Creato da low_waves il 19/11/2006

non mi strofinare

superfuzz samurai

 

 

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 04 Marzo 2007 da low_waves

calika - 03 - frown and be happy - small talk kills me

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Retardumb. Sto progettando un fiume disorientato. Terra-aria, la gittata è divina come uccelli all'alba. Loro sfuggono tra le automobili e affogano nei fruscii, non si può sporcarli. Entro qualche ora sarò tornato in quella casa scomoda che vorrei svuotare del tutto. Una ragnatela al posto di un materasso, un paio di oggetti da rompere per rabbia. Quello che non ti piace è una didascalia che ho scritto per spiegare ciò che vedo da dopo a prima dell'alba.
 

 
 
 

Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 09 Dicembre 2006 da low_waves

Qualcosa aveva cominciato in me.
Era una fredda mattina di agosto quando decisi di riaprire gli occhi, dopo una nottata di perversa insonnia. In quel periodo il tempo aveva deciso di invertirsi e anziché sprecare calore, elargiva come un sadico un freddo insano. Ci si avvolgeva i pezzi di carne in cappotti neri e grigi, tanti panini umani. Faceva realmente freddo, un gelo ancora sconosciuto. Il cielo mostrava abiti a lutto, ma nemmeno una lacrima era ancora caduta. Un vedovo che si preparava nella sua vestizione ad un sorprendente evento non ancora attuato. Ogni cosa appariva lontana dalla consuetudine. Per le strade ormai non si camminava più, ma si correva, inseguiti come si era da un’angosciosa sensazione. Un vuoto che si creava intorno al proprio muoversi che inghiottiva la mente, la fantasia. Era una paura spropositata, un’insinuazione di epilogo della propria esistenza che azzannava l’immaginario di tutti. Si entrava nelle case altrui e si era stupefatti di scoprire che si era accomunati da stessi riti, identici sogni, uguali sensazioni. Si era sbalorditi. Fin tanto che si era soli non ci si preoccupava, ma quando ci si ritrovava nelle stesse azioni controsenso altrui, tutto assumeva toni più irreali. Uno smarrimento ancora sconosciuto dilaniava i pensieri. Si era sfumati, apatici, abulici.
Niente. Non riuscivo a scrivere, un macigno pesava sui miei pensieri più dell’insonnia che mi aveva colpito. Come la notte precedente e quella ancora prima avevo tentato di intorpidirmi scivolando nel sonno, ma ormai provavo solo dolore. Le sue parodie della realtà si erano annebbiate e le mie ore notturne si erano perse in un vuoto senza coscienza. I miei sogni erano stati divorati da un nulla senza senso. Quale triste vita ha colui che non conosce più gli insoliti mondi della fantasia. Sospirai lieve e decisi di abbandonare momentaneamente la cellulosa bianca. Alzai lo sguardo oltre i vetri grigi della finestra, un’altra mattina si prestava allo svolgimento. Presi i miei pochi stracci ammucchiati senza cura, la camera era spoglia, in un altro tempo avrei potuto definirla quasi spartana, ma questa era ancor meno che tale. Era semplicemente tendente al vuoto. Tutto era inutile. Mi vestii in fretta. In cucina un fornello consumato stava già scaldando una colazione meno che frugale, l’unico pasto della mia giornata. Non che il cibo non abbondasse, ma la mia fame era quasi scomparsa, non sentivo più quel desiderio di percepire gusti particolari, di soddisfare il mio corpo. Il necessario consisteva semplicemente in una razione che facesse sì che non morissi. Era chiaro che quindi il mio aspetto si fosse alleggerito, che avesse perso le fattezze comode dell’uomo, ma avevo perso anche la voglia di essere accettabile, se non addirittura desiderabile. Fuori il cielo, invece, si appesantiva sempre più di un nero abbondante: tutto ciò che riusciva a destare ancora la mia attenzione. Ormai avevo perduto ogni debole emozione per il mondo discreto degli esseri umani, solo il dispiegarsi di stagioni era la mia tiepida passione. Amavo con neutralità la prassi giorno/notte e discendevo tra le nuvole con sguardi temperati.
Non mi era dato dormire, non potevo più sognare, raggiungere i miei simili. Dovevo vagare con i ricordi su questo mondo come un reietto. Era destino.
Passi dal profondo, scarpe che sfrigolavano sotto i piedi mentre una bocca diffondeva rumore. Era arrivata. Chiusi. Un processo infiammatorio del mio apparato psichico si stava svolgendo. “fuori, fa proprio freddo, sai?”, incisivi sporgenti si mostrarono verso di me. Ero minacciato. “dove ho sentito che tra un po’ tutto passerà?”, molari si prestarono al mio epilogo. “smettila di osservare il muro, quando ti parlo dovresti guardarmi…”. Certo, rumore, solo un sibilo, piccole note perforanti in successione. “tra un po’ verrà a trovarci Ingmar…”. “Ingmar?” mi difesi. “sì, ma allora parli, sei vivo. Comunque verrà tra qualche ora. Dai alzati, non sarai ancora arrabbiato per ieri?” due linee rosse si avvicinarono al mio viso in un unico schiocco morbido. Tepore primaverile: soffioni bianchi mi accarezzarono la pelle. “no”. Dissi con un cenno, perché la mia natura umana era tornata. “allora smettila di rimanere in silenzio. oggi ho voglia di uscire, tu no?”. Come poteva voler di nuovo uscire, era appena tornata. “non vorrai, vero?”. Sguardi veloci si incrociarono “cosa?, io ho solo detto che ne avevo voglia, non che l’avrei fatto”. Rispose colpevole.
Assurdo. Il desiderio è un preludio all’atto. Come potevo ancora guardarla dopo questo parossistico accordo mancato? Alzai gli occhi al cielo murato. Uno stridio si accasciava morente nelle mie orecchie. Un linguaggio acuto si propagava nella stanza richiamando tutta la mia considerazione. Inutile, non comprendevo più quell’idioma, l’avevo perso insieme alla capacità di rivedere i miei simili nel sonno. Percorsi, tuttavia, la parete fino a raggiungerne la fonte. Un’inconsapevole struttura geometrica, una modulazione logica che tendeva le sue estremità nella mia stanza si stava spandendo di fronte al mio temperato stupore. Il periodo non si prestava che al raffreddamento, ma quella costruzione procedeva nel suo contrario: si muoveva e si duplicava, ignorando l’apatia generale, spandendosi dove tutto, invece, si stava ritirando. Non era che un messaggio chiaro di un futuro avvenimento importante, ma la mia natura ripudiata non ne comprendeva che qualche sfumatura terribile. Sospirai inconcludente.
Urla, spine nei timpani. Qualcuno stava chiamando dall’altro lato della porta. Mi alzai dalla sedia e salii nella mia stanza. Non volevo rimanere passibile di dittatura vocale e di concetti inutili. Mi rinchiusi nella camera. Una luce fievole attraversava i vetri grigi andandosi a posare sul letto sfatto. Rughe sulle lenzuola consumate ondeggiavano al ricordo di mani e di pelle che una volta erano scivolate morbide su di esse, mura spente vibravano nella memoria di parole che suonavano come echi mancati. In questi spazi minimi si erano succeduti respiri vitali. Quante volte mi ero trascinato con la fantasia su per monti, feste, vasti oceani di folla. Tutta la mia piccola esistenza si svolgeva come una matassa intricata di lana tra poche mura di carta da scrivere con tante immagini della stessa materia dei sogni.
“Ingmar…sei venuto…sarà felice di vederti”, inutile esultanza per una sporcizia dotata di capacità comunicativa. Dal fondo delle scale giunse: “allora…non vuoi venire a salutarlo?” il mio silenzio agghiacciava la loro attesa. “mi hai sentita?” voce che traspariva una lasciva accondiscendenza. era appena entrata nella mia stanza e mentre si era fermata sull’uscio risposi con un “no” violento. “perché ti ostini tanto a non volerlo vedere? è un tuo amico” replicò sorpresa della mia inaspettata aggressività. Il suo sguardo deluso no fece che farmi irretire ancora di più. “va bene” ringhiai sordo. “può entrare” sussurrò una voce discreta. “allora, come stai? Ti vedo ripreso, hai un colorito più sano, so che non volevi vedermi. Ma rimarrò poco, giusto il tempo di capire se stai meglio…e mi sembra di sì.” Protese il braccio sinistro verso di me, prendendomi il polso. “bene, bene” denti bianchi digrignarono in segno di sfida. “ora vado tranquillo, tornerò domani mattina.” Un’ombra scura scomparve dietro la porta e così fece anche quella bianca che lo seguì per le scale. Un flusso di parole circondò le due figure al fondo “signora, aumenti la dose, sta cadendo in depressione, il polso è regolare anche se flebile, cerchi di farlo mangiare di più” “ma è sicuro? racconta di non fare più sogni, e ogni giorno che passa il suo sguardo assume una fissità sempre più vitrea, le confesso che ho paura. Quel suo vaneggiare di un raffreddamento generale, di un mondo che non può più raggiungere, mi spaventano. Io gli sto vicino solo per un legame che mi ha portata a conoscerlo per quello che lui era, ma ora non è che nebbia, sfocatura. E confesso che non ho la capacità di cercare la sua mente ogni volta che si perde nella foschia. Così…vorrei domandarle…lei mi capisce…” “certo, non si preoccupi, per il suo stato psicologico le posso solo dire che si trova in balia di convinzioni, ma bisogna evitare che abbia allucinazioni. Per quello che mi stava chiedendo: non c’è problema, domani stesso le manderò qualcuno, lì alla villa si troverà meglio ”. un largo sorriso accolse l’approvazione di un grazie leggero. “sì, grazie, dottore L.”
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testo di "pupa femminista"
foto di "pupo pupi"

 
 
 

porco io, porca tu.

Post n°5 pubblicato il 09 Dicembre 2006 da low_waves


Ciao, mi sono suicidato mentre mangiavo la "pastalsugo", ora schiaccio cose a caso e domani andrò a sentire un gruppo di ebrei cubani indie-rock, il cantante avrà la faccia da minchione, sembrerà giallo-morto ma in realtà morirò io di scassapallaggio, che palle morire di scassapallaggio. Poi penserò alla non-voglia che mi avvelena, smetterò tutto e guarderò ancora una volta "scarface", ma non reggerò neanche quello, cazzo. E cazzo ancora, domenica sarà anche peggio e probabilmente mi suiciderò ancora, questa volta mangiando una carbonara, sì, ciao.
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Ione e il cristallo che ci governa, vittoria? 

Post n°4 pubblicato il 24 Novembre 2006 da low_waves

Origine dell'anima, come un gas che m'innalza oltre la ionosfera, didietro sono le valvole di sfogo nonché l'arma che domina i popoli e dona la vittoria1. Non fossi che un fosso potrei ascoltare Flim e ricordare la notte in cui ancora non ero che un'idea o forse meno. Non c'è tempo o il tempo è lineare? Risponderai a questa domanda? Sono tattile e troppo poco acuto, neanche per un momento mi sfioro o parlo a me stesso senza leggerezza, non avessi freddo sarei troppo stupido per esistere. Ma ho freddo, mi tocca stare e fare. Intanto Bucephalus bouncing balls domanda, perché?

1(da "Entusiamo oltre la ionosfera" apparso sul numero 100 di Sport Galassia 21/12/3007)
L'Italia vince la competizione "AMIGA 500 SPEEDBALL II WAR OF THE WORLDS CUP". Nonostante le proteste di mezza galassia per l'inferiorità fisica, morale e pur non essendo un mondo, l'Italia ha potuto iscriversi al torneo grazie ad una wild card offertagli dai marziani di Marte. Dopo una sanguinosa partita, i Klingons debbono cedere alla furba tribù di selvaggi sud-europei che, non fosse per i fasti dell'impero romano e per l'ultima vittoria ai mondiali di calcio, a stento sapremmo collocare tra le potenze universali. La cronaca: l'Italia è sempre stata in svantaggio, dopo cinque secondi di gioco Urhruh mostra all'Universo tutto la propria cruenta classe con fraseggi di lama sui volti effemminati dei terrestri, i primi cinque punti sono nel sacco; si prosegue con una perfetta azione corale dei nostri finalizzata da Ooqbaarh, ottantotto denti sul terreno di gioco. Il primo tempo finisce con un giocatore azzurro costretto ad una corsa senza testa dopo "l'attacco dell'oca dimezzata" perfettamente eseguito dal solito Urhruh. Il secondo tempo si apre e si chiude senza un solo punto per i terrestri che incassano altre tre perdite nella loro squadra causate da menomazioni varie. A questo punto ecco che la totale incompetenza del nostro c.t. (più volte denunciata su queste pagine) si manifesta con una mossa arrogante: nel terzo tempo scendono in campo solo le riserve. Immediatamente le zone nevralgiche del campo finiscono nelle mani avversarie (dieci punti), conteporaneamente Scannaporco e Vaccaboia emettono strani suoni baritonali, i nostri sembrano storditi, Pirla e Sticchio di Santo penetrano con le daghe Khij, Gther, Ptrej e Lopfghy costringendoli ad abbandonare il campo. L'Italia ha così dimezzato lo svantaggio e si ritrova con quattro uomini in più sul campo. Un minuto dopo gli italiani ripetono la medesima manovra ed il gioco è fatto, parità e interruzione del gioco per assenza di giocatori klingon sul campo. Resta solo il quarto tempo, il nostro allenatore può far entrare in campo solo due giocatori, scendono in campo i due assi Urhruh e Ooqbaarh ma la partita è ormai compromessa, agli italiani basta addormentare il gioco arrivando alla vittoria per superiorità numerica, un solo punto in più per l'Italia relega il prestigioso trofeo a migliaia di anni luce dal popolo Klingon. Lo spogliatoio: Il c.t. Huhrgkrrth: "Hanno usato mezzi scorretti, i gas sconosciuti emessi dai loro sederi hanno avuto effetti devastanti sui miei giocatori, i veri campioni siamo noi. E poi l'Italia non è un mondo." L'allenatore Pertugiolezzi: "...Ahahah, vi abbiamo scorreggiato in faccia, ahahahah... il nostro entusiasmo supera la ionosfera... ahahah..."
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ventiquattro ore 

Post n°3 pubblicato il 22 Novembre 2006 da low_waves

immagineDove sono finiti i foruncoli che ho scacciato dormendo per una settimana? Muro, sono fritto e non a causa mia. E' che accellerate. Io non ho voglia di pentirmi, adeguarmi o guardare... E' da più di un po' che dimentico e non mi manca nulla. Con calma, ascolto quattro o cinque dischi, formulo centinaia di cazzate spigolose... al centro di tutto c'è l'essere fuori tempo. Ora come ora vorrei essere una melodia scimmiesca senza pretese, qualcosa che mi ricorda una colonna sonora all'aceto, butto in aria tutto e viene fuori del baccano simpatico. Poi mi sono infilato sotto un crostone di minchiate scontrose... mi pongo domande tipo se l'essere liquidi vale più di un cubo che impugna un martello... se fossi un liquido schizzerei o colerei? Sarei in ritardo di ventiquattro ore?
 

 
 
 
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