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Salute mentale: presentazione di un manifesto congiunto

Post n°15 pubblicato il 22 Marzo 2008 da monicakoda

"Ogni persona per ciò che è, nel rispetto della propria dignità e nella libertà". Il documento sottoscritto da 17 organizzazioni, sarà presentato il 27 marzo a Roma

In Italia grazie alla Legge di Riforma Psichiatrica n°180, è stato possibile chiudere tutti i Manicomi Pubblici nei quali sono state internate fino a 100.000 persone. La straordinaria esperienza Italiana, unica nel mondo, ha fatto conseguire enormi progressi all'assistenza psichiatrica con la costruzione di una rete di servizi pubblici ispirati alla psichiatria di comunità e integrati nel servizio sanitario nazionale. Quanto fin qui realizzato è dovuto all'impegno di moltissime persone e istituzioni, all'intenso e diffuso protagonismo di nuovi soggetti tenuti lontani dalla psichiatria manicomiale, in primo luogo le famiglie e le loro associazioni, i cittadini con disturbo mentale, il mondo del volontariato, le imprese sociali.. Ciò fa onore al nostro Paese ed è stato ispiratore della Dichiarazione di Helsinky sulla salute mentale in Europa e della Risoluzione del Parlamento Europeo.

Dobbiamo però lamentare, che a 30 anni dalla Legge 180, in troppi dipartimenti di salute mentale le dotazioni organiche, gli ambienti di lavoro, le capacità operative, sono del tutto inadeguate a garantire l'esercizio concreto del diritto alla salute mentale e degli altri diritti di cittadinanza e, talvolta, la stessa dignità della persona.

Per questa ragione, 17 Organizzazioni Nazionali hanno promosso un MANIFESTO su 10 questioni fondamentali da portare al confronto delle Autorità politiche, alle istituzioni, ai cittadini, affinchè si affrontino con decisione i problemi della salute mentale, nella prospettiva non solo delle cure mediche, ma anche della restituzione alle donne e agli uomini, che vivono la condizione della sofferenza mentale, dei diritti di cittadinanza, quali: il diritto al lavoro, il diritto alla casa, il diritto alle relazioni affettive, il diritto ad una vita conforme alle proprie attitudini e alle proprie capacità e potenzialità.

Il Manifesto Appello aprirà la raccolta di firme in tutto il Paese a partire dal 28 marzo. I contenuti del Manifesto verranno presentati a Roma il 27 marzo dalle seguenti Organizzazioni firmatarie, impegnate attivamente nel campo dei diritti e della salute mentale: ANPIS, Associazione Persona e Danno, ARCI, CGIL, CGIL Funzione Pubblica, Cittadinanzattiva, CNCA, Coordinamento Ligure Utenti, FISH, Fondazione Don Luigi di Liegro, Fondazione Franco Basaglia, Forum Nazionale Salute Mentale, Le Parole Ritrovate, Medicina Democratica, Psichiatria Democratica, Rete Toscana degli Utenti, UNASAM.

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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 23/03/08 alle 16:59 via WEB
Auguri per una serena e felice Pasqua...
Kemper Boyd
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Antonio Tronci il 26/11/10 alle 18:22 via WEB
Basaglia, la sinistra e l'ideologia a tutti i costi L'enorme divario tra la realtà esperita da pazienti, familiari e operatori, e l'immagine della Psichiatria percepita dalla gente affonda le radici su motivazioni di ordine non solo culturale, ma soprattutto politico. Nel 1978, con l'approvazione della Legge 180 promossa da Franco Basaglia, legge che regolamenta (si fa per dire, in quanto non dispose nulla di alternativo alla chiusura dei manicomi) la gestione della Salute Mentale, la politica di questo settore divenne un Totem di esclusiva pertinenza della sinistra italiana. Giovedì 8 Luglio lo psichiatra Aldo Lotta, firma un articolo sull'Unione nel quale esordisce allarmisticamente sottolineando come, soprattutto in riferimento alla recente proposta di riforma della 180, orrore!, legge che il collega valuta rappresentare un “cambiamento epocale”, nel nostro Paese “repressione e costrizione” starebbero diventando il principale strumento di risoluzione dei problemi. La Legge Basaglia, chiusi i manicomi, scaricò letteralmente i pazienti a sé stessi e ai propri familiari, i quali si videro consegnare l'intera gestione di queste persone, nella totale solitudine e disperazione. E ancora oggi l'impossibilità di imporre ai pazienti, in precarie e croniche condizioni psicopatologiche, l'inserimento in un percorso terapeutico-riabilitativo residenziale, vanifica i tentativi di recupero ed il reinserimento sociale degli stessi e produce cronicità. Si è creato infatti un perverso circolo vizioso: i pazienti più gravi, nella maggior parte dei casi, non si presentano alle visite, interrompono la terapia e vanno incontro a scompenso clinico così che spesso diviene inevitabile il ricovero urgente, talora con Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) ospedaliero. Alla dimissione, quando anche si riesca a concordare un inserimento presso le rare strutture riabilitative specifiche esistenti, il paziente, affatto consapevole dell'importanza di tale percorso, o lo rifiuta in partenza o lo abbandona dopo un giorno di permanenza e se ne torna a casa o sulla strada, dove interrompe di nuovo la terapia fino all'imminente successiva crisi acuta che ne determinerà l'ennesimo TSO; e così via. La riforma promossa recentemente dall'On. Ciccioli, vicepresidente della Commissione Sanità della Camera, tra le altre innovazioni, vorrebbe anche accertare, col prolungamento massimo fino a sei mesi dei TSO, che le persone che approdino alle strutture riabilitative in precarie condizioni psichiche, possano finalmente effettuare un percorso virtuoso di reinserimento che restituisca anche ai familiari sfiancati una certa serenità. La Legge 180 infatti non si preoccupò tanto del destino dei pazienti, ma volle soddisfare, in quegli anni di “marcia verso le istituzioni”, la convenienza politica di un rapido provvedimento molto trendy, come la chiusura dei manicomi. Per l'deologia dei basagliani la malattia mentale non esiste: i pazienti sono vittime dell'emarginazione sociale, e, pertanto, scaraventarli alla responsabilità totale dei familiari è risultato costituire quel “cambiamento epocale” che avrebbe risolto la “non-malattia”. Non è un caso che il collega auspichi (dopo 32 anni?) che, in quest'ottica progressista, finalmente, pazienti e familiari possano ricevere “supporto e ospitalità”. Si, ma la cura? Lo stesso approccio “intellettuale” di chi si compiace di chiamare i disabili “diversamente abili”, col convincimento che tale definizione, che peraltro nega totalmente il problema, risulti più consona all'abbattimento dei pregiudizi, oltre che culturalmente più raffinata. E allora perché non chiamare i cardiopatici “diversamente perfusi”, i diabetici “diversamente dolcificati” o i calvi “diversamente irsuti” e così via? Non sarebbe decisamente più “democratico”? E che risparmio per lo Stato! Così, per l'auto-compiacimento dei nostri salottieri pensatori, esperti nel lifting della realtà, l'importante è poter propagandare che i pazienti psichiatrici, lungi dall'aver bisogno di cure, siano invece da considerare come svantaggiati che necessitano di libertà dall'istituzione medica assassina: libertà di scegliere la libertà dalla terapia, libertà di soffrire, di tormentare e distruggere le famiglie, libertà di incendiare e devastare il reparto, di finire in galera, libertà di uccidersi o, talora, anche di uccidere (vedi le cronache giornaliere ed entra nel sito vittimedella180.org). Riguardo infine le ritrite affermazioni del dott. Lotta in merito all'Italia che rappresenterebbe “il luogo di riferimento internazionale per le politiche sulla salute mentale” e all'OMS che reputerebbe Trieste il luogo “della migliore psichiatria possibile” nonché modello da esportare (nessuna nazione civile si è mai sognata di copiarcene neanche uno straccio di paragrafo), torna curiosamente alla mente una frase del fumettista Bill Watterson: “Il più sicuro segno che la vita intelligente esiste nell'universo è che non ha mai provato a contattarci”. Antonio Tronci Psichiatra UGL-Medici
 
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