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Recherche Humaine.L'io e lo smarrimento del tu.

Post n°23 pubblicato il 18 Dicembre 2007 da con_fine_arte

All’interno del vecchio studio è quasi buio. Solo dalle fessure delle vecchie persiane di legno sconnesse provengono dei fasci di luce che rendono l’ambiente irreale. Si sente il rumore della pioggia squarciato di tanto in tanto da un tuono che segue il bagliore dei lampi. Uno di questi illumina un uomo sugli ottant’anni. È appena entrato nella stanza, dà le spalle alla porta ma una mano sembra ancora accompagnarne la chiusura. Quest’uomo è il nostro Artista e così lo chiameremo fino alla fine di questa piccola storia.

Resta fermo sull’uscio per un attimo che percepiamo lunghissimo. Il suo sguardo ci accompagna attraverso il tempo narrato dagli oggetti che popolano quel luogo. Dallo specchio si stacca un bozzetto di un autoritratto, un carboncino. È bianco e nero, come tutto intorno: l’Artista, lo studio, il vecchio tavolo di legno, lo specchio, il cavalletto, l’armadio. Il bianco e nero è il non colore dei ricordi.

Il bozzetto cade sul tavolo in mezzo ad altri disegni sparpagliati e silenziosi come le cose e le persone che evocano dal tempo.

Il ritmo è scandito dal monotono incedere di un vecchio proiettore che lascia scorrere le sue diapositive sulla parete bianca, in fondo.

Intorno è tutto un rincorrersi di oggetti, schizzi, pennelli, libri, bottiglie, carte... tutto un po’ ammucchiato, più o meno ordinatamente, un po’ sul tavolo, un po’ sugli scaffali della vecchia libreria, un po’ ovunque.

L’Artista si avvicina allo specchio e si guarda e ascolta fuori la pioggia che scende. Tutta la scena guarda se stessa e ne ascolta il rumore dell’acqua, quasi come fosse il sonoro delle stesse immagini dei dipinti che scorrono sulla parete, meccanicamente: sono volti, corpi nudi, autoritratti, persone incontrate e dipinte, tutto fermato per sempre.

All’improvviso le ante precarie del vecchio armadio gonfio di fogli, fotografie, ritagli di giornali, riviste d’arte ammucchiate alla meno peggio, cedono la chiusura al prorompere del suo antico contenuto che, senza più il riparo degli sportelli, viene vomitato sul pavimento dello studio. L’Artista cerca di risistemare quelle carte, quegli oggetti. Ma non è facile. Mentre rimette sugli scaffali le prime cose cadute, altre perdono l’equilibrio e rovinano nella stanza. È una gara che l’Artista non riesce mai a terminare del tutto vittoriosamente. Alla fine richiude l’armadio, ma vi si deve appoggiare con la schiena contro, per aiutare le ante a sopportare la pressione dei ricordi.

 

Oggi la ricerca dell’identità avviene dentro stanze simili a questa. Accumuliamo cose, esperienze, emozioni che ogni tanto riguardiamo, riviviamo, in cui ogni tanto cerchiamo delle risposte e che poi tentiamo di richiudere in quel vecchio armadio, inconscio che pulsa, che tenta di esplodere.

Più di tutti, l’intellettuale, l’artista contemporaneo spesso si rinchiude nel castello cartesiano del suo pensiero, della sua arte, tramutandolo in immagini che scandiscono la sua esistenza, come tappe di una ricerca senza tempo: la Recherche Humaine.

Ma non si esiste solo perche si pensa.

La grande macchina del mondo, e i poteri che la muovono, amano l’ideologia dell’individualismo, lo scioglimento delle relazioni. Sembra che per poter raggiungere i propri obbiettivi sia necessario emanciparsi dai legami, come per una globale operazione di marketing imposta da un occulto direttore. È lo smarrimento del Tu.

Narcisi chiusi dentro le loro stanze molti Artisti non sanno far altro che guardarsi allo specchio immobile dello stagno dell’Arte Contemporanea, allontanandosi sempre di più dal mondo, dalla gente. Si compiacciono dell’immagine di sé che restituiscono in un mediatico reality show assoggettato alle regole dell’auditel, dimenticando quelle dell’estetica, intesa non soltanto come apparenza, ma come caratteristica particolare dell’essere, dell’operare, del sentire.

Talvolta qualcuno riesce ad uscire da questa stanza, emancipandosi dall’individualismo radicale. È il Passeur che guarda ad una libertà più grande e che ci traghetta attraverso lo stagno verso la sponda della ragione comune, senza lasciarsi morire rinchiuso nella propria immagine, vittima della propria stessa ricerca. È l’io che si fa nomade per percorrere nuovi confini dell’essere.

Sarà solo grazie a questo Artista se l’Arte Contemporanea riuscirà ad uscire dall’autoreferenzialità e guardare a l’altro, per abbandonare il leit-motiv della sofferenza dell’uomo e del mondo, proponendone invece uno altro.

L’assolutizzazione del nostro orgoglio ci fa stare da una parte del limen, camminare sul confine significa andare incontro alla diversità, scavalcarlo è conoscere se stessi.

La ricerca di se stessi è libertà di incontrarsi. Arte come itinerario ideale verso l’altro da sé.

G.F.

In Alto: Antonio Sgroi - Orfeo ed Euridice - Terracotta patinata - Grandezza al naturale - 1990

 
 
 
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Un blog di: con_fine_arte
Data di creazione: 05/08/2007
 

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