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La Certosa di Parma

Post n°1019 pubblicato il 07 Giugno 2016 da blogtecaolivelli

La fuga

Dopo nove lunghi mesi di prigionia Fabrizio riceve il segnale convenuto per la fuga. Approfittando di una fitta nebbia che era calata su Parma e approfittando dello stato di ubriachezza in cui versavano i soldati in occasione di un festeggiamento, Fabrizio, attraverso una serie di corde, si cala dalla Torre fino a raggiungere terra. Qui, provato per la stanchezza e la tensione, sente che le forze lo abbandonano, quando due uomini mandati dalla duchessa Sanseverina lo aiutano e lo portano in salvo. Fabrizio viene sistemato a Locarno, in Svizzera, dove la duchessa può incontrarlo quotidianamente (per stare vicino al nipote aveva preso una casa presso Belgirate). Accanto alla felicità di averlo lì con sé sano e salvo, la duchessa è però straziata dalla serietà innaturale del nipote e dal dubbio che il suo cuore fosse rimasto a Parma. Capisce che, per quanto lei abbia fatto tutto il possibile per liberarlo dalla prigione, l'unica vera persona che aveva davvero salvato Fabrizio (convincendolo a fuggire) era la giovane Clelia. Capisce, quindi, di avere perduto per sempre l'amato nipote.

La vendetta

Accecata dalla gelosia, la duchessa sfrutta i pochi contatti che le sono rimasti a corte per accelerare le nozze tra Clelia Conti e il ricchissimo marchese Crescenzi (in modo che Fabrizio dimentichi, e in fretta, la giovane figlia del governatore). Giunge, intanto, a Belgirate, la notizia della morte del principe: la duchessa non è sorpresa, poiché ne è direttamente coinvolta. Non molto tempo prima, infatti, aveva assoldato un vecchio medico, nonché poeta e tribuno del popolo, Ferrante Palla (innamorato di lei e per la quale si sarebbe macchiato di ogni delitto) per uccidere, attraverso il veleno, il carnefice di Fabrizio: il principe di Parma in persona.

Il ritorno a Parma

La morte del principe di Parma scatena nella città parmense una serie di rivolte popolari contro la Cittadella, il fiscale Rassi e la vecchia amministrazione in generale. Questo subbuglio permette al conte Mosca di agire in favore di Fabrizio imponendo il silenzio sulla sentenza del giovane a tutti i giudici incaricati del processo (pena l'immediata impiccagione). Aiutando Fabrizio, il conte favorisce di certo anche il ritorno dell'amata duchessa, ora nominata dal nuovo principe di Parma Ranuccio Ernesto V (figlio del principe defunto) duchessa di San Giovanni e prima dama di compagnia della principessa madre Clara Paolina. Un ultimo ostacolo bloccava il ritorno a Parma di Fabrizio in qualità di uomo libero: egli avrebbe dovuto sottoporsi al processo ed essere prosciolto da ogni accusa e, prima di questo, presentarsi alle prigioni della città (comandate dal conte Mosca e quindi "sicure") per costituirsi.

La nuova prigionia

Tutto il piano per restituire la libertà a Fabrizio era stato studiato nei minimi particolari dal conte e dalla duchessa, ma senza tenere conto di un fatto certo: Fabrizio era innamorato e l'amore rende imprevedibili, impavidi e avventati. Fabrizio, infatti, si era sì presentato per costituirsi, ma non alle prigioni controllate dal conte Mosca, bensì direttamente alla Cittadella, nella speranza di rioccupare la sua vecchia cella e di vedere di nuovo Clelia (oramai prossima alle nozze col marchese Crescenzi). Questa mossa lo rende inevitabilmente esposto al rischio concreto di una vendetta da parte di Fabio Conti, il governatore della Cittadella, che vede nella situazione un'occasione unica per riscattarsi dal ridicolo di cui si era coperto al momento della fuga del prigioniero.

Il tentato avvelenamento

Il governatore decide così di uccidere Fabrizio del Dongo facendogli avvelenare il pasto della sera. Ma ancora una volta Fabrizio viene salvato dalle due donne che lo amano: Clelia, che, accortasi di quello che stava succedendo e dimentica del voto fatto alla Madonna (quello di sposare il marchese Crescenzi e non rivedere più Fabrizio), corre alla Torre Farnese ed irrompe direttamente nella cella di Fabrizio per impedirgli di mangiare la cena avvelenata; e la duchessa, che cede al ricatto del giovane principe di Parma accettando di diventare la sua amante in cambio della vita di Fabrizio. Il giovane del Dongo viene così graziato dal principe e salvato da morte certa. Il principe di Parma, del tutto all'oscuro e inorridito di fronte alle macchinazioni e tentativi di avvelenamento che si tramano alle sue spalle, decide di infliggere una esemplare punizione ai colpevoli: il generale Conti viene destituito assieme al Rassi, ed entrambi costretti anche all'esilio in Piemonte.

La libertà amara

Nel frattempo Fabrizio si sottopone al giudizio dei giureconsulti, i quali, dopo un regolare processo, lo prosciolgono da ogni accusa. Tornato in libertà, Fabrizio viene nominato - dal principe in persona - coadiutore dell'arcivescovo Landriani con futura successione e acquisisce pure il titolo di Eccellenza. Ma tutti quei titoli pomposi ed onori non importano nulla a Fabrizio, ora che si vede di nuovo allontanato dall'amata Clelia, la quale, saputo in salvo l'amato, ritorna nella sua fermezza di sposare il marchese Crescenzi, per dovere nei confronti del padre e per dovere nei confronti del voto fatto alla Madonna.

Adottando un travestimento Fabrizio riesce ad incontrare Clelia e i due finalmente si chiariscono: lei gli spiega il motivo del suo comportamento schivo e la necessità di non vedersi più. Per Clelia era inoltre necessario non rimandare ancora le nozze con il marchese Crescenzi, essendo questo l'unico modo per far ritornare il padre alla corte parmense (la stessa duchessa si sarebbe adoperata personalmente per il reintegro del generale a governatore della Cittadella, a condizione, però, che le nozze venissero celebrate il prima possibile). Questa notizia e la ferma decisione di Clelia di mantenere fede all'impegno preso, gettano monsignor del Dongo in uno stato di «tristezza senza speranze», di rassegnazione quindi, che lo spinge ad isolarsi e a ritirarsi presso il convento di Velleja, poco lontano da Parma. Questo isolamento dalla vita di corte, dalla mondanità e il silenzio in cui si era forzatamente rinchiuso, assieme all'estrema magrezza, lo fanno amare dalla gente comune, che arriva addirittura ad avvertire in lui l'odore della santità: «tutta la sua condotta, unicamente ispirata dal dolore per le nozze di Clelia, fu presa come il frutto di una religiosità semplice e sublime». Tornato a Parma per adempiere ai suoi doveri di coadiutore, Fabrizio ha l'occasione di rivedere Clelia, ora marchesa Crescenzi, ad un ricevimento presso il principe e la fiamma tra i due innamorati si riaccende più viva che mai.

La duchessa fugge da Parma e diventa la contessa Mosca

La duchessa si trova ora costretta ad adempiere al giuramento fatto al principe (quello di divenire la sua amante), non riuscendo a convincerlo a fare altrimenti (nonostante la minaccia di fuggire da Parma e non farvi più ritorno). Scappa quindi dalla città per rifugiarsi a Bologna. Dopo pochi giorni sposa a Perugia il conte Mosca, diventando così la contessa Mosca della Rovere. I due si trasferiscono a Napoli, mentre Fabrizio rimane alla corte parmense, dove riesce a conquistarsi la piena fiducia del giovane principe. Proprio il pieno favore acquisito presso il principe, assieme al favore incontrastato che gode presso il popolo in qualità di eccellente predicatore, gli permette di aiutare il conte Mosca e sua moglie, gettando il seme per un loro futuro ritorno in pompa magna. Ma la felicità di Fabrizio del Dongo di aiutare il conte Mosca è offuscata dall'ottuso silenzio e isolamento in cui si era relegata per l'ennesima volta Clelia, ora incinta del primogenito, ora più che mai decisa a non rivedere più Fabrizio.

La svolta

Gelosa di una giovane borghese di nome Annetta Marina, innamorata persa di Fabrizio, e sui quali circolavano voci di una relazione, Clelia si risolve finalmente ad assistere ad una predica di monsignor del Dongo. Così, dopo quattordici mesi di lontananza forzata, i due si rivedono e l'aspetto emaciato di Fabrizio, in netto contrasto con la passione delle parole da lui pronunciate, convince Clelia ad incontrarlo. Gli dà appuntamento per la notte seguente all'aranceto di palazzo Crescenzi, dove finalmente i due dichiarano apertamente il loro amore.

La fine

A questo punto Stendhal fa un balzo in avanti di tre anni. L'autore ci informa che nell'arco di questo periodo i due amanti hanno continuato a vedersi di nascosto (rigorosamente di notte per non venire meno al voto fatto alla Madonna di nonvedere mai più Fabrizio) e che da questa relazione segreta è nato un bambino, Sandrino, il quale viene però cresciuto dal marchese Crescenzi (che lo crede suo figlio). Dopo due anni Fabrizio confessa a Clelia il desiderio di avere con sé almeno il figlio, non potendo vivere apertamente con la donna amata. Così le suggerisce di far fingere a Sandrino una malattia, che si sarebbe aggravata fino a provocare la morte del bimbo (in realtà portato al sicuro in un'altra casa). All'inizio riluttante, Clelia finisce con l'acconsentire al tanto diabolico quanto disperato piano. Le cose sembrano andare esattamente come previsto, ma quando Sandrino viene trasferito e si simula il lutto, il bambino si ammala veramente e muore dopo soli pochi mesi, seguito in capo a qualche mese dalla madre, distrutta dal dolore della perdita e del castigo subìto. A questo punto Fabrizio non vede altra soluzione che dimettersi dal suo ufficio all'arcivescovado e, dopo aver dato disposizioni sulla divisione patrimoniale, si ritira nella Certosa di Parma «situata nei boschi nei pressi del Po, a due leghe da Sacca», dove morirà dopo un solo anno.

Stendhal, alla fine, ci informa anche su quanto accadde alla contessa Mosca. Ella aveva acconsentito affinché il marito tornasse a Parma per riprendere il suo ministero, ma senza fare lei stessa ritorno, in nome del giuramento di non mettere più piede negli Stati del principe fatto il giorno della violenza subìta. Vive perciò presso Vignano (in territorio austriaco) in un palazzo fatto costruire appositamente per lei dal conte Mosca. Lì trascorre un periodo tutto sommato felice. Alla morte dell'adorato nipote, però, la contessa non gli sopravvive che pochissimo tempo.

Stendhal chiude il romanzo informandoci che a Parma non ci sono più prigionieri, che il nuovo principe è amato e che il conte Mosca è diventato ricchissimo: magrissimo sollievo per gli "happy few", i pochi lettori eletti a cui l'autore ha dedicato l'opera.

 

 

 
 
 
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