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 PER UNA BUONA POLITICA

Post n°14 pubblicato il 26 Dicembre 2007 da cesare.gaudiano

Il manifesto di Officina 2007

PER UNA BUONA POLITICA

A chi coltiva la speranza civile e sa ascoltare gli altri.
A chi ama questo nostro Paese, nonostante la distanza che separa le Istituzioni dalle persone.
A chi avverte l’urgenza di mettersi in gioco e di sporcarsi le mani.
A chi ama il confronto e il dialogo e che soffre dinanzi alla violenza del discorso pubblico e alle esasperazioni di un bipolarismo ideologico e aggressivo.
A chi è convinto che la politica sia l’arte di uscire insieme dalle crisi.

A tutti questi italiani noi vogliamo offrire un’occasione.

Ci muovono solo la volontà e la passione di metterci al servizio di tutti e di costruire risposte alle domande esigenti di un Paese più moderno, in cui alle nuove generazioni si prepari un futuro più sicuro e in cui tra le istituzioni e i cittadini si instauri un rapporto trasparente costruito sui pilastri dell’etica, della legalità e della responsabilità. Ci confortano le recenti occasioni in cui il popolo italiano ha saputo esprimere una posizione di fermo ancoraggio ad una proposta antropologica che ha radici profonde nel proprio vissuto. Vogliamo dare voce a questo cattolicesimo di popolo, nella sua infinita ricchezza, e a quel mondo laico che con noi vuole condividere un cammino nel quale al riconoscimento dei diritti corrisponda una profonda assunzione di doveri.

Valori & proposte

L’Italia attraversa una crisi a cui, finora, la classe politica non ha dato vere risposte. I cittadini sempre più si allontanano dalla politica. Così come si va incrinando la consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale e di avere un destino comune. Eppure il nostro Paese abbonda di risorse umane, sociali, politiche, intellettuali ed economiche. Esse sono la grande “riserva” di capitale sociale che fa fatica a partecipare al dibattito pubblico e ad esprimere tutte le proprie energie vitali. Per questo abbiamo deciso di dar vita a un Movimento di iniziativa politica e di proposta culturale, laico e di ispirazione cristiana, che ha come obiettivo la costruzione del “bene comune”. Un Movimento perché intendiamo sperimentare e generare forme nuove di partecipazione diffusa alla vita politica, dunque non un ennesimo partito.

Noi crediamo che nei valori della Costituzione Repubblicana, nei diritti universali dell’uomo, nella dottrina sociale della Chiesa, nel vissuto e nel patrimonio sociale e politico dei cattolici italiani, nel popolarismo, nelle radici e nella prassi della sana laicità, vi siano le risorse ideali per intraprendere un nuovo cammino.

Noi crediamo in una politica che ponga al centro delle sue scelte la persona, e che torni ad essere il campo di crescita culturale e civile per i cittadini, nella libertà e nella giustizia.

Noi crediamo che il diritto alla vita di ogni essere umano fin dal concepimento e la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio siano pilastri insostituibili della convivenza civile e fattori di coesione sociale.

Noi crediamo nel ruolo dell’iniziativa privata in campo economico, nel quadro di un’economia sociale di mercato e della competizione, che non consideriamo valori in sé ma strumenti al servizio della persona e della società. Ed ecco perché crediamo che una società libera e giusta debba costruire una rete di protezione e di promozione per chi non regge il ritmo della competizione. Vogliamo valorizzare l’economia civile, il non profit, il volontariato, la mutualità, la cooperazione in un quadro di vera e concreta sussidiarietà e di democrazia economica. Intendiamo risvegliare, con il gusto del vivere insieme, il senso della solidarietà e dell’iniziativa sociale verso chi è in difficoltà.

Noi crediamo che la buona politica sia decisiva per realizzare il “bene comune” del Paese. Vanno restituite dignità e passione ad una politica in crisi, schiacciata com’è sulle esigenze mediatiche, su eccessive personalizzazioni, su un bipolarismo anomalo che sollecita più divisioni che convergenze. In questa ottica il sistema elettorale richiede un profondo ripensamento, per favorire partecipazione, rappresentatività e governabilità.  

Noi crediamo che, dai valori e dall’ispirazione di fondo che ci muovono, dal confronto e dal dialogo con tutti quelli che come noi sono animati dal desiderio e dalla speranza di un’Italia migliore e moderna, possano scaturire una grande proposta di umanità e una stagione di riforme in grado di rigenerare la democrazia, la libertà e la giustizia.

Noi vogliamo costruire un’Italia in cui i cittadini siano protagonisti del proprio futuro. Pensiamo ai giovani che vogliono sviluppare le loro qualità, alle donne alla ricerca del giusto spazio professionale, ai lavoratori che vogliono crescere insieme con le imprese in cui prestano la loro opera, agli imprenditori che vogliono innovare in un contesto internazionale che appare sempre più competitivo, ai disabili che vogliono partecipare e non stare ai margini, agli anziani che vogliono continuare ad essere socialmente attivi o sono in difficoltà, alle famiglie che chiedono tutela e promozione del loro ruolo sociale ed educativo, agli immigrati che chiedono di vivere e convivere serenamente con noi.

Noi vogliamo un’Italia che scommette sul futuro, con politiche di sostegno alla vita dal suo sorgere fino al suo spegnersi naturale.

Noi vogliamo un’Italia orgogliosa di sé, della propria storia, della propria cultura e delle proprie radici.

Noi vogliamo un’Italia unita da Nord a Sud nella ricchezza delle autonomie regionali. 

Noi vogliamo un’Italia protagonista nel rilancio del processo di unità politica dell’Europa, perché la nostra civiltà possa misurarsi con il mondo globalizzato, apportandovi i valori della solidarietà e della giustizia sociale.

Noi vogliamo che il nostro Paese abbia una funzione rilevante per la pace e l’incontro nel Mediterraneo. L’Africa è il banco di prova della moralità della politica internazionale nel promuovere uno spazio euro-africano, capace di favorire lo sviluppo, canalizzare l’emigrazione, rafforzare la pace.

Noi vogliamo che l’Italia dia un contributo originale al mondo, costruendo una democrazia partecipata, forte e libera.
° ° °
A quanti, laici e cattolici, condividono questa nostra carta di valori civili, chiediamo di essere compagni di viaggio nel nostro Movimento, a cui diamo il nome:

OFFICINA 2007
In Movimento per una buona politica

 
 
 

La Cosa Nuova di Savino Pezzotta 

Post n°13 pubblicato il 26 Dicembre 2007 da cesare.gaudiano

Politica: i progetti di Savino Pezzotta e di "Officina 2007"

LA "COSA NUOVA" di SAVINO 

«Non vogliamo rifare la Dc. Ma bisogna trovare il modo e la forma perché il pensiero e la proposta del popolarismo e del cattolicesimo politico possano restare in campo».

Dal Family Day all’"Officina", Savino Pezzotta, ex segretario generale della Cisl, "nato" nelle officine vere delle fabbriche del Nord, prova a produrre il manufatto più pregiato e difficile della sua vita: «Bisogna trovare il modo e la forma affinché il pensiero e la proposta pur rinnovati del popolarismo e del cattolicesimo politico possano stare in campo», spiega in questa intervista con Famiglia Cristiana, «noi guardiamo con interesse al nascere di un polo riformista, ma questo non ha nulla a che fare con il carattere identitario che caratterizza "Officina 2007" (il movimento fondato da Pezzotta, ndr.) e la formazione politica che, se si facesse una nuova legge elettorale, potrebbe nascere da questo nostro lavoro».

  • Anche lei contro il bipolarismo?

«Da quando è arrivato il bipolarismo, si è sempre ragionato sul come si vince, mai come si governa un Paese così composito, difficile da dividere in due schieramenti. L’esperienza ci dice che i partiti sono costretti a mettersi insieme per vincere, ma subito dopo si dividono: non si riesce a governare».

  • Intanto, il referendum sulla legge elettorale incombe...

«Chi vuole governare nell’interesse del Paese dovrebbe evitare di andare al referendum e quindi votare una legge elettorale che consenta di governare creando alleanze non forzate, ma convinte e più omogenee. Ho letto l’intervista del coordinatore del Partito democratico Goffredo Bettini, dove l’idea è quella di assorbire tutto dentro il contenitore del Partito democratico. Io dico che chi ci vuole stare ci stia, ma la democrazia dovrebbe consentire di stare in campo anche ad altri soggetti, di dare la possibilità alle tradizioni e alle varie culture politiche del nostro Paese di essere rappresentate. Ma guardiamo anche oltre: vogliamo finalmente fare un ragionamento su cosa è successo dal punto di vista della coesione sociale negli anni del bipolarismo?».

  • Facciamolo...

«Siamo di fronte a una frammentazione sociale mai vista. Un po’ è causa della globalizzazione, ma la responsabilità maggiore è della politica, che non ha un rapporto corretto con i cittadini. Dal punto di vista economico, poi, i problemi sono tutt’altro che risolti; parlo del debito pubblico e delle riforme di struttura. Il Paese va indietro rispetto all’Europa. È questo il bipolarismo che doveva risolvere i problemi italiani? E allora, se non li ha risolti, si dichiari il fallimento di quel modello e se ne cerchi un altro».

  • A quale nuovo modello pensa?

« Io non sono per il proporzionale puro come nel passato, ma in un Paese come l’Italia avere quattro o cinque partiti non è scandaloso. Fra l’altro, con il bipolarismo ne abbiamo decine di partiti e molti personali, senz’altra radice che quella del "capo" del momento o del partito-persona, che apre e chiude le formazioni politiche dal tetto di una macchina, megafono in mano. Si dice pure che bisogna dichiarare le alleanze prima di andare a votare, ma neanche questo ha funzionato, né per l’attuale Governo, come l’ultima Finanziaria dimostra, né con il precedente, quando Berlusconi governava con la maggioranza più ampia della storia della Repubblica, eppure veniva spesso battuto nei due rami del Parlamento. La vera garanzia sta in un programma condiviso da forze culturalmente e politicamente vicine. Possiamo dire che nelle attuali condizioni il sistema funziona? Non prendere atto di una situazione così significa denunciare la debolezza della politica».

  • E allora?

«E allora basta. Questo modo coercitivo di stare insieme non funziona. Nessuno di noi vuole rifare la Dc. Io dico però che è giunto il momento di giocare la nostra partita, occorrerebbe il coraggio di determinare una "cosa nuova". In questo momento, la nostra area, che si richiama ai valori e alle tradizioni del cattolicesimo, dispersa per scelta o per sopravvivenza in altre aggregazioni, deve prendere coraggio e coltivare una vocazione unitaria nell’interesse del Paese. Questa idea ha bisogno di una nuova legge elettorale, come dicevamo, ma anche del coraggio di rischiare da parte di coloro che si ispirano a tale idea. Senza rischi non si cambia».

  • Perché questo appello? I vari Casini, Mastella, Tabacci e quanti altri "dispersi" qua e là non osano?

«Vedo con pessimismo la capacità di questi nostri amici di avere uno scatto di reni. Una volta tanto bisognerà buttarsi, mettersi in discussione, superando finalmente i risentimenti atavici che gli uni portano nei confronti degli altri e che non hanno più ragione di esistere. A meno che ognuno decida di portare un’altra casacca piuttosto che costruirne una nostra. L’idea di fondo è quella di offrire a tutti quelli che si richiamano al cattolicesimo democratico e popolare, ma anche ai liberaldemocratici, una possibilità di esserci. Vogliamo dare vita a un’area riformista diversa dalle altre, che riporti al centro del dibattito le vere questioni del Paese».

  • Per quale sistema elettorale tifa?

«A me pare che il sistema tedesco sia il migliore. È anch’esso maggioritario, ma temperato, e non sarà certo un caso che la politica tedesca funzioni e sappia risolvere i problemi».

  • E la girandola di incontri di questi ultimi giorni fra lei, Casini, Bruno Tabacci e, dicono, Montezemolo?

«Estote parati, dice il Vangelo, e noi ci prepariamo, nel caso cambiasse la legge elettorale. Oggi non possiamo dar forma a questa "cosa", ci stiamo preparando, verifichiamo le condizioni. Questo passo esige un cambiamento culturale profondo in coloro che fanno riferimento alla nostra area: bisogna volerlo veramente».

  • Perché, oggi non è proprio così?

«Su questo ho tanti dubbi, perché ognuno cerca di circoscrivere i propri confini, invece di romperli. Questa è la debolezza della nostra area; la sua frammentazione, l’incapacità di trovare il filo conduttore».

  • E dunque?

«Questa è l’ultima possibilità, l’ultimo treno, l’ultimo appuntamento. O si coglie adesso oppure mai più».

  • Ma non sarà che questo sogno cade sulle spalle di un personale politico logorato e stanco?

«Può darsi, ma è anche un personale politico dotato di una sensibilità profonda e una cultura politica più attuale che mai».

 

 
 
 

LA VOGLIA DI RIPARTIRE DI UN'ITALIA CRISTIANA:

Post n°12 pubblicato il 02 Ottobre 2007 da cesare.gaudiano
 

"Lo stato di diritto, una genuina democrazia e una ben ordinata economia di mercato, non possono prosperarare se non facendo riferimento a cio' che e' dovuto all'uomo perche' e' uomo..."
(Giovanni Paolo II)

"Siamo spettatori di una metamorfosi lenta che ci riguarda tutti: non si tratta di una naturale, auspicabile o quantomeno prevedibile evoluzione del costume di un popolo, ma piuttosto, di un processo degenarativo. Ci stiamo, infatti, allontanando sempre piu' dai valori fondanti, finendo col perdere pian piano quella "identita' culturale" che ci ha consentito di lasciare una impronta indelebile nel processo evolutivo e formativo del pensiero dell'umanita' intera.

Gli Italiani stanno prendendo coscienza dell'avvicinarsi del "tempo" in cui invertire la rotta, facendo appello a tutte le risorse di cui sono capaci; rispolverando quei valori sopiti che in passato hanno portato la stirpe italica ad assumere comportamenti di grande dignita'.

Lo sforzo che Cattolici devono assolutamente compiere e' quello di lavorare ad una "proposta culturale" cristianamente ispirata, da offrire quale contributo alla nascita di una nuova societa' in Italia adoperandosi affinche' questa proposta vega divulgata, recepita e condivisa.

Vogliamo che l'Italia si riappropri di quell'invidiabile patrimonio industriale, progettuale e produttivo, che nell'arco dei secoli ne ha fatto un modello da imitare in tutti i settori, dall'auto all'abbigliamento".

 
 
 

l'avversario

Post n°11 pubblicato il 28 Settembre 2007 da cesare.gaudiano
 

Non bisogna vincere l'avversario, ma convincerlo.
La tendenza a diminuire l'avversario è di per se stessa una testimonianza dell'inferiorità di chi ne è posseduto; si tende infatti a diminuire rabbiosamente l'avversario per poter credere di esserne decisamente vittoriosi. In questa tendenza è perciò insito oscuramente un giudizio sulla propria incapacità e debolezza.
Ecco davanti a noi due voci che sostanzialmente s'intrecciano, pur nella diversità delle visioni ideologiche sottese. Certo, c'è anche un'esperienza biografica che accomuna i due personaggi così diversi tra loro: sia Gandhi che propone la prima frase, sia Antonio Gramsci, che ci offre in Passato e presente la seconda considerazione, furono oggetto di persecuzione da parte del potere repressivo. Acquista, dunque, più valore la loro testimonianza contro il ricorso alle stesse armi che quel potere adottava nei loro confronti. La violenza, infatti, non è segno di dignità ma neppure di forza.
Chi cerca di demolire l'avversario, ricorrendo all'attacco feroce, alla denigrazione, allo scontro fisico rivela un'inferiorità e debolezza morale che invano cerca di coprire con la prevaricazione. Convincere l'altro, dialogare con lui, argomentare sul merito è molto più impegnativo e difficile che non trascinare l'avversario in una zuffa ove è solo l'ira e la forza bruta a prevalere. Abbiamo spesso in televisione esempi meschini di questo atteggiamento e l'effetto perverso che essi producono - anche quando si sa bene che sono risse appiccate ad arte e quindi fittizie - è quello di devastare, per imitazione, le relazioni sociali quotidiane. Mai come in questo tempo la maleducazione, il conflitto, il contrasto sono il vessillo inalberato sulla debolezza della ragione e della dignità personale.

 
 
 

PENSARE, CONTEMPLARE, AGIRE

Post n°10 pubblicato il 28 Settembre 2007 da cesare.gaudiano
 

L' uomo vive secondo tre modalità: pensando, contemplando, agendo. Quindi, ritenendo che nell’universo qualcosa corrisponda a queste tre modalità, si forma le idee del vero, del bello e del bene.
È una bella e sontuosa rivista intitolata Davar (ed. Diabasis), vocabolo ebraico che significa contemporaneamente «parola» e «fatto», nella convinzione che le vere parole sono efficaci, generano vita e realtà. Ebbene, in un numero di questa rivista, dedicato alla bellezza e al nulla, trovo la traduzione di un forte saggio giovanile di quella straordinaria scrittrice e pensatrice ebrea francese che è Simone Weil (1909-1943). Ho citato solo le prime righe; non mi è possibile neppure sintetizzare il percorso che procederà da esse tanto è ricco e completo (eppure si trattava di una ragazza di soli 17 anni!). Mi fermo soltanto a quella rilevazione primordiale per interrogare un po’ tutti: siamo veramente capaci di esercitare le tre modalità fondamentali della persona matura, il pensare, il contemplare, l’agire?
Forse le pratichiamo ma spesso in maniera dissociata. Quante volte, infatti, facciamo senza pensare; riflettiamo senza poi agire; sostiamo a contemplare ma scivolando solo nel vuoto e nell’inerzia. Anzi, non di rado quelle tre qualità decisive che sono state a noi assegnate non raggiungono mai le rispettive mete. Il pensiero non si preoccupa di cercare in profondità il vero e si aggira solo sulla superficie delle cose. La contemplazione non è riservata al bello che sta attorno a noi e all’armonia dell’essere, ma si perde nei particolari secondari. L’azione non tende al bene ma si accontenta di raggiungere esiti e vantaggi personali. Per questo è necessario prendere in mano con coscienza il pensare, il contemplare e l’agire per essere veramente persone e non semplici esseri.

 
 
 
 
 
 
 

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