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Libri, articoli e altro di Andrea e Daniela

 

I LIBRI DI ANDREA

- 35 borghi imperdibili a due passi da Milano (2019)

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- 35 borghi montani imperdibili della Lombardia (2019)

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- Il patrimonio immateriale dell'Unesco (2019)

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- L'arte della botanica nei secoli (2018)

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- 35 borghi imperdibili della Lombardia (2018)

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- I grandi delitti italiani risolti o irrisolti (2013, nuova edizione aggiornata)

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- Bande criminali (2009, esaurito)

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- La sanguinosa storia dei serial killer (2003, esaurito)

 

I NOSTRI LIBRI

- Itinerari imperdibili - Laghi della Lombardia (2018)

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- Caro amico ti ho ucciso (2016)

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- Milano criminale (2015, II edizione)

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- I 100 delitti di Milano (2014)

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- I personaggi più malvagi della storia di Milano (2013)

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- Milano giallo e nera (2013)

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- Gli attentati e le stragi che hanno sconvolto l'Italia (2013)

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- Le famiglie più malvagie della storia (2011, II edizione)

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- 101 personaggi che hanno fatto grande Milano (2010)

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- Il grande libro dei misteri di Milano risolti e irrisolti (2006, III edizione)

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- Milano criminale (2005,  esaurito)

 

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I LIBRI DI DANIELA

- Josephine Baker Tra palcoscenico e spionaggio (2017)

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- La vita che non c'è ancora (2015)

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- Le grandi donne di Milano (2007, II edizione)

  

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- L'eterno ritorno, un pensiero tra "visione ed enigma" (2005)

 

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Messaggi di Giugno 2014

Mose, no al patteggiamento per l’ex sindaco Orsoni Il gup: troppo pochi 4 mesi

Post n°1681 pubblicato il 30 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

I legali: «Così si difenderà al processo, come preferiva». Slitta all’11 luglio l’esame della richiesta di arresto dell’ex governatore Galan alla Camera. E le imprese danno vita a un “Patto”

di A. A.

Il gup del Tribunale di Venezia Massimo Vicinanza ha respinto la proposta di patteggiamento a 4 mesi e 15 mila euro di multa concordata tra la Procura di Venezia e Giorgio Orsoni nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, perché ritenuta «incongrua rispetto alla gravità del reato».
I legali dell’ex sindaco minimizzano. «Era una delle eventualità», dice l’avvocato Daniele Grasso. Il gup, spiega l’avvocato, «ha motivato sostenendo che si imponeva una valutazione di incongruità della pena, ovvero la pena era troppo mite. A questo punto Orsoni si farà il processo con la prospettiva di gestire tutte le possibilità difensive a cui aveva rinunciato - sottolinea il legale -. Credo che Orsoni preferisca gestirsi nel processo».
Nell’ambito della stessa inchiesta sugli appalti del sistema anti-maree in costruzione nella Laguna, approderà alla Camera con una settimana di ritardo il caso dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan. È quanto emerso dalla riunione dei capigruppo della Camera. La Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio ha infatti chiesto una proroga fino all’11 luglio, prima della pausa estiva, rispetto al termine del 7, per terminare l’esame della richiesta di arresto del deputato di Forza Italia.
Ignazio La Russa, deputato di Fdi e presidente dell’organismo, spiega che «abbiamo deciso di chiudere i lavori il 4 luglio, ma in via precauzionale ci siamo dati un’altra settimana di tempo per ulteriori approfondimenti». «Ci siamo dati una proroga di una settimana, ma non andremo oltre l’11 luglio» gli fa eco il relatore Mariano Rabino, parlamentare di Scelta civica. Galan ha esposto la sua versione dei fatti nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Rabino assicura: «Faremo tutti gli approfondimenti necessari».
Al termine della sua audizione in Giunta per le autorizzazioni della Camera sulla vicenda Mose, Galan ha ribadito: «Io non mi sento un perseguitato dai magistrati, né un perseguitato politico. Ma c’è fumus persecutionis, perché la misura cautelare richiesta nei miei confronti è quella massima. Innanzitutto - ha sottolineato l’ex governatore - mi aspetto, cosa che chiedo da un anno, di essere ascoltato dai magistrati. Dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera, invece, mi aspetto che i suoi ventidue componenti prendano una decisione da uomini e donne prima ancora che da parlamentari. I componenti della Giunta - ha aggiunto -sono tutti preparati e capaci di valutare e giudicare se c’è il fumus persecutionis, e io ritengo che ci sia, perché, come ho detto alla stampa e nelle memorie difensive, non c’è nessun motivo di chiedere l’arresto».
Ieri a Palazzo Sandi, nella sede di Ance Venezia, si è tenuto l’incontro di coordinamento tra le principali categorie economiche della città annunciato nei giorni scorsi, a seguito delle preoccupazioni sul rischio di uno stallo, dopo le dimissioni del sindaco Orsoni, dell’attività amministrativa e di un blocco di opere e progetti già avviati. A questo primo incontro organizzativo, che si è svolto a porte chiuse, hanno aderito tredici associazioni di categoria, ma l’iniziativa rimane aperta a tutte le forze produttive della provincia che si mostrassero interessate.
Il primo orientamento, condiviso all’unanimità, è stato trasformare il coordinamento, ribattezzato “Patto di Venezia”, in un tavolo tecnico permanente che vada oltre l’attività amministrativa del commissario straordinario. Una sorta di organismo di consultazione capace di aumentare il peso della rappresentanza del mondo produttivo veneziano nei confronti delle istituzioni pubbliche. Senza sovrapporsi alle linee di indirizzo politico e di rappresentanza di ciascuna associazione, il neonato Patto potrebbe muoversi d’ora in poi come un fronte unito su temi di comune interesse.
«È un fatto straordinario - commenta Ugo Cavallin, presidente di Ance Venezia - che le principali categorie economiche, nonostante le loro peculiarità, abbiano trovato da subito terreno fertile per una collaborazione. Ho trovato in tutti la volontà di fare squadra per rompere un sistema burocratico-amministrativo che non consente a Venezia di cogliere a pieno le sue opportunità. Si tratta di un percorso lungo che va oltre la contingenza legata agli scandali».
Il primo punto sottoscritto da tutte le categorie riguarda la necessità che il neo commissario porti a termine tutte le iniziative e i progetti avviati dalla precedente Amministrazione e non ancora ultimati. Ciascuna categoria, inoltre, nei prossimi giorni presenterà internamente un elenco di priorità che si tradurrà in un documento di sintesi. I presidenti delle associazioni aderenti al Patto chiederanno, quindi, di essere ricevuti unitariamente dal commissario per poter illustrare pubblicamente le proposte.

dalla "Padania" del 29.6.14

 
 
 

DELITTI DOC / 1: COGNE, quel circo mediatico sulla pelle del piccolo Sammy

Post n°1680 pubblicato il 30 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Dopo la scarcerazione di Annamaria Franzoni, condannata per l’omicidio del figlio di tre anni, ripercorriamo uno degli eventi delittuosi che hanno cambiato il modo di vedere e di “vivere” la cronaca

di Andrea Accorsi

Annamaria Franzoni è tornata a casa. Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha concesso i domiciliari alla mamma condannata per l’omicidio del figlio Samuele Lorenzi. «Che bello, non ci posso credere, sono felice» ha detto la donna non appena ha appreso la notizia.
Quello di giovedì è stato l’ultimo atto di una lunga e tormentata vicenda giudiziaria, iniziata dopo la morte del piccolo Sammy. Una vicenda che, come sempre, ha diviso il Paese tra innocentisti e colpevolisti, anche autorevoli. E che per lungo tempo ha oscurato ogni altro fatto di sangue, anche grave: pochi mesi dopo, una donna uccise i due figli di 4 anni e di 21 giorni annegandoli in un laghetto vicino ad Aosta. Un fatto molto simile, eppure passò quasi inosservato. Ma soprattutto, il delitto di Cogne ha cambiato il modo di vedere e di “vivere” la cronaca. Come altri eventi delittuosi che ripercorreremo in questa sede nelle prossime domeniche.
«MIO FIGLIO STA MALISSIMO, È TUTTO INSANGUINATO». È il 30 gennaio 2002, un mercoledì, quando Samuele, tre anni, viene ucciso nella villetta di Montroz, frazione di Cogne, nella quale vive con i genitori e il fratello più grande, Davide. Alle 7.30 il padre, Stefano Lorenzi, è uscito di casa per andare a lavorare. Tre quarti d’ora dopo, Annamaria accompagna Davide alla fermata dello scuolabus, lì vicino. Quando rientra in casa, Samuele, che dormiva nella camera da letto dei genitori, è in fin di vita: il piccolo è stato colpito con violenza alla testa per 17 volte con un corpo contundente. Alle 8.28 la madre telefona al 118 per chiedere soccorso. Trasportato in elicottero all’ospedale di Aosta, il bambino spira un’ora e mezza dopo il ricovero.
Accusata dell’omicidio del figlio, Annamaria Franzoni si proclama da subito innocente e non cambierà mai versione. La sua detenzione in attesa del giudizio è discussa perfino dalla Cassazione, che stabilisce che la donna non deve tornare in carcere, pur essendoci alcuni gravi indizi a suo carico.
Il processo, celebrato nel 2004 nel Tribunale di Aosta, si conclude rapidamente con la condanna per omicidio volontario aggravato a trent’anni di reclusione, il massimo previsto per il rito abbreviato chiesto dal difensore, Carlo Taormina. In appello la pena viene ridotta a 16 anni, divenuti 13 con l’indulto.
La Franzoni viene incarcerata a Bologna. Lo scorso 7 ottobre ottiene di lavorare in una cooperativa sociale dove cuce borse, astucci e altri accessori.
SANGUE E MEDIA. Fin da subito, intorno al delitto di Cogne si scatena un circo mediatico che sorprende gli stessi cronisti inviati sul posto, convinti di rientrare dopo pochi giorni e invece destinati a rimanervi per mesi. La villa teatro dell’omicidio diventa presto un’immagine indelebile nella memoria collettiva, come il trattorino giocattolo nel giardino. Ma la (sovra)esposizione mediatica del delitto non risparmia al grande pubblico alcun dettaglio. È il caso delle fotografie della stanza dove fu consumato, con il materasso e le pareti macchiate di sangue, e del pigiamino della vittima. Istantanee “sparate” in copertina da un settimanale e riprese da molti mass media.
Perfino la telefonata della Franzoni al 118 diventa di dominio comune, quando ne viene diffusa la registrazione. Ma a far discutere è anche il comportamento dell’unica imputata per l’omicidio, che non fa nulla per evitare i riflettori, anzi. La mamma di Samuele annuncia in pubblico fatti privati, come l’attesa di un altro figlio (Gioele) e partecipa perfino al salotto tv di Maurizio Costanzo per difendersi dalla terribile accusa che le viene mossa.
La cronaca esce così dai telegiornali e diventa show. Ma anche quiz. È stata la mamma o no a uccidere Samuele? Se è stata lei, perché lo ha fatto? E se invece è innocente, chi è stato e perché? Le domande si ripetono sulla bocca di tutti, che seguono passo dopo passo ogni sviluppo delle indagini. Parole ed espressioni tecniche quali Luminol, profilo genotipico, Bloodstain Pattern Analysis escono dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori per diventare patrimonio degli spettatori di un macabro e inedito spettacolo.
Fra gli attori, oltre all’imputata, carabinieri e magistrati, legali e periti, criminologi e commentatori. Tutti impegnati a darsi battaglia su alcuni elementi-chiave, quali i tempi materiali necessari per compiere il delitto, gli zoccoli e il pigiama dell’assassino (indossato a rovescio e con il davanti dietro), l’arma utilizzata (mai ritrovata). Elementi sui quali, nonostante le sentenze, rimangono ancora dei dubbi.

dalla Padania del 29.6.14

 
 
 

OGGI in Cassazione le firme della LEGA per i 5 REFERENDUM

Post n°1679 pubblicato il 27 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Partita in serata da Milano la carovana di furgoni carichi di oltre 500 scatoloni con i moduli sottoscritti dai cittadini in Comuni e gazebo

di Andrea Accorsi

Mesi di lavoro oscuro, nel chiuso delle stanze di via Bellerio, e alla luce del sole, ai banchetti e sotto i gazebo allestiti nelle piazze di tutte le città. L’organizzazione, la promozione e la raccolta delle firme per i referendum promossi dalla Lega si sono concluse. Con un doppio successo: la risposta massiccia dei cittadini, che hanno sottoscritto i quesiti referendari da Nord a Sud, e il raggiungimento del quorum richiesto, ben 500 mila firme, a partire dal referendum per abolire l’odiatissima Legge Fornero. Dopo mesi di impegno e di sacrifici dei militanti, ieri sera i moduli compilati da quanti hanno sposato le cinque battaglie promosse dal Carroccio - oltre all’abolizione della Fornero, quelle contro la Legge Merlin, la Legge Mancino, le prefetture e i concorsi pubblici aperti agli extracomunitari - hanno lasciato via Bellerio, direzione Roma, dove oggi saranno depositati in Cassazione. Per contenere tutte le firme sono serviti più di 500 scatoloni, caricati su quattro furgoni scesi nella capitale in carovana, “scortati” da alcune auto. La Suprema Corte avrà ora tempo fino a novembre per validare i moduli e promuovere così il voto popolare sui cinque argomenti, che dovrebbe tenersi la prossima primavera.
«Tutto è cominciato ben prima della fine di marzo, coincisa con la prima “gazebata” per la raccolta delle firme - ricorda Eugenio Zoffili, responsabile federale della campagna referendaria -. C’è stata innanzitutto la stesura dei quesiti, la preparazione del materiale di propaganda con loghi, manifesti e volantini, poi la spedizione dei moduli in 8 mila Comuni e l’organizzazione delle migliaia di gazebo allestiti a più riprese sul territorio». A questo lavoro, già enorme, si è aggiunto in parallelo quello di “smistamento” e di verifica della validità dei moduli. Un’opera certosina, che ha richiesto molto tempo e pazienza, e che ha registrato qualche intoppo laddove mancava un timbro, una data o l’estremo di un documento. Ma alla fine, raggiunto il traguardo, Zoffili tiene a ringraziare chi ha reso possibile il successo.
«Innanzitutto i cittadini, che sono venuti a firmare da Nord a Sud, ai gazebo e nei Comuni. E poi tutti i nostri militanti che in questi mesi hanno fatto la campagna referendaria alzandosi alle 6, andando nelle piazze all’inizio al freddo, poi sotto la pioggia e infine con 35 gradi. Ci hanno messo la passione, il cuore, la determinazione senza mai mollare». Un’ultima annotazione Zoffili la riserva al contenuto dei cinque referendum “promossi” dalla gente. «Altri parlano e basta, noi permettiamo ai cittadini di andare alle urne per decidere in merito a problemi concreti. Le nostre proposte hanno colpito giovani e anziani, esprimendo una posizione chiara e coraggiosa anche su temi delicati come la prostituzione».
Il successo della campagna referendaria promossa dal Carroccio è nei numeri, oltre che nella validità delle proposte presentate. A cominciare dalle 550 mila firme raccolte per abolire la legge Fornero su pensioni e lavoro, passando alle 15 mila telefonate ricevute dal centralino dedicato ai referendum. Per non parlare delle migliaia di gazebo messi in campo e delle decine di militanti coinvolti nelle ultime tre settimane in via Bellerio per vagliare, catalogare e confezionare i moduli con le sottoscrizioni.
«Andiamo a Roma a far piangere la Fornero - esulta Tiziano, detto “Striscia”, ventiduenne della Valtellina che guidava uno dei furgoni -. Su ogni modulo andava riportato, a fianco di ciascuna sottoscrizione, il numero di iscrizione della persona nelle liste elettorali del Comune». Un lavoraccio. Come lo è stato contattare uno per uno tutti i Comuni che non hanno provveduto a rispedire i moduli. «Generalmente l’hanno fatto - rileva Alice, vice segreteria della sezione di Bovisio Masciago (Milano) - Alcuni Comuni hanno rispedito anche un solo modulo, o una sola firma». «Ho passato due settimane a dividere i moduli di gazebo e Comuni e per ciascun referendum - interviene Camilla, della stessa sezione -. Un lavoro lungo e certosino, soprattutto per la mole di moduli. L’impiegato di un Comune ha telefonato per dirci: mi raccomando, andate avanti, ci tengo...».
Due stanzoni pieni all’inverosimile di scatoloni vuoti è la traccia lasciata in via Bellerio dal “ciclone” referendario. Sei referendum non sono uno scherzo. Come non lo sono tre milioni di firme da raccogliere e 8 mila Comuni ai quali inviare, e dai quali talvolta ritirare, i moduli. «Questo ed altro pur di stroncare la Fornero» dicono in molti. Marco Marcalini, ex stampatore di Meda (Monza e Brianza), ha una ragione in più. «Dopo quarant’anni di lavoro, grazie alla riforma Fornero sono in una specie di limbo. Non so se sono un esodato o cos’altro, sta di fatto che dovrò restare ancora in mobilità almeno un anno prima di andare in pensione. Nonostante tutto - tiene a sottolineare - l’obiettivo è stato centrato, grazie ai gazebo che hanno attirato l’interesse dei cittadini anche in un paese dormitorio come il mio, e grazie all’impegno di tanti militanti, fra i quali tengo a ringraziare Luca Santambrogio».
Ora la “palla” passa alla Cassazione. Rimane ancora aperta, invece, la raccolta firme per il sesto referendum, volto a reintrodurre il reato di clandestinità e promosso dalla Lega in una seconda fase.

dalla "Padania" del 25.6.14

 
 
 

«Poliziotti e marinai a rischio CONTAGI dai CLANDESTINI»

Post n°1678 pubblicato il 24 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il segretario del Sap, Tonelli, visita i centri di accoglienza in Sicilia: nessun esame medico su chi arriva, unica protezione una mascherina

di Andrea Accorsi

Nessun controllo sanitario efficace sulle migliaia di clandestini che ogni giorno sbarcano in Italia. E nessuna, autentica protezione per il personale di polizia, ma anche della Marina e dei centri di accoglienza, contro i rischi di contrarre malattie. Gianni Tonelli, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (Sap), ieri era in Sicilia per verificare di persona la situazione. E per denunciare un problema che investe l’intera comunità nazionale. Un problema che non è solo di sicurezza e sanitario, ma anche di mancata informazione.
«Il premier dovrebbe mandare qua una persona di fiducia per una settimana per capire come stanno le cose - esorta Tonelli -. Secondo me non è stato informato correttamente, come non lo ero io finché stavo a Roma. Il circuito mediatico, non so se per interesse o superficialità, non fa filtrare la realtà. E la gente non la conosce». Una realtà che lo stesso Tonelli ha toccato con mano, in tre centri per immigrati dell’isola.
«È stato illuminante. Fra gli immigrati c’è chi sa cosa deve fare, mentre il 30% vuole solo fuggire. Le persone scaricate dalle navi vengono sottoposte a un controllo del medico, presente solo 8 ore al giorno, per un esame “obbiettivo” sommario, cioè senza nessun controllo strumentale né tantomeno esami del sangue. Ho stretto la mano ad un bambino affetto da tubercolosi, che si trasmette all’interno di ambienti chiusi, e qui ci sono cameroni con persone stipate come bestie. La scabbia è molto frequente, c’è stato qualche caso di meningite. Ma un esame “obbiettivo” non riscontra in alcun modo gran parte delle malattie».
A Pozzallo (Ragusa) il Centro di primo soccorso e accoglienza ospita 200 immigrati (su 400 posti potenziali), soprattutto giovani in attesa del riconoscimento dello status di esiliati politici. Ai dieci poliziotti in servizio sono state date, come precauzione, «mascherine che fanno ridere - lamenta Tonelli -, non fermano nemmeno le polveri grosse, figuriamoci gli agenti patogeni. Una presa in giro», taglia corto.
A Caltagirone (Catania) i richiedenti asilo sono 150 (su 250 posti), affidati a una cooperativa e senza alcun presidio di polizia. Risultato: la metà sono già fuggiti. Ma la situazione peggiore è al Cara di Mineo, ancora nel Catanese, dove 4 mila persone, «anche di etnie diverse atavicamente in conflitto fra loro», sono gestite da appena 20 agenti. «Basta un attimo per far volare colli di bottiglia o coltellate. Anche qui, per garantire sicurezza occorrono soldi e più operatori».
Ma Tonelli lamenta altri problemi. «Le prefetture non sanno quanti immigrati devono accogliere perché manca un sistema informatizzato come può essere quello di un hotel, una stupidata. Ed è assurdo che le persone identificate in italia e poi fermate, poniamo, in Germania, vengano rispedite nel Paese dove sono state identificate. Molti non si fanno identificare proprio perché non vogliono fermarsi qui». Soluzioni? «La prima cosa da fare sarebbe pestare davvero i piedi in Europa e pretendere corridoi umanitari. E poi sposterei alle frontiere con gli altri Paesi i centri che trattengono per mesi le persone in attesa di asilo politico: finché stanno in Sicilia, quelli se ne fregano».
Giovedì scorso i sindacati di polizia hanno incontrato il vice capo vicario della polizia, Alessandro Marangoni, e il direttore centrale di Sanità, Giovanni Cuomo. «Un incontro molto deludente - sbotta Tonelli -. Che garanzie può dare sotto il profilo sanitario un esame non strumentale su una nave che trasporta duemila persone per volta?».

dalla "Padania" del 24.6.14

 
 
 

Leggi, tasse, multe: ecco chi comanda davvero in Italia

Post n°1677 pubblicato il 13 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il Paese è in mano ad una casta di “mandarini” intoccabili, che rovinano la vita a cittadini e imprese. Un libro ne svela il potere e le malefatte

di Andrea Accorsi

Dal ristoratore multato per aver servito troppi spaghetti alle 118 procedure da compilare se si vuole aprire un’attività da estetista. Ma c’è anche la tassa sull’ombra, per le tende dei negozi. L’intrico di tasse, leggi e regolamenti non ha paragoni in Europa e va a tutto vantaggio di una casta nascosta: quella dei “mandarini”, ovvero di chi comanda in Enti e uffici pubblici. Il giornalista Paolo Bracalini ci guida in questo Paese da buttare in La Repubblica dei mandarini. Viaggio nell’Italia della burocrazia, delle tasse e delle leggi inutili (Marsilio, pp. 199) attraverso storie vere e testimonianze tratti dalle cronache.

Bracalini, com’è nata l’idea di questo libro?

«Mentre ero in coda per pagare la tassa sui rifiuti, a Roma. Una mattina di lavoro persa, per pagare una tassa che dovrebbe garantire strade pulite, mentre la città è invasa dalla spazzatura, quindi un obolo a cui non corrisponde alcun servizio. Un’estorsione legale. Ma non solo: fino all’ultimo non si sapeva neppure quanto si dovesse pagare, e la gente ha dovuto chiedere aiuto a commercialisti o ai Caf, anche lì pagando. Quindi spremuti e mazziati due volte, da veri sudditi. Lo Stato italiano chiede ma non dà, e quando deve pagare ci mette anni, sempre che lo faccia, portando al fallimento centinaia di imprese. Da lì sono partito per indagare tutti gli aspetti di questo rapporto tra Stato parassita italico e contribuenti trattati come sudditi».

Qual è il caso più disarmante che hai scoperto?

«Tanti. Intanto il sistema di premi e benefit per i funzionari dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia. Più soldi spremono con le cartelle esattoriali e più premi a fine anno ricevono. Equitalia, in un documento interno che pubblico, parla addirittura di “business”. Business? Ma se c’è gente che va in rovina per quelle cartelle! Tra l’altro molto spesso sbagliate: basta vedere le percentuali dei contenziosi tributari. Ma oltre ad indagare su come funziona il fisco italiano, racconto le follie a cui è sottoposto soprattutto chi ha un’attività, gli imprenditori medio piccoli. Trattati come evasori fino a prova contraria. Lo sa che chi esporta un prodotto deve dichiarare che la merce non contiene peli di gatto, cane e persino di foca? E mille altri oboli e adempimenti burocratici, che racconto e che soffocano chi lavora. Al posto dell’Agenzia delle entrate servirebbe un’agenzia delle Uscite, per capire che fine fanno i miliardi delle tasse che paghiamo, specie al Nord, dove l’evasione è la metà che al Sud».

Quanto peso la burocrazia sul “sistema Italia”, in termini economici e non solo?

«In termini assoluti parliamo di 31 miliardi di euro l’anno in oneri burocratici. Ma il danno del mostro burocratico è ancora più alto, perché moltiplica il tempo per portare a termine i progetti, una vera palla al piede. Caprotti, patron di Esselunga, racconta che per aprire un punto vendita ci vogliono mediamente da 8 a 14 anni, sempre che uno nel frattempo non impazzisca. Un altro grande imprenditore ha aperto uno stabilimento a Chicago in 11 mesi, in Italia ci aveva messo 7 anni. È rimasto choccato perché le autorità locali lo hanno subito contattato non per tormentarlo con le scartoffie, ma per chiedergli: come possiamo aiutarla? Lo Stato parassitario italiano invece spolpa i cittadini, con una pressione fiscale senza paragoni, per mantenere se stesso e l’apparato di mandarini, burocrati e dipendenti pubblici. Che non sono, come raccontano i sindacati, “in linea con l’Europa”, ma molti di più, come dimostro numeri alla mano».

Ci sono ancora tante leggi inutili dopo la “cura Calderoli”, che nel 2010 ne tagliò decine di migliaia?

«Siamo ancora il Paese europeo con il numero di leggi più alto, circa 40 mila, il quadruplo di Germania e Francia. Nel libro ne racconto parecchie incredibili. Come la legge che vieta l’attività di ciarlatano, ancora in vigore... Più leggi ci sono, e più potere hanno i burocrati pubblici. E poi, agli alti livelli, i mandarini dei ministeri e delle alte sfere bloccano ogni cambiamento dello status quo, che a loro va benissimo. Mi sono fatto raccontare da alcuni ex ministri chi ha il potere vero dentro i ministeri: non sono i ministri ma i capi dipartimento, i consiglieri legislativi, i mandarini insomma, che a differenza dei politici che vanno e vengono, sono sempre lì e fanno squadra tra di loro».

Come si esce da questa situazione? Con le riforme annunciate dal trionfatore delle elezioni di domenica, ovvero Matteo Renzi?

«Renzi ha riproposto una battaglia che era stata del centrodestra, la lotta alla burocrazia, la semplificazione della macchina pubblica, e anche contro l’improduttività della Pubblica amministrazione, dove spesso quattro impiegati fanno il lavoro di uno. Il centrodestra subì la guerra dei sindacati e fu accusato di trattare i dipendenti pubblici come fannulloni. Al centrodestra in Italia non si perdona nulla, magari al leader della sinistra sì, lui ha promesso che userà la ruspa. Contro di lui useranno l’arma bianca invece del cannone, ma gli faranno comunque la guerra».

Ma come si fa, in definitiva, a (soprav)vivere in un Paese come quello che descrivi?

«Dopo questo viaggio nella guerra tra chi lavora e lo Stato che si prende il 70% minimo di quello che uno produce, sono convinto che chi riesce a mandare avanti un’impresa, un negozio, una partita Iva, sia una specie di eroe. Nei Paesi avanzati lo Stato è al servizio dei cittadini, qui in Italia siamo noi al servizio dello Stato, che sembra faccia di tutto per prenderti quel che può e farti chiudere. La guerra per un sistema fiscale giusto e non di rapina, e per spazzare via la bizantina burocrazia italiana è la strada inevitabile per ridare ossigeno ad una società che vive nell’asfissia di uno Stato parassita e predatore. Se non si riesce l’unica strada resterà quella che già seguono molti: la strada che porta in Svizzera, Austria, Slovenia... Via dalla Repubblica dei mandarini italica».

dalla Padania del 28.5.14

 
 
 

Bisinella (Lega): «Siamo noi la forza politica che può riformare il centrodestra»

Post n°1676 pubblicato il 12 Giugno 2014 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

"Da Renzi solo chiacchiere e riforme pasticciate. La Lega è l’unica che presenta programmi seri e concreti: per questo la gente è tornata a darle fiducia"

di Andrea Accorsi

Senatrice Bisinella, all’inizio del suo mandato Renzi aveva annunciato il varo delle riforme istituzionali entro il 10 giugno. Una promessa rivelatasi da Pinocchio...

«Assolutamente sì - risponde la parlamentare veneta Patrizia Bisinella, segretario della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama -. Tanti annunci di Renzi non trovano poi riscontro nei fatti».

Eppure, alla luce dei risultati dell’ultima tornata elettorale, gran parte degli elettori sembrano disposti a farsi abbindolare da lui. Perché?

«In questa fase Renzi trova facile terreno nell’esasperazione della gente. In un momento di grande difficoltà economica e sociale, c’è molta disaffezione verso le istituzioni e la politica, e si rischia di fare di tutta l’erba un fascio. Renzi è visto come un’occasione per cambiare le cose, la gente si aggrappa a questa speranza e gli dà fiducia. Il nostro timore, fondato visto quanto succede in Parlamento, è che le sue siano solo chiacchiere, fumo gettato negli occhi della gente, e che quando si dovrà arrivare alla resa dei conti sia il Paese a pagarne le conseguenze».

Che cosa sta facendo, di fatto, il governo?

«Non sta facendo nulla sul primo problema da risolvere, che è la disoccupazione. Nulla sulla riforma del fisco. Nulla, soprattutto, per sburocratizzare. E nulla sui tagli drastici alla spesa pubblica, l’unico vero modo di rilanciare l’economia, liberando risorse da dare alle imprese e ai lavoratori».

E sulle riforme istituzionali?

«Sono ancora in alto mare in commissione, anche per i veti incrociati all’interno dello stesso Pd, per nulla allineato sui punti fondamentali checché ne dicano loro. Noi stiamo svolgendo un’attività fatta di proposte emendative serie, di contenuto. Siamo per le riforme, ma vogliamo riforme di sostanza, che cambino veramente questo sistema-Paese che non funziona più, che siano strutturali e portino i benefici che servono».

Quanto trovano sponda le vostre proposte?

«Quelle del governo vanno nella direzione opposta. C’è una riforma mal congegnata e molto pasticciata, per un preoccupante neocentralismo. L’impianto di Renzi è fatto solo per poter annunciare di aver fatto qualcosa, ma rischia di procurare gravissimi danni. Torna uno statalismo che arrecherà solo danno alle Regioni, in particolare a quelle del Nord, e non rispetta la volontà popolare. Noi siamo per l’elezione diretta dei rappresentanti del popolo, mentre il sistema di Renzi è fatto di inciuci perché lascia le decisioni solo alle Segreterie dei partiti. Sul riparto di competenze, devono essere accentuate le prerogative regionali. E siamo per un Senato delle autonomie che valorizzi davvero i territori e tenga conto delle loro specificità, nell’ottica del federalismo».

Quale voto darebbe alla Lega dopo la doppia tornata elettorale Europee/Amministrative?

«Un voto entusiastico: 10. Se guardiamo alle difficoltà oggettive da cui siamo partiti, il risultato è ottimo. Il Movimento c’è, è vivo e pimpante, ha idee, progetti concreti e persone in gamba che sanno portarle avanti. Ha saputo rinnovarsi e deve continuare su questa linea. Il nostro approccio molto concreto ai problemi reali paga, la gente sta tornando a darci fiducia e a credere in noi. Siamo gli unici a portare avanti un’azione politica chiara e precisa, concreta e coerente su economia, immigrazione, lavoro. Tutti gli altri si perdono in discorsi fumosi, non sono coerenti e il voto lo ha evidenziato, mentre noi siamo quelli che sanno presentare programmi seri e credibili».

La Lega può essere l’elemento coagulante di un nuovo, ampio schieramento politico alternativo al centrosinistra?

«Certamente. I risultati delle elezioni parlano chiaro: si evidenzia una forte crisi politica dell’area di centrodestra mentre la Lega è cresciuta. Nell’area moderata siamo per la gente gli interlocutori piu credibili. Per la Lega c’è la possibilità, che è anche un dovere, di avere una funzione aggregante in un’area popolare della quale va riconquistata la fiducia. È un dato di fatto l’astensionismo nell’elettorato del centrodestra. Non si vota se non si trovano interlocutori credibili. La Lega può farsi interprete di questo sentimento sulla base di programmi seri, insieme a chi convergerà con noi su di essi. Siamo la forza politica che può riformare il centrodestra. Che poi è la strada intrapresa già dal Segretario Maroni, con un programma e un leader dalla Lega per il centrodestra. Un progetto sul quale abbiamo investito da lungo tempo, e i risultati ci danno ragione».

Com’è andata nella sua zona la raccolta firme per i referendum della Lega?

«Continuano a esserci richieste per sottoscriverli. Anche i referendum stanno andando molto bene e hanno contribuito a riavvicinare la gente ai nostri temi di battaglia più cari. Dalle mie parti è molto sentito quello per l’abrogazione della Legge Fornero, insieme al ripristino del reato di immigrazione clandestina».

Sarà lei il nuovo capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama in sostituzione di Bitonci?

«Mi affido ai nostri vertici, che hanno sempre saputo valutare con la giusta attenzione quello che è più di aiuto al Movimento nelle varie scelte politiche. Certo mi piacerebbe che fosse ancora uno del Veneto».

dalla Padania dell'11.6.14

 
 
 

"I personaggi più malvagi" sul "Corriere"

Post n°1675 pubblicato il 10 Giugno 2014 da accorsiferro
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"Serial killer, inquisitori e banditi: Milano nei
secoli malvagia" è il titolo dell'articolo che il
"Corriere della Sera" ha dedicato a I
personaggi più malvagi della storia di Milano
,
l'ultimo libro pubblicato da Andrea Accorsi
e Daniela Ferro per Newton Compton
(pp. 286, euro 9,90).
"Negli angoli bui - scrive Maurizio Bonassina -, dove alita la paura
e i peli si rizzano sulla pelle, in una città senza tempo, personaggi
sinistri fanno capolino... Le pagine si riempiono di tremori, la Milano
delle tenebre diventa un racconto".
Leggi l'articolo completo qui:
http://archiviostorico.corriere.it/2014/giugno/05/Serial_killer_inquisitori_banditi_Milano_co_0_20140605_6b11dbd4-ec74-11e3-a379-2bf55211deff.shtml.

 
 
 

Venezia, lo tsunami MOSE si abbatte sul Comune: «Orsoni si dimetta»

Post n°1674 pubblicato il 10 Giugno 2014 da accorsiferro
 
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Urla e fischi nel primo Consiglio a Ca’ Farsetti senza il sindaco finito agli arresti nell’inchiesta sugli appalti. Mozione di sfiducia dalla Lega, ma Fi si sfila

di Andrea Accorsi

Acque quanto mai agitate in Comune a Venezia. Ieri pomeriggio, in un clima incandescente, si è svolta la prima seduta del Consiglio comunale senza il sindaco Giorgio Orsoni, dalla scorsa settimana agli arresti domiciliari con l’accusa di aver ricevuto finanziamenti illeciti dal Consorzio Venezia Nuova nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per il Mose.
Nel corso della seduta ha preso la parola il vicesindaco Sandro Simionato, che fa le funzioni del primo cittadino e che ha cercato di difenderne “d’ufficio” la figura, ma subito è scoppiata la bagarre. Un gruppo di manifestanti ha contestato la Giunta di centrosinistra con urla e fischi. Alcuni cittadini, dopo aver esposto striscioni critici verso l’Amministrazione, hanno costretto a più interruzioni dei lavori gridando frasi come «avete appoggiato un bandito», «siete complici», «ci avete fatto vergognare, andate via», «manca Ali Babà, lì in mezzo».
Il presidente dell’Aula, Roberto Turetta, ha sospeso i lavori fino alle 18 in seguito al perdurare della protesta del pubblico. Terminate le contestazioni, la seduta è ripresa con gli interventi dei capigruppo consiliari e quindi dei consiglieri. Le opposizioni, Lega in testa, hanno chiesto le dimissioni «irrevocabili» del sindaco e della Giunta, ma la mozione ha raccolto solo 11 delle 19 firme necessarie (oltre alle tre del Carroccio, 4 del gruppo misto, 3 dei Fratelli d’Italia e una dall’unico consigliere grillino). Il documento non è stato sottoscritto da Forza Italia, «il che un po’ suona ridicolo e un po’ fa pensare molto male», come commenta Giovanni Giusto, capogruppo della Lega Nord-Liga Veneta. «Anche aver allontanato dall’Aula il pubblico mi pare un gesto gravissimo - incalza Giusto -. L’insurrezione dei cittadini era giustificata dal grande dispiacere per la figuraccia mondiale procurata alla città dal suo primo rappresentante».
Per Giusto quanto emerge dall’inchiesta della Procura di Venezia dimostra che «una volta il denaro lo prendevano soprattutto i partiti e alle persone finivano le briciole, ora la tendenza si è rovesciata». Il capogruppo leghista ha ribadito che la Lega è garantista: «Aspettiamo accuse certe fino alla condanna, per essere poi molto più cattivi di adesso». Ma a monte di tutto, secondo Giusto «c’è lo Stato italiano, perché nel 1984 deliberò all’unanimità la concessione unica, che attraverso il Consorzio Venezia Nuova creava un monopolio con fondi incredibilmente enormi di denaro pubblico: da qui è nata la grande truffa. Ora non c’è niente da stupirsi, le cose sono andate come non potevano fare altrimenti, anche se solo adesso viene a galla la corruzione innescata dallo Stato. Quando qui in Veneto dimostriamo di credere nell’indipendenza - conclude il capogruppo - non lo facciamo in base a esternazioni folcloristiche o per un attaccamento al passato, ma perché vogliamo estraniarci da questo Stato che con il suo malaffare non ci rappresenta, come questi casi ben dimostrano».

dalla Padania del 10.6.14

 
 
 

Ballottaggi, LA LEGA NE VINCE LA METÀ

Post n°1673 pubblicato il 10 Giugno 2014 da accorsiferro
 
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Oltre all'exploit di Bitonci a Padova, il voto-bis regala conferme importanti in Piemonte, Veneto e Lombardia: qui Casalmaggiore volta pagina dopo trent’anni

di A. A.

Sui ballottaggi splende il sole... delle Alpi. Neppure le calde temperature di questo anticipo di estate hanno tenuto lontano dalle urne i sostenitori dei sindaci candidati dal Carroccio. Così, dopo il pienone registrato alle elezioni Comunali del 25 maggio, nel turno di ballottaggio di domenica scorsa la Lega si è aggiudicata quasi la metà dei Comuni (sei su tredici) nei quali era chiamata a “duello” con l’altro migliore “piazzato” del primo turno. E come già avvenuto due settimane fa, il Movimento può cantare vittoria in tutte le principali regioni del Nord, dal Piemonte al Veneto passando dalla Lombardia, dal momento che ha conquistato municipi in ognuna di esse.
Sommati a quelli vinti già al primo turno delle Amministrative, sono ben 163 i Comuni conquistati dalla Lega Nord, da sola o in coalizione. Un risultato eccezionale, forse un po’ oscurato dalla concomitanza con le elezioni europee e dalla loro valenza politica sul piano nazionale, oltre che - ma a questo la Lega è abituata - dai media.
In Veneto, oltre ad aver espugnato Padova, il Carroccio ha vinto in altre due province. A Montecchio Maggiore, nel Vicentino, è stata confermata sulla poltrona di primo cittadino Milena Cecchetto con poco più di cinquemila voti (5.031), pari al 52,8 per cento di quanti hanno votato nel secondo turno: il candidato sindaco del centrosinistra, Maurizio Scalabrin, si è fermato a 4.499 (47,2%). Confermato dagli elettori anche Francesco Pietrobon, sindaco uscente di Paese, nella Marca trevigiana, con il 50,9% dei voti nel ballottaggio vinto sullo sfidante del centrosinistra, Valerio Mardegan.
In Lombardia la Lega mantiene la guida di Seriate, nella Bergamasca, dove Silvana Santisi Saita, eletta nel frattempo in Consiglio regionale, passa il testimone a Cristian Vezzoli. Questi, con il 51,2% dei consensi, ha battuto la rivale del centrosinistra Stefania Pellicano, alla quale non è bastato l’apparentamento al secondo turno della lista civica “Albatro”. Appena 51 voti (su più di seimila) hanno permesso a Filippo Bongiovanni di sbancare a Casalmaggiore, nel Cremonese, dopo trent’anni di politica «culturalmente monolitica», come l’ha definita il fresco vincitore.
In Piemonte la tenuta del Movimento, al di là di ogni previsione, già registrata tre domeniche fa ha trovato conferma nella rielezione di Davide Ferrari a sindaco di Galliate, nel Novarese, con una percentuale addirittura superiore a quella di cinque anni fa (55,6% contro il 53,2%). Galliate è anche l’unico comune dove il centrodestra ha vinto dei 17 chiamati al ballottaggio nella regione.

dalla "Padania" del 10.6.14

 
 
 

PINI: abbiamo ridato speranza, noi l’unica alternativa alla sinistra

Post n°1672 pubblicato il 09 Giugno 2014 da accorsiferro
 
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Il vice capogruppo alla Camera della Lega Nord: «Il dialogo con le altre forze del centrodestra ora è più sereno, ma non siamo sposati o fidanzati con nessuno. Possiamo aspirare ad esprimere il candidato premier del futuro»

di Andrea Accorsi

On. Pini, partiamo dall’analisi del voto di domenica scorsa nella sua regione, la Romagna. Com’è andata?

«Considerando che anche geograficamente siamo il confine del Nord, la nostra è la regione in cui la Lega è cresciuta di più dopo la Liguria, che aveva come candidato Bruzzone che raccoglie tutti i voti dei cacciatori e ha ottenuto uno strepitoso risultato personale, per il quale gli faccio i complimenti - risponde Gianluca Pini, vice capogruppo alla Camera e Segretario nazionale della Lega Nord Romagna -. Siamo ancora distanti da Lombardia e Veneto, ma nella zona collinare delle tre province abbiamo l’8-9%, risultati confermati nelle Amministrative, dove si è scelto di presentare liste civiche ispirate dalla Lega, che hanno preso pochi voti in meno di quelle ispirate dall’ex Pdl. I segnali positivi ci sono. Quello che ci serviva era dare un segnale di speranza all’interno del centrodestra in crisi. E il segnale è arrivato dalla Lega».

In quale misura queste elezioni sono state un punto di svolta?

«Dopo un anno e mezzo di stallo in cui dovevamo stare molto attenti a mantenere le posizioni sul territorio, mantenendo in vita certe sezioni e senza poterne svilupparne di nuove, la prossima settimana l’avrò tutta impegnata in cene e incontri per aprire nuove sezioni dove non ne abbiamo mai avute. Personalmente sono moderatamente soddisfatto: mi aspettavo un punticino in più, anziché i 3-4 che sono arrivati. Al di là del risultato elettorale, ritengo assolutamente importante che ci sia stato un segnale positivo dalla gente, un segnale di attenzione verso la credibilità del Movimento che avevamo perso, e sappiamo bene i motivi. Se sapremo gestirlo bene, potrà essere un trampolino di lancio incredibile per le Regionali del prossimo anno».

Quanto ha contribuito la Romagna, per contro, all’exploit di Renzi?

«Purtroppo tantissimo. Un risultato che qui è da sempre per metà politico e per metà legato a tutta una serie di interessi economici. Inutile nascondersi dietro un dito: il sistema delle cooperative ha un suo peso per l’elettorato d’area che non può essere disconosciuto. Un terzo abbondante del sistema economico della Romagna è legato al mondo cooperativo e per noi è come partire con un handicap del 30%. Nessuno si meraviglia se il Pd prende il 65-67% in certi comuni dove l’indotto del sistema cooperativo è piu del 50% della forza lavoro».

Come procede nel suo territorio la raccolta delle firme per i referendum promossi dalla Lega?

«A parte la prima gazebata con migliaia di firme, la raccolta è proseguita molto lentamente, con una accelerazione fortissima negli ultimi dieci giorni, coincisa con il rinnovato atteggiamento positivo nei nostri confronti. Tant’è che ogni volta che giravamo nei comuni ci dicevano di portare altri moduli perché li avevano finiti: in alcuni siamo passati a portarli 4-5 volte. Contiamo di arrivare all’obiettivo».

Spostando l’attenzione alla scena politica nazionale, come legge i dati delle Europee?

«La campagna elettorale improntata, come ha fatto Salvini, a temi di respiro nazionale e non esclusivamente padano, ha pagato in termini di aumento dei voti più in realtà storicamente difficili che in quelle più consolidate. Unica eccezione il Veneto, dove al Lega è cresciuta tantissimo con l’exploit della candidatura di Tosi. Negli altri territori, nelle tradizionali roccaforti c’è stata una sostanziale tenuta o un leggero aumento, mentre più si scende e più l’incremento è sensibile, con fattore di moltiplicazione pari a 2 o 3 come in Marche e Toscana. È la rappresentazione plastica del fatto che temi come la sicurezza, l’immigrazione, il no euro hanno fatto presa su un elettorato che non era solo nostro e in zone non a noi amiche. Ora si tratta di capire se questo atteggiamento va tenuto in conto anche per il futuro sul piano nazionale, ma qui le scelte dobbiamo ancora farle».

Quale ritiene possa essere il ruolo della Lega nella costituzione di un nuovo centrodestra?

«È chiaro che adesso il dialogo con Forza Italia, con la Meloni, con vattelapesca non significa per forza di cose che siamo sposati o fidanzati con qualcuno di loro. Parliamo più di prima e in maniera più serena. Abbiamo dimostrato di essere l’unica forza alternativa alla sinistra in salute. E possiamo anche aspirare ad esprimere quello che nel 2016 o nel 2018 sarà il candidato premier di questo schieramento».

Alla luce dei risultati elettorali, ci avviamo ad un “ventennio renziano”?

«No, perché lui vive sulle promesse. Ma mentre quelle fatte durante il ventennio dc della spesa pubblica, o quello berlusconiano pre crisi, potevano in qualche modo trasformarsi, anche se solo in parte, in risultati concreti o nel benessere per la gente, in un momento di crisi profonda non solo economica ma anche produttiva hai voglia a sparare cazzate. Lui sicuramente si renderà conto presto, ma forse lo sa già, di averle sparate troppo grosse, ma per rimanere in sella ha l’arma delle riforme, che non farà partire nei tempi che ha detto: della riforma al mese, nei primi cinque mesi ancora non se n’è vista una. E quando la gente se ne accorge, lui ne rincorre una più grossa. Nel semestre di presidenza italiana della Ue non succederà nulla e dopo inizieranno le grane, ma farà partire le riforme che comportano tempi lunghi, 18-24 mesi, e così arriverà a ridosso del 2017. Solo che a quel punto tutta la panna montata renziana sarà diventata acida. Di ventennio, comunque, faccio fatica a parlare: senza lavoro, imprese, benessere e soldi, la gente si incazzerà molto prima».

dalla Padania del 31.5.14

 
 
 
 
 

INFO


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Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionato con la mutua**

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Fiori dalla cenere

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Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse

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