Creato da bargalla il 30/01/2005
"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

Archivio messaggi

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

 

Ultime visite al Blog

ossimorasteph27nikya1pinellogiuseppenapoli891540mariomancino.mluisinioIl_Signore_RaffinatocamarossogiacintoingenitoMaurizio_ROMAmonacoliomassimo.sbandernopmichepelgenfry1963
 

Area personale

 
Citazioni nei Blog Amici: 10
 

Ultimi commenti

insisto...nella speranza di risentirti...anche in privato...
Inviato da: ossimora
il 16/02/2016 alle 10:03
 
Sarebbe bello rivederti comparire...con qualsiasi scrittura...
Inviato da: ossimora
il 06/07/2014 alle 17:07
 
torna....
Inviato da: ossimora
il 23/03/2012 alle 02:52
 
Adoro gli idra!
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 10:51
 
Carino sto post ... :-)
Inviato da: fantasista76
il 03/11/2010 alle 08:33
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

I miei Blog Amici

 

Chi puņ scrivere sul blog

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

 

« LA RAGIONE RISORGE DALLA CENEREPRELATI DA ABORTIRE »

L'OSCENO PISTILLO TITILLA IL FUTURISTA

Post n°555 pubblicato il 23 Febbraio 2009 da bargalla

         

Cent’anni orsono una minoranza di intellettuali “avanguardisti” capitanati da Filippo Tommaso Marinetti, rivoluzionò i canoni del “sistema” artistico, politico e culturale del tempo, pubblicando sulla prima pagina del quotidiano parigino Le Figaro un articolo intitolato “Le Futurisme”.
I giornali in questi giorni stanno dando ampio spazio al centenario della nascita dell’ultimo movimento intellettuale italiano di respiro europeo e mondiale, una raffica di eventi legati al nome di Marinetti interessa musei e spazi espositivi con tutta una serie di opere riguardanti un periodo che gli addetti ai lavori considerano in divenire, anche in tempi di postmodernismo involutivo, come per certi versi è il tempo presente, vedendo nel momento attuale la conferma di quel concetto marinettiano che rappresenta pur sempre una continuità con quel passato che passa e nel contempo rivendica l’originaria volontà di porsi in prima linea, cercando di anticipare il futuro, così come conviene ad una avant-garde, senza riuscire però a condizionarne il movimento che rimane bloccato nel suo apparente dinamismo.
Almeno questo dicono cogliersi se si guardano le opere d’arte eseguite secondo gli stilemi dettati dalla pittura futurista che segna l’abolizione dell’immagine figurativa classica e della prospettiva, un trionfo dell’aniconico che al di là dei cromatismi e delle astrazioni concettuali, resta per me incomprensibile, così come imprevedibile rimane quel futuro che si vorrebbe accelerare.

L’aspetto però che più mi affascina di questo movimento è quello originale, legato allo spirito anticlericale e libertario del suo fondatore caratterizzato da una foga anarcoide e movimentista poi carpita, contaminata e fatta propria da un regime oltranzista, come quello fascista, che ne snaturò il carattere “rivoluzionario”, decretandone ben presto il fallimento, così come accade ai manifesti culturali che in mano agli attacchini della politica diventano ben presto carta straccia.
Significativamente il primo testo del manifesto non si rivolge agli artisti, ma esordisce in un modo che può apparire alquanto singolare: “Compagni!” così come a quel tempo ci si chiamava tra anarchici e socialisti, il trionfante “progresso delle scienze” ha scavato un abisso tra “i docili schiavi del passato” e chi guarda al futuro. Urgeva (e urge) perciò una rivoluzione che facesse (e faccia) piazza pulita dei cascami di un conservatorismo che condizionano o bloccano sul nascere i nuovi fermenti di un libero pensiero che malvolentieri si presta ad essere schiacciato e dominato dal potere costituito, sia esso espressione di un clericalismo fondamentalista o manifestazione di un leviatano assolutista, vulnus entrambi da sempre purtroppo ben presenti nella realtà italiota dove il trono e l’altare copulano e si sorreggono a vicenda in modo chiaramente perverso ed eversivo per condizionare la libertà e spegnere i sia pur debolissimi effetti di una democrazia ancorché incompiuta come quella vigente nel giardino del papa.
Marinetti sferrò l’attacco più radicale che ci fosse mai stato alla tradizione liberale, storica ed hegeliana che dominavano incontrastate nell’Italia monarchica, papalina e bigotta.

Formidabili quegli anni
, direbbe Mario Capanna.
In tutta Europa minoranze di intellettuali ed artisti in competizione inventiva e ideologica, muovono sincroni allo smantellamento di tutte le convenzione e le convinzioni su cui si reggeva il “sistema”, un attacco frontale dalle indubbie implicazioni sociali e politiche.
Nella diversità e nel contrasto di posizioni, spesso discutibili (si pensi all’idea di guerra come sola igiene del mondo) le avanguardie storiche tendono al cambiamento radicale del linguaggio, scientifico, artistico e filosofico, e sono accomunate dalla proiezione, ahimè utopica, verso una società nuova. Si fa strada un sentimento del Tempo, da coniugarsi al futuro, non più ontologico e lineare, ma in divenire e perciò fluido, relazionale e soggettivo.
E’ il Tempo di scienziati come Einstein e Minkowski e di filosofi come Bergson e Husserl.
In Italia pittori come Boccioni, Balla, Severini e Carrà aderiscono al manifesto della pittura futurista e sarà proprio Carlo Carrà a ricordare con una sua opera l'origine anarchica del movimento, effigiandovi secondo il canone futurista "i funerali dell'anarchico Galli".  
Il futurismo italiano propone con aggressività i valori della velocità, della macchina, della “vita moderna” e della civiltà industriale che di lì a poco scomporrà ogni regola e sintassi, in nome di dinamismi, compenetrazioni, analogie e sinestesie di cui, se vogliamo, il capitalismo costituisce il prevedibile sviluppo di un sistema che si nutre sempre del suo presente e perciò privo di futuro.
Specie se impedisce ai più deboli quel riscatto sociale che, se vogliamo, si può cogliere a grandi linee nel “programma politico futurista” e nel “manifesto del partito futurista”: il parlamento verrà eletto a suffragio universale, il senato è abolito, viene introdotto un divorzio facile, si chiede l’abolizione della coscrizione. Se si passa al programma propriamente sociale troviamo la fine del latifondo e delle opere pie (altro che concordato e otto per mille!), la soppressione di ogni milizia politica (con buona pace di ronde e camicie verdi o nere!), pari retribuzioni per uomini e donne, il diritto allo sciopero (altro che regolamentazione!). Si chiede altresì un’intensa industrializzazione, la creazione di reti ferrate e autostradali e lo sviluppo dell’edilizia scolastica.

Pochi si avvidero della potenziale carica innovativa che il futurismo esprimeva e fra questi mi piace ricordare Antonio Gramsci il quale in un articolo pubblicato nel 1921 sull’Ordine Nuovo scrive che i futuristi “hanno avuto la concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista” e ancora l’epoca che si sta vivendo “è l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa” ed essa deve esprimere “nuove forme di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio.” Anche il Gramsci dei “Quaderni” vede nei futuristi la premessa antiborghese necessaria per la svolta rivoluzionaria cui agogna.
L’adesione al fascismo di Marinetti, tragicamente grottesca per gli esiti che poi ebbe, gettò un’ombra oscura sull’intero movimento, ma una cosa è la politica dell’arte e la poetica rivoluzionaria inaugurata dai futuristi, altra l’adesione di Marinetti al regime fascista che, come tutti gli assolutismi, rivela un’ignoranza di fondo sfoggiando una Cultura che non gli appartiene.

Ad ogni buon conto, quello futurista è un progetto metapolitico, nazionalista, libertario, e anticlericale. Quest’ultimo aspetto è quello che mi sollecita più di altri a riportare un’attualissima quanto breve “ode al papa” scritta da Filippo Tommaso Marinetti:

O papa, carceriere della terra,
o sorcio mostruoso delle fogne del cuore,
vecchio scarafaggio nutrito d’immondizie,
pistillo osceno nella corolla d’una veste talare,
battaglio di campana funerea!
Tu respiri a stento,
congestionato per aver mangiato tutto il divino del mondo,
tutto l’allettevole azzurro delle anime
!”

Ormai tutto il “divino del mondo” da solo non basta più a saziare la fame di potere della chiesa dei papi-papponi; ora gli ingordi catto-vaticani ingeriscono e digeriscono gli affari interni dello Stato, s’abbuffano di tutto ciò che esula dal mero re ligere e s’ingozzano di “valori non negoziabili” trangugiando soddisfatti ben altri valori e “beni rifugio” come quella tonnellata di lingotti d’oro che ultimamente è andata ad arricchire il tesoro di una chiesa spudoratamente ricca che sfrutta finanche la miseria per consolidare su questa terra un regno che, a leggere, il Vangelo non dovrebbe essere di questo mondo. Ma tant’è!
E che dire di quella presa per il podice costituita dal voto di povertà?
Qualche giorno fa il pastore tedesco è tornato a ringhiare lamentandosi per le “troppe polemiche distruttive che ci sono nella chiesa divisa dall’arroganza intellettuale che disegna una caricatura della chiesa stessa”. Nei suoi latrati è riecheggiato il monito che Paolo indirizzò ai Galati: “Vi mordete e attaccate a vicenda come delle belve, emergono le polemiche e uno morde l’altro.” Come se lui, il carceriere della terra, non fosse estraneo a quelle polemiche che sembrano suscitate apposta per aizzare le coscienze dei pavidi e sbranare i convincimenti dei vigliacchi.
I gerarchi catto-vaticani stanno alimentando delle crociate fanatiche combattute al calor bianco lungo il confine della non-vita, ogni tanto si concedono qualche diversivo e blaterano di relativismo, di etica, di eugenetica. Si dice che nella chiesa cosiddetta universale il primato della coscienza individuale, prim’ancora del primato di Pietro, è la base della dottrina: chi lo nega si pone automaticamente fuori da quella chiesa e diventa un eretico. Dovrebbero perciò scomunicarsi gli uni con gli altri scambiandosi vicendevolmente il segno di una fervente ipocrisia.
Il loro nichilismo assolutista è un’arma di distruzione di massa e la usano in modo aberrante per trasformare in Legge dello Stato, quella che rimane una convinzione dogmatica se non un articolo di fede. Da più parti si sente dire che la Repubblica non è una teocrazia, lo Stato deve essere “indipendente e sovrano” e rimanere democraticamente laico, anche se, purtroppo, sono proprio i suoi maggiorenti a prostrarsi laidamente ai piedi di un papa-re e a violare un mandato che se fosse veramente tale dovrebbe mandare tutti loro nel paese che tutti sanno.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963