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Wagner e Napoli (premessa al Tristan und Isolde del San Carlo 2004, di Quirino Principe.

Post n°758 pubblicato il 31 Marzo 2014 da giuliosforza

Post 717

 

Sono un po’ stanco di pensare e mi riposo facendo dono ai miei amici wagneriani e non, come promesso, di due pagine del “Sole 24 Ore” del 21 Novembre 2004, nelle quali Quirino Principe,  presentando l’evento che avrebbe avuto luogo il 1 Dicembre (l’apertura della stagione musicale partenopea al San Carlo con Tristan und Isolde), dice di “Wagner, napoletano mancato”, e di “Isolde, eroina d’Occidente”.

Tristano e Isotta, un capolavoro assoluto, non solo è il più bel monumento di tutti i tempi elevato all’amore, ma  rappresenta, dal punto di vista formale, “per l’accentuato cromatismo con il quale si esprime l’anelito d’amore e di morte, preludio alla rottura della tonalità, e per il flusso musicale continuo, la più rivoluzionaria opera dell’ultimo romanticismo e il punto di partenza di tutta la musica nuova” (R. M. in Dizionario dell’Opera lirica, Oscar Mondadori, Milano, 1991, p. 342).

Questo primo articolo di Principe riferisce dei soggiorni napoletani di Wagner, della sua passione per la città e  peri suoi straordinari abitanti, e vuole esser una introduzione-omaggio all’evento che la città dedicherà al Tristano e Isotta con una delle più belle edizioni della sua storia.

 

1)

 

Wagner, napoletano mancato.

 

Richard Wagner ebbe con Napoli un rapporto d’amore: traumatizzato da incidenti e da delusioni, sovente infastidito, ma d’amore. Difficile fu invece il contatto della cultura napoletana con Wagner, soprattutto in un caso: uno ma altamente rappresentativo. Verso la fine del 1857, mentre stava continuando un po’ stancamente l’idillio tra Wagner e matilde Wesendonck, apparve sulla collina verde presso l’Asylum, un gran bell’uomo dai baffi assassini, scelto da Mathilde come insegnante di italiano. Era un esule, a Zurigo da qualche tempo, dimesso da un fosco carcere napoletano dove era stato imprigionato per motivi politici, e si chiamava Francesco de Sanctis. Lo charme del letterato irpino non lasciò indifferente Mathilde. Geloso, Wagner si allontanò da casa Wesendonck. Nelle settimane successive, scrivendo alla sua quasi innamorata, Wagner alluse al rivale più o meno presunto chiamandolo “Herr von Heiligen” (“proveniente dai santi”, De Sanctis).

L’ostilità di Wagner, naturalmente, non passò inosservata, e il “von Heiligen” fu bilanciato da una perfidia dell’italiano. Nella «Rivista contemporanea», anno VI, vol.XV, pagg. 369-408, De Sanctis pubblicò il dialogo Schopenhauer e Leopardi. Lo spiritoso letterato diede (potevamo dubitarne?) il primato a Leopardi, non diversamente da ciò che avrebbe fatto velatamente Nietzsche, ma usò i canoni del genere semiserio, ben collaudato nella cultura italiana “alta” (Benedetto Marcello, Giuseppe Parini, Giovanni Berchet…) per fingere di esaltare Schopenhauer. Quest’ultimo, che pure conosceva abbastanza bene la lingua italiana, non colse il sarcasmo; lesse il dialogo, prese alla lettera ciò che credeva esaltazione sincera, e scrisse all’amico Lindner di averne tratto «gaudio immenso» (23 febbraio). Il 26 febbraio 1858, De Sanctis scrisse ad Angelo Camillo De Meis una lettera che alla canzonatura nei confronti di Schopenhauer unisce uno schiaffo all’ex rivale in amore: «Leggo ora (molti mesi prima evidentemente) il gran Schopenhauer che proclama la sua grandezza ai quattro canti del mondo, e il gran Wagner, genio dell’avvenire, come modestamente si chiama, disdegnoso dei presenti che non lo comprendono». Noi, eclettici ed equilibrati, parteggiamo per Leopardi ma anche per Wagner. De Sanctis che come ministro dell’Italia unita escluse la musica dalle scuole secondarie superiori, non suscita la nostra simpatia.

Altro furono i soggiorni reali. Di rado uno straniero viaggiatore in Italia ( a parte Charles De Brosses, J. W. Goethe, Rudolph Borschardt, Ernst Jünger) è stato, come Wagner, prodigo di dettagli acutamente vissuti e vividamente riferiti. I viaggi di Wagner in Italia si ascrivono a un tema illustre, che divenne a sia volta un genere letterario a sé: la “italienische Reise”. In particolare, il viaggiatore nordico che visiti in lungo e in largo il sud d’Italia paga il tributo a ciò che vien detto il “Grand tour”. E’ difficile, anzi impossibile, imbattersi in una sintesi più ricca di notizie inestimabili, più dettagliata, più vivace, più bella nello stile narrativo, di quella scritta da Carlo de Incontrera (I viaggi di Wagner in Italia) e preposta all’aureo volume curato da Giancarlo Rostirolla, Wagner in Italia (Eri, Torino 1982). De Incontrera scandisce il girovagare wagneriano nella nostra terra in nove viaggi e relativi soggiorni: 1) 1852 Lago Maggiore; 2) 1852-53 Torino, La Spezia, Genova, Alessandria, Novara, Lago Maggiore, Svizzera; 3) 1858-59 ancora il Verbano, Milano, infine Venezia dove Wagner attende alla composizione di Tristan und Isolde; 4) 1861, brevissimo soggiorno a Venezia, di soli quattro giorni; 5) 1868, Verbano, Genova, Milano dove Wagner prende accordi con Giovannina Lucca, rivale di Ricordi; 6) 1876, Verona, Venezia, Napoli (la prima volta), Bologna Firenze; 7) 1880, Napoli, Roma, Firenze, Pistoia, siena Venezia; 8) 1881-82 Napoli, Palermo, dove Wagner compone gran parte di Parsifal; 9) 1882-83 Venezia, dove Wagner muore improvvisamente il 13 febbraio 1883.

 

Il 23 settembre 1876. alle dieci di sera e con un caldo micidiale,, Wagner, sua moglie Cosima, le figlie Isolde, Eva, Blandine (nata da Cosima e Bülow) e il piccolo Siegfried di sette anni, giungona a Napoli, «la città più viva che si possa immaginare: Richard sta proprio bene» (così nel diario di Cosima). Trascorsero il tempo in passeggiate a Chiaia, gite in carrozza a Posillipo (dove pausetai lype, dove cessano i dolori), gite in barca a Sorrento. Per le strade fin troppa vita: chiasso a non finire. I Wagner non sono abituati a quel pandemonio e il malumore li assale. Ma un violino che suona per la via a tarda sera, un ragazzo «bello, bruno, vivace, agile» (sempre Cosima) che dal battello diretto a Sorrento si tuffa e raccoglie le monete lanciate in mare dai passeggeri, un Pulcinella che dà spettacolo dinanzi al San Carlino, tutto questo rovescia lo stato d’animo.  Sceso dall’assordante babele del piccolo piroscafo, i Wagner godono per settimane una «pace meravigliosa» all’Hotel Vittoria di Sorrento. A lui piace leggere l’Histoire des républiques italiennes du moyen âge di Jean Sismonde de Sismondi, il libro contro cui aveva polemizzato Manzoni. Sulla spiaggia Wagner partecipa a una corsa sugli asinelli. Cosima riferisce l’incitamento alla corsa gridato dal guardiano degli animali: «Macaron tutto formaggio!».

A volte Wagner si commuove parlando di un suo eroe dello spirito: Torquato Tasso, nato a Sorrento. La pace idilliaca e nobile è turbata dalle notizie che vengono da Bayreuth: un deficit finanziario pauroso, che sta per schiacciare il Festpiel appena nato. Wagner comincia a non dormire la notte. Pensa: “perché non abbandoniamo Bayreuth, perché non trasferirsi qui, a Napoli e dintorni?”. Ne parla con Cosima, angosciando ancor più la povera donna martirizzata dalla propria dedizione. Non lontano dall’albergo, a Villa Rubinacci, Malwida von Meysenbug ha trovato un alloggio per Nietzsche, che è là in compagnia di Paul Rée. Nietzsche e Wagner, già intimi, si incontrano soltanto due volte, con freddezza. Dopo il primo festival di Bayreuth nell’agosto di quell’anno, dopo il discorso Wagner a Bayreuth scritto da Nietzsche di malavoglia (ce ne accorgiamo leggendolo), un’ombra è scesa sui loro rapporti destinati a infrangersi nel 1877. Non si rivedranno mai più.

Assai meno gradevole è il soggiorno del 1880. La famiglia arriva a Napoli il 3 gennaio, si sistema a Villa Angri sulle alture di Posillipo, ma già il 6 gennaio Wagner è colpito da erisipela, forse causata “dai nervi”, e anche la figlia Eva soffre di forti dolori reumatici. Wagner, con una maschera di ovatta sulla faccia, passa i giorni leggendo degli incontri tra Goethe e il cancelliere Friedich von Müller a Weimar. Con il giovane Heinrich von Stein, assunto come precettore dell’undicenne Siegfried, discute della camorra, «il sistema col quale il popolo viene in soccorso di sé stesso» (!), come egli la definisce. Il 14 gennaio l’erisipela comincia ad attenuarsi. Fa una passeggiata, e conclude: «Napoli è la mia città, qui tutto è vita». Lì vicino ha lo studio il pittore Paul von Joukowski, futuro autore di splendide scenografie per Parsifal. Il suo servitore, Pepino, s’infiltra simpaticamente in casa Wagner: a quei tedeschi egli canta melodie napoletane, «selvaggiamente tenere» (Cosima), ma anche, con stupefazione di Wagner, il canto delle figlie del Reno. Wagner scende in città, in tram, poi tutti al San Carlo, dove ascoltano La Juive di Halévy, che Wagner giudica un’opera raffinata, «per nulla ebrea» (!). Wagner si sente guarito, e va dal barbiere. Risultato: l’erisipela riappare di colpo, violentissima. Eppure, dieci mesi dopo (17 novembre 1880), Cosima scrive a Judith Gathier: «Come tutte le cose belle, l’Italia è divenuta per noi un sogno». L’ultimo soggiorno a Napoli, nel novembre 1881, sarà fuggevole: vera meta, Palermo, dove si compirà la creazione di Parsifal”.  

 

 

 

 
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