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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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ITE MISSA EST

Post n°348 pubblicato il 12 Ottobre 2006 da bargalla

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La chiesa catto-vaticanista sta per tornare alle origini.
Niente paura, dormano pure sonni tranquilli i catto-crististi opusdeisti e ciellini puristi, non si vuol certo ripristinare il "Protocristianesimo" degli Acta Apostolurum, che se non è "comunismo" poco ci manca, visto che "in illo tempore" a "ognuno era dato secondo il proprio bisogno...e ogni cosa era comune fra loro" ma semplicemente si vuol restaurare il vecchio "Ordo Missae" ovvero la celebrazione della messa in latino che non per caso, giova ricordarlo, è l'idioma ufficiale della chiesa cattolica.
Una lingua "morta" per rinvigorire e tonificare lo scialbo e sciatto frasario di una "ecclesia" sempre più società per azioni, opere ed omissioni e sempre meno comunità che non sa più a che santo votarsi per puntellare il crollo di un listino valoriale abilmente costruito sul nulla.
Il latino, la lingua dei Padri, continua ad essere saccheggiata dai suoi figli degeneri e usata in primis per redigere gli "acta et documenta vaticana" et in secundis per pregare quel dio del quale essi stessi non riescono più a coniugarne lo Spirito, né a declinarne la Sostanza.
Mi sono sempre chiesto perché una religione nata in Palestina "morta" in Israele e resuscitata dal "logos" ellenico, dall'abile Paolo di Tarso "cives romanus" abbia poi costruito le sue fortune sfruttando la lingua di quell'impero romano del quale col tempo ne usurpò la capitale intronizzandosi in pompa magna su uno dei suoi sette colli e costruendo il suo potere temporale abusando di quel "non praevalebunt" che quasi alla stregua di un motto nobiliare e anti iella è andato a fregiare la testata dell'Osservatore Romano.
Potevano scegliere il greco, in cui sono stati redatti la maggior parte dei documenti della chiesa delle origini, compreso il Nuovo Testamento, o l'aramaico, la lingua del Maestro, frammenti del quale aramaico sopravvivono, non tradotti, nell'originale cadenza fonetica anche nei canonici quattro Vangeli.
E invece no, scelsero il latino, perché era la lingua dell'Impero Romano quasi a voler appropriarsi, soppiantandola e adattandola al nuovo corso, di una tradizione, non solo mitologica, ma anche linguistica, i cui capolavori letterari sono giustamente considerati dei Classici intramontabili e inesauribile fonte di ispirazione.
A gentile richiesta dei suoi fedeli più intransigenti, tradizionalisti e fondamentalisti, il pastore alemanno, che già quand'era alla guida della santa inquisizione ebbe ad affermare che l'adozione della lingua corrente nelle funzioni liturgiche "ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano essere solo tragiche" si appresta a dare il suo infallibile e restauratore placet al ripristino del latino nella celebrazione della messa.
Un affare per pochi intimi, visto che il popolo di Dio ne ha le scatole piene del latinorum dei preti e al di là dell'aspetto rituale e linguistico di una regressione che vorrebbe riscoprire le radici, resta la malinconia per un'operazione pubblicitaria di "rifondazione" lessicale che cancella di fatto le innovazioni del Concilio Vaticano II.  
 
Questi integralisti ante e post litteram, abituati a pregare con le vuote parole che escono dalla loro bocca, come gli ipocriti, hanno via via dimenticato che si prega essenzialmente con il cuore.
E il cuore non ha certo bisogno del latino per parlare con Dio, né tantomeno ha bisogno di un interprete, di un tempio, o di un   formulario per rivolgersi all'Unico Dio con l'unica preghiera che Gesù stesso ha insegnato, quel Pater Noster che da solo vale mille preziosi messali di "Ordo Missae".
Ho un ricordo personale di una messa celebrata in latino legata ad una battuta dissacrante pronunciata da un vecchio sacrestano che masticava un po' di latino maccheronico ma che, all'occorrenza dimostrava di possedere quella "finezza" lessicale che poteva ben competere, in questo caso con il prete celebrante, che nella sua spirituale...spiritosaggine pensava di burlare e di cogliere alla sprovvista quel pover'uomo che a furia di partecipare alle messe fra un Kyrie, un mea culpa e tanti amen, aveva imparato a memoria tutto l'ordinario in latino. 
 
Si era alla liturgia della parola, il celebrante doveva annunciare con la cadenza gregoriana il vangelo e l'evangelista.
Aperto il pesante e consunto messale si accorse che al posto del nome dell'evangelista, c'era un grosso buco lasciato dal passaggio di qualche tarma. Senza minimamente scomporsi, il pretacchione burlone pensando di sorprendere il sacrestano, se ne uscì con un cantilenante:
"Sequentia sancti Evangelii secundum...Bucum".
Il sacrestano, dopo un attimo di perplessità, invece del prescritto
"Gloria tibi, Domine"
rispose per le rime intonando un sonoro, e...riempitivo
"gloria tibi tappalo"
lasciando di sasso il prete buggerato che poi proseguì come se niente fosse fino al liberatorio "Ite missa est" e al conseguente "Deo gratias" finale dell'orgoglioso sacrista.

 
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