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COME UN FIORE NEL DESERTO

Post n°275 pubblicato il 05 Novembre 2010 da manser11
 

Sai che faccio? Nell'attesa che esca il mio settimo e ultimo libro, ripercorro dall'inizio il mio cammino letterario edito. Era il 1997 quando uscì con l'Editrice Nuovi Autori di Milano Come un fiore nel deserto, un libretto autobiografico molto ingenuo e privo di stile e originalità, ma che fece molto scalpore nel paese dove vivo. Tra quelle pagine mi ero messo a nudo, parlando dei miei due grandi sogni infranti proprio nel periodo di maggior fragilità caratteriale; avevo perso il "Grande Amore" e insieme ad esso il treno per diventare un calciatore di buon livello. Ero praticamente a terra, e avevo cominciato a scavarmi la fossa. Il tunnel è stato buio e lungo ma alla fine ne sono uscito e oggi non posso che essere grato a quell'immensa sofferenza, perché altrimenti non sarei mai diventato quello che sono oggi. Cosa sono oggi? Niente di chè, solo un uomo che ha imparato a godere delle cose semplici della vita e a vedere l'anima delle persone.

Molti mi dissero che avevano pianto leggendo Come un fiore nel deserto;  il fatto in un certo senso mi ha sempre sorpreso, ma da un lato anche appagato: aver scritto con il cuore una storia semplice può significare che scrivere senza artifici è il miglior modo per entrare, appunto, nel cuore della gente. Se ripenso a quel mio primo romanzetto (67 pagine, 16.000 lire dell'epoca) mi vengono subito in mente i versi (perché era composto anche da versi) di una poesiola intitolata "Solo":

Sono solo quando penso / Sono solo quando parlo e tu non mi capisci / Sono solo quando piango /Sono solo quando vorrei essere e invece non ho neppure /Sono solo nell'illusione di una vita su misura / Ho forse colpa se il destino mi ha fatto nocciolo senza polpa? Sono solo e sempre lo sarò.

Quando scrissi queste parole profetiche quasi quindici anni fa, non avevano il significato che hanno assunto oggi. Allora parlavo di una solitudine disperata. Oggi non è più così: sono solo sì, ma la mia è una solitudine piena, che paradossalmente mi rende unico e allo stesso tempo mi fa sentire parte dell'universo. "Raggiungere il cielo e solcare il suo azzurro, per riuscire a sentirsi non più uno ma qualcuno, era la sua grande utopia" scrivo nella premessa. A quell'epoca travagliata e immatura diventare "qualcuno" voleva dire raggiungere un traguardo materiale; oggi essere "qualcuno" significa aver raggiunto una fondamentale meta spirituale. Senza presunzione posso dire di esserci arrivato a quella meta: oggi sono IO!

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vi_di
vi_di il 08/11/10 alle 15:20 via WEB
La maturità, secondo me, serve a essere consapevoli di sé. E il traguardo da porsi non è diventare qualcuno ma essere cosciente di essere qualcuno. Insomma eri TU anche allora: solo che non lo sapevi.
(Rispondi)
 
manser11
manser11 il 08/11/10 alle 18:32 via WEB
Su quello che dici potrei essere d'accordo, ma anche no. Cioè, l'argomento sarebbe da approfondire e le diramazioni che può prendere sono innumerevoli. Per esempio IO ero IO anche vent'anni fa, ma ero un IO acerbo, difettoso, ignorante, imbarazzante. Ero dunque il "vero" IO? O l'essere veramente IO (TU, NOI, VOI)presuppone il superamento di un certo traguardo invisibile? Mah, so solo che quando commenti mi mandi in pappa il cervello! :-D
(Rispondi)
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