Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 44

Post n°44 pubblicato il 26 Aprile 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

SUBSONICA: SUBSONICA (1997)

Questo è il primo ed omonimo lavoro di cinque musicisti dalle esperienze diverse che hanno incrociato le loro strade in una città come Torino, città che di quella musica "sotterranea" sa bene intendersi. Il loro album è stato, per il sottoscritto, qualcosa di altamente spiazzante. Un po’ di storia. Il progetto Subsonica nasce a Torino nell'estate del 1996 ed è composto da Samuel (voce, proveniente dagli Amici di Roland), C-Max Casacci (chitarra, proveniente dagli Africa Unite e già produttore di diverse band della scena torinese), Boosta (tastiere e campionamenti, nonché esperto dj), Ninja (batteria, con alle spalle un'esperienza da session-man), Pierfunk (basso, anch'egli ex session-man). L'anno successivo la band pubblica l'album di debutto, Subsonica, per conto dell'etichetta indipendente Mescal e partecipa allo U2-Day di MTV, esibendosi dal vivo ed in diretta su un palco esterno all'area concerto degli U2. Era il 1997 e i Subsonica entravano di prepotenza e di diritto nel panorama musicale italiano; unici nel loro genere davano una ventata di freschezza e brio ad una scena sempre troppo sonnolenta e continuamente assopita nella banalità. L’esordio discografico del gruppo torinese mostra già tutte le loro ottime potenzialità, poi affinate ulteriormente nei seguenti lavori. Musicalmente è sorprendente, con la parte ritmica che spicca e che guida sempre il suono della band, grazie alla costante sperimentazione su batteria e percussioni - in diverse occasioni campionate e sovrapposte in vario modo - e alle sempre valide linee di basso, che spesso si producono in giri molto coinvolgenti. Il suono, grazie anche agli originali utilizzi di chitarra e batteria, si sposta su generi decisamente trasversali, tra dance, space rock, funk ed altre influenze che fanno brevemente la loro apparizione nei personalissimi sviluppi proposti dal gruppo, che sanno sorprendere anche dopo diversi ascolti. Stesso discorso entusiasta va fatto per la voce, sicuramente versatile, calda ed espressiva, che sa ritagliarsi tutto lo spazio necessario tra la base strumentale, e che aggiunge una profonda identità melodica ad ogni brano.  A far innalzare il giudizio complessivo su questo Subsonica, però, sono i testi, o meglio i ritornelli. I testi sono infatti abbastanza originali, facendo uso di termini dall’uso poco comune, che spesso suonano quasi come neologismi, e che contribuiscono all’atmosfera sci-fi creata dal gruppo. Inoltre, questi possiedono costantemente una particolare affinità per la rima baciata, qualità che dona maggiore fluidità al cantato. A conti fatti, i testi delle loro canzoni profumano di chimica, fisica ed elettronica, alchimie del terzo millennio che convergono in una forma espressiva di sentimento e passione. I ritornelli perciò si dimostrano incisivi, forse poco legati alla parte strumentale e molto ripetitivi. Niente di particolarmente grave. Esempio di questo aspetto è già il pezzo di apertura ispirato alla vita carceraria e nato in collaborazione con il poeta e amico della band, Luca Ragagnin, Come Se, dove viene ripetuto il lento ritornello “come se ogni giorno / fosse come il giorno prima” all’infinito. Fortunatamente, si arriva alla strofa, molto carica e con un uso di effetti elettronici per distorcere la nevrotica voce. Sembra un po' di vivere uno di quei telefilm degli anni Settanta, quelli dai colori accesi e dai ritmi irrequieti, quelli che si vedono un po' sgranati attraverso lo schermo. Sembra che questi colori e ritmi siano stati rubati alla loro dimensione per essere immersi in un'essenza nuova, inusuale, sotterranea. A farsi largo nel traffico del mondo è il singolo Istantanee, con le sue linee d'archi ad addolcire il ritmo sincopato delle batterie distorte. E non è reggae, ma non è neppure semplice melodia. Il secondo pezzo, insomma, risulta tra i migliori con la struttura della strofa molto particolare, seppur con il ritornello un po’ troppo prolisso.

Con il terzo brano va molto meglio. Non Identificato comincia con un martellante campionamento da un episodio del telefilm UFO, proprio come anni ’70 è la base funky sulla quale si sviluppa la canzone, che usufruisce anche dell’apporto strumentale di Roy, trombettista dei Mau Mau, e del sassofonista Fabio Gurian. Coinvolgente dall’inizio alla fine. Il cerchio si chiude, torniamo a quelle atmosfere iniziali di anni Settanta, un po' riscaldate dal sole delle spiagge giamaicane, un po' condite dalle apparenti stranezze di chi farebbe di tutto alle corde della propria chitarra per ottenere il giusto sound. Fanno seguito i giochi elettronici di Onde Quadre, che utilizza un bizzarro effetto per la voce, infatti, il cantante Samuel filtra la propria voce attraverso un megafono e la solare Radioestensioni, cha fa suo un suono decisamente allegro, e sia melodia che ritmo di strofa e ritornello sono particolarmente accattivanti. È forse il pezzo più famoso del disco per la sua orecchiabilità, ma nel profondo tutto questo cammino lo tiene ben stretto. Il cammino di un suono nuovo, un suono nuovo che scorre nelle profondità per risalire pian piano, avvincente e mai scontato.

 

La successiva Momenti Di Noia è più aggressiva, complice una iniziale linea di basso dal tono minaccioso, e la chitarra che ruggisce nel ritornello, mentre il testo cattura l’attenzione. Segue l’atmosfera acquosa di Giungla Nord, che sopra di una base strumentale che alterna calma e beat veloci, molto particolare, mostra una melodia del cantato non particolarmente ispirata. Il suono è costruito, distrutto e poi di nuovo deformato nell'eterea Giungla Nord, che presenta nei battiti della batteria il cuore caldo di una città di nebbia e cemento. Così come Cose Che Non Ho, uno dei singoli più popolari dell'album, che del ritmo giamaicano è completamente avvolto, ma pure impreziosito da organi ed indurito da una chitarra che graffia. Cose che non ho si muove al di sopra di una base reggae dalla lettura abbastanza personale, rilasciando una melodia che sa catturare a pieno.

Ancora una vena reggae in Preso Blu, scritta inizialmente dal chitarrista C-Max per il precedente gruppo, gli Africa Unite, e che compare nella stessa versione del primo demo firmato Subsonica, segue un tema dal sapore malinconico. Il brano riprende nuova vita, acquista nuove vesti dopo essere stato filtrato tra drum'n'bass e ritmi dispari. Più allegra la successiva Funkstar, dove i ricordi infantili riportano al sogno di far parte di quei telefilm anni ’70, rappresentati attraverso una coinvolgente base funky. L'atmosfera è qui opera del tastierista ed addetto ai campionamenti Boosta, un genio. Unico brano strumentale, Velociraptor lascia all’ascoltatore di concentrarsi esclusivamente sulla sola musica, mostrando quanto di interessante sia, in altre occasioni, nascosto dai testi. Difficile descriverlo, la base si sviluppa su direzioni diverse in più occasioni, pur riprendendo a volte un “tema principale”. Si torna a parlare di tempi dispari, rivelati in modo lampante dalla meticolosità del batterista Ninja nel svolgere le proprie mansioni e dalla sua perfetta intesa con la silenziosa figura di Pierfunk, addetto al basso. L'onda techno-jungle profusa da Velociraptor troverà poi espressione più concreta nel successivo album in studio: il fortunatissimo Microchip Emozionale (1999), cioè l’inizio della fine. La conclusiva Nicotina Groove inizia con una base strumentale dai colori decisamente notturni, dipinti da basso e percussioni in synth, per aprirsi nel finale agli archi, che sembrano accennare ad un alba di una metropoli che lancia una sfida nuova ogni giorno, metropoli intesa come vero e proprio rifugio, metropoli sinuosa, impalpabile come l'aria fredda del mattino. Il vero finale è riservato ad una quieta ghost track strumentale, nella quale il suono di un organo crea una suggestiva chiusura all’album. Tiriamo le somme. I Subsonica iniziarono la loro avventura con questo disco omonimo, lontano da quello che sarà poi il loro sound. La ricerca dei cinque torinesi di sovrapposizione di suoni e culture diverse sfociò in un sound originale e convincente che diede l’impressione, nell'ormai lontano '97, che questo disco potesse davvero essere l'inizio di una rinascita, così purtroppo non è stato. Rivoluzionario a metà.

 
 
 
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