Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 25 Aprile 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

GORILLAZ: GORILLAZ (2001)

Chi di voi non ha mai sentito il martellante ritornello “…I ain’t happy, I’m feeling glad, I got sunshine, in a bag, I’m useless…”? Ormai queste parole, storpiate, rimescolate e canticchiate fanno parte dei ricordi del 2001 in tutti i sensi, come l’onnipresente nome Gorillaz. Ma chi sono realmente i Gorillaz? Nessuno scherzo. Una band virtuale, i cui componenti sono misteriosi e ignoti, rappresentati solo dal genio di un noto fumettista, anche se ormai tutti sanno che i Gorillaz sono: principalmente Damon Albarn, cantante dei Blur (2D), l’ex bassista dei Talkin’ Heads, Chris Frantz (Murdoc), la chitarrista giapponesina Miho Hatori delle Cibomatto (Noodle) e Russel. Tuttavia, non li incontrerete mai. Le facce e il mondo dei Gorillaz sono a cura del papà di Tank Girl. Tank Girl, il fumetto, perché il lavoro di Jamie Hewlett fa parte di questo progetto, ne ricalca e ne indirizza gli umori. Che alla fine sanno di un futuro urbano molto prossimo, e umano, più che tecnologico. Un'operazione davvero al passo coi tempi, e che forse ha anche qualche cosa da suggerire per il futuro del pop. Prima viene fuori un sito web, fumettistico, curioso e ricco; scatta un inesorabile tam-tam di quelli che in rete riescono velocemente a raggiungere molti e l'interesse sale, ma resta l'anonimato dietro i nomi di Murdoc, Russel, 2D e Noodle. A seguire esce l'EP Tomorrow Comes Today (2001) e vengono fuori le menti, cioè Damon Albarn, che coi suoi Blur ha mostrato come dai Beatles si possa ancora attingere senza stancarsi né stancare, e Dan The Automator Nakamura, uno dei padri del nuovo hip-hop. Così si passa alla pubblicazione di Gorillaz che prosegue nell'intento di volersi mascherare sotto qualunque parola che non sia l'odiata pop. A livello di marketing ci siamo davvero, perché tanto a costoro i soldi non mancano e sperimentare nuove strade mediatiche è qualcosa che possono fare senza troppi rischi. La musica? Essenziale è dire che Damon Albarn ha portato tutto il lavoro sulle spalle con i Blur, in questo innovativo progetto musicale, aggiungendo una vena più elettronica e un’originalità ancor più sorprendente di quella di fabbrica Blur. Insomma, in questo disco c’è veramente di tutto. Il minestrone proposto è un alternarsi di divertimento puro, dolcezza misteriosa, energia e atmosfere più dark. Ciò che accomuna il tutto è proprio la versatile voce di Damon Albarn, che comunque compie un ottimo lavoro di trasformista, assumendo un tono più esasperato nei pezzi più rock, uno più tenue per le canzoni più delicate, per il resto ci sembra sempre il nostro vecchio Damon Albarn, con una voce che ci riporta ai tempi di Parklife (1994), il miglior lavoro dei Blur. In più c’è da dire che questi non canta esattamente tutti i pezzi… Il disco in sé, nonostante qualche disomogeneità nella tracklist, presenta un buon livello complessivo e lascia intendere che si tratta di qualcosa di più di un esperimento estemporaneo: l'apripista dei quindici brani è l'ipnotica e blanda Re-Hash, divertentissima ballata elettropop, un pezzo che fa letteralmente sognare, ed introduce un po’ nel mondo virtuale dei Gorillaz, che da qui in poi sembrerà già più reale. Quindi, si attacca con le chitarre di 5/4, che sono quasi un’unione tra tutti i lavori dei Blur; anche qui il divertimento è assicurato, e si balla che è una meraviglia. Groove sporco. Seguito a ruota dal basso narcolettico che colora Tomorrow Comes Today.

Dunque, una ballata più soft, dove si anticipano i classici e bizzarri suoni di sottofondo riscontrabili in Clint Eastwood, che ormai sono giù un marchio di fabbrica. La canzone è accompagnata da una vena malinconica, e il titolo ha un certo che di mistero. Il domani viene oggi. Un primo cambio di marcia dell'album è offerto dalla cupa e irresistibile New Genious, dove si mantiene lo stile soft con venature elettroniche della precedente canzone. Pregevole. Dopo di che tocca inequivocabilmente a Clint Eastwood, un’osannata canzone che non fa testo, e non si può criticare, in quanto successone dell’anno. Primo singolo estratto, Clint Eastwood, brano che ha sedotto "trasversalmente" un pubblico vastissimo, di tutte le età, classi sociali ed inclinazioni. A cominciare dal titolo, capace di attrarre la curiosità tanto dello smaliziato intenditore quanto dell'incauto consumatore di "frequenze medie", per passare dalla base, cadenzata nella battuta lenta doppiata dal piano ed evocativa nelle incursioni d'armonica, ed arrivare al cantato, giocato sul contrasto tra l'inflessione monotono di Damon Albarn nel ritornello e gli inserti aggressivi del rap di Del Tha Funky Homosapien. Geniale.

La sesta traccia è Man Research, lo stile è quello, però si sente molto di più un ritmo scandito a tempo rap. Alla lunga è un po’ noiosa, ma si ascolta anche questa. Sul retro della copertina, la settima traccia è scritta a caratteri più piccoli, quasi ad affacciarsi timidamente, e in effetti si ritaglia una parte più piccola nel disco. Pensare che dura appena un minuto e 33 secondi! Per un pezzo così il genere si dà quasi per scontato, ma in questo caso concorda anche con il titolo: Punk. Lì per lì lascia un po’ sconcertati, poi si interpreta bene come un gioiello di originalità del disco. Punk ricorda vagamente i Clash. Spensierata. Debole l’inizio della numero otto, Sound Check, attenzione, passino i primi quindici secondi di falsetto, e si dischiude in una scarica di rap elettronico, rivelandosi una vera bomba per i più appassionati della sponda deejay, campionature et similia. Ogni tanto un paio di note al pianoforte e la solita originalità, non guastano il pezzo, che nel complesso risulta nella media, né tra i migliori, né dall’altra parte. A seguire l’unica interamente strumentale del disco, Double Bass, che come si può facilmente dedurre, parte con basso e batteria, che scandiscono il ritmo per tutta la durata. Poi entrano in gioco le solite sonorità, che fanno della canzone l’elemento più darkofilo del disco. A tratti noiosa, nonostante rilanciata in certi momenti dall’assimilazione di strumenti elettronici, nel complesso non è male. Quel che segue del disco è praticamente esaltante, i migliori pezzi sono tutti concentrati in fondo. Il cambiamento totale di atmosfera è sancito dalla mitica Rock The House, una gemma. La voce di Del Tha Funky Homosapien sembra essere stata inventata proprio per una canzone come questa, dove le trombe in simbiosi con il pianoforte garantiscono un ritmo perfetto.

Ripeto, è tra le migliori, nonostante non sia per niente impegnata o energica, e non per niente è stata scelta come terzo singolo. Si torna nel noto con la carina 19-2000, o per meglio dirsi, il secondo singolo estratto dai Gorillaz. Il follow-up di Clint Eastwood nel mercato dei singoli è un brano dal titolo altrettanto enigmatico ed intrigante, forse non ugualmente accattivante nel contenuto, ma che almeno un po' gli somiglia. Incedere cadenzato, quasi reggae se non fosse per la battuta grassa e pesante, jingle simulato con il suono di una tastierina giocattolo e la cantilena di Damon Albarn che si alterna con l'interpretazione un po' più aggressiva di Mito Hatori. Un ritmo allegro che fa passare i tre minuti in tranquillità. Simpatico ed immediato, quasi kitsch nei coretti da petulante "voce bianca" attribuiti a Tina Weymouth, in ogni caso sconta il confronto con il suo predecessore.

A seguire la bellissima Latine Simone (Que Pasa Contigo). La pressante e sinuosa voce, nota ai più, è quella del Ibrahim Ferrer (Buena Vista Social Club). Il ritmo classico latino-americano unito all’elettronica di casa Gorillaz fa letteralmente impazzire. La terzultima traccia si cela tra atmosfere dark, è la soft Starshine, che non dispiace, anche se forse mancano l’originalità e i cambiamenti di ritmo presenti nelle altre. Indescrivibile e zuccherosa, invece, è Slow Country, una ninna nanna elettro-pop come non se ne sentono facilmente. Dulcis in fundo, un’altra traccia veramente forte, il culmine di energia raggiunto nell’album. Superato l’inizio, un po’ inquietante, parte una scarica punk, molto Blur, che fa veramente saltare in aria. Stupenda. Ah, quasi dimenticavo, si tratta di M1A1. Dopo un po’ parte la traccia fantasma, un discutibile remix di Clint Eastwood. Qui passo oltre. Inoltre, consiglio vivamente di inserire il cd nel computer, perché parte un’animazione interessante, che contiene qualcosa di intrigante, garantito. In conclusione, il risultato complessivo sono le quindici tracce del sorprendente Gorillaz, un album d'esordio nato come “divertissement” dichiarato che ha finito per diventare uno stupefacente successo di mercato. Soddisfacente.

 
 
 
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