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Messaggio N° 445 07-11-2002 - 15:29

La Tarentella, la danza del piccolo rango

La danza del piccolo ragno


“Santu Paulu meu di Galatina,
 facitene la grazia stamattina,
Santu Paulu meu di li tarante,
facitene la grazia a tutte quante”

Ho letto per la prima volta questa invocazione a San Paolo ne “La terra del rimorso” di Ernesto De Martino, lettura grazie alla quale è nato il mio interesse per il “tarantismo”. In questo studio l’etnologo napoletano analizzava il fenomeno, complesso nella sua natura storica culturale e religiosa, basandosi sulle analisi ed i dati raccolti durante la sua ricerca sul campo nel 1959.


Il “tarantismo”, noto anche come “rito della tarantola”, era una terapia basata sulla musica e la danza diffusa nella Penisola Salentina, terapia che aveva lo scopo di allontanare la “taranta” dalla persona da curare. Nella letteratura popolare la taranta era un ragno multicolore che nei mesi estivi pizzicava soprattutto le donne provocando uno stato di malessere generale (dolori addominali, stato di catalessi, sudorazioni, palpitazioni ) .


Per far “crepare” la taranta e per annullare l’effetto del suo morso occorreva mimare la danza del piccolo ragno, anzi personificarsi nello stesso ragno che danzava. Il rito terapeutico si svolgeva nelle case delle vittime del morso dove i tarantati entravano in uno stato di incoscienza e ballavano per ore ed ore al suono di un tamburello e di un violino.


La musica aveva un’importanza notevole in questo processo, solo grazie ad essa la vittima riusciva a superare il suo stato di malessere. Una delle figure più importanti della danza dei tarantati consisteva nell’imitare i movimenti del ragno, servendosi delle proprie membra come quattro zampe. Il rito finiva nel momento in cui il tarantato trovava, tra diversi fazzoletti colorati, il colore della taranta che l’aveva morsicato, dichiarava di essere stato graziato da San Paolo, considerato il protettore dei tarantati, e cadeva a terra esausto.


Dopo la cura a domicilio, i tarantati si recavano il 29 giugno, giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo, nella cappella dell’Apostolo a Galatina per confermare ulteriormente tale guarigione. Il tarantismo mirava a rappresentare simbolicamente e ad esternare una situazione critica. Il morso diventava un pretesto per risolvere traumi, frustrazioni, conflitti familiari. In questa prospettiva il tarantismo svolgeva un ruolo molto importante nella società salentina, poiché consentiva la rappresentazione simbolica e la socializzazione di un profondo conflitto individuale che poteva essere in tal modo comunicato ed esorcizzato nei suoi aspetti più pericolosi.


Il tarantato voleva richiamare l’interesse della gente sulla sua persona. Cercava di porsi come protagonista e tentava di sfuggire a una realtà che lo relegava in un’esistenza marginale e subalterna. Oggi, anche se il tarantismo classico è ormai estinto, si è sviluppato un neotarantismo che coinvolge larghe fasce di persone dislocate su tutto il territorio italiano e che cerca di creare, grazie alla musica ispirata ai canti eseguiti nel rito, nuovi rapporti comunicativi e di riappropriarsi di valori che la globalizzazione e l’omologazione culturale vogliono eliminare. .



Articolo pubblicato da: duchessina1


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