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Ancora di Pasolini

Post n°882 pubblicato il 13 Novembre 2015 da giuliosforza

Post 819

 

   Dunque.

   Riprendo con pazienza il filo dei miei pensieri …perduti, e torno a Pasolini.

 

   Non so se quello che dirò è quanto Marino Sassi, il mio ex allievo prof e pittore per passione, si aspetta da me, Ma egli mi conosce abbastanza bene per comprendere che io non direi mai e poi mai una cosa che non penso per adeguarmi al gusto del pubblico.

 

   Non sono un pasolinista, sì un pasoliano, e abbastanza tardivo pasoliniano. La mia provenienza culturale e l’ambiente in cui vissi la mia giovinezza, oscurantisti e bigotti, mi impedivano di concepire una libertà di pensiero e di vita quali Pasolini praticava; mi impedivano di prendere confidenza con la sua opera che guardavo con pregiudizio, anche se in fondo a me sempre cullavo il pensiero che un personaggio a dio spiacente e a li nimici sui, fascista per i comunisti, comunista per i fascisti (le menti grosse, i cervelli all’ammasso furono sempre, e sono, avvezzi a costringere entro queste  loro anguste categorie gli spiriti liberi), un personaggio all’indice di tutte le chiese, probabilmente meritasse il mio interessamento. In seguito, apostata a tutto tondo, nostalgico con Giuliano della restaurazione del paganesimo, e non semplice eretico, da quel bruniano assatanato che sono, avrei dovuto tuffarmi in lui con furore,  e lo tentai iniziando dagli Scritti corsari; ma il complesso della sua opera, il suo stile, così diverso da quello a me caro e da me praticato, il furore sadomasochistico, fino alla perdita di conoscenza, con cui viveva la sua omosessualità (egli interpretava alla lettera e praticava, non so quanto intenzionalmente, il programma da Rimbaud proposto al “poète maudit”: un long immense, raisonné dérèglement de tous le sens; sicché la sua morte mi apparve come una morte annunciata e non credetti mai alle tesi complottistiche: la letteratura complottistica mi è sempre apparsa, come a Borges quella teologica, un aspetto, talvolta assai interessante,  della letteratura fantastica), me ne tennero discosto, pur  ammirando in lui una vera e propria  opera-d’arte-totale (fu scrittore poeta pittore scenografo e regista in tutto eccellendo) in cui Dio, come avrebbe detto il pio Manzoni, aveva voluto del creator suo spirito /  più vasta orma stampar. E poi il bolognese-romano-casarsese, pur avendo appena undici anni più di me, aveva  vissuto in modo del tutto diverso il fascismo, la guerra, la resistenza: eventi fondamentali per la formazione di una coscienza civile e politica, e non solo. All’annuncio della sua morte fui perciò sgomento, naturalmente, ma non tanto da strapparmi i capelli; come non osannai poi celebrato discorso che Moravia tenne al funerale, che trovai ovvio e superficiale, così come oggi, nel quarantesimo anniversario, trovo ovvie e superficiali le interviste della sua già compagna adolescente Dacia Maraini, imperversante su tutte le reti: né Moravia era né Maraini è in grado di cogliere il vero dramma pasoliniano, la sua  disperata, laica ricerca d’assoluto: un assoluto da vivere nel tempo (un tempo immanentiscamente assolutizzato), immanentistica assolutizzazione del Relativo e della santa Terrestrità. A gridarmene, lui sì sgomentissimo, la morte fu un mio zio di prima mattina, mentre mi avviavo alla mia quotidiana immersione nella natura vivarese allora ancora  incontaminata. Contadino illetterato, lo zio Alfredo come tutti i contadini di un tempo era curiosissimo, leggeva molto ed ascoltava con passione radio e televisione, sapeva di Pasolini e ne seguiva gesta e vicende, soprattutto quelle giudiziarie, e si meravigliava perciò del poco trasporto che io, l’intellettuale di casa, provavo per lui.

   Quanto all’accusa che i ‘progressisti’, soprattutto quelli da salotto, fecero e fanno a Pasolini, di essere in sostanza un reazionario (sol perché ebbe il coraggio civile di dire la verità sulle ‘rivolte’ studentesche sessantottine, i cui protagonisti, ed io ne fui testimone diretto all’università di Roma, erano per lo più  figli di papà, borghesi stanchi in cerca d’evasione, che una volta cresciuti si sarebbero ben sistemati e  integrati nel sistema) si tratta di un’accusa risibile: che ci fosse del borghese in lui è innegabile, ma non è certo un reato, né borghese suona reazionario, se borghese fu la prima e più grande rivoluzione europea: figlio di borghesi (padre ufficiale di carriera, madre maestra), egli sapeva quanto sia difficile liberarsi dalle proprie radicazioni e come ognuno, qualunque sentiero nella vita imbocchi, non possa non portarsi dentro i segni indelebili del proprio retaggio (per esempio lo stigma cristiano che egli, ateo, io direi diversamente religioso, confessava di avvertire profondo nell’anima).

    Tre anni dopo la morte di Paolini uno studente calabrese, Francesco Santoro, mi chiese di poter fare una tesi su di lui, Io tentennavo, temevo che il suo coinvolgimento emotivo potesse nuocere all’obiettività della ricerca. Ma guarda chi parla, poi mi dissi! Parla uno che non ha mai scritto con l’inchiostro, ma col sangue. E gliela diedi, pregandolo di riferire sulle implicanze educative (meglio dis- educative, secondo il significato che il termine nel mio lessico assume, di affrancanti dal gregge, dai padroni, dai tiranni  -primi gli idola baconiani che ognuno di noi dalla nascita si porta dentro, triste eredità di culture plagianti). E nonostante il coinvolgimento emotivo Francesco fece una bella tesi, che la commissione premiò con la lode.  Si trattò della prima tesi discussa su Pasolini in una facoltà pedagogica, e a me servì ad approfondire un discorso per la verità mai seriamente iniziato, e a stimolarmi alla lettura delle opere principali del grande Provocatore.

  

   Tra le cose che in questi giorni ho letto e sentito, una breve riflessione mi ha colpito, quella di un amico, Paolo di Nicola, titolare di una dotta rubrica musicale settimanale, ‘La voce umana’, su Radio Vaticana. Posta egli su Fb:

   “Un breve piccolo pensiero...
   Il 2 novembre 1975 veniva brutalmente e vilmente ammazzato il Poeta Pier Paolo Pasolini, il più grande "Profeta" del XX secolo. Colui che "annunciava" la conversione dalla civiltà dei consumi e dal conformismo della borghesia "fascista". Colui che stava con gli "outsider" del mondo, che amava intensamente e dai quali è stato intensamente amato. Colui che pur professandosi "ateo" non ebbe paura di scrutare l'insondabile Dio con l'obiettività d'un "credente". Ha lasciato un solo rimpianto: il film sul "Santo" di Tarso mai realizzato. Ma consola il saperlo pensato. Grazie o amato fratello Paolo. Riposa finalmente in pace!

   Quasi tutto condivido, tranne l’opinione che egli sia  ‘il più grande Profeta del XX Secolo’. Per il resto nella sua concisione Paolo dice quanto io non sono stato in grado forse di dire nel mio lungo sproloquio. Porterò i suoi saluti a PP nella sua torre di Chia di Soriano nel Cimino, sua seconda casa, di cui s’era innamorato all’epoca della Passione secondo Matteo, e che mensilmente per parte mia saluto dalla superstrada Orte-Viterbo allorché mi reco a Montefiascone al Campus IPU. E prendo l’impegno  di concludere l’anno prossimo la mia docenza, se dai fati mi sarà concesso, con un corso su di Lui il cui titolo potrebbe essere: Pasolini, o l’ansia dell’assoluto. Son certo che la mia in quell’ambito anomala iniziativa non dispiacerà alla Pontificia Università Salesiana, dimostratasi così tollerante con me in questi anni, alla quale l’IPU s’è affiliato per il riconoscimento dei suoi corsi. Dài, dopo Goethe e Nietzsche un Paolini ci sta proprio bene!    

________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 

 

 

 
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