Una silenziosa spettatrice. »

 Sogni di un bambino.

Post n°2 pubblicato il 06 Dicembre 2005 da siberianeyes2

“Non correre Aris!” gli urlò dietro la sorellina Kya nell’intento di mantenere il suo ritmo frenetico. Attraversarono velocemente il quartiere Alto della città facendo zig zag tra le persone indaffarate che affollavano le stradine strette proseguendo verso la sommità della collina. Non appena uscirono dal centro abitato lasciandosi dietro le ultime casupole della periferia, si accinsero ad arrampicarsi per il ripido pendio che fungeva da scorciatoia verso il Grande Tempio su in cima. Arrivarono davanti all’edificio abbandonato dopo pochi minuti, completamente sudati e senza fiato. “Uffa! Ma perché hai sempre fretta di venire quassù? Nostro padre vuole vederci nella piazza Centrale all’ora di pranzo!” riuscì a dire la povera piccola: sei anni portati benissimo da una vispa e sorridente bimba con le treccine e due grandi occhi color nocciola. “Lo sai che amo questo luogo deserto e ricco di storia. E poi da qui posso ammirare la bellezza della nostra città vivendo tutte le emozioni che tale spettacolo mi suscita.” Aris respirò profondamente prima di voltarsi verso l’edificio alle sue spalle. Il Grande Tempio era stato eretto più di tre secoli prima e da allora era stato considerato il centro religioso e simbolico di tutta la sua amata isola. Poi, però, dieci anni prima ne fu stabilita la chiusura ad opera del governo dell’epoca allo scopo di incentivare la creazione di siti religiosi più vicini al centro storico ed alla costa. Lui era appena nato, quando una simile decisione fu presa dalla maggioranza dei rappresentanti cittadini. Tutto ciò che rimaneva dell’imponente struttura testimoniante la grandezza culturale dei suoi costruttori, erano le mura solide ed un solo rosone. Il tetto era stato demolito abusivamente da alcuni spietati delinquenti al fine di utilizzare i materiali per la costruzione di palazzine nelle zone circostanti. Arredi, vetrate, e quant’altro fosse al suo interno, trafugato da ladri o semplicemente spostato in altri edifici di culto. Il vento prese a farsi sentire prepotentemente facendo rabbrividire i due ragazzini ancora sudati per la lunga corsa. Aris levò lo sguardo al paesaggio che si stagliava ai suoi piedi. Alle pendici del colle, cominciava un’infinita fila di casette dai tetti coloratissimi che tra stradine strette ed innumerevoli canali artificiali si protendeva verso il mare ben visibile in lontananza. Gli edifici erano mediamente bassi, con non più di tre piani e nella maggioranza dei casi erano abitati da singole famiglie. Di solito le botteghe erano al piano terra, aperte dall’alba al tramonto. Le case più lussuose erano quelle di ricchi commercianti o politici ed occupavano il quartiere dell’Orologio, il più antico e meglio strutturato. Si ergeva su di una piccola collinetta e separava il quartiere degli artigiani dal fiume Oron. Le ville erano costruite su due livelli e possedevano a volte vasti giardini privati che rappresentavano un ottimo polmone verde all’interno dell’abitato. Più in lontananza, oltre il fiume che divideva la città in due parti, si poteva scorgere il quartiere portuale, dove numerose famiglie di pescatori permettevano all’intera economia cittadina di progredire anno dopo anno. Aris dovette sforzarsi un po’ per intravedere le vele bianche di alcune barche ormeggiate nel porto ed il grande faro sul promontorio poco distante. I grandi occhi azzurri sorridevano a quel meraviglioso spettacolo, mentre il vento accarezzava i lunghi capelli corvini. All’età di dieci anni, il ragazzo poteva seriamente prendere in considerazione l’idea di lavorare con il padre nella bottega di orologiaio che andava avanti da generazioni. Ma quando era lì, non poteva non immaginarsi un mondo di avventure e di straordinari luoghi che avrebbero potuto divenire oggetto di scoperta. Non a caso nell’ultimo anno era stato molto influenzato dai discorsi dello zio, un vecchio e furbo commerciante di vino che aveva attraversato il  mare in lungo e in largo narrandogli storie a non finire. “Dai, torniamo giù? Non voglio subire una sgridata per colpa tua! E poi facciamo tardi per il raduno in piazza. Non sei curioso di conoscere gli stranieri?” La piccola Kya si mise le mani in tasca facendo il broncio e sbuffando sonoramente per attirare l’attenzione del fratello. La sera prima due enormi vascelli erano giunti in porto. I viaggiatori erano stati accolti bene dalla popolazione ed una delegazione comunale li aveva scortati in Municipio per trattare alcuni affari. Quella mattina sarebbero stati presentati al popolo dal sindaco in persona.  La curiosità per i nuovi arrivati aveva coinvolto ogni cittadino in grado di intendere e volere ed una raffica di indiscrezioni si era sparsa a macchia d’olio in tutta l’isola. “Va bene, andiamo altrimenti mi innervosisci con i tuoi continui lamenti.” Prese la sorella per la mano e corse giù per la collina gridando di gioia, mentre Kya malediceva un simile quanto strambo comportamento. Le strette viuzze che dividevano gli edifici si prestavano perfettamente ad uno dei giochi più crudeli di Aris. In poche parole, si trattava di correre in modo sfrenato tenendosi al centro della stradina, con le braccia aperte di lato ed urlando con quanto fiato si avesse in gola. Il passaggio di una furia di questo livello faceva sempre qualche innocente vittima. Alcune vecchiette venivano travolte con tutti i cesti del bucato o della spesa e spesso la medesima sorte toccava a sfortunati carrettieri che vedevano rovesciarsi il loro prezioso carico da tutte le parti. In realtà il gioco era stato partorito da quella mente geniale di Koroj, il capo della”banda degli scalpelli”: un gruppo di piccoli teppisti figli di artigiani che spadroneggiavano in tutta la periferia. Il record era stato di un certo Doerib che anni prima(così si raccontava) era stato in grado di correre dalla collina al mare travolgendo un centinaio di persone e facendo andare fuori strada persino una carrozza delle guardie comunali prima di essere arrestato e condannato a morte(qui la leggenda diventava meno precisa…). Da allora qualunque ragazzino faceva quel gioco buffo e pericoloso. Mentre procedeva spedito lungo le stradine in discesa della città, Aris udì distintamente il rintocco dell’Orologio Astronomico, gioiello architettonico dell’isola e vanto in tutto il mare. Furono i suoi avi a costruirne i complessi ingranaggi che non avevano mai mostrato segni di usura in due secoli. Rallentando il passo permise alla sorellina di affiancarlo ed assieme percorsero gli ultimi metri che li separavano da casa. Sull’uscio il padre e lo zio discutevano animatamente e quando li videro arrivare interruppero il discorso, ma solo per permettere all’uomo di afferrare il ragazzo per la camicia. “Quante volte ti ho detto di non andare in giro per la città quando sai che abbiamo un impegno? Aris, non cambierai mai! Ora fila a lavarti e mettiti qualcosa di asciutto perché non ho alcuna intenzione di sfigurare davanti al resto dei cittadini che contano. Muoviti! E porta con te tua sorella!” Il tono perentorio non ammetteva repliche ed il giovane abbassando il capo entrò in casa sbuffando come al solito….

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Commenti al Post:
sailorPAPERINA
sailorPAPERINA il 07/12/05 alle 09:44 via WEB
Incipit avvolgente,interessante e molto piacevole. La lettura è molto fluida e spazia dal racconto,molto ben impostato,alla descrizione dei luoghi,meravigliosi e che si ripropongono nella mente molto facilmente,alla critica sporadica. Un buon inizio per un romanzo fresco e giovanile!!! Complimenti....kisss
(Rispondi)
siberianeyes
siberianeyes il 07/12/05 alle 16:15 via WEB
dalla mia insigne professoressa non mi aspettavo un commento diverso da questo. Sono commosso e risoluto nell'andare avanti. Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeee piccola:-)
(Rispondi)
sailorPAPERINA
sailorPAPERINA il 07/12/05 alle 19:11 via WEB
pregooooooooooo!"!!!!
(Rispondi)
toorresa
toorresa il 24/03/09 alle 12:49 via WEB
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