Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

SHARAM: DUBAI GU29 (2006)

In costante ascesa. Il 30 gennaio del corrente anno, in uno stadio straripante di gente, compreso un folto gruppo di donne che risiedevano comunque in un altro settore, la nazionale allenata dallo “stregone bianco” Bruno Metsu ha battuto nella finale della Coppa del Golfo il favorito Oman con un goal di Ismael Matar. I “caroselli” sono andati avanti fino a tarda notte. I tifosi si sono ridotti a ballare persino sui tetti delle auto. Un paese intero completamente “nel pallone”. Una festa mai vista da queste parti? C’è da obiettare. A partire dallo stadio di Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, occorre spostarsi a Dubai – secondo emirato del paese – che si trova sul Golfo Persico, a sud ovest di Sharjah e a nord est della stessa Abu Dhabi. Si distingue dagli altri emirati in quanto soltanto il 10% del suo prodotto interno lordo è derivato da entrate collegate all'industria petrolifera. Le maggiori fonti di ricchezza di Dubai sono, infatti, la zona economica speciale di Jebel Ali ed il turismo, che fa registrare un’incessante crescita. La decisione del governo di differenziare l'economia ha concorso ad accrescere il valore della proprietà immobiliare, che nell’ultimo biennio, ha vissuto un vero e proprio incremento. Le costruzioni su larga scala hanno reso Dubai una delle città a maggiore sviluppo urbanistico del mondo, al pari delle celebrate metropoli cinesi. L'esigenza di allargare il commercio e, in parallelo, il turismo ha determinato la creazione di complessi di elementi unici al mondo, sia per gli aspetti meramente architettonici che per le inimmaginabili dimensioni. I grattacieli sorgono a decine lungo tutta la città, che non è più ben definita, in quanto le zone desertiche sono, a tutt’oggi, in fase di edificazione. Lo sviluppo, difatti, coinvolge entrambe le principali attività economiche. Da un lato le attività commerciali e residenziali si estendono verso il deserto. Sono in fase di costruzione l'International City, la Silicon City, la Sport City e Dubailand, che dovrebbe diventare il più grande parco divertimenti del mondo. Dall'altro lato il turismo si concentra, piuttosto, sulla luminosa costa, dove la creazione delle c.d. “Palme” – cioè penisole create artificialmente nel Golfo Persico, la cui forma richiama quelle degli omonimi alberi – contribuirà a portare in primo piano gli Emirati Arabi Uniti. Oltre alle futuristiche “Palme” – il cui completamento si stima entro l’anno 2015 – è in fase di costruzione il cosiddetto "Mondo", ovvero un'isola artificiale che, se osservata dall'aereo o dal satellite, richiamerà il nostro pianeta, con i relativi continenti. Tuttavia, la zona sicuramente più bella dal punto di vista panoramico è quella di Jumeirah, ove la catena alberghiera di proprietà della ricca famiglia dell’emiro Al Maktum ha creato 4 tra le strutture alberghiere più affascinanti, tra le quali il celebre Burj al-Arab – la “torre araba” – che è diventata l'indiscussa icona di esportazione di Dubai, nient’altro che l'hotel più lussuoso al mondo, con 7 stelle che, con orgoglio, campeggia alle spalle di Sharam nella copertina del disco in questione.

Soltanto metà del profondo piatto dal sapore medio orientale? Lo scorso 6 aprile al Trilogy, club che ha inserito a pieno titolo Dubai nella mappa delle capitali mondiali della musica elettronica ha visto esibirsi, per l’appunto, Sharam Tayebi, metà del duo Deep Dish. Il tutto opportunamente trasferito nell’ultimo ed ispirato volume della prestigiosa serie Global Underground, legata alle migliori sessions nelle maggiori capitali mondiali.

A seguito della pubblicazione del fortunato secondo disco di loro stessa produzione – George Is On (2005) – che ha riscosso uno scrosciante successo grazie ai diffusi singoli quali Flashdance, Say Hello, Sacramento e Dreams, Sharam, separatosi temporaneamente da Dubfire, l’altra e immancabile metà del duo iraniano/statunitense, oltre alla suddetta compilation, mesi fa ha lanciato anche il singolo PATT (Party All The Time). Malgrado nato in Iran e rimasto lì fino al compimento dei 14 anni, nella scelta delle canzoni non c’è niente propriamente ravvicinabile alle, per così dire, “origini” di Sharam, in quanto ha scelto di presentare, piuttosto, un ottimo “spaccato” del vero e proprio “Deep Dish sound”, a partire dal brano d’apertura del primo cd, denominato “The Club”, cioè Sugar (Sweet Thing) [Nicka & Alse Remix] di DYAD10, dalle sensuali vocals, costante preludio “zuccheroso” a Look Around [Spider Funk Dub] del duo di Barcellona Spider & Legaz, che si innesta con deciso vigore, accompagnata da svariati assoli di chitarra, per poi lasciare spazio alle olandesi 16 Bit Lolitas e al progressive del loro brano Passing Lights, dallo straordinario coinvolgimento. Tocca poi al funky di Bliss [Felix Da Housecat Remix] del duo elettronico britannico dei Syntax, che spezza l’up-tempo del terzetto iniziale per segnare una prima cesura, dato che con l’ennesimo pezzo di Spider & Legaz, vale a dire, Majorca Roots si ritorna di prepotenza ad un sound più trance e meno “notturno”, soprattutto se corroborato dal leggendario dj e produttore tedesco, rispondente al nome di Paul Van Dyk e dalla stupenda The Other Side [Deep Dish Other Than This Side Remix] che, al di là della dance, annovera un testo “carico” di un certo ricordo, risalente alla data del 26 dicembre del 2004, allorché il Sud – Est asiatico fu colpito e devastato da quell’onda di anomale proporzioni, e ormai tristemente nota a tutti, quale il cosiddetto “tsunami”. Paul Van Dyk scrisse simil testo:

When this broken trough [Nell’infranta depressione]

I will can’t with you [Non potrò essere con voi]

When I wait my longest time [Quando resterò in attesa a lungo]

Daylight brings the great divide [La luce del giorno segnerà la grande separazione]

We can like the rain [Possiamo essere come la pioggia]

Whispering your name [Sussurrando il vostro nome]

Long to be with you divide [Il desiderio d’esser con voi ci divide]

Believe the sunrise [Credete nell’alba]

When I reach the line [Quando raggiungerò la linea]

I will see you on the other side [vi vedrò dall’altra parte].

Paul Van Dyk ritenne opportune di rendere tributo a quelle migliaia di persone che hanno perso i loro cari, ritraendo l’insieme di sensazioni che avranno travolto l’essere umano nell’impossibilità d’esser a diretto contatto con un’altra persona e che, tragicamente, risultavano essere già appartenenti ad uno o più verdi “passati”. Eppure, non tutto è perduto: l’aspirazione e la fede di rivedere costoro “dall’altra parte” non potrà mai venir meno. In questa vita o nella prossima. In coda alle riflessioni di Paul Van Dyk c’è Minds Talking (Dave Audé Remix) dei Lunascape, duo belga dedito al trip-hop, in una versione completamente rivisitata che si mantiene su un buon livello di battiti, tale da introdurre la progressive house senza sosta di Timelapse [Moonbeam pres Glockenspiel Mix] di Jiva e Rula: a metà canzone sembra esser tutto finito, il brano sfuma per poi sterzare deciso verso una nuova progressione sonora senza confini e limiti alcuni, ergo, Together We Rise dei canadesi Sultan & Ned Shepard. Dopodichè, ancora 16 Bit Lolitas, stavolta in compagnia del trio statunitense dei Motorcycle per la frizzante ed esplosiva Deep Breath Sedna [Dave Dresden Mash-up]. Something to Lose [Cedric Gervais Remix] dei produttori newyorkesi Creamer & K ft. Nadia Ali & Rosko e Stilettos (Pumps) [Dave Audé Pumps Dub] dei giovanissimi Crime Mob ft. Miss Aisha – gruppo rap di Atlanta – piuttosto, sono ottimamente “legate” fra loro, la prima è più cadenzata, la seconda più ripetitiva. Posta a chiusura di “The Club” c’è una quanto mai ritmica Eiffel Nights opera di Pig & Dan, due produttori che da anni lavorano insieme e hanno, infatti, sviluppato ormai una consolidata e fruttuosa unione.

Il secondo cd, “The Hub”, annovera, come brano “d’attacco”, spontaneo, fresco, Direct Me [Joey Negro Remix] dei The Reese Project – storico poker d’assi dell’house statunitense – che è ottimo aperitivo, prima della luminosa Timewarp del britannico Pete Heller, dj e produttore, forse più noto per aver remixato, e l’elenco è abbastanza lungo, brani per Underworld, Daft Punk, Faithless, Chemical Brothers, Jamiroquai, Moby, Martin Solveig sino a Blood On The Dance Floor per Michael Jackson. Che dire di Spirit In My Life di Cedric Gervais ft. Caroline? Nato e cresciuto a Marsiglia, Cedric Gervais ha iniziato la sua carriera da dj a soli 13 anni, ispirato da Laurent Garnier e Carl Cox. È stato il più giovane dj-resident del leggendario Club Queen a Parigi e, non sorprenderà di certo che, trasferitosi a Miami, praticamente presenza fissa in spiaggia, era ormai maturo per lanciarsi in suoi propri esperimenti, proprio come questo suo ultimo singolo, decisamente house-oriented. La traccia successiva, Everlasting, è sognante e dolce, così come l’avvenente Miss Nine, ennesima presenza fissa della scena dance di Miami, tra l’altro, perennemente in tour coi i Deep Dish stessi, il che ha giovato, non poco, alla sua notorietà. In un mercato fortemente dominato dalla presenza dell’ “uomo” dj, la tedesca “Signora Nove” – all’anagrafe Kristin Schrot – è stata, di fatti, in grado di crearsi da subito un suo seguito in nemmeno 3 anni, grazie alla sua progressive house, fonda, fitta, e quanto mai eclettica. Complimenti. Connected [Spider & Legaz Remix] di Sultan & Ned Shepard ft. Steromovers è una nuova ventata di buon umore realizzato con uno sfrigolio di plastici suoni, che fanno appena in tempo a spiegarsi a pieno prima che incomba una robusta Zero di Simon & Shaker, altro duo spagnolo, tra i migliori in circolazione per innovazione e qualità: ciò spiega il perché la Spagna abbia compiuto più d’un solo passo in “avanti” con propri artisti, divenuti, a distanza di tempo, “d’esportazione”. Superata la sbornia di Zero, Smaller [Dave Audé Remix] dei Suite 117, per un po’, è chiamata a raffreddare l’atmosfera con placidi colpi di beat. E non c’è due, senza tre. La martellante Psych è ancora una volta propria della produzione di Spider & Legaz, mentre, a seguire, The Cello Track [Dub] dei Twotrups si connota per l’abbondanza di orientaleggianti melodie, supportate da ridondanti bassi. Who is Watching, contrariamente alle massicce produzioni trance della superstar olandese Armin van Buuren, qui supportato anche dalla vocalist Nadia Ali, mantiene un profilo basso, più groove, comunque attraente. Da qui in poi infuria la tempesta di sabbia: il vento soffia prima veloce e perpetuo con la sinuosa El Ayoun di Casa Grande, poi caldo ed avvolgente con una caotica Manitou del duo spagnolo/austriaco Felipe & Nicolas Bacher. Spazio a Feedback [Valentino Kanzyani Earresistable Mix] dell’occasionale duo statunitense Acquaviva & Maddox, mai banale, mai fuori tempo: ha il pregio di esser al posto giusto, al momento giusto, essendo la naturale introduzione al pezzo che l’ascoltatore medio non s’aspetta in quanto superba conclusione di due ore e più di deep progressive house e molto altro ancora: Everyday dei partenopei Planet Funk è la “conseguenza illogica” del loro deflagrante ed intenso passato. Si dota di un chorus insuperabile, con tastiere che ne impreziosiscono il soffice incedere, coadiuvate dalla voce del dj inglese – in sostituzione di Dan Black – quanto mai nostalgica, al pari del testo della canzone stessa:

Just when I'm thinkin it was always you [Proprio quando sto pensando che eri sempre tu]

The Sun has gone and let the rain come through [Il Sole se n'è andato e ha lasciato spazio alla pioggia]

The things I'm hearin I've already heard [Le cose che sto ascoltando le ho già ascoltate]

But now I'm walkin in a different world [Ma ora sto camminando in un mondo diverso]

Just when I'm feelin like I'd made it through [Proprio quando mi sto sentendo come se ce l'avessi fatta]

And still had somethin that they never knew [E ho ancora qualcosa di cui loro non sono mai stati a conoscenza]

The artificial is controllin me [L'artificiale mi sta controllando]

And I dont' recognise a thing I see [E io non riconosco ciò che vedo].

“The Hub” si conclude così, toccando l’apice con l’ultima e infinita traccia d’una bellezza disarmante, aggettivo qualificativo che per la cornice di Dubai s’addice perfettamente. Tra plastiche dune e tramonti meccanici, grazie Sharam.

 
 
 
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