Tornare a volare - 1

Post n°5 pubblicato il 14 Gennaio 2006 da siberianeyes2
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“Correte maledetti rammolliti!” gridò con tono imperioso l’ufficiale che sbattendo il bastone contro il terreno, stabiliva il ritmo della marcia. Decine di uomini affaticati, con addosso zaini molto pesanti, coprivano velocemente l’intero perimetro del campo nel quale si allenavano almeno dodici ore al giorno. Il sudore imperlava visi segnati dalla fatica e dal dolore, mentre un sole impietoso e severo li minacciava dall’alto della sua posizione. Il campo era, in realtà, un sudicio pantano di duecento metri per lato circondato da ali edifici rinascimentali. I tetti color ambra davano alloggio ad intere colonie di volatili che in quel momento erano intenti a riposare pigramente. Nell’edificio sul lato orientale, al terzo piano, Alesic si affacciò alla finestra per valutare la preparazione di quelli che sarebbero ben presto divenuti alti ufficiali della Marina imperiale. Passata da poco la mezza età, il comandante della Terza Flotta era riconosciuto negli ambienti di potere, come l’ideale capo del Consiglio Supremo della Difesa imperiale. Tuttavia, la totale mancanza di doti diplomatiche e di savoir faire in campo politico, avevano costretto la famiglia imperiale a relegarlo su quella sperduta isola in mezzo al mare con il compito di formare le nuove colonne della Marina.

La mano sinistra passava sistematicamente sulle tante medaglie che adornavano l’impeccabile divisa. A volte gli capitava di sospirare, ripensando alla bellezza dei momenti trascorsi lì nel fango anni addietro, quando la sua unica preoccupazione era quella di forgiare il fisico alle dure condizioni di vita e l’unico orizzonte visibile non andava al di là di quel pezzo di terra. “Comandante?” Una voce interruppe i suoi pensieri. Il sottotenente lo guardava con aria perplessa, mentre se ne stava impalato nel gesto del saluto. “Riposo, soldato. Cosa vuoi? Sappi che sono impegnato tutto il giorno e non sopporto le distrazioni.” “ Sono qui per riferirvi che abbiamo un problema in sala mensa, signore….” L’alto ufficiale lo guardò annoiato per poi tornare ad osservare il campo sottostante. “Abbiamo provato di tutto, signore! Nemmeno l’intervento del capitano ha prodotto risultati soddisfacenti. Purtroppo il ragazzo non si adatta all’ambiente.”

Alesic sbuffò sonoramente ed allontanandosi dalla finestra si avviò seguito a pochi passi dal sottotenente.

Alesic allungò il braccio e raccolse un bel boccone di cibo con il cucchiaio. Il ragazzo continuò a fissare il vuoto davanti a sé con quegli occhi azzurri privi ormai di vita. Un piccione si appollaiò sul davanzale della finestra e, mentre il rumore dei passi nel campo si fece più forte, Aris spalancò la bocca e mandò giù le patate calde, accompagnato dal sorriso di un uomo di mezza età.

La mensa dell’isola occupava interamente il primo piano dell’edificio meridionale. Poteva ospitare fino a quattrocento uomini contemporaneamente, anche se da qualche anno non se ne vedevano che centocinquanta al massimo. In effetti la crisi dell’arruolamento aveva spaventato tutti i vecchi lupi di mare che ormai si reggevano sui bastoni. Che fosse l’inizio della fine? Il Comandante non osava crederci. Più volte aveva sostenuto la necessità di imporre la coscrizione in tutto l’Impero, ma quegli obsoleti scheletri viventi si erano opposti sputandogli in faccia una patetica diffidenza verso tutto ciò che potesse lontanamente essere avvertito dalla popolazione come un obbligo. Chissà quali voci infamanti sarebbero girate sul conto della famiglia imperiale! “Già!” pensava l’uomo. “E allora rischiamo di rimanere senza difese per paura delle malelingue!” Con passo deciso, attraversò tutta la sala fino a raggiungere un tavolo in fondo. Su di una sedia era seduto un ragazzo dallo sguardo spento che fissava il piatto davanti a sé senza fiatare. Era lì da due ore e nonostante gli incitamenti del cuoco e di altri uomini, non aveva toccato cibo. Alesic si accomodò al suo fianco. “Mi hanno detto che non hai fame. Capisco che tu stia vivendo un momento particolarmente difficile, ma comportandoti in questo modo non aiuti noi e nemmeno te stesso. Vorresti morire di fame?” Il ragazzo sembrava non capire il senso delle sue parole. Era semplicemente imbambolato davanti al piatto di minestra e patate, estraniato dalla realtà circostante. “Ascoltami figliolo. Se ti dicessi che so cosa stai passando, ti mentirei. Non posso immaginare il dramma che vivi nel cuore e nell’animo, ma ritengo assurdo lasciarsi andare in questo modo. Quando ti ho raccolto su quell’isola ho visto qualcosa nei tuoi occhi…” Il Comandante tornò con la mente al giorno in cui la flotta raggiunse l’isola distrutta dall’incendio. Ricordava perfettamente i suoi ufficiali che tornavano a bordo riferendogli notizie agghiaccianti sulla fine di una cittadina tra le più belle del mare. Secondo le stime ufficiali, migliaia di anime avevano perso la vita quella notte. Nulla era stato risparmiato dalla furia delle fiamme e dei barbari assassini. Fu aperta repentinamente un’inchiesta, ma ancora nessuno aveva fatto luce sull’identità dei colpevoli. Sceso anche lui per vedere con i suoi occhi, si era imbattuto in quel ragazzo che davanti ai suoi uomini aveva reagito con una rabbia animalesca ferendone tre. Ora, invece, era tornato nel suo piccolo e segreto mondo fatto di innaturale distacco. “ Quando ti ho preso sulla mia nave, avevo fatto una scelta. Avevo deciso che saresti divenuto un ufficiale con la speranza che un giorno saresti riuscito a trovare gli assassini della tua famiglia. Ma se non vuoi aiutarti, come faccio a trasformarti in un uomo?”

 
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THE DAY AFTER...

Post n°4 pubblicato il 17 Dicembre 2005 da siberianeyes2
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Oggi il corso è durato dalle 11 alle 15,30. Quando siamo arrivati ci siamo subito accorti che i nostri responsabili non sono affatto coordinati. Uno diceva l'opposto dell'altro creando solamente molta confusione in cervelli già fuori uso come i nostri... Dopo due ore di affascinante corso sulle tecniche di comunicazione visive, uditive ecc...ce ne siamo andati a fare una meravigliosa pausa pranzo di 20 minuti durante la quale ho gentilmente approfittato del paninozzo della mia collega Carla. Altrimenti sarei morto di fame...con un bar che vende solo cose che non assomigliano a niente di commestibile e sano. Da lunedì riprenderò la vecchia abitudine di portare da casa un bel paninone gigante come ai tempi in cui ero in Telecom. Dopo la pausa abbiamo fatto un'ora e mezza di ascolto. Ognuno di noi era accanto ad un operatore e si faceva un'idea di come parlare al cliente ed usare il software aziendale per registrare le interviste o, nel migliore dei casi, i contratti realizzati. Il succo del discorso è questo(in termini economini):

facendo almeno 130 ore al mese di lavoro, si prende il minimo di 600 euro anche senza essere redditivi(ma non credo che in tal caso si duri molto in azienda...).

se non si raggiunge tale numero, lo stipendio viene calcolato in base ai contatti utili effettuati(almeno 10 contatti l'ora a 2 euro l'ora)+ 6 euro per ogni attivazione eseguita. Si usa il sistema dei contatti e delle attivazioni anche se lavorando cmq 130 ore, si ottengono più di 600 euro. Da quanto ho capito, a volte si può anche guadagnare fino al doppio del minimo garantito....ma credo che in tal caso la fortuna ci metta del suo. Lunedì farò dalle 15 alle 21. Vi terrò informati.

Buon weekend!

 
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Una silenziosa spettatrice.

Post n°3 pubblicato il 10 Dicembre 2005 da siberianeyes2
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La Piazza dell’Orologio costituiva il centro cittadino per eccellenza. Con i suoi duecento metri per lato accoglieva solitamente i mercati del pesce, dell’artigianato e degli ortaggi. A volte vi venivano eseguite le condanne a morte ed ogni quattro anni le elezioni delle rappresentanze cittadine. Quando la famiglia di Aris giunse sul luogo venne completamente travolta da una moltitudine indistinta di individui di qualunque estrazione sociale intenti ad occupare ogni centimetro di spazio libero. Com’era giusto che fosse, alcuni spalti in legno erano stati costruiti negli ultimi giorni al fine di permettere una visuale migliore al gotha dell’isola. Il baccano prodotto da grida, risate e passi svelti sul selciato era indescrivibile e la piccola Kya faceva una gran fatica a comprendere quanto il fratello le spiegava all’orecchio a proposito di quanto avrebbero visto quel giorno. Il padre e lo zio se ne stavano un po’ in disparte a salutare i conoscenti ed i facoltosi commercianti che correvano in tutta fretta a prendere posto, prima che l’Orologio rintoccasse l’inizio della cerimonia. Un folto schieramento di guardie era posto lungo i punti strategici del luogo onde evitare qualunque genere di imprevisto. Aris afferrò saldamente la manina di Kya per non perderla in mezzo alla folla in continuo movimento. Solo quando si rese conto della difficoltà dell’impresa, se la mise sulle spalle. “Fai la brava e non agitarti troppo altrimenti rischi di cadere.” La piccola sorrise dall’alto in basso scrutando con attenta curiosità lo scenario maestoso che le si parava davanti. Un grande palco era stato allestito sul lato nord della Piazza, proprio a ridosso del Municipio. Alcune guardie si apprestavano a farlo sgombrare da un gruppetto di arzille nonnine oltraggiate dalla gran calca che si affollava ai piedi degli spalti dove sedevano con i rispettivi mariti. Gli occhioni nocciola si alzarono istintivamente in direzione del grande orologio sulla torre del Municipio ed un forte rintocco annunciò l’arrivo degli ospiti. Sul palco alcuni uomini suonarono le trombe accompagnando l’ingresso quasi trionfante del Sindaco Karine, impacciato nei movimenti a causa dell’immensa stazza, e del vice Sindaco Oronos, suo fedelissimo servitore nonché fratellastro. Li seguivano gli stranieri giunti da poco sull’isola. Il discorso della “Sfera occhialuta” durò almeno due ore, durante le quali il popolo si accorse per l’ennesima volta della pesantezza della sua oratoria senza fine. Infatti alcuni uomini d’affari si erano allontanati nel frattempo sbuffando nervosamente, mentre una decina almeno di signore-bene era stata colta da collassi imbarazzanti. Aris, dal canto suo, aveva avuto molto da fare per tenere ferma sulle spalle quella piccola diavoletta che si agitava per un nonnulla. Nonostante ciò aveva compreso a fondo quanto detto dal sindaco:gli stranieri erano facoltosi commercianti provenienti dai mari orientali e dopo aver interrotto i traffici con l’Impero, si erano convinti di aver trovato un ottimo cliente nell’isola. Tale scelta avrebbe incrementato le importazioni di merci pregiate, rendendo al contempo più competitiva l’economia isolana. Le presentazioni con relativo inchino degli ospiti suscitarono entusiasmo e grida euforiche da parte di tutti i presenti. Sul tragitto verso casa gli adulti erano affascinati all’idea di poter finalmente mettere le mani su alcuni beni provenienti dai paesi dell’est. Soprattutto il padre di Aris, che con il minerale Moraca poteva costruire orologi di una precisione mai pensata prima. A cena la famiglia ospitò lo zio ed altri parenti. Almeno venti persone festanti banchettavano attorno al tavolo della cucina. Aris, Kya ed i cugini andarono subito in soffitta dove giocarono fino ad ora tarda. All’una di notte tutto il quartiere era sprofondato nel silenzio. Il fumo delle ultime braci lasciava un po’ di odore nell’aria frizzantina, mentre la luna prese a regnare incontrastata sulle anime della città addormentata. Il respiro della sorella sul collo destò il ragazzo che con pigri movimenti uscì dalla finestra e, salito sul tetto, prese ad osservare il pallido disco argentato nel cielo. Un’altra giornata era finita ed il futuro diveniva sempre più incombente. Aris ripensò spesso alla proposta dello zio di partire per un viaggio in nave della durata di qualche mese. Avrebbe visitato a lui sconosciuti, ma soprattutto, avrebbe avuto il tempo per fare chiarezza sul da farsi in relazione al fatto di proseguire o meno la strada intrapresa dal padre e dai suoi avi nel campo degli orologi. In quella fredda notte, però non sentiva dentro di sé l’entusiasmo per una vita stretta tra le quattro mura di una bottega nell’intento di catturare il tempo….Già, il tempo….una forza della quale a malapena avvertiva la straordinaria grandezza a soli dieci anni. Fece un respiro profondo per riempirsi i polmoni di quell’aria fredda e benefica, ma a stento si trattenne dal tossire. Un intenso odore di bruciato gli aveva offeso le narici facendolo alzare in piedi per verificare da dove provenisse. Fu allora che udì i botti assordanti:colpi di cannone, ne era certo. Da quel momento in poi gli eventi precipitarono in fretta nella loro agghiacciante follia. I primi incendi interessarono il quartiere portuale dove le casette di legno abitate da tanti pescatori, bruciarono furiosamente non lasciando scampo agli occupanti. Grida disperate si alzarono alte nel cielo, mentre boati sordi riempirono l’aria da quartiere a quartiere. Vetri rotti, porte divelte, ancora fiamme e poi grida, grida, grida. Aris osservava il terrificante spettacolo dall’alto del tetto, quando il padre lo afferrò con forza e lo spinse dentro casa. Tutti erano in agitazione. Gli adulti erano indecisi sul da fare. Fuggire era la soluzione migliore anche se all’oscuro di quanto stesse accadendo, non era prudente uscire in strada. Lo zio di Aris prese alcuni coltelli da cucina e li consegnò ai maschi. Le bambine furono portate nella stanza di sopra e nascoste sotto i letti. Nel frattempo in città il caos aveva preso il sopravvento. Le fiamme, alimentate da una particolare miscela incendiaria, venivano spinte dal vento verso la collina. In breve anche il quartiere dell’Orologio divenne una vasta massa ardente. Chi non trovava la morte nei roghi scappava per le strette viuzze dell’abitato finendo spesso davanti alle armi degli invasori, che li massacravano senza alcuna pietà. Alcune palle di cannone sparate dalle navi nemiche sorvolavano la città per poi schiantarsi contro gli edifici a ridosso della collina. Una di queste mancò di pochi metri la casa nella quale Aris teneva un coltello in mano e tremava di paura. Le urla ripresero con forza a trapanargli i timpani. Urla di dolore, di disperazione, di rabbia. Urla umane e non. La follia entrò nella vita di un giovane sognatore di dieci anni quando i suoi grandi occhi azzurri videro la porta di casa sbriciolarsi sotto i colpi d’ascia;quando lo zio venne trafitto dalla lama splendente di un animale accecato dall’ira, quando il padre fece da scudo tra una scure e la sua testolina inchiodata dal terrore; quando gli uomini di casa vennero falciati dalle spade insanguinate di giganti incappucciati; quando la madre cercò di impedire ad uno di loro di raggiungere il piano superiore. Ma la morte che aveva fatto la sua comparsa reclamando anime in pasto, lo destò dal torpore del terrore quando la sorellina Kya fu afferrata in alto e scaraventata contro la parete per poi essere decapitata da un colpo d’ascia. Un silenzio innaturale avvolse il ragazzo isolandolo dalle grida furiose del massacro, mentre il sangue della bambina gli colpiva il viso appannandogli la vista e la testa rotolava sul pavimento con una lentezza quasi esasperante. Due grandi nocciole travolte dalla follia lo fissavano dal basso. Aris prese la testa della sorella tra le mani. Non era più in sé. “Corri, corri, corri!” Un pensiero razionale gli attraversò la mente quel poco che bastava per farlo scappare via di corsa schivando due spade durante il passaggio. Corse come un ossesso, ma quella sera non doveva battere alcun record. Gli mancò presto il fiato, ma continuò a salire il pendio in direzione della collina. Senza voltarsi nemmeno una volta arrivò davanti al Tempio. Tuttavia scappò nella direzione opposta infilandosi nella fitta boscaglia che copriva il resto dell’isola. Dietro di sé avvertì ancora le urla degli uomini e delle fiamme, ma ben presto si fecero più attutite. Un’ora dopo dovette fermarsi in una piccola radura affacciata su di un minuscolo specchio d’acqua. Accasciatosi a terra attese che il respiro tornasse regolare, poi, con grande sforzo vi si specchiò dentro e grazie alla luce lunare vide uno spettro. Il sangue macchiava in modo indecente il suo viso. Ma la cosa inquietante era vedere quei cristalli azzurri completamente spenti. Gli occhi di un sognatore che aveva perso tutto in un attimo. Quegli stessi occhi che rimasero tutta la notte ad osservare la testa di una piccola diavoletta che gli era stata strappata via dalla follia umana. Il pianto di un piccolo uomo ferito squarciò indelebilmente la quiete del bosco....E la luna rimase ad osservare silente.

 
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 Sogni di un bambino.

Post n°2 pubblicato il 06 Dicembre 2005 da siberianeyes2
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“Non correre Aris!” gli urlò dietro la sorellina Kya nell’intento di mantenere il suo ritmo frenetico. Attraversarono velocemente il quartiere Alto della città facendo zig zag tra le persone indaffarate che affollavano le stradine strette proseguendo verso la sommità della collina. Non appena uscirono dal centro abitato lasciandosi dietro le ultime casupole della periferia, si accinsero ad arrampicarsi per il ripido pendio che fungeva da scorciatoia verso il Grande Tempio su in cima. Arrivarono davanti all’edificio abbandonato dopo pochi minuti, completamente sudati e senza fiato. “Uffa! Ma perché hai sempre fretta di venire quassù? Nostro padre vuole vederci nella piazza Centrale all’ora di pranzo!” riuscì a dire la povera piccola: sei anni portati benissimo da una vispa e sorridente bimba con le treccine e due grandi occhi color nocciola. “Lo sai che amo questo luogo deserto e ricco di storia. E poi da qui posso ammirare la bellezza della nostra città vivendo tutte le emozioni che tale spettacolo mi suscita.” Aris respirò profondamente prima di voltarsi verso l’edificio alle sue spalle. Il Grande Tempio era stato eretto più di tre secoli prima e da allora era stato considerato il centro religioso e simbolico di tutta la sua amata isola. Poi, però, dieci anni prima ne fu stabilita la chiusura ad opera del governo dell’epoca allo scopo di incentivare la creazione di siti religiosi più vicini al centro storico ed alla costa. Lui era appena nato, quando una simile decisione fu presa dalla maggioranza dei rappresentanti cittadini. Tutto ciò che rimaneva dell’imponente struttura testimoniante la grandezza culturale dei suoi costruttori, erano le mura solide ed un solo rosone. Il tetto era stato demolito abusivamente da alcuni spietati delinquenti al fine di utilizzare i materiali per la costruzione di palazzine nelle zone circostanti. Arredi, vetrate, e quant’altro fosse al suo interno, trafugato da ladri o semplicemente spostato in altri edifici di culto. Il vento prese a farsi sentire prepotentemente facendo rabbrividire i due ragazzini ancora sudati per la lunga corsa. Aris levò lo sguardo al paesaggio che si stagliava ai suoi piedi. Alle pendici del colle, cominciava un’infinita fila di casette dai tetti coloratissimi che tra stradine strette ed innumerevoli canali artificiali si protendeva verso il mare ben visibile in lontananza. Gli edifici erano mediamente bassi, con non più di tre piani e nella maggioranza dei casi erano abitati da singole famiglie. Di solito le botteghe erano al piano terra, aperte dall’alba al tramonto. Le case più lussuose erano quelle di ricchi commercianti o politici ed occupavano il quartiere dell’Orologio, il più antico e meglio strutturato. Si ergeva su di una piccola collinetta e separava il quartiere degli artigiani dal fiume Oron. Le ville erano costruite su due livelli e possedevano a volte vasti giardini privati che rappresentavano un ottimo polmone verde all’interno dell’abitato. Più in lontananza, oltre il fiume che divideva la città in due parti, si poteva scorgere il quartiere portuale, dove numerose famiglie di pescatori permettevano all’intera economia cittadina di progredire anno dopo anno. Aris dovette sforzarsi un po’ per intravedere le vele bianche di alcune barche ormeggiate nel porto ed il grande faro sul promontorio poco distante. I grandi occhi azzurri sorridevano a quel meraviglioso spettacolo, mentre il vento accarezzava i lunghi capelli corvini. All’età di dieci anni, il ragazzo poteva seriamente prendere in considerazione l’idea di lavorare con il padre nella bottega di orologiaio che andava avanti da generazioni. Ma quando era lì, non poteva non immaginarsi un mondo di avventure e di straordinari luoghi che avrebbero potuto divenire oggetto di scoperta. Non a caso nell’ultimo anno era stato molto influenzato dai discorsi dello zio, un vecchio e furbo commerciante di vino che aveva attraversato il  mare in lungo e in largo narrandogli storie a non finire. “Dai, torniamo giù? Non voglio subire una sgridata per colpa tua! E poi facciamo tardi per il raduno in piazza. Non sei curioso di conoscere gli stranieri?” La piccola Kya si mise le mani in tasca facendo il broncio e sbuffando sonoramente per attirare l’attenzione del fratello. La sera prima due enormi vascelli erano giunti in porto. I viaggiatori erano stati accolti bene dalla popolazione ed una delegazione comunale li aveva scortati in Municipio per trattare alcuni affari. Quella mattina sarebbero stati presentati al popolo dal sindaco in persona.  La curiosità per i nuovi arrivati aveva coinvolto ogni cittadino in grado di intendere e volere ed una raffica di indiscrezioni si era sparsa a macchia d’olio in tutta l’isola. “Va bene, andiamo altrimenti mi innervosisci con i tuoi continui lamenti.” Prese la sorella per la mano e corse giù per la collina gridando di gioia, mentre Kya malediceva un simile quanto strambo comportamento. Le strette viuzze che dividevano gli edifici si prestavano perfettamente ad uno dei giochi più crudeli di Aris. In poche parole, si trattava di correre in modo sfrenato tenendosi al centro della stradina, con le braccia aperte di lato ed urlando con quanto fiato si avesse in gola. Il passaggio di una furia di questo livello faceva sempre qualche innocente vittima. Alcune vecchiette venivano travolte con tutti i cesti del bucato o della spesa e spesso la medesima sorte toccava a sfortunati carrettieri che vedevano rovesciarsi il loro prezioso carico da tutte le parti. In realtà il gioco era stato partorito da quella mente geniale di Koroj, il capo della”banda degli scalpelli”: un gruppo di piccoli teppisti figli di artigiani che spadroneggiavano in tutta la periferia. Il record era stato di un certo Doerib che anni prima(così si raccontava) era stato in grado di correre dalla collina al mare travolgendo un centinaio di persone e facendo andare fuori strada persino una carrozza delle guardie comunali prima di essere arrestato e condannato a morte(qui la leggenda diventava meno precisa…). Da allora qualunque ragazzino faceva quel gioco buffo e pericoloso. Mentre procedeva spedito lungo le stradine in discesa della città, Aris udì distintamente il rintocco dell’Orologio Astronomico, gioiello architettonico dell’isola e vanto in tutto il mare. Furono i suoi avi a costruirne i complessi ingranaggi che non avevano mai mostrato segni di usura in due secoli. Rallentando il passo permise alla sorellina di affiancarlo ed assieme percorsero gli ultimi metri che li separavano da casa. Sull’uscio il padre e lo zio discutevano animatamente e quando li videro arrivare interruppero il discorso, ma solo per permettere all’uomo di afferrare il ragazzo per la camicia. “Quante volte ti ho detto di non andare in giro per la città quando sai che abbiamo un impegno? Aris, non cambierai mai! Ora fila a lavarti e mettiti qualcosa di asciutto perché non ho alcuna intenzione di sfigurare davanti al resto dei cittadini che contano. Muoviti! E porta con te tua sorella!” Il tono perentorio non ammetteva repliche ed il giovane abbassando il capo entrò in casa sbuffando come al solito….

 
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