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Messaggi di Febbraio 2018

Cine Neve a Roma

Post n°487 pubblicato il 27 Febbraio 2018 da MANonTHEmoonMilano
 
Foto di MANonTHEmoonMilano

Ecco un elenco di titoli da film per la neve a Roma!

 

Qualcuno gelò sul nido del cuculo.

Tutti pupazzi per Mary.

Il GRA freddo!

L'uomo che spalava troppo.

Il dolce vita.

Il ritratto di Burian Gray.

Cristo si è fermato a Termini.

Tre metri sopra il gelo.

Fiocco e i suoi fratelli.

Chiedimi se sono rimasto bloccato.

Il Gattopardo delle nevi.

Via con la giacca a vento.

Vieni Avanti Slittino.

Non spalate sul pianista.

Roma città coperta.

Scivolato speciale.

Ibernato il 4 luglio.

Travolti da un insolito slittino.

Burian cavallo del west.

Salvate il pupazzo Ryan.

Spala coi Lupi.

C'è pista per te!

Roma trema, la polizia non può spalare!

007 - Solo per i tuoi fiocchi.

Eccezziunale Innevamente!

Tre uomini e una vanga!

Bianco Rosso e Gelone!

Io speriamo che me la spalo.

Inverno di cristallo.


 
 
 

La vera storia di Jessica

Post n°486 pubblicato il 21 Febbraio 2018 da MANonTHEmoonMilano
 
Tag: jessica
Foto di MANonTHEmoonMilano

I funerali di Jessica Faoro, la ragazza di 19 anni uccisa a coltellate il 7 febbraio a Milano in un appartamento di via Brioschi, sono stati rinviati: si terranno sabato 24 febbraio alle 11 nella parrocchia di San Protaso. Li pagheranno i genitori grazie alle donazioni ricevute e il comune si costituirà parte civile nel processo: «D’ora in poi lo faremo per ogni femminicidio», ha detto l’assessore ai servizi sociali del comune, Pierfrancesco Majorino. Faoro è stata uccisa nell’appartamento di un autista dell’ATM, Alessandro Garlaschi, che è accusato di omicidio.

La storia di Jessica Faoro ha a che fare con la storia dei suoi genitori e con un progetto di assistenza familiare che è fallito. L’assessore Majorino ne ha ricostruito la vicenda all’interno dei servizi sociali di Milano. Fin dalla nascita, nel 1998, Jessica Faoro aveva vissuto in comunità per un provvedimento dell’autorità giudiziaria. I genitori, Stefano Faoro e Annamaria Natella, con storie complicate alle spalle, non avevano una casa. Jessica era stata riportata in famiglia quando aveva circa due anni, perché Stefano Faoro aveva comprato una piccola casa di cui paga ancora il mutuo, come ci ha raccontato lui stesso. I genitori però litigavano e il padre aveva patteggiato una condanna per maltrattamenti contro la moglie. Nel frattempo i due avevano avuto un altro figlio, Andrea, diciotto mesi più piccolo di Jessica. Entrambi erano stati messi di nuovo in comunità dopo circa sei anni. Secondo il padre di Jessica Faoro, i servizi sociali avevano garantito che i bambini non sarebbero stati separati, cosa che invece era successa. Nel 2008, infine, Jessica era stata definitivamente affidata al comune di Milano dal Tribunale dei Minori: aveva dieci anni. La madre aveva perso la responsabilità genitoriale e quella del padre era stata limitata.

Dopo parecchi affidamenti familiari falliti, Jessica Faoro era stata sistemata presso l’associazione Fraternità e lì era rimasta fino al 2013. A quindici anni aveva iniziato a scappare, nel 2014 – a sedici anni – aveva partorito una bambina che era stata data in adozione. Quando aveva compiuto 18 anni, sempre secondo l’assessore Majorino, si era rifiutata «di proseguire con la presa in carico da parte nostra, poi aveva accettato un mese di ospitalità in un centro di accoglienza temporanea per adulti». Nel frattempo viveva per strada, faceva qualche lavoro saltuario e si era innamorata di Alessandro, un suo coetaneo. Don Rigoldi, un prete molto attivo nel sociale, come si dice, aveva ospitato entrambi nella Comunità Nuova; e ha raccontato che quando Alessandro a 18 anni era andato in prigione per una serie di piccoli furti «Jessica era impazzita: trascorreva intere giornate sotto la finestra della cella di lui, comunicando a gesti. Era straziante».

In quel periodo, sul suo profilo Facebook, Jessica Faoro pubblicava un’infinità di appelli per cani abbandonati e smarriti. Finché, il 28 dicembre dell’anno scorso, aveva pubblicato una sua foto abbracciata a un giovane pitbull, con la scritta “mio” affiancata da un cuore. Il cane si chiamava Zen ed era il suo compagno, ma per chi vive in simbiosi con un cane – come molte persone senza fissa dimora – è difficile trovare un ricovero per la notte. Ci sono alcuni posti al centro di via Graf, a Quarto Oggiaro, ma è raro trovarne uno libero. Forse per questo motivo – era inverno e aveva bisogno di un posto dove stare con il cane – Faoro aveva risposto all’annuncio di Garlaschi, un autista dell’ATM che diceva di offrire vitto e alloggio in cambio di qualche lavoro domestico. L’alloggio consisteva in un piccolo divano messo in cucina, dove lei poteva coricarsi quando Garlaschi spegneva la tv.

Garlaschi non viveva solo ma con la moglie. Con Jessica fingeva che la moglie fosse sua sorella; non è chiaro invece come la moglie si spiegasse la presenza di Jessica in casa. Garlaschi era stato denunciato per stalking da una collega e quindi trasferito: stando agli atti giudiziari aveva un’ossessione per le ragazzine e ne aveva adescate altre, prima di Jessica. Si vantava e mostrava ai colleghi le foto di una di loro che faceva le faccende domestiche in topless. La sera in cui ha ucciso Faoro, dopo aver accompagnato la moglie a casa di sua madre, Garlaschi si era vantato via chat con un collega della notte di sesso che lo aspettava.

Una settimana prima di essere uccisa, Jessica Faoro aveva chiamato i carabinieri perché Garlaschi l’aveva molestata nel sonno. Gli agenti, una volta arrivati, l’avevano trovata per strada. Faoro aveva detto che Garlaschi aveva un rapporto strano e ambiguo con la sorella (che in realtà, infatti, era sua moglie), aveva spiegato che doveva tornare in casa a prendere gli zaini e il cane e che non voleva più restare lì. I carabinieri erano saliti con lei senza trovare niente che li allarmasse. Lei aveva rifiutato di denunciare Garlaschi. Faoro aveva la febbre e quella stessa notte era andata al Pronto Soccorso dell’ospedale San Paolo, dove le avevano detto che non sarebbe potuta restare con il cane. Da quel momento in poi non è ancora chiaro che cosa sia successo: soprattutto quando e perché Jessica fosse tornata a casa di Garlaschi, dove è morta dopo sette giorni.

Diversi giornali hanno raccontato la cronaca di quell’ultimo giorno: il 6 febbraio Alessandro Garlaschi e Jessica Faoro erano entrati un negozio di ottica vicino al Castello Sforzesco intorno alle 18.32. Lui le aveva regalato delle lenti a contatto, come in altre occasioni in cui, sfruttando la convenzione di quel negozio con l’ATM per cui lavorava, aveva regalato ad altre ragazzine montature e occhiali. Dopodiché i due sarebbero rientrati nell’appartamento di lui, in via Brioschi. Secondo le prime indagini, l’omicidio è avvenuto intorno alle 3.30 della notte tra il 6 e il 7 febbraio. Alle 6 del mattino Garlaschi aveva chiamato l’ATM per dire che non sarebbe andato al lavoro: non sapeva cosa fare con il corpo di Jessica, ha cercato di darle fuoco con dell’alcol, quindi di metterlo dentro una borsa. Alle 11 ha chiamato il 118 parlando della presenza di una ragazza ferita in casa sua; poi è stato arrestato.

Cristina De Michele, presidente della Cooperativa sociale Comunità Progetto, da vent’anni attiva a Milano, docente a contratto di scienze pedagogiche alla Bicocca dove insegna Progettazione e valutazione dei servizi e degli interventi educativi, dice: «É evidente che quindici anni di lavoro dei servizi non hanno prodotto un risultato che permettesse a Jessica di vivere, invece di finire in via Brioschi. I giovani in condizione di fragilità, di estrema precarietà sono tantissimi. Se non hanno famiglia sono completamente allo sbando». Jessica Faoro aveva un padre e una madre, ma non aveva cercato aiuto da loro. «Quasi non la conoscevo», ha detto il padre, Stefano Faoro. «Quando era piccola potevo vederla una volta ogni due mesi, un’ora in una stanza di quattro metri per quattro. Negli ultimi tempi comunicavamo attraverso la chat di Facebook. Per un po’ era tornata qui, ma non ce la facevo. Sono un incapace. Non sono stato aiutato. Ho chiesto aiuto per imparare a fare il padre, non è arrivato». La madre, Annamaria Natella, negli ultimi giorni ha detto ai giornali che lei e la figlia erano molto vicine, ma è certo che Jessica, pur nel bisogno, non è andata da lei.

L’assessore Majorino con onestà ha ammesso: «Certo, qui c’è un fallimento. E non sta tanto nel fatto che questa ragazza ha bussato alla nostra porta e non le abbiamo aperto, piuttosto che non ci percepiva come utili. Se una ragazza cresce in comunità, poi esce e finisce in questa tragedia, c’è una debolezza nel suo percorso educativo. É motivo di dolore e di riflessione per tutti noi». Non è vero, garantisce Majorino, che quando Jessica Faoro ha compiuto 18 anni i servizi sociali se ne sono disinteressati. «Abbiamo forme di sostegno, lei ha le ha rifiutate. Poi, un mese fa, si è fatta viva con i servizi sociali chiedendo aiuto. Le hanno fissato un appuntamento con l’assistente sociale per il giorno successivo, ma non si è presentata. Come dimostra la vicenda del fratello Andrea, che ha 19 anni ed è ancora in carico ai servizi nonostante la maggiore età, eravamo ben lontani dall’abbandonarla. Però non siamo proprio riusciti ad agganciarla».

Quelli come Jessica sono ragazzi e ragazze invisibili, racconta Cristina De Michele. I servizi non li intercettano. Vivono in posti occupati, sovraffollati, degradati. «A Milano un pezzo di periferia è infilata nel centro. È la zona di Stadera, Meda, Brioschi, al limitare dei Navigli. I ragazzi e le ragazze come Jessica Faoro vivono lì, fra legalità e illegalità». Lei valuta che la fascia d’età a rischio sia fra i 18 e i 30 anni: «Sono persone che non fanno parte della società, della sfera pubblica. Non sono cittadini, sono abbandonati alla loro disperazione personale, alla loro povertà. Si muovono fra lavori miserabili e precari, un mese non hanno reddito, quello dopo prendono 250 euro. Perdono la speranza. Mi dicono: non ce la farò mai, sarà così per sempre. A vent’anni sono stanchi, rassegnati, senza competenze, senza desideri. Non sono nemmeno in grado di formulare una domanda ai servizi. Una ragazzina in quella situazione è carne da macello, le può succedere qualunque cosa. Potrei dire che a Milano ce ne sono almeno mille come Jessica, è una stima realistica. Non è una categoria sociale, è una condizione esistenziale dove l’eroina dilaga».

Ma Jessica Faoro non si faceva e non si prostituiva, come ha insinuato invece subito dopo la sua morte il Corriere della Sera. Il padre, Stefano Faoro, anche lui dipendente dell’ATM, lo dice con rabbia: «Se si fosse venduta non sarebbe morta. Se fosse stata una prostituta avrebbe ceduto a Garlaschi e sarebbe ancora viva». Il padre ha anche fatto un appello a Chi l’ha visto per sapere che fine abbia fatto il cane Zen, «che era parte di Jessica». Poi dagli amici della figlia ha scoperto che Jessica lo aveva affidato a una famiglia. «Ha messo al sicuro il cane e non è riuscita a mettere al sicuro se stessa».

 
 
 

Esclusivo/Milan quasi fallito

Post n°485 pubblicato il 19 Febbraio 2018 da MANonTHEmoonMilano
 
Tag: Milan
Foto di MANonTHEmoonMilano

Siamo a Shenzhen nel sud della Cina, 10 milioni di abitanti a ridosso di Hong Kong. Ci sono un imprenditore, due banche e un tribunale: il cinese è titolare di una holding insolvente, le banche creditrici gli hanno fatto causa e il tribunale ha stabilito che, per saldare i debiti, il patrimonio della holding vada all’asta. Una storiella orientale apparentemente insignificante se il cinese con il patrimonio all’asta su Taobao (eBay cinese) non fosse Yonghong Li,l’imprenditore che ha pagato 740 milioni alla Fininvest per comprarsi il Milan.

L’ordine è arrivato dal tribunale del distretto di Futian: «Vendete all’asta il 2 febbraio» (data poi rinviata) la partecipazione (11,39%) che la cassaforte di Li possiede nella società di packaging Zhuhai Zhongfu, quotata alla Borsa di Shenzhen. Valore circa 60 milioni, ma il ricavato andrà a risarcire le banche.

Pochi giorni fa, inoltre, la China Securities Regulatory Commission, la Consob di Pechino, ha comunicato l’avvio di indagini per presunti illeciti sul mercato commessi dalla holding che si chiama «Shenzhen Jie Ande»: ha tenuto nascoste per mesi la sentenza e l’insolvenza.

Il Milan e la cassaforte vuota

In sostanza, mentre era inseguito dai creditori in patria, il 48enne finanziereresidente dal ’94 a Hong Kong chiudeva in Italia, sotto i riflettori di mezzo mondo, una delle più costose acquisizioni calcistiche della storia, accreditandosi (e accreditato) come un grande e ricchissimo imprenditore dai mille interessi. Ma molto riservato. La sua credibilità, storia e consistenza patrimoniale l’ha riassunta in un documento consegnato alle parti nella trattativa e fatto circolare dagli uomini di Li, anche di recente, senza modifiche. Tra gli asset fondamentali, oltre alle famose e fantomatiche miniere di fosfato, c’è anche l’11,39% di Zhuhai Zhongfu, detenuto tramite la cassaforte Jie Ande.

Occhio alle date: quella partecipazione era dal 2015 in pegno, cioè in garanzia, alla Jiangsu Bank a fronte di un prestito. Soldi mai più rimborsati tant’è che nel maggio 2016 la banca fa causa alla holding di Li, a quel punto già insolvente, e il 7 febbraio 2017 il tribunale del popolo di Futian ordina che il pacchetto in pegno vada all’asta. Parte immediato il ricorso della holding Jie Ande. Intanto a Milano, il 13 aprile 2017, il cinese di Hong Kong chiude con Fininvest (600 milioni di plusvalenza consolidata) l’acquisto da 740 milioni del Milan, dopo aver fatto «girare» centinaia di milioni off-shore e con un prestito da 300 milioni (a tassi fino all’11% con scadenza 15 ottobre prossimo) del fondo americano Elliott.
Le credenziali? Tutto ok

A metà maggio, dall’altra parte del mondo, il tribunale respinge il ricorso della holding di Li (gestita da un prestanome) confermando la vendita coattiva a favore della Banca Jiangsu. A default conclamato a Shenzhen, il nuovo proprietario del Milan presenta a giugno in Lega Calcio le credenziali su onorabilità e solidità. Tutto a posto. Il Milan è iscritto al campionato, e parte una faraonica campagna acquisti da 200 milioni.

Chiesta la liquidazione per bancarotta

Sotto Natale, l’amministratore delegato del Milan, Marco Fassone, è a caccia di 3-400 milioni per rifinanziare il prestito da 300 milioni del fondo Elliott, quando il tribunale cinese fissa al 2 febbraio l’asta di giudiziale. Senonché l’8 gennaio arriva un’altra tegola per il povero Li: a inseguirlo è la Banca di Canton, a cui non ha pagato i debiti, e che chiede la liquidazione per bancarotta della holding Jie Ande. Nel frattempo dall’Italia lo avvisano delle notizie di presunte inchieste per riciclaggio, poi smentite, sulla compravendita del Milan. Li rompe il silenzio e garantisce che tutto si è svolto «con la massima trasparenza, regolarità e correttezza». A Shenzhen l’asta su Taobao del 2 febbraio viene rinviata, perché c’è la richiesta di liquidazione per bancarotta della Banca di Canton che si accavalla alle pretese risarcitorie della Banca di Jiangsu. A Milano è tutto tranquillo, perché in ogni caso «i soldi sono arrivati» e Li «ha rispettato tutti gli impegni».

 

L’operazione impossibile

«Non abbiamo riscontrato nulla di pregiudizievole a carico di mister Li Yonghong che dispone di adeguate risorse finanziarie per realizzare l’operazione», scriveva a Fininvest il suo advisor finanziario, Marco Samaja, capo di Lazard Italia. Oggi sappiamo che mister Li ha esibito sul tavolo della trattativa le credenziali di una sua società-cassaforte che era già da tempo insolvente. Ha barato? E può un oscuro finanziere, sconosciuto in Cina e altrove,che mai si è occupato di calcio neppure a livello amatoriale e che presenta tra i suoi “gioielli” una holding quasi fallita per pochi milioni non restituiti, impegnarsi da solo in un’operazione da un miliardo (campagna acquisti e aumenti di capitali compresi)? Non bisogna essere un banchiere della Rothschild per rispondere che non e’ possibile. Eppure lui ce l’ha fatta, con la Rothschild come consulente. E da Rothschild, dove è vicepresidente della controllata inglese, viene il consigliere di amministrazione del Milan Paolo Scaroni, ex numero uno di Eni ed Enel e buon amico di Berlusconi.

 

I tre volti di Mister Li

A questo punto i casi sono tre: 1) Li è realmente molto ricco, finora ha tenuto nascosto il suo vero tesoro che forse non può far emergere, e non paga i debiti perché è distratto; 2) Ha fregato tutti ed è un mitomane;3) Si è prestato a interpretare la parte in un gioco più grande di lui nel quale i soldi e le garanzie non sono suoi; 4) l’importante è che il Milan non finisca su Taobao.

 
 
 

Le voci di Macerata

Post n°484 pubblicato il 05 Febbraio 2018 da MANonTHEmoonMilano
 

«Ecché, se spara così? Poteva piglia’ qualcuno!». Uomini e no, l’allucinato nazista Luca Traini ha tracciato un solco nelle anime di Macerata. Dunque Stefano, il salumiere storico di corso Cairoli, sospira severo ma in fondo sollevato nella bottega davanti alla quale sono fischiate le pallottole sabato mattina. Così, come pallottole involontarie, fischiano adesso gli spropositi, in quest’Italia che ha perso misericordia e misura, e dove in fondo Gideon e Mahmadou, Kofi e Festus, Omar e Jennifer sono nessuno: invisibili e senza identità perfino nelle corsie d’ospedale dove il raid suprematista di Traini li ha ridotti a vittime innocenti. L’idea surreale che, non essendoci bianchi feriti, sia andata pure bene sgorga naturale, persino senza cattiveria, dalle crepe di questa città spaccata nel profondo, stravolta da un’immigrazione inattesa e d’un tratto ostile quando le giostre dei bambini di piazza Diaz sono diventate sedili per spacciatori nigeriani come Innocent Oseghale, accusato di avere fatto scempio della giovane Pamela Mastropietro.

Tutto si mischia. I traumi del terremoto e della disoccupazione con un modello d’integrazione che perde pezzi e, letteralmente, rifugiati: Innocent, cacciato dai circuiti Sprar di seconda accoglienza, viveva di traffici ai bordi della comunità, come tanti. Invisibile pure lui, ma coi suoi demoni appollaiati addosso, in fondo l’altra faccia del vendicatore nazista. Tutto qui divide due mondi che insistono negli stessi posti ma in una dimensione spazio-temporale diversa, «non luoghi» per i migranti, giardinetti o piazze d’una tranquilla quotidianità perduta per i maceratesi. Sicché Macerata diventa uno dei pochi palcoscenici dove lo scontro si semplifica (perfino Erdogan se ne occupa sbarcando a Roma), sfondo dell’orrenda campagna elettorale italiana e di due sconsigliabili manifestazioni che potrebbero aver luogo domani, per ora solo sussurrate e temute, una di Forza Nuova e l’altra dei centri sociali. Romano Carancini, sindaco pd, sbotta: «Spero proprio che non si autorizzi nessuna delle due! Noi abbiamo bisogno di silenzio». Non ci sta il sindaco, quando gli si parla della vasta area di «non condanna» di cui Traini sta godendo in città: «Vi sbagliate. Non nego ci sia un’area, vasta, sì, di disagio per certe situazioni. Io stesso sono tollerante ma provo fastidio quando vedo questi qui spacciare e anche quando li vedo chiedere l’elemosina. Però noi siamo una città premiata per la nostra apertura.

Certo, questa visione percepita ha spostato in avanti il livello di intolleranza, poi la morte di Pamela ha fatto il resto. Chi era borderline, fascista o nazista, ha sconfinato, anche per colpa di certi slogan politici. Però...», lunga pausa, «... però l’accoglienza deve cambiare: i migranti che escono dalle misure di protezione, perché non hanno titolo o commettono reati, non possono stare liberi nella nostra comunità, vanno mandati in un luogo confinato». Se Macerata è una vistosa metafora dell’Italia, via Spalato in questa domenica mattina ne è il laboratorio. In pochi metri c’è la sede del Pd che pure ha subito i colpi di Traini (una pallottola ha bucato la porta a vetri di ingresso), la casa dove Innocent Oseghale ha scaricato la sua infamia contro Pamela e un appartamento affittato dal circuito Sprar con quattro o cinque ragazzi neri ragionevolmente preoccupati. Il ministro Martina viene in visita al Pd, una mezza dozzina di giovanotti di Forza Nuova infagottati nei bomber neri vengono torvi a solidarizzare con Traini incarcerato. Il tassista che ci accompagna ridacchia: «Oh, giornatona, dopo vent’anni non vedo nessuno chiedere l’elemosina in strada!».

Un cordone di polizia sta lì a raffreddare gli animi. Ma la pensionata del civico 124 non si lascia raffreddare. Era vicina di casa di Innocent, e sbraita: «Basta, tutti via, abbiamo la bava alla bocca! Io devo vivere con le tapparelle abbassate giorno e notte». C’è questo senso di cattive notizie in arrivo pure alla mensa della Caritas. Tra i giovani africani che sabato si sono barricati qua dentro e che ancora non se la sentono di uscire. Frank, 25 anni, ghanese, mormora che due ragazzi italiani l’hanno salvato, «mi hanno detto che c’era uno che sparava a noi neri e m’hanno fatto stendere a terra». Mustafà, 22 anni, senegalese, dice che «manco in Africa» ha visto una cosa così: «Può succedere ancora». Paolo Bernabucci, presidente di «Gus», la ong che gestisce buona parte dell’accoglienza maceratese sorride mesto: «Sì, sono diventato l’uomo nero». Ha ricevuto minacce di morte, dice. Sostiene che l’invasione dei migranti sia un’invenzione della propaganda e di qualche giornale in malafede. Lo ripetono tutti in piazza Diaz, al sit-in del pomeriggio, tra striscioni e slogan antirazzisti: l’altra Macerata. Lo ripetono tutti tranne Abigail, figlia di uno dei capi della comunità nigeriana, giovane avvocata che qui ha fatto scuole e università: «Non vorrei dirlo ma certa gente un minimo di ragione ce l’ha. Possiamo non chiamarla così, ma l’invasione c’è stata, eccome...».

 
 
 

Fascisti terroristi a Macerata...

Post n°483 pubblicato il 05 Febbraio 2018 da MANonTHEmoonMilano
 
Foto di MANonTHEmoonMilano

Gandhi: "Occhio per occhio e si diventa ciechi!"

Lo chiamano squilibrato per non chiamarlo fascista, ma nella mia esperienza "fascista" e "squilibrato" si sono sempre dimostrati inequivocabili sinonimi.

Se questa cosa orribile l'avesse fatta un musulmano o straniero sarebbe stato TERRORISMO.

Un fascista cretino fomentato da altrettanto dementi politici che pompano sull'odio per ottenere consensi. Da vomitare tutto questo razzismo senza memoria dimenticando il nostro passato da emigranti e invasori. Ignoranza e violenza ingiustificata. Vergognatevi!

Ps. era pure candidato con la Lega. Salvini sei responsabile anche tu.

#macerata #elezioni2018 #vergogna #razzismo

 

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: MANonTHEmoonMilano
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