Ebbene sì, c'è stato un periodo in cui il sottoscritto non era quel cinico deficiente che molti di voi conoscono (anche contro la loro volontà essendo forzati / stati forzati a condividere spazi con il sottoscritto..compagni di classe, colleghi di lavoro etc.. :D). E durante quel periodo scriveva delle cose. Per fortuna molte delle quali distrutte. Altre che ogni tanto riemergono ad ogni trasloco.
Questa mi era sempre rimasta in mente. Credo di averla scritta durante l'ultimo anno di liceo. Non l'avevo più ritrovata da allora e sporadicamente mi ritornava in mente l'idea alla base, che mi era sempre piaciuta molto, della assenza di perfezione come vera perfezione, della varietà come unica perfezione possibile.
Grazie ad una cara amica l'ho finalmente ritrovata...e leggendola mi è corso un brivido lungo la schiena...di orrore! Ma come cazzo scrivevo? Errori grammaticali, tempi sbagliati, passaggi senza alcuna logica!
Così ho passato due giorni a rimetterci le mani per lavorarci. Ma non ce l'ho fatta. L'originale brivido di orrore alla fine è diventato di malinconia.
Come cambia la nostra concezione dell'amore nel crescere; da passionale, dolorosa, irrazionale e masochista a matura, riflessiva, tenera, passionale. L'una non è migliore dell'altra...proprio perché diverse. Alla fine ho ceduto al peso dei ricordi. Forse in futuro la rimaneggerò un po', almeno per togliere gli ORRORI, per ora eccola nella sua fangosa e quasi dislessica in alcuni punti forma originale
Quando Dio creò il mondo era talmente innamorato della varietà che fece sì che nell'intero Universo non ci fosse niente simile a nient’altro. Fosse anche per un riflesso di luce, una piuma o il fruscio di una foglia, non vi era una pietra, uno scricciolo, un albero che fosse simile ad un altro.
Anche le stelle brillavano della passione di Dio per la varietà; ogni stella aveva un lampo di luce, nel cuore e attorno a se, diverso da tutte le altre, un lampo di luce in alcune dorato, come lo splendore della galassia che ama e riunisce tutte le stelle a se, come tenera madre che allunga le braccia per riportare nel suo cuore i figli che vede allontanarsi.
In altre le montagne della luna più nascoste ad i nostri occhi riconoscevano il loro argento, l’ argento di quella luna che dolcemente ci illumina la notte facendo sì che non sia né troppo scura, che un uomo ed una donna siano simili ad un altro uomo o donna, né troppo luminosa, da farci vedere i confini del mondo dove cielo e mare si abbracciano come passionali amanti facendoci sentire piccoli di fronte all’immensità dell’universo.
Ad altre stelle Dio diede la luce azzurra del mare possente che con leggera schiuma da brividi sulla pelle e nel cuore, facendoci pensare a baci mai dati, carezze dimenticate, uomini lontani, diversi da noi, ma con lo stesso battito nel cuore, lo stesso mare da osservare.
In quel tempo ormai troppo lontano, il cielo di notte era un prato fiorito di mille fiori luminosi dai profumati colori persi nell’argento di una luna che a volte non ci capisce e scappa via a nascondersi, sentendo poi la nostra mancanza. Il cielo notturno era un manto prezioso intessuto con fili dai mille colori che scendeva a coprire il mare che a volte ci ama e ci viene incontro, come a volere raccogliere le lacrime versate senza motivo, senza ragione, le più dolorose che esistano, e a volte odiandoci si ritira, forse per farsi seguire, forse per andare a raccogliere le lacrime di chi ci è lontano, ma vicino per dolore.
Forse il mare è il luogo inventato da Dio per raccogliere le lacrime versate guardando il cielo d’inverno, versate su un ricordo lontano, un dolore presente; il mare è il fazzoletto che raccoglie le nostre lacrime inutili, inutili perché versate senza un motivo, inutili perché noi stessi ne siamo la causa, le lacrime più amare, più dolorose. Forse per questo il mare è così salato.
Così Dio insegnò al mondo la bellezza della diversità, la completezza che esiste solo nell’essere incompleti, ed ogni stella, per quanto luminosa e splendente, non si sentiva mai perfetta, perché non aveva la forza del mare, il profumo della terra, la nostalgia e la complicità della luna, il comprensivo ed assordante silenzio della notte, quella stella amava ciò che vi era di diverso, perché proprio il suo non essere perfetta la faceva sentire necessaria, la faceva sentire piena; quella stella illuminando la notte insieme alla luna, aggraziava la forza del mare e il profumo della terra, sentiva pieno il progetto di Dio.
Ma l’Uomo non capì ciò, l’Uomo, creatura prediletta non poteva avere tutto, e allora sentendo la necessità di possedere, volle scegliere. Non la mela, ma la scelta del frutto furono la sua rovina e quella dell’intero Cosmo.
Dio, come padre di un bimbo viziato volle assecondare questa scelta, prese una stella dal cielo e la diede all’ Uomo sotto le sinuose forme di una donna.
Ma la donna era sempre stella, anche se in un corpo, e al singolo preferiva il molteplice, all’unità la varietà del Creato; passava così tutte le notti sulla spiaggia ad osservare il cielo e la luna, dal cuore della Galassia scesero lacrime bianche e pure come latte, pure perché mai furono versate da una madre lacrime più sincere e dolorose, quelle lacrime si sparsero come un fiume lungo il Cielo a testimonianza di quel lacerante dolore. La donna vedendo ciò pianse anche lei, le lacrime le accarezzarono il corpo e toccavano la sabbia che subito le portava al mare che le conserva ancora, mostrando al Cielo, quando la Luna lo illumina, tutta una scia luccicante d’argento.
L’Uomo era turbato da ciò e prese a dire alla donna che lei era la stella più bella di tutto quel Creato, che non avrebbe mai dovuto piangere per essere lontana da altre stelle di così poco conto rispetto a lei. La stella sopraffatta dal dolore, credette a ciò.
Fu rotta la perfezione, l’unica vera bellezza mai creata da Dio. Tutte le altre stesse persero la loro perfezione, perché una parte di loro era venuta meno e, sentendosi ripudiate da Dio e dall’Uomo cominciarono a consumarsi, pallide, sempre più debolmente nel cielo che ormai diventava sempre più cupo. Ultima speranza ancora manteneva le stelle, quella che l’Uomo, una volta morto, avrebbe restituito al Cielo quella stella strappata.
Ma l’Uomo insegnò a suo figlio ciò che riteneva bellezza, e questi a suo figlio e quest’ultimo a suo figlio.
Da allora le stelle scoprirono e compresero l’esistenza della Morte, cominciarono a bruciare, alcune lentamente, mantenendo viva nel loro cuore una scintilla di speranza, ma perdendo il loro splendore dorato, il loro argento abbagliante, il loro rassicurante azzurro, altre preferirono gettarsi nel mare bruciando tutta la loro vita in pochi istanti, per far si che almeno allora l’Uomo e la sua Donna alzassero gli occhi al cielo…ma così non fu.
E tutto da allora è triste e bianco, da allora la Luna a volte ci odia e fugge lontano a cullare tra i suoi raggi argentati gli ultimi istanti di vita di una stella morente che le chiede di tornare dagli uomini e convincerli ad alzare gli occhi al Cielo, e convincerli a meravigliarsi ancora come un bambino appena scopre quelle stelle che ora stanno morendo, così la Luna torna…niente è cambiato.
Ma la notte, se ci fermiamo a guardare, allora il nostro sguardo, seguendo il filo argentato di un raggio di Luna, arriva alle stelle dando loro un po’ di vita in più, allora potremmo vedere che le stelle non sono uguali, allora vedremmo di quanti colori possono essere le stelle. Almeno finché non abbassiamo gli occhi, perché troppo tempo è passato.
Il Cielo è sempre più scuro
Le stelle sempre più deboli
Il Mare sempre più pieno delle nostre lacrime, delle lacrime di noi, stelle rinnegate, il mare è sempre più salato.
A volte il passato ritorna a ricordarti quello che sei stato..ed a volte quello che non dovrai mai più essere