Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

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Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

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EDIPO DIXIT-RIESUMIAMO...

 

 

Perché nella maternità adoriamo il sacrificio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell'immolazione materna?

                                           Sibilla Aleramo

 

 

Per qualcuno, forse, è per una pretesa di superbia o probabilmente per noncuranza ma, in realtà, è più frequentemente per distrazione (e, spesso, ammetto per mancanza di tempo da dedicare alla perlustrazione degli ospiti transitanti) se, difficilmente, mi inoltro tra i profili e gli spazi di coloro che approdano in questi confini elettrici.

Soprattutto se e quando passano in un giorovagare episodico, senza lasciare una traccia scritta.

Accade, però, talvolta che per una serie "x" di motivi, mi ritrovi, invece, a ricambiare un passaggio. Accidentale o meno che sia. 

Qualche settimana fa è accaduto. E così sono finita in un blog sconosciuto in cui tra un post e l'altro si trattava l'argomento "maternità", considerata dall'autore come una condizione connaturata e quanto mai atavica implicita nell'esistenza femminile.

Quel che ho letto mi ha fatto rispondere con un commento ed in seguito ho pensato che, per tutta una serie di argomenti correlati riguardanti l'esistenza o meno di predisposizioni pseudo naturali insite in un genere sessuale, (forse) sarebbe potuto essere di qualche utilità riportarlo anche qui.

Anche soltanto per esorcizzare chi, per un motivo o per un altro, potrebbe sentirsi amputato, irrisolto o frammentato da alcune tenaci fole popolari.

Ed inoltre, credo, che il fatto stesso di riesumare si addica al clima...ed alle festività del periodo. 

 

 

Ed ecco la salma, ovvero il corpo del mio commento.

Partendo proprio da un abbozzo di analisi delle teorie espresse dall'autore, premetto che se si vuole parlare della maternità come potenzialità biologica predisposta a nutrire un embrione attraverso il corpo o, se vogliamo, anche di una naturale inclinazione verso l’accudimento ed il sacrificio, sicuramente la femminilità, se considerata come "astrazione concettuale", predisponendosi ad accogliere in sé anche (seppure non solo) questi aspetti, non può che riscontrare nella possibilità di essere madre una totalità della sua espressione; cionondimeno sappiamo perfettamente come, uscendo appena di un poco dall’uscio dell'ambito teorico, sia facile constatare come queste asserzioni vengano sconfessate in atto.

Queste idilliache premesse, infatti, si sgretolano già nel momento stesso in cui esistono donne che, pur accogliendo un figlio nel loro perfettamente fertile grembo e ben predisposto dalla magnanimità della natura ad una congenita maternità, non solo non manifestano nessun tipo d'istinto genitoriale durante la gestazione ma, talora, preferiscono addirittura scegliere consapevolmente di effettuare un' interruzione della gravidanza o, comunque, pur non optando per l’aborto, decidono ugualmente di separarsi dal neonato offrendolo in adozione.

Senza voler arrivare, poi, all'enunciazione dei casi evidentemente più estremi (seppure esistenti e, di fatto, non poi così sporadici) d’infanticidio, è sufficiente anche solo osservare gli innumerevoli casi di donne che, pur avendo partorito, e pur essendo divenute biologicamente e volontariamente madri, anche sforzandosi di crescere e di educare i propri figli per una vita intera, non riescono a reprimere un' ineluttabile ma radicata incapacità ad accettarli ed amarli.

Ugualmente, non bisogna sottovalutare il significato traslato del concetto di maternità che, se non limitato al livello di accoglienza dell’embrione nell’utero, si può tranquillamente e con una certa ovvietà estendere, almeno per quanto riguarda l’istinto e la predisposizione verso la protezione e la cura (implicite nel significato del termine “maternità”) tanto ad un padre come ad una donna nullipara.

Ma, attenzione, nullipara non significa altro che nullipara…e quindi senza prole, pertanto non estendiamo al termine interpretazioni aggiuntive che prevedano l'esacerbata equazione di: persona di sesso femminile "senza figli" = persona di sesso feminile "senza identità sessuale, psicologica o sociale".

Pur ammettendo e concedendo le premesse iniziali, infatti, il voler ridurre un "tutto" (come, di fatto, è un individuo) ad una sua "singola parte", nella fattispecie la condizione di maternità o i connotati che maggiormente potrebbero associarsi all’idea di essa (dalle caratteristiche fisiche riconducibili a seni prosperosi, bacino e fianchi larghi, per intenderci, fino a quelle comportamentali e psicologiche di indulgenza e sensibilità) sarebbe come voler deliberatamente degradare una persona di sesso femminile ad un mesto clichè, nell'identico modo in cui è stato ridotta la virilità dell’uomo alla sola forza fisica e all'istinto aggressivo.

 

                                  

 

Perché, allora, parlarne?

Perchè, dunque, un argomento tanto evidente di per sè da apparire quasi banale e inutile da rimarcare, potrebbe ancora diventare pericoloso?

Il motivo è molto semplice.

Perché, per estensione, questa identificazione del "tutto" con la "parte" può arrivare ad applicarsi ad ogni contesto ed a tutti, con risultati che non si limitano ad un movimento del capo e ad un sospiro invocante Jacques de La Palice.

Queste identificazioni poco logiche, infatti, nascendo e sviluppandosi come figlie tardive di lapalissiane interpretazioni, pur sembrando apparentemente innocue e vestite di inoffensive consuetudini, di fatto, tanto innocue non lo sono mai.

Seguendo, pertanto, il meccanismo sillogistico della riduzione del tutto ad una singola parte, se una donna diventa una fattrice destinata alla riproduzione, anche un disabile amputato potrebbe essere considerato "meno uomo", rispetto ad un uomo dotato d'integrità fisica, in quanto manchevole di un arto…

Chi, cerebralmente normodotato, potrebbe pensare che l'umanità di un uomo venga presupposta dal numero di organi e di arti posseduti? Credo nessuno.

Eppure, seguendo il ragionamento identificativo proposto incautamente, nonostante l’uomo resti un uomo anche senza le gambe o se privato dell'utilizzo della vista (esattamente come resta un uomo qualsiasi essere umano di sesso maschile impossibilitato ad avere figli), la stessa ovvia concessione non sembrerebbe accordabile se applicata ad una donna...che secondo alcuni criteri inspiegabili, dovrebbe, invece, trovarsi necessariamente dinanzi all'aut-aut tra l'essere in condizione di maternità o, come alternativa inevitabile, trovarsi nella condizione d'essere frustrata dalla mancanza di esserlo...

Io ho avuto un tumore ovarico qualche anno fa, quando avevo 32 anni e, di conseguenza, non posso avere bambini.

Non posso, cioè essere biologicamente madre, procreando vita umana.

Con molta trasparenza, però, posso anche non solo confessare di non sentirmi sminuita da un punto di vista “femminile” ma anche ammettere, e senza sentirmi in alcun modo innaturale, che neppure prima di ammalarmi ho mai pensato a me stessa come ad una ipotetica madre biologica di chicchessia.

Ed anzi, a dirla tutta, per quanto sicuramente riconosca come importante e sacra la condizione di genitorialità, se applicata a me, questa predisposizione di fatto non predisposta mi ha, probabilmente e da sempre, vagamente inquietato.

Presupporre che la complessità strutturale di un individuo (di qualsiasi genere sessuale) possa ridursi ad un aut-aut, equivale a ridurre facilmente l'essere umano ad un software informatico.

E, naturalmente, il voler affermare che una donna si debba trovare a rivestire, in alternativa diretta al ruolo di madre, inevitabilmente, quello macilento dell'invidia, mi sembra un meccanismo di riduzione tale da non garantire neppure una credibile e basilare funzionalità dell'applicazione informatica...

Ma c'è di più.

Esistono persone che, come me, nonostante per qualcuno possano risultare inverosimili, non solo non si sono mai viste potenzialmente “madri”;  ma non riescono proprio, forse, a pensarsi riducendosi a semplici creature di genere.

Io non lo so quanti di voi si riconoscano attraverso lo specchio confortante dei loro attributi sessuali o al grado di elasticità della loro pelle e quanti magari si sentiranno loro stessi solo fintanto che la vecchiaia non scolorirà l'aspetto e le memorie a breve termine; ma io non sono la mia età, né il mio lavoro o i vari ruoli attraverso i quali al mondo piace, ad ogni passo di questa esistenza, etichettare la mia salma.

Per quanto attraente, giovane o vitale possa essere.

Io sono un’anima. Ed ho un corpo. 

E sono prima di tutto una persona. Così mi penso, se proprio devo pensarmi.

Ed il concetto stesso di femminilità, come il concetto di eleganza o di sensualità, o ancora di seduzione e scambio emotivo hanno talmente tanti e tali aspetti che il solo supporre di poterli ricondurre ad una simbologia unica è tanto rassicurante quanto mai traviante…

Nel corso del post, inoltre, veniva addirittura identificato (e quindi scambiato) il concetto di maternità con la necessità di elargire affetto e, per conseguente estensione logica, di accudire o persino provare tenerezza, dimenticando arbitrariamente, quindi, che queste esigenze non sono necessariamente, né sempre, sinonimi della maternità.

O, meglio, se certamente si auspica che questi elementi siano tanto impliciti quanto inevitabili nell'ambito della maternità, questo non significa affatto che siano prerogative appartenenti alle sole madri, dal momento che, poi, sin dalla nascita del mondo, sono patrimonio comune pertinente a tutti gli esseri umani quando non, addirittura, e in una certa misura a tutti gli esseri viventi.

Se tutte le convinzioni espresse nel post riesumato (che fondamentalmente ipotizzo siano state solo boutades o semplicistiche inconsapevolezze volutamente riduttive a scopo esemplificativo), fossero, invece, considerazioni di lucido convincimento, porterebbero ad aberrazioni consequenziali, in quanto dichiarerebbero per una conclusione deduttiva diretta, l'incapacità affettiva per qualsiasi individuo privo di una capacità (o di una volontà) di gestazione, precludendo, pertanto, e per estensione, ogni individuo sterile o non desideroso di procreare, anche all’amore stesso.

E di conseguenza, sempre seguendo il principio paradossale di queste asserzioni, anche l'affetto ed il senso di protezione che i bambini nutrono verso i propri piccoli cuccioli domestici, coerentemente ad un simile (ipotetico) delirio, andrebbero parimenti visti solo alla stregua di surrogati, come ulteriori e minuscole compensazioni per un desiderio frustrato di maternità...

Resta, inoltre, un punto di domanda perplesso e sgomento...

C'è da chiedersi, infatti, da quando l’affetto, la tenerezza o la stessa inclinazione propriamente umana ad un certo tipo di dolcezza, sono da considerarsi a beneficio esclusivo di un figlio?

Se così fosse, non esisterebbero neppure più i legami di coppia, o rapporti amicali, fraterni, o semplicemente solidali ed anche questi sentimenti dovrebbero essere, per conclusione, considerati come succedanei, solo tanti calchi in gesso forgiati a modello di un unico ed assoluto rapporto: quello tra madre e figlio.

Una considerazione giusto un tantino azzardata, forse anche per Edipo...

 

 

Come esistono molti colori ed altrettante, se non di più, sfumature per ogni emozione, anche la maternità, almeno “teoricamente” è un aspetto genetico e sociale di valore simbolico indiscutibilmente immenso (e sicuramente meravigliosamente ricco da un punto di vista emotivo, come ideale); ma contro tutte le aspettative più o meno edipiche, non può in nessun modo definire nella sua interezza, un'identità psicologica ed organica dalla ricchezza incommensurabile qual è, appunto, la composizione di un genere umano...che (forse) ha ancora qualche libertà e complessità in più di uno smartphone.

 

          

 

 

                   

 

                                  Ed ora...Diamo un po' di ossigeno ai sepolcri?

 

                              

 

 

 

NOTA: Al di fuori dell'opera di Pablo Picasso e a quelle di Alice Mason, le altre immagini sono state reperite via web senza possibilità di risalire all'autore. Nel caso in cui i legittimi proprietari lo richiedessero, verrebbero immediatamente rimosse.

 

 
 
 
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