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DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 40

Post n°40 pubblicato il 10 Aprile 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

WUTHERING HEIGHTS: FAR FROM THE MADDING CROWD (2004)

Dall’ultimo messaggio inviato ne sono successe di cose, in particolar modo, negli ultimi caotici giorni. Oggi mi ritrovo a scrivere mentre Berlusconi si è dimesso, l’Inter ha vinto “da provinciale” contro la Juventus, e Ratzinger si è ritrovato Papa. Frammenti di storia. Tornando sulla terra, la mia terra, ho ultimamente trascurato il blog, purtroppo, gli impegni sono tanti e bisogna “farsi in quattro” per non lasciarsi trascinare nell’abisso. Non disperate, miei fidi lettori. Gli operai sono appena giunti nel cantiere. Dovranno costruire un palazzo di dieci piani, come il numero delle recensioni che affiderò voi durante questo scorcio di aprile e le prime luci di maggio. I progetti sono stati ben definiti, presto ne verrete a conoscenza, intanto, posso solo anticipare che ho intenzione di edificare un vero e proprio percorso sonoro, lasciando spazio anche a qualche disco non propriamente riguardante la sfera metallica, che però avrà il suo apice nell’ultima recensione. Abbiate fiducia. Spazio ora a vicende meno “amene”.

Wuthering Heights. Non il noto libro della scrittrice inglese Emily Brönte! Li conoscete? No? Ve li presento. Si tratta di cinque danesi: il bassista Erik Ravn, il cantante Nils Patrik Johansson, il tastierista Rune Brink, il batterista Morten Sørensen e il chitarrista Henrik Flyman, autori di un gran disco, il terzo della loro breve carriera. Con il fortunato esordio di Within (1999) avevano dimostrato di possedere delle buone potenzialità a livello di songwriting, leggermente offuscate da una produzione non proprio all’altezza, mentre To Travel For Evermore (2002) testimoniarono un chiaro interesse per il power progressive accompagnato da “qualche” orchestrazione ben inserita nel contesto, che rendeva il tutto molto piacevole. Avevo apprezzato tali lavori dei Wuthering Heights, senza innalzarli a stelle di prima grandezza in considerazione di idee già ampiamente sfruttate dalla gran parte delle power metal band. Con Far From The Madding Crowd, il bassista nonché mastermind del quintetto, Erik Ravn, e i suoi prodi aggiustano il tiro verso sonorità più squisitamente “metalliche” venate da arrangiamenti medievaleggianti che ricordano da vicino i “maestri” Blind Guardian, soprattutto nei cori in chiave più soft, e in alcuni passaggi, i Running Wild, ma è anche possibile il paragone con gli spagnoli Mago De Oz. Tutto ciò in virtù di alcuni fattori che hanno giocato un ruolo rilevante in questo cambio di direzione, primo tra tutti l’entrata del suggestivo vocalist Nils Patrik Johansson (ex Astral Doors e Space Odyssey) in luogo del più “leggero” Kristian Andren, dotato di una voce più potente, sicuramente più adatta a brani di maggior potenza sonora, grazie ad un piacevole timbro caldo ed un po’ roco. Il suo cambio di tonalità confonde l’ascoltatore infatti sembra di assistere a una sorta di metal opera con più singer in un unico brano. di assistere a una sorta di metal opera con più voci in un unico brano. Tutti gli onori quindi ad un singer che, pur non raggiungendo altezze stratosferiche, riesce a fare ottimo sfoggio delle sue capacità tecniche. Secondo elemento, il fatto di trattare in modo più approfondito tematiche fantasy e temi cari più all’epic che al prog metal in senso lato, a tal proposito, anticipo che i testi sono bene e volentieri ispirati al leggendario capolavoro "Il Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien. La febbre della Terra di Mezzo colpisce ancora. Terzo elemento, data la moltitudine di uscite insensate che affollano il mercato discografico, non è cosa da tutti possedere discrete capacità esecutive e compositive, integrate perfettamente nelle loro trame da episodi folk: accenni di violino e flauto sempre discreti che non turbano affatto la potenza della dimensione epica proposta, arricchita da banjo, tamburelli, chitarre rocciose, vorticose accelerazioni, voci basse e possenti, cori country e/o epici. Partendo da una base power metal, i cinque danesi spaziano in molteplici generi musicali, adottando diversi strumenti e soluzioni tipiche di alcuni dei generi sopra citati. E’ davvero incredibile come al giorno d’oggi i nomi meno conosciuti e meno pubblicizzati riescano a regalare splendidi album, che a mio avviso, i nomi più grandi e spesso sopravvalutati, non riescono, o magari non hanno più interesse a fare, essendo ormai diventati molto più attenti alle esigenze del mercato, anziché dar sfogo alla propria personalità compositiva. Insomma, era da un po' di tempo che aspettavo un album così. Quarto elemento, senza dubbio, è notevole la produzione che permette una resa sonora ottimale, parimenti ottime sono le prove di tutti i musicisti. Un nuovo colpo riuscito da parte dell'attiva casa discografica spagnola Locomotive Music, che stavolta suggella l'uscita di questo validissimo gruppo, giunto al traguardo del terzo album, solitamente la montagna più impervia da scalare. Il disco in questione va inoltre considerato nella sua interezza perché tutte le canzoni sono praticamente legate l'una all'altra e presentano tutte una continua alternanza di parte veloci e graffianti, con inserti neoclassici mai fuori luogo particolarmente negli assoli eseguiti dal sempre preciso Henrik Flyman, a parti lente e spettacolari. Le undici tracce qui presenti sono da ascrivere al metal più ridondante, mentre la componente prettamente gotica si riduce a ben poche scorie. Quando queste emergono, sparse in un contesto di grande compattezza, contribuiscono a donare alla traccia in questione una velata aura drammatica, colorando di oscuro passaggi sovente ricchi di suggestione. Senza ombra di dubbio è il caso delle cornamuse nella parte iniziale della breve apertura “celtica”: Gather Ye Wild. Quest’ultima introduce una delle canzoni più azzeccate dell’album, vale a dire, The Road Goes Ever On, un pezzo complesso perché, all’iniziale intreccio di sognanti violini e melodie vocali, nel giro di pochi secondi, questi lasceranno spazio all’esplosione di un martellante power metal con svariati richiami folkeggianti, sino ad arrivare al suo particolare refrain, con un accelerazione centrale tipica dello speed power, dove la chitarra ritmica è sporca e graffiante, mentre la chitarra principale è fin troppo pulita, esasperata. Il suono conseguito sembra quasi “elettronico”. Ebbene ritengo che questo sia il pezzo in grado di racchiudere tutti gli elementi sopra descritti in quasi otto minuti di canzone. Altrettanto spettacolare il mid-tempo della successiva traccia, Tree, che raggiunge l’apice in un chorus da cantare e ricantare. Valida. Ciò che segue è qualcosa di monumentale: Longing for the woods, che si attesta come uno dei momenti più ispirati dell’intero platter. Si tratta di una suite “spalmata” in tre parti, cioè The Wild Children (quarta traccia), The Ring Of Fire (sesta traccia) e Herne's Prophecy (nona traccia), per un totale di circa venti e più minuti di musica. Il “tema a puntate” è da sempre un vero e proprio cliqué dei Wuthering Heights. Il primo capitolo ha un intro dalla chitarra leggermente ansiogena, poi improvvisamente cambia rotta per far provare all’ascoltatore praticamente di tutto: da un motivetto carino di flauto che riprende la linea della chitarra, ad un tamburello con sonagli e fino ad un banjo che spinge la canzone alle soglie del genere più country che mai. Melodica. In effetti, chiunque direbbe al primo impatto “che scherzo è?”, invece, il tutto è ben combinato, anche se ritengo che alle spalle ci sia stato un bel lavoro di arrangiamento in studio, sintesi di un riuscito incrocio tra i Jethro Tull e i Blind Guardian. Il secondo capitolo, piuttosto, scorre via liscio, c'è solo un po’ di spazio in più per il basso e per l’uso di vocals, che, in primis, rimandano ai recenti Symphony X, per poi arrivare ai primi Scorpions, con splendidi cori epici e degni dei migliori Rhapsody. Conferma della perizia della band. Ricca. Il terzo capitolo spinge maggiormente su sonorità power di stampo teutonico non disdegnando grande enfasi negli arrangiamenti. Possenti chitarre per una bella cavalcata. Non è facile descrivere questi tre divisi episodi poiché contengono numerosi cambi di tempo, aperture sinfoniche che si alternano a parti heavy e, come se non bastasse, il consueto cambio di tonalità del singer che evidenzia ancor di più queste variazioni. Le suggestive orchestrazioni, comunque, sono sempre perfettamente inserite, mai invadenti. Le tracce che danno vita alla cornice di contorno di tale quadro musicale sono Highland Winds, in quinta posizione, The Bollard, in settima e la schizofrenica Bad Hobbits Die Hard in ottava. Procedo con ordine, dunque, Highlands Winds, è caratterizzata in partenza da un riff tipicamente folk, per poi adagiarsi su cori country, impreziositi da imponenti assoli smorzati. Magniloquente. Una commovente ballata celtica è The Bollard, dove flauto e chitarra fanno da sfondo al particolare cantato: una doppia voce inizialmente in contrasto (separata anche nelle due uscite delle casse) che successivamente diventa corale; brano assolutamente da sentire in cuffia per apprezzarlo fino in fondo. Parecchio veloce e aggressiva è l'ottima strumentale, immancabile in un album dei Wuthering Heights, Bad Hobbits Die Hard incentrata sul dualismo solistico di chitarra e tastiera con i soli di chitarra molto "napoletaneggianti" con quell'incedere da tarantella esportato dal triestino Luca Turilli. Un virtuosismo funambolico. Piuttosto, la decima traccia, Land Of Golden Glory è intrisa di magia e rappresenta il trade-mark del quintetto. Come chiusura del disco è posta la ballata medievale Lament For Lórien, che così come suggerisce il nome, non può che essere un brano lento sorretto da un'atmosfera maestosa e malinconica. Sognante undicesima traccia, dove le chitarre sono completamente abolite e rimpiazzate dagli archi, associati a canti corali ed un'arpa che addolcisce e tinge l'aria di rosa. Di più, non si può pretendere!

 
 
 
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