Andrò dalla cancelliera Angela Merkel con il jobs act pronto - ha assicurato Renzi durante il suo incontro con i sindaci del Trevigiano -. E ridurremo di almeno 10 miliardi il cuneo fiscale. Non abbiamo ancora definito la strada da prendere. Ma è certo che il taglio sarà di almeno 10 miliardi».
Nel corso della visita a Treviso, Renzi ha avuto un incontro a quattr’occhi con il Governatore della Regione. «Adesso il presidente del Consiglio conosce ogni particolare della realtà virtuosa del Veneto - ha riferito Zaia -. Sa di cosa abbiamo bisogno, di cosa abbiamo diritto; che cosa davvero serve per sostenere una realtà che, con le sue 600 mila imprese, con i conti della sanità in ordine e con la buona amministrazione degli Enti Locali, di fatto mantiene l’Italia. Il tempo delle parole, quello che anche in politica si definisce la luna di miele - ha aggiunto Zaia - sta per finire. Abbiamo ascoltato e preso nota, ma noi siamo veneti, siamo gente concreta, e l’unica cosa che ci interessa sono i fatti. Sono 170 mila disoccupati di cui occuparsi in fretta; sono un assurdo Patto di stabilità che ci ha requisito 1 miliardo e 400 milioni dei veneti costringendoci a fare debiti con uno Stato-banca per poter pagare i nostri fornitori della sanità; sono i nostri imprenditori, veri eroi che ogni mattina si alzano e devono pensare prima di tutto a come pagare i loro dipendenti e a come combattere una burocrazia asfissiante; sono le tasse al 68,5% contro una media europea del 46% e il 25% della Carinzia che, anche se da Roma sembra lontana anni luce, è a due ora di macchina da qui; sono 21 miliardi l’anno di residuo fiscale attivo che vanno a Roma e non tornano più; sono un piano di difesa del territorio da oltre 2 miliardi già pronto al quale lo Stato non può rimanere sordo in termini di finanziamento».
Per il Governatore del Veneto, Renzi «ha toccato con mano una realtà amministrativa e imprenditoriale modello, che però non può più reggere a lungo a fronte di un Paese dove le risorse che vengono prodotte dai virtuosi vengono gettate al vento per mantenere gli spreconi. Caro Matteo - ha detto rivolgendosi al premier - il Veneto ti mette sul tavolo 30 miliardi di euro di possibili risparmi. Sono quelli che lo Stato potrebbe ottenere se in tutto il Paese venissero adottati i criteri di buona amministrazione applicati da queste parti, a cominciare dai costi standard in sanità. Adesso sta a voi far sì che il nostro modello venga adottato anche in Regioni come quelle quattro che da sole determinano 5 miliardi di buco nella sanità».
Parlando nell’incontro con gli imprenditori, Zaia ha detto che «c’è anche un problema di governance complessiva del sistema bancario, perché di fatto le banche, che una volta erano praticamente un socio occulto prezioso per le nostre imprese, sono sparite dalla scena».
«Il Veneto e la Provincia di Treviso, indipendentemente dal colore politico, ora attendono solo risposte - ha detto il presidente Muraro -. Questi sono solo alcuni numeri della crisi del nostro territorio: 25 mila disoccupati, 1.100 vertenze aziendali gestite, 7 milioni di danni per il maltempo. Al di là delle parole, servono soldi: soldi che abbiamo dato e abbiamo visto dirottare altrove. Ben venga Renzi se porta soluzioni e fondi. A partire veramente dallo sblocco del Patto di stabilità che possa permettere agli Enti locali di dare risposte alle imprese e ai lavoratori».
Mentre l’ex sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini, che si trovava a passare mentre il premier si stava recando a Palazzo Rinaldi, ha tagliato corto: «Renzi essendo l’espressione di Napolitano non rappresenta il popolo italiano, non lo seguirò mai».

dalla Padania del 27.2.14

 
 
 

Muraro a Renzi: venga a vedere come si governa bene una Provincia

Post n°1609 pubblicato il 26 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

l presidente della Marca riceverà oggi la visita del neopremier: "Nonostante i tagli, sulle scuole manteniamo alti standard di qualità e sicurezza.  E già che c’è, porti anche fondi per i danni del maltempo"

di Andrea Accorsi

«Sarò ben felice di accompagnare Renzi in tour nelle nostre scuole, già che viene. Vedrà che nonostante i continui tagli subiti, a fatica ma siamo riusciti a mantenere un ambiente sicuro con alti standard di qualità. Vedrà che ci sono Province come la nostra che sanno lavorare bene al servizio della comunità, con risparmio ma allo stesso tempi efficienza. Qui da noi si lavora così».
Con queste parole il presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro (nella foto), accoglie la notizia della visita del neopremier nella Marca. Per la sua prima uscita da presidente del Consiglio, Renzi ha scelto la scuola media statale “Coletti” di Treviso; nel corso della mattinata sarà poi alla chiesa museo di Santa Caterina, in Municipio e all’“incubatore” di imprese H-Farm Ventures a Roncade.
«Bene l’idea di Renzi di sbloccare il Patto di stabilità per l’edilizia scolastica - riprende Muraro - però ora dimostri di saper fare un passo oltre e sblocchi il Patto anche per aiutarci a pagare i danni subiti dal territorio a causa del maltempo. Solo parlando di scuole, il maltempo ha causato danni per 1,3 milioni di euro».

Presidente Muraro, che cosa dirà a Renzi nella sua visita a Treviso?

«Mi auguro di avere occasione di fargli presente i 37 mila studenti delle scuole secondarie gestite dalla Provincia, il 67 per cento delle quali dotate di pannelli fotovoltaici e il 74% a norma antisismica. E che, lo dico con un pizzico d’orgoglio, su 37 mila ragazzi, circa il 30% provengono da altre province e vengono qui per l’alta professionalità dell’insegnamento e l’alto livello di attrezzature e laboratori».

Una Provincia modello, la sua, nella gestione dell’edilizia scolastica che sta tanto a cuore a Renzi...

«Negli ultimi anni abbiamo investito nelle scuole centinaia di milioni di euro. E la nostra gestione ha vinto numerosi premi. Per due anni consecutivi, Legambiente ci ha posizionato al secondo posto per la sicurezza e la qualità dopo Trento. E grazie al progetto Green Schools abbiamo ridotto del 21% il consumo di energia. Questo non significa che non servano investimenti, per le situazioni più critiche e le manutenzioni: solo nell’ultimo anno, 2,2 milioni per 25.300 interventi ordinari e altri 1,5 milioni per duemila interventi straordinari. Allora, spero soltanto che ci sia davvero questo sblocco e non sia solo un proclama come invece abbiamo visto in passato... E visto che Renzi viene nella Marca, porti anche un borsello di fondi per il maltempo».

Scusi, che c’entra il maltempo?

«Se pensiamo che a gennaio ha piovuto dieci volte rispetto alla media, sarà chiaro perché, oltre a frane e dissesti idrogeologici, ci sono stati infiltrazioni, problemi nei piazzali di alcune scuole e in altre vincolate dalla Soprintendenza. Quindi chiederò la possibilità di escludere dal Patto di stabilità una previsione di spesa di 2 miliardi di euro. E che dopo tanti proclami, Renzi concretizzi i programmi che finora non ha messo in atto».

Dalle scuole alla sicurezza del territorio, le Province si confermano fondamentali. Eppure il governo le vuole abolire...

«Noi abbiamo fatto un ragionamento molto concreto, come sempre: abbiamo creato dei poli scolastici per compensare le oscillazioni delle famiglie sulle scelte tra periti, licei, ragionieri eccetera. In 95 comuni della provincia abbiamo suddiviso in 4/5 aree i poli scolastici per concentrare le scuole, sul modello dei campus americani. Questo ha permesso di concentrare le centrali di riscaldamento, di creare percorsi agevolati per il trasporto pubblico a garanzia dei ragazzi, di accentrare i servizi di mensa, le palestre, la logistica. È molto vantaggioso sotto il profilo economico e consente risparmi importanti. Ma con la previsione di Renzi di delegare l’edilizia scolastica ai Comuni, come fa un Comune come Villorba, con 18 mila abitanti, a farsi carico dei diciotto istituti superiori presenti nel suo territorio? Gli stessi sindaci dicono che non sarebbero mai in grado di gestire la competenza sulla scuola secondaria perché non ne avrebbero né la capacità, né le disponibilità economiche. Se Renzi vuole moltiplicare i centri di costo, non farà altro che incrementare le spese».

dalla "Padania" del 26.2.14

 
 
 

Il Premier piacione esalta l'Europa e illude il Paese

Post n°1608 pubblicato il 25 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Nel discorso al Senato Renzi all’attacco su Ue, immigrati, Enti locali e identità

di Andrea Accorsi

Sorrisi, moine, qualche compiaciuta frecciatina ai grillini. E le immancabili promesse da discorso di insediamento. Con appena un po’ di concretezza in più dello sbiadito predecessore. E serie minacce su Europa, immigrati, Enti locali e identità, ovvero i cavalli di battaglia della Lega.
Ad un anno esatto dalle elezioni politiche (alle quali non era neppure candidato), il premier incaricato promette «un cambiamento radicale, immediato e puntuale» del Paese. Il suo discorso al Senato - un’ora e dieci minuti a braccio - tradisce l’ambizione di fare tanto in poco tempo, ma non convince sotto molti punti di vista. A cominciare dallo stile, più consono ad un comizio in piazza che all’Aula, passando per la forma (qua e là terribilmente forlaniana) e per finire con i contenuti, tra citazioni sanremesi (la Cinquetti di Non ho l’età) e l’immancabile retorica unionista (il riferimento alla «lunga storia italiana»).

«MAI PIÙ LA FIDUCIA AL SENATO»
Renzi esordisce: «Vorrei essere l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula». Nessun rigurgito dittatoriale alla Grillo: «Siamo orgogliosi di apprezzare le regole del gioco della democrazia», si affretta a precisare. La sua battuta va interpretata con la volontà di superare il bicameralismo. «Perché abbiamo un giudizio organico sull’Italia» prosegue ricorrendo all’aggettivo preferito da Forlani (do you remember il Caf?), per poi ironizzare sulla reazione di Calderoli all’annuncio di liquidare il Senato.

«IMPOSSIBILE TORNARE AL VOTO»
Il Segretario del Pd tratteggia un’Italia «viva, brillante, curiosa, che si vuole bene e ci tiene a presentarsi bene. E che non ci segue perché è avanti a noi, siamo noi che dobbiamo recuperarla. Faremo di tutto per raggiungerla - annuncia - attraverso un pacchetto di riforme che consideri il semestre europeo (cioè la prossima presidenza italiana dell’Ue, nda) come principale opportunità e che affronti prima di esso scelte obbligate su lavoro, fisco, pubblica amministrazione, giustizia partendo da riforme istituzionali ed elettorali».
Il «presupposto» è che «eravamo a un bivio: o si andava a elezioni, e il mio partito non ha paura di andarci (e qui Renzi sorride al primo dei - pochi - applausi dell’Aula e alle urla dei senatori Cinque stelle), ma il passaggio elettorale era virtuale, stante la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, e che avrebbe portato a un sostanziale governo di larghe intese». Ma «la regola fondamentale è cambiare le regole del gioco insieme». La sostanza, dunque, non cambia: che l’ammucchiata continui, anche se con altro nome.

«NESSUN ORDINE DA MERKEL O DRAGHI»
I primi a saltare sulla sedia sono gli “euroscettici” o eurocritici. Sentite qua: «Il mondo sta cambiando e riduce lo spazio di potere dell’Europa. Ma l’Europa non è la madre di tutti i problemi. Nella tradizione europea ed europeista sta la parte migliore dell’Italia». Una difesa a spada tratta degli «Stati Uniti d’Europa» per la quale il sindaco di Firenze si spende in nomi e cognomi: «Non è la signora Merkel o il governatore Draghi a chiedere di essere seri con il nostro debito pubblico, ma il rispetto per i nostri figli e per le generazioni che verranno. Per sei mesi guideremo l’Europa - si entusiasma da solo - per studiare come guidare politicamente l’Europa nei prossimi vent’anni. La subalternità culturale per la quale troppo spesso si è considerata l’Europa come nostra matrigna è una subcultura da cui possiamo liberarci solo noi» attacca, invitando a «non vivere di rimpianti e di ricostruzioni fasulle del passato». Sarà un caso, ma subito dopo aver ricevuto l’incarico Renzi ha chiamato la signora di cui sopra a Berlino.

«SCUOLA, STOP AL PATTO DI STABILITÀ»
«Propongo al Senato una legislatura della svolta». La svolta renziana parte da quel settore sul quale nessun governo ha mai resistito alla tentazione di mettere mano: la scuola. Il sindaco piacione annuncia di voler «restituire valore sociale agli insegnanti», afferma che «la politica parte dalla centralità della scuola» e sottolinea «lo straordinario compito degli insegnanti». Palese l’intendimento di fare delle aule scolastiche il primo perno della propaganda renziana: «Mi recherò, come facevo da sindaco, nelle scuole per dare un segnale simbolico». Prima “beneficiaria” di tale auto-invito sarà Treviso.
Ed ecco il primo progetto concreto: «Cambiare subito il patto di stabilità interna sull’edilizia scolastica» per avviare tra giugno e settembre «un piano straordinario di qualche migliaio di euro, non milioni, per intervenire in modo concreto e puntuale».

«IL FISCO? UN CONSULENTE»
«Non si possono oscurare i risultati del governo uscente» dice Renzi. E come dargli torto? Lui stesso osserva come «i numeri su Pil e disoccupazione non sono da crisi, ma da tracollo». Per questo annuncia «quattro riforme urgenti nelle prossime settimane», con «alcuni provvedimenti concreti discussi con il ministro (dell’Economia) Padoan».
Primo, «sblocco to-ta-le (scandisce) dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti». Secondo, «un fondo di garanzia» per «le Pmi che non riescono ad accedere al credito». Terzo, «la riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale attraverso misure serie e irreversibili legate non soltanto alla revisione della spesa»: di quali misure si tratta, non è dato sapere, come pure i dettagli sugli altri punti enumerati.
Stessa vaghezza sul piano per il lavoro la cui discussione parlamentare avverrà «entro marzo». Fra gli obiettivi, «intervenire strutturalmente nella capacità di attirare investimenti nel nostro Paese. Non c’è Paese potenzialmente più attrattivo del nostro», è convinto.
Renzi apre poi il libro dei sogni al capitolo pubblica amministrazione. «Non possono esistere dirigenti a tempo indeterminato e che fanno il bello e il cattivo tempo. Ogni centesimo speso dalla Pa dev’essere visibile on line a tutti. Invieremo a casa di tutti i dipendenti pubblici e dei pensionati la dichiarazione dei redditi da compilare». E ancora: «Il fisco deve assumere i connotati di una specie di consulenza per il cittadino».

«METTEREMO MANO AL TITOLO V»
Sulla giustizia, annuncia per giugno «un pacchetto organico (e dàgli) di revisione che non lasci fuori niente, a partire dalla giustizia amministrativa». Il politico cede il posto all’amministratore per lamentare come «negli appalti pubblici lavorano di più gli avvocati che i muratori» e per attaccare la lunghezza dei processi civili, la «variabilità» della giustizia penale e la leggerezza delle pene per chi causa incidenti stradali da drogato o ubriaco. Dulcis in fundo, le agognate riforme costituzionali.
«Per il Senato il modello tedesco è il primo passo per recuperare la credibilità dei cittadini. Quello immediatamente successivo è superare il Titolo V della Costituzione per rivedere le competenze esclusive di Stato e Regioni, introdurre per le Regioni la possibilità di legiferare ma dare allo Stato la possibilità di intervenire per l’unità economica e giuridica dell’ordinamento». Un arzigogolo lessicale che può significare tutto e il suo contrario.
Assai più esplicita l’opinione sulle Regioni: «Devono prendere atto che è cambiato il clima nei loro confronti in seguito allo scandalo dei rimborsi elettorali e alla sovrapposizione delle competenze con Stato, Province e Comuni». A proposito di Province: «Il ddl Delrio oggi impedisce di votare per le Province. Una possibile soluzione è: chiudiamo il ddl Delrio, ma nella discussione sul Titolo V riapriamo il dibattito su cosa devono essere le Province».
Sull’amato Italicum: «È pronto per essere discusso alla Camera, lo consideriamo non solo una priorità ma una prima, parziale risposta all’esigenza di evitare di perdere ulteriormente la faccia». Auguri.

«NO INTEGRAZIONE, NO FUTURO»
Ma il peggio deve ancora venire. Preso atto che «essere italiani è un dono, un elemento di bellezza agli occhi del mondo» e che «i valori della cultura fanno di noi una superpotenza mondiale», Renzi esorta a «investire sulla cultura in termini identitari. Per alcuni - precisa - l’identità è un baluardo contro l’integrazione, per me ne è la base. Un Paese che non si integra non ha futuro. Chi è nato qui, dopo un ciclo scolastico deve avere la possibilità di essere considerato italiano. Alla nascita? Troviamo un punto di sintesi possibile». La Kyenge ne sarà felice.
E sui diritti, unioni civili in testa: «Sono divenuti terreno di scontro. Invece si fa lo sforzo di ascoltarsi e di trovare un compromesso anche se non soddisfa del tutto». Chissà che cosa potrà venirne fuori...

I COMMENTI DEL CARROCCIO
Caustico Matteo Salvini: «Commentare un’ora di fumo e crauti non è facile». Mentre Roberto Maroni e Luca Zaia lamentano l’assenza di temi importanti.
«Nel discorso al Senato - rileva il Governatore della Lombardia - Matteo Renzi non ha mai parlato di Expo 2015. Brutto segno, fa già rimpiangere Enrico Letta».
«Avremmo voluto sentir parlare dei residui fiscali attivi - gli fa eco il Governatore del Veneto - che le Regioni del Nord lasciano a Roma, senza che un euro ritorni sotto forma di aiuti alle imprese e al lavoro. Avremmo voluto sentir parlare di autonomia fiscale dei territori. Di un megafinanziamento per aggredire una volta per tutte la questione del dissesto idrogeologico del territorio e non soltanto impegni vaghi. Prendiamo atto che per il nuovo governo queste non sono priorità».

dalla Padania del 25.2.14

 
 
 

Imprese, lavoratori e neo-laureati: fuori dall'incubo Europa

Post n°1607 pubblicato il 24 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Nella tappa milanese del “Basta euro tour” il grido di dolore di chi ogni giorno fa i conti con le storture di Bruxelles

di Andrea Accorsi

Il mondo delle imprese, dei lavoratori e di quanti sognano un lavoro guarda con speranza a un futuro senza euro. La tappa milanese del “Basta euro tour” si apre, per una scelta azzeccata degli organizzatori, col grido di dolore di imprenditori e neolaureati, cioè di quelli che ogni giorno fanno i conti sulla propria pelle con le difficoltà e le storture introdotte da Bruxelles nel mercato, sia esso del lavoro o dei prodotti finiti.
 
AGRICOLTURA, IL NUOVO MOSTRO È IL “GREENING”
«L’Italia è il terzo contribuente in Europa per la Politica agricola comune (Pac) dopo Germania e Francia. Ma non ha potere decisionale e politico per modificarne i regolamenti, che vengono così demandati ad altri Paesi. I quali non sempre fanno i nostri interessi».
Il primo a prendere la parola nell’affollatissima sala congressi della Provincia di Milano è Alessandro Ciocca, titolare di un’azienda agricola di Treviglio (Bergamo). Che da persona pratica va subito al nocciolo del problema.
«Il nostro Paese - spiega Ciocca - versa ogni anno 16 miliardi di euro per la (Pac), ricevendone 10 come contributi agricoli. Questa differenza è dovuta all’allargamento della Ue a Paesi emergenti, che vengono sostenuti a nostre spese, e al fatto che alcune Regioni italiane, pur avendo a disposizione contributi, non mettono in atto politiche per erogarli alle imprese agricole, o li dirottano in altre destinazioni. Ma nei prossimi sei anni erogazioni e contributi saranno modificati».
Il “mostro” che attende i nostri coltivatori si chiama Greening. E come tutte le politiche agricole comunitarie è tagliato su misura per altri Paesi, mentre da noi farà solo danni. «In pratica, gli agricoltori saranno obbligati a diversificare le colture, non in base alla normale rotazione annuale, e a destinare quote di terreno a corridoi ecologici. Una riforma che favorisce esclusivamente Paesi come Polonia, Romania e Germania, che hanno tanto verde e piogge prolungate. Mentre i problemi ambientali del nostro territorio sono ben altri». Chi non si adegua al Greening, vedrà subito ridotti i contributi comunitari del 30 per cento e di un ulteriore 25% (sul 70% rimanente) in un secondo tempo. Un brutto film dal finale già scritto.
 
NIENTE STAGE SE LAUREATI DA PIÙ DI SEI MESI
Cerchi lavoro? Scòrdati di trovarlo, sia in Italia che in Europa, con le regole attuali. Non usa giri di parole Martina Emisfero, 27 anni, una laurea in lingue alla Cattolica e un contratto in scadenza dopo 4 anni di lavoro. «Qui non posso rispondere a nessuna richiesta di stagisti, a 300 euro al mese, dopo che sono trascorsi sei mesi dalla laurea. Provo all’estero, ma la crisi non è solo in Italia. E ad esempio gli inglesi assumono prima inglesi. Quindi non è vero che possiamo ricollocarci in Europa. Senza contare - aggiunge - che la nostra lingua non è diffusa in Europa. Insomma, non siamo cittadini europei sullo stesso piano come lo sono i cittadini statunitensi in America».
 
BASTA ELEMOSINARE POSTI DAI COLOSSI INDUSTRIALI
«Dobbiamo contenere i costi a causa del calo dei consumi». Tradotto: lavoratori licenziati e stabilimento chiuso. Il triste ritornello se lo è sentito rivolgere anche Carlo Ribolla, operaio elettricista allo stabilimento ex Invernizzi di Caravaggio (Bg), oggi Gruppo Lactalis, destinato a chiudere i battenti entro l’anno.
«Nella nostra fabbrica - racconta alla platea del “Basta euro tour”, infiammandola - ci siamo dissociati dal percorso seguito dai sindacati. Perché non serve continuare a elemosinare con questi colossi industriali: a livello di Stato si può risolvere i problemi semplicemente tornando alla sovranità monetaria e a gestire l’economia in funzione dei cittadini».
 
GRAVE NON SOSTENERE I NOSTRI TALENTI
«Quando un sistema non funziona, va cambiato». A credere fermamente in questa filosofia è un grande esperto di dinamiche economiche a aziendali come Marco Eugenio Di Giandomenico, docente universitario e autore di numerose pubblicazioni specialistiche.
«Non cambiare diventa un problema etico - teorizza -. Questo vale anche nella disciplina aziendale. Le ipotesi formulate all’inizio dell’euro - entra nel merito della questione - si sono dimostrate diverse dalla realtà. E un altro grave problema riguarda l’emersione dei talenti artistici: se il sistema non li aiuta, proprio noi che siamo primi al mondo con il made in Italy, avremo danni permanenti».
 
IL SISTEMA-PAESE NON FUNZIONA
L’Europa che viaggia a due velocità viene descritta in termini efficaci da Giampaolo Pesenti, a capo di una piccola azienda di meccanica e utensileria con otto dipendenti, sul mercato da 55 anni e che esporta «dagli Stati Uniti alla Russia, dal Polo Nord all’Australia».
«Inizialmente - ricorda - lavoravamo ed esportavamo senza concorrenza, salvo quella di qualche azienda tedesca. Poi, dal 1994, la Svezia ha cominciato a produrre le nostre stesse cose, con pari qualità ma con costi sociali e del lavoro inferiori ai nostri». «La Svezia - interviene il professore Borghi Aquilini - ha svalutato la sua moneta del 40%...». «Certo - riprende Pesenti - loro hanno la corona svedese, non l’euro. Risultato: nel confronto con l’Europa, continuiamo a perdere competitività. E questo anche a causa della tassazione eccessiva degli ultimi governi, che ha colpito le aziende con 4-5 dipendenti che al Nord sono il 95%. Così, oltre alla crisi iniziata nel 2009, questi fardelli fiscali insostenibili impediscono gli investimenti e quindi di essere competitivi con i mercati evoluti degli altri Paesi».
«Ogni giorno che passa - tira le somme Giampaolo Pesenti - è sempre più difficile andare avanti e tenere aperto. È il sistema-Paese che non funziona. Ci vorrebbe la corona... padana o lombarda!».
 
LA BCE DEVE CAMBIARE LE REGOLE
Non previsto in scaletta ma accolto volentieri sul palco, Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda italiana. Non proprio un euroscettico, ma  molto interessato ai destini della moneta unica. 
«Per noi della filiera tessile e moda la questione dell’euro è fondamentale - conferma Boselli, Cavaliere del Lavoro -. Lo siamo per i nostri numeri: 610 mila occupati, il 70% dei quali donne, in 70 mila imprese, con 60 miliardi di euro di fatturato e un saldo attivo della bilancia commerciale di 19 miliardi e 200 milioni nel 2013. In pratica, abbiamo gli stessi occupati degli altri 26 Paesi europei messi assieme nel settore. Noi siamo obbligati a esportare - incalza - anche perché il mercato interno è quello che è e non crediamo possa svilupparsi nell’immediato futuro. Le esportazioni danno la possibilità alle aziende di investire e ai lavoratori di spendere. Siamo entrati nella parità monetaria con il cambio a 1.936,27 lire per un euro, e questo è stato il primo errore, perché era un cambio iniquo. Per non parlare del rapporto con il dollaro, passato da 0,88 all’1,37 di oggi: la storia stessa nega che sia un cambio accettabile. Ma non ritengo né facile né possibile uscire dall’euro» gela la sala, prima di rilanciare: «Dobbiamo comunque portare la Bce a cambiare le regole, l’inflazione e la parità esterna col dollaro, non solo quella interna. Con un cambio 1 a 1 con il dollaro e con la moneta cinese, potremmo anche convivere con l’euro. Com’è ora, no».

dalla Padania del 23.2.14

 
 
 

Veneto a raccolta per sottoscrivere la sua indipendenza

Post n°1606 pubblicato il 22 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Gazebo della Lega a sostegno del referendum in centinaia di piazze sabato 1 e domenica 2 marzo

di Andrea Accorsi

Veneto chiamato a raccolta per la sua indipendenza. Sabato 1 e domenica 2 marzo la Lega sarà nelle piazze della regione per promuovere con le firme dei cittadini una petizione da inoltrare al Consiglio regionale: obiettivo, istituire un referendum consultivo per l’indipendenza del Veneto.
Si tratta di una procedura prevista dallo Statuto della Regione e dal regolamento consiliare. La data scelta per raccogliere le firme non è casuale: il 1° marzo coincideva con il Capodanno veneto ai tempi della Repubblica Serenissima e ancora oggi è occasione di veglioni e banchetti, di balli e spettacoli contraddistinti, secondo la tradizione popolare, da percussioni sonore e assordanti (da cui il soprannome bati marso). 
Sono finora 270 i Comuni nei quali il Carroccio allestirà nel primo finesettimana di marzo i gazebo per la raccolta delle firme a sostegno di un referendum per l’indipendenza del Veneto. L’elenco completo sarà presto disponibile all’indirizzo web www.firmaindipen denza.org, dove gli utenti potranno consultare luoghi e orari dei gazebo.
Ma l’obiettivo della Lega è ancora più ambizioso: arrivare in 300-400 piazze della regione. Lo ha annunciato Matteo Salvini, che ieri a Venezia ha presentato l’iniziativa alla Taverna La Fenice di Venezia assieme al Governatore della Regione, Luca Zaia, e ai consiglieri regionali del Carroccio.
«Ci aspettiamo una marea di gente che magari mai voterà Lega, ma che vuole essere padrona a casa sua - ha detto Salvini -. Intendiamo dare il segnale dell’inizio della fine dello Stato centralista. Tutta l’Europa va in questa direzione, come confermano gli esempi di Catalogna e Scozia, e l’obiettivo della Lega è quello di diventare punto di riferimento degli indipendentisti in tutta Italia, ma anche a livello europeo. E chiediamo il sostegno dei veneti».
Concetti ribaditi in questi termini dal Segretario federale della Lega sul suo profilo web: «Già quasi 300 i gazebo in cui firmare. Il Veneto è l’inizio della fine di uno Stato centralista. L’1 e 2 marzo tutti a firmare! Guarda dove su www.firmaindipen denza.org!».
Salvini ha quindi esortato i cittadini a rimboccarsi le maniche e a darsi da fare. «Da soli si può fare di tutto e di più - ha detto -, tutta l’Europa va in questa direzione. Il Veneto da solo avrebbe 20 miliardi di euro da investire per la sua gente e per i suoi lavoratori (la cifra si riferisce al residuo fiscale del quale il Veneto è creditore ogni anno nei confronti dello Stato centrale, nda). Quindi l’indipendenza o ce la danno con le buone, o ce la danno lo stesso».
Per la manifestazione sono stati stampati migliaia di adesivi e di pieghevoli, nei quali viene sottolineato, da un lato, il consistente contributo in termini fiscali e finanziari che il Veneto è costretto a versare alle casse dello Stato centrale e, per contro, la scarsa attenzione che il Veneto riceve dallo Stato centrale, come pure la scarsità di risorse che vi vengono investite.
In occasione della raccolta firme dell’altro finesettimana sarà inoltre distribuito uno speciale curato dalla redazione della Padania che riassume i meriti sociali, economici e fiscali del Veneto, oltre alle ragioni storiche della sua lotta per l’indipendenza. Una lotta che, come ricordato dal Segretario federale Salvini, si inserisce nel solco delle battaglie portate avanti nella stessa direzione da altre regioni europee come la Scozia e la Catalogna, che proprio quest’anno, la prima in settembre e l’altra a novembre, saranno chiamate alle urne per decidere del proprio futuro in un referendum per l’indipendenza rispettivamente da Londra e da Madrid.
Il vento dell’indipendenza che nel corso del 2014 vedrà chiamati alle urne i cittadini della Scozia e della Catalogna investe dunque anche il Veneto, regione dal passato glorioso che dopo l’annessione all’Italia - avvenuta in seguito ad un plebiscito opportunamente “addomesticato” - ha infilato un lungo tunnel di decadenza, dal quale è uscito solo in tempi recenti grazie alle proprie virtù quali serietà, onestà e laboriosità.
«Sul referendum per l’indipendenza - ha rimarcato Zaia - noi abbiamo investito tutte le nostre forze, per dare l’opportunità ai veneti di esprimersi in un momento in cui l’Europa geo-politicamente è in fermento, in un percorso comune tra cittadini e istituzioni. Questo è un referendum di “legittima difesa”, visto che la Costituzione federalista del 1948 è gestita in maniera centralista. Una opportunità non facile, né automatica, perché, se dipendesse solo da me, il Veneto sarebbe già indipendente».
Conversando con i giornalisti, Salvini e Zaia hanno poi affrontato altri argomenti di stretta attualità politica nazionale e internazionale. Matteo Salvini non ha perso l’occasione di rilanciare la prospettiva dell’uscita dall’euro. «Fuori dall’euro riparte lo stipendio, riparte la speranza, anche il Veneto - ha detto -. Io sono indipendentista da Nord a Sud». Quanto al nuovo premier in pectore, «a parte la simpatia, il sorriso e l’abbronzatura, per il momento il mio giudizio su Matteo Renzi è pessimo. Sull’euro non discute niente - ha proseguito Salvini -, sull’immigrazione vuole regalare la cittadinanza, sul Federalismo vuole riportare a Roma soldi e potere. Questa partenza è la peggiore che si potesse pensare. Telecomandato da Berlino, penso che sarà un governo Renzi-Merkel».
Dal canto suo, Luca Zaia ha confermato che la Lega non voterà la fiducia al governo Renzi, ma ha espresso comunque la speranza che «il Veneto sia copiosamente rappresentato tra i nuovi ministri. Non vorrei - ha aggiunto Zaia - che fosse applicato al contrario il principio che chi paga ha il diritto di parola. Esserci o no nel Consiglio dei ministri cambia infatti molto per il territorio. Il totoministri parla diversamente? È lo stesso Renzi ad aver detto che a volte è stato sorpreso anche lui dei nomi che sono venuti fuori...».
«Non voteremo la fiducia - ha quindi ribadito Zaia - e, pur non sapendo ancora come Salvini deciderà di organizzare l’opposizione, di certo siamo per un atteggiamento responsabile: è un dovere prendere in considerazione la possibilità di sostenere, provvedimento per provvedimento, quelli che possono fare il bene del Veneto. E, sicuramente, non faremo come Grillo, la cui volontà di costruire è pari a zero sotto vuoto spinto».

dalla "Padania" del 21.2.14

 
 
 

Sfila il Nord che vuole lavorare: "Stop agli immigrati"

Post n°1605 pubblicato il 17 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

In migliaia alle fiaccolate del Carroccio: «Casa e lavoro prima ai cittadini, non  ai clandestini»

di Andrea Accorsi

Bloccare l’ingresso di altri disperati da tutto il mondo per garantire un lavoro a questa e alle prossime generazioni. Il Nord che lavora, che vorrebbe farlo o che ha lavorato per una vita per trovarsi scavalcato dall’ultimo arrivato, sfila nelle strade delle sue città per dire stop all’immigrazione e per dare la precedenza ai residenti nell’assegnazione dei posti di lavoro. «È quello che chiedono in tutti i Paesi civili, non solo in Svizzera -spiega Matteo Salvini -. Lo fanno perfino in Australia».
Il Segretario federale sceglie la sua Milano (in serata sarà a Pavia) per partecipare ad una delle quaranta fiaccolate organizzate dal Carroccio dal Trentino all’Umbria, passando per tutte le regioni del Nord. Il quartiere è quello “caldo” di Turro, subito al di là di piazzale Loreto. La strada, una via simbolo del rapido degrado che ha investito le grandi città in seguito all’immigrazione incontrollata: via Padova, dove in alcuni tratti i negozi cinesi, gli internet point, i compro oro e i money change si susseguono uno all’altro in file ininterrotte, tra aromi (?) di kebab a 1,5 euro la porzione e le vetrine sgargianti di centri estetici a buon prezzo. Dentro e fuori dai portoni dei palazzi che si affacciano sulla via ti imbatti in tanti di quei cinesi, magrebini, slavi e sudamericani che quando senti un milanese, anzi l’unico, che spiega in italiano un indirizzo rimani sorpreso tanto è raro, da queste parti, sentire parlare la tua stessa lingua.
Quartiere difficile, si diceva, e non è certo un caso: la Lega affronta il problema là dove è più radicato. Anche il clima non è dei migliori. Un cartello di associazioni di sinistra ha affisso manifesti per dire che “Via Padova non è razzista”, fingendo di non vedere le vere ragioni della protesta. E un contro-corteo minacciato dai più facinorosi ha dovuto fare i conti con le disposizioni della questura volte a impedire contatti con il percorso scelto dalla Lega. Alla fine, non se n’è fatto più niente. La sezione cittadina di Sel se l’è presa a male, l’unico risultato che ha ottenuto è stato dirottare il corteo del Carroccio verso piazzale Loreto anziché in direzione opposta, al parco Trotter.
«Gli immigrati lavorano in nero, o accettano stipendi più bassi per poter sopravvivere - osserva Giuseppe Voltolini, 72 anni, uno dei primi ad arrivare alla fiaccolata in via Padova -. Sta di fatto che portano via lavoro nella crisi che c’è, una crisi dovuta ad un’Europa che si è fatta troppo grande, comprendendo anche i Paesi dall’Est. Chiaro che quando chi arriva non trova da lavorare, diventa un delinquente».
«Guardi la città e mi dica se non è il caso di alzare la voce - interviene Tina Ghilardi, che vive in viale Baggio -. Ormai non c’è quasi più nulla di buono, è tutto di “importazione”. Ovvio che se non c’è lavoro si creano degrado e delinquenza. Le responsabilità sono dei nostri vertici e soprattutto dell’Europa: queste cose sono sempre indotte, non credo che tutta questa gente lasci la sua terra perché lo vuole, ci sono dietro ragioni politiche».
Luca Toccalini è fra quelli “chiamati in causa” dalla fiaccolata: 24 anni, ha un contratto da precario e pochi motivi per guardare con fiducia al futuro. «Gli immigrati che si accontentano di 2-3 euro all’ora bloccano il mercato del lavoro - lamenta -. Bisogna limitare gli afflussi, Maroni aveva azzerato gli sbarchi, ora invece con l’operazione “Mare Nostrum” andiamo a prenderli anche a mille miglia dalla costa. E poi in zone come questa serve più sicurezza, tutte le settimane ci sono scontri tra le varie etnie». Dietro di lui, appeso a un lampione, lo scheletro di una bicicletta senza le ruote. «Io la mia l’avevo lasciata proprio lì, me l’hanno rubata» lamenta una signora davanti al bar sull’angolo.
Seppure sia blindato dalle forze dell’ordine, nel corso del corteo non mancano i momenti di tensione. «Ma andate a lavorare» borbotta contrariato un signore che sotto il braccio tiene ben stretta una copia del Corriere della Sera. Una pasionaria della Comune inveisce contro i manifestanti, che non raccolgono: viene allontanata da alcuni agenti in borghese. «Se uno dei nostri fosse andato davanti a cento dei vostri, non sarebbe finita così» le fa notare un militante. Poco più in là, un sudamericano urla frasi sconnesse: è visibilmente alticcio, a metà pomeriggio.
Dal corteo, incalzati dal Segretario provinciale Igor Iezzi, si levano cori: «Ma quale antirazzismo / ma quale integrazione / c’avete rotto il c... / con questa immigrazione», «diritto alla casa, diritto al lavoro, prima ai cittadini, poi ai clandestini». E ancora: «Clandestini a casa loro», «Milano libera».
«L’immigrazione è la benvenuta se controllata e rispettosa - fa il punto Salvini -. Se diventa invasione, risse, accoltellamenti, lavoro nero, concorrenza sleale non ci va bene. È legittimo difendersi, come lo è difendere i posti di lavoro. È una balla che la nostra gente non fa più certi lavori: se pagata regolarmente, li farebbe eccome. Ma se non ci muoviamo, i nostri figli prenderanno 4 euro all’ora con contratti di tre mesi».
A chi gli fa osservare come l’Italia sia stata a sua volta un Paese di emigranti, replica: «Gli italiani hanno sempre esportato rispetto, tranne quelli della mafia che però non partivano da qui». Poi, una stoccata al prossimo capo del governo: «L’integrazione seria, se Renzi vuole, noi gliela spieghiamo».
Sulla mancata partecipazione della Lega alle consultazioni del Quirinale: «Non abbiamo alcun rammarico. A Roma preferiscono fare i loro riti di Palazzo, ma i problemi della gente sono quelli per cui siamo qui, in strada». Quanto al Segretario del Pd, Salvini non si fa illusioni: «Da Renzi mi aspetto poco, ha il sostegno di Berlino, di Bruxelles, della grande industria e della grande stampa. Andremo a parlarci, ma la fregatura è dietro l’angolo».
L’ultimo pensiero è un ringraziamento a tutti quelli che hanno partecipato (alcune centinaia) «nonostante quattro sfigati che scambiano la violenza con la politica. Vuol dire che le loro idee non valgono un fico secco».

dalla Padania del 16.2.14

 
 
 

Salvini: Renzi? Non diciamo no a priori ma dica cosa vuol fare

Post n°1604 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Così il Segretario federale della Lega Nord nell’incontro con la stampa estera nella sede dell’associazione a Roma

di Andrea Accorsi

La Lega non dice no «a priori» all’ipotesi di un governo Renzi. Ma attende di conoscere che cosa vorrebbe fare in concreto. Così si è espresso Matteo Salvini nel corso dell’incontro con la stampa estera nella sede dell’associazione a Roma, presenti i presidenti dei Gruppi parlamentari del Carroccio alla Camera, Giancarlo Giorgetti, e al Senato, Massimo Bitonci. Il Segretario federale ha risposto a domande sull’attualità politica nazionale e internazionale, sul prossimo ritorno alle urne in Piemonte e perfino sui mega-stipendi dei conduttori del Festival di San-remo. Ecco in sintesi le posizioni espresse da Salvini su ciascuno degli argomenti.
 
SUL PREMIER GUERRA  INTERNA AL PD
«Oggi il mondo gravita intorno all’incontro Letta-Renzi: mi scuso se disturbiamo questo momento di alta politica... ma non ce la siamo sentita di annullare la nostra presenza in nome della guerra interna al Pd. Se davvero il prossimo premier dovesse chiamarsi Matteo Renzi senza passare per il voto popolare - che ormai in Italia pare sia un di più - noi andremo a vedergli le carte in mano. E magari sulle riforme ci stupirà...
«A Renzi vogliamo chiedere che cosa vuole fare: non diciamo un no a priori. Dica se vuole esentare gli alluvionati dalle tasse, se vuole cancellare la riforma Fornero, se vuole ridiscutere l’euro e l’Europa. Se Renzi ci stupisse con risposte concrete noi non siamo pagati per dire no a priori, se invece saranno solo chiacchiere gli faremo la guerra in Parlamento».

ALLEANZE POLITICHE CON INDIPENDENTISTI
«Non ci sentiamo vincolati a nessuno. Non credo si vada a elezioni subito e, nel caso, valuteremo con il centrodestra se fare un percorso insieme oppure no. Ad oggi siamo soli, liberi, forti e senza legami con nessuno». A a chi gli chiedeva di un possibile accordo con l’Udc, Salvini ha risposto: «Se diventa indipendentista e anti-euro facciamo l’accordo domani mattina».
 
PIEMONTE, VERGOGNA MA MAI ARRENDERSI
Sulla pronuncia del Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso del Governatore Roberto Cota e quindi invalidato le elezioni regionali, per Salvini «è una decisione fuori dal mondo, che mette in discussione il voto di milioni di piemontesi che hanno votato Cota, la Lega, il centrodestra. Rivendicheremo tutte le cose buone fatte. Che vergogna: in Piemonte non decidono i cittadini, ma i giudici, i giornali e le banche torinesi. Arrendersi? Mai. Torneremo a vincere alla faccia dei poteri forti, che non hanno digerito i 30 milioni di euro di taglio annuo ai costi della politica regionale e il ripianamento dei buchi della sanità. Andiamo a testa alta per provare a rivincere contro la Torino snob, la Torino delle banche, la Torino della Stampa e dei giudici. Però il Piemonte non è questa Torino».
 
C’È UN MINISTRO CHE SA SOLO PARLARE
Il Segretario federale boccia senza appello l’operato del ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge. «Ha soltanto parlato, ma non ha fatto nulla di concreto e non ha portato a casa una sola battaglia tra quelle annunciate. Meglio così. L’aspetto negativo, però, è che anziché fare il ministro ha fatto il tour operator per un anno: si è impegnata soltanto a parlare, girando l’Italia. Chiacchiere, ma non un atto legislativo uno. Non ha concretizzato una sola delle sue battaglie come lo ius soli, la cittadinanza e la cancellazione della Bossi-Fini».
 
MACCHÉ RAZZISTI, DIVERSO È BELLO
«La Lega è il primo Movimento che ha eletto un sindaco e un assessore di colore in Italia. Solo un cretino nel 2014 distingue le persone in base al colore della pelle, ma il problema sono i numeri: in Italia ci sono quattro milioni di disoccupati e non c’è più posto per nessuno. La Lega è tutt’altro che xenofoba e razzista. È autonomista e indipendentista, dunque non può essere razzista. Per noi ciò che è diverso è bello, ma la disoccupazione sale a ritmi vertiginosi e di posto non ce n’è più».
 
LA NOSTRA EUROPA FONDATA SUL LAVORO
«Per la prima volta la Lega farà parte di un’alleanza europea che non è contro l’Europa: ci riteniamo anzi gli unici sinceri europeisti rimasti. Cominceremo domenica a Firenze un “basta euro tour” in cui documenteremo come fuori dall’euro riparte il lavoro, ripartono gli stipendi, riparte l’economia. Pensiamo ad un’altra Europa senza vincoli folli, senza parametri che bloccano i nostri Comuni e poi portano alle alluvioni perché i sindaci non possono spendere soldi per mettere in sicurezza i territori. Puntiamo a portare al Parlamento europeo la visione di un’Europa fondata sul lavoro. Tutti i sondaggi temuti da Bruxelles dicono che i cittadini stanno andando in questa direzione, quindi contiamo di avere la maggioranza nel prossimo Parlamento europeo».
 
OBIETTIVO: UNIRE TUTTI GLI EUROSCETTICI
«Penso a un percorso comune per costruire una nuova Europa, un fronte anti-euro che credo sia molto più ampio di quanto si pensi. Geert Wilders e Marine Le Pen (a capo rispettivamente della Pvv anti-islam olandese e del Front national francese, nda) non sono assolutamente i mostri di cui alcuni parlano, i mostri sono altri. I contatti e gli scambi vanno avanti. Marine è molto diversa da suo padre, lei si occupa molto di lavoro e di diritti. Wilders mi è piaciuto molto, abbiamo alcune posizioni differenti ma siamo vicini soprattutto sul fronte della difesa delle autonomie, del territorio e sulla tutela della religione. Il nostro obiettivo è coagulare tutte le forze euroscettiche, per dire no all’euro, ai vincoli di Bruxelles, all’immigrazione e agire nella lotta alla disoccupazione. Con Le Pen ci stiamo scambiando slogan, manifesti e libretti, per trarne idee vincenti».
 
ECCO COME USCIRE DALLA MONETA UNICA
«La maggioranza degli italiani è disponibile a mettere in discussione l’euro. Sono tre le strade possibili: tornare alla sovranità monetaria, pensare a un euro a due velocità e infine immaginare diverse monete per aree omogenee. L’importante comunque è iniziare a discuterne. Fino all’anno scorso solo parlarne era da ricovero psichiatrico, ora le cose sono cambiate profondamente».
 
A SANREMO STIPENDI SCANDALOSI
I compensi per Fabio Fazio e Luciana Littizzetto per la conduzione del Festival di Sanremo «sono scandalosi. In pochi giorni, cinque sere di conduzione di un Festival musicale, guadagnano quello che una persona normale non prende in una vita intera e un parlamentare in dieci anni. Lo trovo davvero immorale».

dalla "Padania" del 13.2.14

 
 
 

Schiaffo svizzero a Bruxelles

Post n°1603 pubblicato il 12 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Stop all'immigrazione, accordi Ue da riscrivere. Il voto popolare di domenica ha sconfessato in un colpo solo governo nazionale, partiti e istituzioni europee. Ma nel mirino finiscono anche i frontalieri

di Andrea Accorsi

Stop all’immigrazione. E accordi di libera circolazione con l’Unione europea da riscrivere. Il sogno della Lega si avvera nella vicina Svizzera, dove il referendum popolare di domenica ha sconfessato in un colpo solo governo, partiti e istituzioni europee. Peccato che l’iniziativa referendaria promossa dall’Udc elvetica (destra conservatrice) accomuni stranieri e richiedenti asilo ai lavoratori frontalieri, estendendo anche a questi ultimi la richiesta di reintrodurre quote che ne circoscrivano il numero nel territorio della Confederazione. Come dire: insieme all’acqua sporca si rischia di buttare via anche il bambino.
A pochi mesi dalle elezioni europee, il referendum svizzero suona come un severo monito a Bruxelles e alla libera circolazione delle persone imposta negli ultimi vent’anni dalla politica comunitaria. E dà ulteriore fiato ai movimenti eurocritici, da sempre contrari a simili politiche.

UDC SOLA CONTRO TUTTI
Nel promuovere la consultazione popolare, l’Unione democratica di centro svizzera si è trovata contro tutti gli altri partiti rappresentati in Parlamento, ad eccezione della Lega dei Ticinesi e del Movimento dei cittadini ginevrini. Eppure l’elettorato ha dimostrato di condividerne gli obiettivi, seppure in stretta misura: si sono espressi a favore il 50,3 per cento dei votanti, contro il 49,7% di no. In pratica, a fare la differenza sono stati meno di 20mila voti.
Ma il risultato è più netto se si prendono in esame i singoli Cantoni: in 17 hanno prevalso i sì al referendum, contro i 9 dov’è stato respinto. Come avvenuto altre volte in passato su argomenti simili, la Confederazione si è divisa tra le diverse componenti linguistiche e culturali: tutti i Cantoni francofoni e solo tre tedescofoni (Basilea Città, Zurigo e Zugo) hanno detto no, mentre i sì hanno trionfato negli altri Cantoni tedescofoni e in Ticino.
Oltre ad aver vinto la partita praticamente da sola, l’Udc ha anche il merito di aver fatto registrare una partecipazione al voto pari al 56% degli aventi diritto: si tratta della più alta partecipazione degli ultimi cinque anni. Bisogna poi sottolineare come, prima di domenica, il voto popolare in Svizzera sia stato quasi sempre favorevole al governo, che stavolta è uscito invece sconfessato dalla volontà popolare.

«SIAMO GIÀ IN TROPPI»
Per i promotori del referendum, occorre frenare l’aumento della popolazione in Svizzera, che nel 2012 ha superato la soglia degli 8 milioni di abitanti, di cui quasi un quarto è straniero. La piccola Confederazione alpina non sarebbe in grado di sostenere questo incremento demografico, dovuto principalmente alla continua crescita dell’immigrazione. Diversamente dall’Italia, però, i “nuovi arrivi” provengono in stragrande maggioranza dalla Ue, con la quale dal 2002 è in vigore la libera circolazione delle persone. Sugli oltre 80 mila stranieri immigrati nella Confederazione nel 2013, circa il 75% proviene da Paesi Ue. Ad essi vanno aggiunte le decine di migliaia di frontalieri che lavorano nelle regioni di confine e che lavorano soprattutto in Ticino e a Ginevra. In quest’ultimo caso, però, si tratta di lavoratori pendolari o che, comunque, non risiedono nella Confederazione. L’iniziativa referendaria “contro l’immigrazione di massa” stabilisce che entro tre anni la Confederazione deve fissare tetti massimi per i permessi di dimora e quote annuali per tutti gli stranieri, calcolati in funzione delle necessità dell’economia nazionale.

«LAVORO, PRIMA GLI SVIZZERI»
Sul mercato del lavoro, la preferenza dovrebbe essere data agli svizzeri. I trattati internazionali contrari a queste regole, come l’Accordo di libera circolazione delle persone con l’Unione europea, dovranno pertanto essere rinegoziati.
Ma per gli oppositori del referendum - oltre agli altri partiti, imprenditori, sindacati e governo - l’immigrazione e gli accordi bilaterali con la Ue contribuiscono in misura considerevole all’economia svizzera e al benessere del Paese. Inoltre disdire l’accordo sulla libera circolazione delle persone rischiera di far cadere tutti gli altri accordi bilaterali con Bruxelles e di porre la Confederazione in una condizione di totale isolamento.
«La formulazione del testo costituzionale approvato domenica è comunque molto generica - si legge sul sito swissinfo.ch -. Non definisce né l’entità dei contingenti né l’autorità chiamata a fissarli e neppure i criteri da applicare». Commentando il risultato del voto, la ministra di Giustizia e polizia Simonetta Sommaruga ha spiegato che il governo di Berna sottoporrà al più presto al Parlamento una proposta per la sua attuazione e parallelamente intavolerà colloqui con Bruxelles e gli Stati membri dell’Ue per discutere i prossimi passi e l’avvio di negoziati. Anche il presidente della Confederazione e ministro degli Esteri, Didier Burkhalter, ha detto che il governo nelle prossime settimane valuterà le possibilità di «porre su una nuova base le relazioni con l’Ue».
Forte del risultato ottenuto, l’Udc ha subito chiesto che sia formato rapidamente un gruppo di lavoro per limitare e gestire l’immigrazione. In una nota, il più grande partito della Svizzera aggiunge che il governo dovrà rinegoziare la libera circolazione e dare la priorità ai lavoratori residenti sul mercato del lavoro. Il principio della “preferenza nazionale” dovrà essere applicato immediatamente come misure di autoregolazione dell’immigrazione.

dalla Padania dell'11..2.14

 
 
 

Anche La Russa e Casini in soccorso (rosso) di Napolitano dopo la protesta del Carroccio

Post n°1602 pubblicato il 06 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Salvini: «Abbiamo attaccato Napolitano e qualche anima bella si stupisce». Su Sassoli (eurodeputato Pd ed ex vicedirettore del Tg1): «Ecco un fannullone»

di A. A.

Segnatevi questi nomi: Federica Mogherini (responsabile Affari internazionali del Pd), Gianni Cuperlo (leader della minoranza del  Pd), Mario Mauro (ministro della  Difesa), Valeria Fedeli (vice presidente del Senato), Alfredo D’Attorre (deputato Pd), Gianni Pittella (vice presidente vicario del Parlamento europeo): sono solo alcuni degli esponenti democrat che hanno subito attivato il “soccorso rosso” a Napolitano dopo la protesta della Lega al Parlamento europeo.
«Penosa gazzarra», «imbarazzante gazzarra», «atto gravissimo», «gesto gravissimo», «deriva intollerabile»: i “compagni” non hanno fatto uno sforzo di fantasia per attaccare una volta di più il Carroccio. E dimostrare in maniera del tutto involontaria che la Lega, ancora una volta, ha colto nel segno, affermando tesi scomode e scandalizzando così il coro dei “benpensanti”.
Fra questi ultimi, anche David Sassoli, già vicedirettore del Tg1 e oggi europarlamentare del Pd, ma anche il presidente di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, e - udite udite - il redivivo (e politicamente appena ricollocatosi) leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, che è anche presidente della commissione Esteri del Senato. Cosa non si fa, pur di guadagnarsi uno scampolo di visibilità. E di confermarsi tanto lontani dal comune sentire quanto vicini a Palazzi, potenti e potentati nazionali ed europei.
«Abbiamo contestato Napolitano e qualche anima bella si stupisce»: così Matteo Salvini ribatte per le rime in un video diffuso on line. «La Russa - incalza Salvini - dice che andiamo contro l’Italia, il ministro Mauro, quello che cambia un partito a settimana, dice che siamo una vergogna e Sassoli (nella foto), l’ex vicedirettore del Tg1 (guarda caso, questi passano dalla Rai al Parlamento e viceversa) dice che siamo sei pagliacci leghisti. Sassoli chi? - va al contrattacco Salvini - Quello che è 602° su 766 parlamentari per attività parlamentare, mentre il sottoscritto è cinquecento posizioni più avanti? Quello che ha fatto 53 interrogazioni, mentre il sottoscritto ne ha fatte 155? Quello che ha fatto 27 report come emendamenti, mentre il sottoscritto ne ha fatti 105? Quello che ha fatto 37 interventi in Aula in quasi cinque anni, mentre il sottoscritto ne ha fatti 102? A voi - conclude il Segretario federale - scegliere chi è il pagliaccio».
Insomma, come se non bastassero i pecoroni di carriera del pensiero unico, alias i parlamentari pidini, nel “dàgli alla Lega” di giornata ci si sono messi pure i deputati-giornalisti. E, naturalmente, i giornalisti che deputati non sono (ancora) ma che amano confondere i ruoli, specie quando c’è da mettere il Carroccio nel mirino. «Per Repubblica.it contestare l’euro è una gazzarra - rileva ancora Salvini -. Giornalisti? No, braccia rubate ad altro mestiere».

dalla "Padania" del 5.2.14

 
 
 

EURO, CHE ROVINA Prima ne usciamo e meglio è

Post n°1601 pubblicato il 06 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
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Borghezio: la moneta unica sta portando al disastro il Nord. Bitonci: baggianate sostenere che senza ci sarebbe una decrescita

di A. A.

Parlamentari europei e nazionali della Lega spiegano le ragioni della protesta a Strasburgo. Ecco una rassegna dei loro interventi.

La nostra non è una protesta nei confronti del presidente Napolitano, per il quale portiamo rispetto, ma è una protesta per la sua adesione un po’ cieca a questa Europa e ai poteri delle banche che essa rappresenta. Siamo contro questo euro che danneggia le Pmi e sta portando alla rovina il nostro Paese e soprattutto il nostro Nord.

Mario Borghezio, eurodeputato

Abbiamo sentito la solita vuota retorica europeista e le solite chiacchiere di chi è da annoverare, politicamente, tra i maggiori responsabili della deriva del nostro Paese. Come Napolitano ha tutto il diritto di dire e fare ciò che vuole, così noi abbiamo lo stesso sacrosanto diritto di contestare le sue posizioni “filo euro” che hanno portato il Paese nel baratro. Che poi il comunista Napolitano ci venga a fare lezioni di democrazia e di libertà la trovo una cosa francamente assurda.

Mara Bizzotto, eurodeputato

Ormai è chiaro che questo euro ha favorito solo la Germania. E sono solo baggianate che con l’uscita dall’euro avremmo un problema grave di decrescita economica. Con l’euro c’è stata anche una graduale e costante cessione di sovranità popolare che ha provocato una grave disoccupazione soprattutto giovanile e ha creato un fenomeno di concorrenza sleale tra le imprese del Nord e i Paesi emergenti favoriti dalla possibilità di svalutare la loro valuta.

Massimo Bitonci, capogruppo al Senato

Il caso Electrolux, insieme a tutte le altre imprese che stanno tagliando i salari ai lavoratori, è un regalo dell’euro di Napolitano. Le imprese, per competere nel glorioso mondo della globalizzazione senza regole voluto a Bruxelles e dagli amici dell’euro, sono costrette a delocalizzare o a tagliare i salari schiavizzando i lavoratori italiani. Una volta si svalutava la moneta per competere, oggi si svalutano i salari.

Maurizio Fugatti, responsabile Economia e Sviluppo della Lega Nord

È sotto gli occhi di tutti che, a seguito della sciagurata introduzione dell’euro, il Paese sta andando a rotoli. Vergognoso è chi non lo capisce, o peggio fa finta di non capirlo.

Cristian Invernizzi, deputato

È da pazzi pensare che le nostre realtà produttive possano competere con Paesi europei che svolgono gli stessi lavori con salari ridicoli e senza alcuna garanzia sociale. Questa politica monetaria scellerata ha provocato un dumping sociale senza precedenti che adesso sono costretti a pagare i nostri lavoratori e le nostre imprese.

Massimiliano Fedriga, capogruppo in commissione Lavoro alla Camera

Dieci anni fa eravamo la quinta potenza industriale mondiale, oggi abbiamo le pezze al culo. In un Paese normale, la moneta è la fotografia del sistema produttivo. L’euro non rispecchia l’economia di nessun Paese europeo salvo essere vantaggioso per qualche Paese come la Germania e qualche Paese dell’Est e al contrario è estremamente penalizzante per altri come l’Italia. Prima usciamo dall’euro e prima il Paese riprenderà a respirare.

Sergio Divina, vice capogruppo al Senato

La scomposta reazione di molti esponenti del variegato panorama dei partiti favorevoli alla moneta unica “serial killer” alla protesta No Euro fatta al Parlamento europeo dai nostri rappresentanti ci ha fatto pensare di aver colpito l’obiettivo. D’altronde cosa possiamo aspettarci da chi sostiene ciecamente l’euro killer?

Raffaele Volpi, vice capogruppo al Senato

Prodi illuse gli italiani con la promessa che l’euro sarebbe stato un grande vantaggio per tutti. A distanza di anni si scopre che era tutto un grande bluff, utile solo ai bilanci delle banche. I cittadini sono sempre più poveri e ormai l’unica via percorribile è quella di scappare dalla moneta unica per tornare alla moneta locale.

Stefano Allasia, deputato

La scelta di sostenere un’Europa dei popoli costruita a misura di cittadino con una moneta che tenga conto delle esigenze economiche delle diverse realtà territoriali è una battaglia di giustizia e di civiltà. Continueremo a protestare con veemenza ma senza violenza perché il fronte euroscettico è forte e deve essere rappresentato.

Gian Marco Centinaio, senatore

dalla "Padania" del 5.2.14

 
 
 

A Strasburgo solo la Lega contro l’euro-Napolitano

Post n°1600 pubblicato il 06 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il Gruppo del Carroccio contesta il Capo dello Stato che nel suo discorso al Parlamento europeo parla di «agitazione distruttiva» contro la moneta unica e contro l’Unione

di Andrea Accorsi

La Lega alza solitaria la voce dell’Europa dei popoli contro la iattura euro. Occasione: l’intervento del presidente Giorgio Napolitano di fronte al Parlamento europeo in seduta plenaria.
Nel suo discorso, il Capo dello Stato parla di «agitazione distruttiva contro l’euro e contro l’Unione, sicuramente distruttiva anche se in nome di una immaginaria “altra Europa” da far nascere sulle rovine di quella che abbiamo conosciuto»: praticamente, il programma della Lega e dei movimenti euro-critici che vanno incontrando sempre più larghi consensi nel Vecchio Continente.
Alle parole di Napolitano, il Gruppo del Carroccio nell’Aula di Strasburgo dà vita ad una contestazione solitaria. I deputati leghisti inneggiano all’Europa dei popoli e issano cartelli contro la moneta unica. Mara Bizzotto indossa una maglietta con scritto “Napolitano non è il mio presidente”. Mentre Mario Borghezio urla: «Presidente, noi la rispettiamo ma non deve difendere l’Europa delle banche. Non tradisca Cattaneo. Si ricordi la carta di Chivasso»: il riferimento è al documento dei federalisti piemontesi e valdostani del 1943. Nell’Aula cala un silenzio imbarazzato, condito dai sorrisi di qualche europarlamentare e dai fischi e «buu» di qualcun altro.
«Pur senza menzionarla, Napolitano ha criticato la Lega, prendendosela con chi agita la protesta contro l’euro e questa Unione europea, anche se in nome di un’altra Europa - è l’analisi del capodelegazione del Carroccio, Lorenzo Fontana -. Chiaro il riferimento a noi, che abbiamo costruito una grande alleanza popolare e identitaria per un’Europa dei cittadini e dei popoli con Marine Le Pen, Wilders, Strache e gli altri partiti identitari. Il fatto è - continua Fontana - che il Capo dello Stato è il servo intelligente di questi potentati europei che stanno impoverendo la nostra economia. Napolitano, ricordo, è colui che mette prima Monti e poi Letta al governo per desiderio di Bruxelles. Ma adesso quelli come lui hanno paura, temono la forza della Lega e dei suoi alleati europei, hanno capito che noi abbiamo colto il senso della vera battaglia da condurre, che è in Europa ancor prima che a Roma. Napolitano è un simpatico 88enne, ma forse è ora che se ne vada in pensione mentre la Lega manderà a casa i suoi amici europei».
Alla contestazione ha partecipato anche Matteo Salvini, nella veste di eurodeputato. «Napolitano senza vergogna - dichiara il Segretario federale -. Chi ancora difende questo euro che ha massacrato lavoro, stipendi e pensioni è in malafede. Il voto di maggio spazzerà via queste euro follie».
L’uomo del Colle liquida come «modeste, marginali e tradizionali» le proteste incassate dalla Lega al Parlamento europeo. «Al posto suo starei più attento - ribatte Salvini via web -. Se si fa un giro (senza scorta) fra giovani disoccupati, cassaintegrati, imprenditori e artigiani rovinati, per dir loro che l’euro è bello e non si tocca, altro che proteste marginali... Lega - aggiunge Salvini - unica opposizione all’euro, crimine contro l’umanità».
In soccorso di Napolitano si scomoda fra gli altri - forse più per dovere di carica che per altro - il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. «Questi eurodeputati - ha detto il socialdemocratico tedesco riferendosi ai leghisti - utilizzano la plenaria dell’istituzione di cui fanno parte con puro scopo elettorale e questo rappresenta un abuso. Sono comunque totalmente isolati all’interno del Parlamento europeo».
Anche in questo caso, la replica di Salvini non si è fatta attendere: «Il triste presidente (ancora per poco) del Parlamento europeo, il compagno tedesco Schulz, dice che “la Lega è totalmente isolata nell’Europarlamento”. Bene! Meglio soli, che male accompagnati con gli amici dell’euro, della povertà e delle banche».
Quanto al modo in cui la Lega ha svolto la sua protesta, Salvini puntualizza: «Al Parlamento italiano si mettono le mani addosso, si danno della puttana, volano gli schiaffoni. Noi invece a Strasburgo ci siamo alzati e abbiamo espresso civilmente l’idea che un’altra Europa è possibile».

dalla Padania del 5.2.14

 
 
 

Sempre PIÙ TASSE e meno redditi, stiamo come negli ANNI 80

Post n°1599 pubblicato il 04 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
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Altro che tagli alle imposte: con la versione definitiva della Legge di Stabilità, dal 2014 al 2016 entrate fiscali triplicate rispetto al testo originario. Negli ultimi sei anni, persi 18 mila euro a testa


di Andrea Accorsi

Sempre più spremuti dal fisco, sempre meno soldi in tasca. Conf-commercio e Istat concordano nel fotografare le famiglie italiane in crescente difficoltà economica per l’aumento delle tasse e la diminuzione dei redditi.
ENTRATE FISCALI, +120% NEL 2014
L’incremento delle entrate fiscali nel periodo 2014-2016 previste dalla versione finale della Legge di Stabilità rispetto al disegno di legge originario è salito ad oltre 4,6 miliardi, rispetto agli iniziali 1,6 miliardi. Il calcolo è dell’Ufficio Studi di Confcommercio.
Nel dettaglio, solo per il 2014, da una previsione iniziale di maggiori entrate pari a 973 milioni si è arrivati ad oltre 2,1 miliardi, con un incremento di quasi il 120 per cento; per il 2015, si passa addirittura da una previsione di riduzione del carico impositivo (-496 milioni) ad un aggravio di 639 milioni; per il 2016, infine, si richiede il versamento di imposte aggiuntive per 1,9 miliardi, a fronte di una previsione iniziale di 1,2 miliardi.
FAMIGLIE PIÙ POVERE
Anche a causa di questi aumenti, le famiglie sono sempre più povere: negli ultimi sei anni, il reddito pro capite si è ridotto del 13% e si sono persi 18 mila euro a testa di ricchezza. In pratica, tra il 2007 e la fine del 2013 il reddito disponibile pro capite è tornato, al netto dell’inflazione, ai livelli della seconda metà degli anni Ottanta. Intanto i consumi sono drammaticamente fermi (-4,2% nel 2012).
CON FIGLI MENO DEL 40% DELLE COPPIE
Sui comportamenti di spesa incidono anche le modifiche intervenute nel lungo periodo nella composizione delle famiglie. Rispetto a 35 anni fa, crescono i nuclei familiari monocomponenti, soprattutto quelli con anziani soli che in percentuale sono triplicati, passando dal 5% del 1977 al 15,1% del 2012. Le coppie con figli sono ormai meno del 40% (erano quasi il 53% nel 1977 e comunque oltre il 44% nel 2000). Una popolazione sempre più anziana e composta da nuclei familiari sempre più piccoli sposta le risorse verso le cure mediche, l’assistenza e i servizi alla persona.
Confcommercio rileva infine la maggiore inflazione, attribuibile agli aumenti di tassazione indiretta (Iva e accise).
Per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, «non si deve derubricare a ordinaria amministrazione quelle che sono le vere e proprie emergenze economiche e sociali del nostro Paese: pressione fiscale incompatibile con qualsiasi prospettiva di ripresa, elevata disoccupazione, aumento dell’area di assoluta povertà».
LIGURIA PIÙ COLPITA DALLA CRISI
Nel 2012, secondo i dati Istat, il reddito disponibile delle famiglie in valori correnti è diminuito, rispetto all’anno precedente, in tutte le regioni. Nel confronto con la media nazionale (-1,9%), il Mezzogiorno segna la flessione più contenuta (-1,6%), seguito da Nord-Est (-1,8%), Nord-Ovest e Centro (-2%). Le regioni con le riduzioni più marcate sono Valle d’Aosta e Liguria: -2,8% in entrambe.
Il reddito monetario disponibile per abitante è pari a circa 20.300 euro sia nel Nord-Est sia nel Nord-Ovest, a 18.700 euro al Centro e a 13.200 euro nel Mezzogiorno. La graduatoria regionale del reddito disponibile per abitante (17.600 euro il valore medio nazionale) vede al primo posto Bolzano, vicina ai 22.400 euro pro capite, seguita da Valle d’Aosta (poco al di sotto dei 21.800 euro) ed Emilia-Romagna (circa 21.000 euro). Campania, con poco meno di 12.300 euro, Sicilia (attorno ai 12.700 euro) e Calabria (circa 12.900 euro) sono invece le regioni in cui il reddito disponibile per abitante è più basso.
La Liguria è la regione che ha risentito maggiormente degli effetti della crisi economica: tra il 2009 e il 2012 le famiglie hanno subito una diminuzione dell’1,9% del reddito disponibile. L’Umbria e la provincia di Bolzano sono state le meno toccate dagli effetti della crisi economica con aumenti, nel periodo considerato, rispettivamente del 3,6% e del 2,7%.
dalla Padania del 4.1.14

 
 
 

Letta: siamo fuori dal tunnel, nel 2014 la svolta. Squinzi: dai numeri nessun motivo di ottimismo

Post n°1598 pubblicato il 04 Febbraio 2014 da accorsiferro
 
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Botta e risposta tra il premier e il numero uno di Confindustria. Fugatti (Lega): «Con la legge elettorale non si mangia, ma il governo non sembra averlo capito»

di A. A.

«La crisi è superata in Europa e anche in Italia». La sparata è del premier Enrico Letta. «Negli ultimi cinque anni - ha detto Letta in una intervista all’emittente televisiva al Arabiya nel corso della sua missione nel Golfo - la situazione è stata molto molto difficile, c’è stata la crisi euro, la crisi dell’eurozona, e l’Italia è stata in difficoltà per il debito ereditato dal passato. Ma l’anno 2014 sarà l’anno della svolta. Sono così ottimista perché per la prima volta dopo sei anni stiamo tagliando il debito, per il terzo anno consecutivo abbiamo un deficit completamente sotto controllo, un avanzo primario del 2,6 per cento, e per il primo anno da molti avremo una crescita. La situazione sta cambiando, c’è stabilità».
In realtà la crisi non è affatto superata: si è soltanto fermata dopo aver toccato il punto più basso. Ma da qui a parlare di svolta ce ne corre. Ne è convinto anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che a In Mezz’ora su Rai 3 ha spiegato: «Ritorneremo ai livelli pre-crisi solo nel 2021 se continuiamo con questo trend. Per far tornare a crescere l’occupazione serve una crescita del 2% l’anno. Non pensiamo che sia possibile nel 2014». I numeri, insomma, «non ci permettono di guardare con ottimismo verso il futuro». Quest’anno, ha aggiunto il leader degli industriali, registreremo «una modestissima» crescita del Pil tra +0,6 e +0,7%: «Una frazione di punti che non basta a creare occupazione e a far ripartire il Paese».
Per Squinzi, ancora, «la quantità di persone che sta soffrendo in maniera drammatica sta diventando insopportabile per il Paese». E «la distanza della classe politica con l’economia reale non è mai stata così ampia». Quanto al governo Letta, «ha fatto una giusta analisi dei problemi del Paese ma per il momento è troppo timido nel dare le soluzioni e nel spingere il Paese nella giusta direzione». Al governo, ha concluso Squinzi, «abbiamo chiesto un cambio di passo deciso e più coraggio. Per grazia divina la situazione economica del Paese non cambierà. Bisogna mettere mano alle riforme necessarie».
«Purtroppo con la legge elettorale non si mangia, ma a quanto pare il governo e la maggioranza non sembrano averlo capito». È quanto scrive in una nota il responsabile Economia e Sviluppo della Lega Nord, Maurizio Fugatti, per il quale «oggi ben due istituti bocciano l’operato del governo dimostrando, numeri alla mano, che negli ultimi due anni le tasse sono triplicate e il reddito delle famiglie, soprattutto del Nord, è crollato. Sono dati impietosi che fotografano l’immobilismo economico degli ultimi due governi. Invece di preoccuparsi di varare una legge elettorale che garantisca i propri interessi - esorta Fugatti -, i partiti di maggioranza dovrebbero cominciare ad applicare provvedimenti economici che rilancino la crescita e l’occupazione del Paese».

dalla "Padania" del 4.2.14

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: accorsiferro
Data di creazione: 04/03/2006
 

IL FILM CHE ABBIAMO VISTO IERI SERA

Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionato con la mutua**

Legenda:

** = merita
*   = non merita

 

I LIBRI CHE STIAMO LEGGENDO

Andrea:

Kate Quinn

Fiori dalla cenere

(Nord)

 

I NOSTRI LIBRI PREFERITI

Anna Karenina di Lev Tolstoj

Assassinio sull'Orient-Express di Agatha Christie

Cime tempestose di Emily Bronte

Dieci piccoli indiani di Agatha Christie

Genealogia della morale di Friedrich Nietzsche

Guerra e pace di Lev Tolstoj

Illusioni perdute di Honoré de Balzac

Jane Eyre di Charlotte Brontë

Le affinità elettive di Johann W. Goethe

Madame Bovary di Gustave Flaubert

Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov

Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse

Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen

 
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