Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

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Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

« Ho aperto quello specchi...L’IO NON E’ PADRONE IN CASA SUA »

L’essenziale invisibilità oltre gli occhi

 

                                                  

 


                                                                                         

"HO VISTO UN ANGELO NEL MARMO; MA NON L'HO SCOLPITO FINO A QUANDO NON L'HO LIBERATO..."  

                                                  (Michelangelo)

                                      

 

 

E’ decisamente di moda appropriarsi senza riflettere, e con una noncuranza a volte innaturale, della celeberrima frase di Saint Exupery “l’essenziale è invisibile agli occhi”; ma da qui al fatto che i fruitori della citazione ne posseggano davvero il senso…non ci scommetterei nemmeno una pagina di quel minuscolo concentrato di filosofia dell’esistenza che è Il Piccolo Principe.

Eppure, anche se materialismo, idealismo, fede religiosa e scienza hanno dato il loro meglio per spiegare o sconfessare l’esistenza di un’anima (o, se preferite, principio vivificante di quella materia organica di cui è composto l’uomo), tanto che la si voglia definire in termini teologico-filosofici oppure rinnegare nella sua concezione immateriale e incorruttibile, preferendo identificarla in un insieme di facoltà cognitive e comportamentali riferibili a meccanismi esclusivamente cerebrali, in ogni caso, non la si può comunque pensare se non attraverso l’ausilio di un sistema di concetti.

Ed i concetti, in quanto significati universali, di fatto, semplicemente non possono costituire un insieme organico radicato nell’accidentalità e nella contingenza riferibili al mondo sensibile.

 

Quello, sostanzialmente, fisico e visibile agli occhi.

                                                                        

 

Ma scomodiamo un attimo, e per sola nostra comodità, Platone.

La conoscenza sensibile si fonda e si costruisce sulle impressioni. Le immagini si imprimono sulla retina, l’energia luminosa si traduce in nervosa e poi, attraverso il nervo ottico, se tutto procede secondo aspettative, arriva al cervello. E fa touchdown!

Ma l’intelletto per arrampicarsi sull’essenzialità di un concetto procede per scremature, togliendosi di dosso le immagini sensibili impresse attraverso i sensi.

E molto schiettamente, dalle domande che, nei suoi dialoghi, Platone fa porre a Socrate via via ai suoi vari interlocutori, è evidente che tutto si riconduca ad un’unica parolina: idea. La cui derivazione greca deriva da un verbo, ὁράω, che significa, sì, “vedere"” (con gli occhi); ma anche guardare con la mente: vale a dire astrarre, pensare, intuire, anticipare, scoprire.

“Come fai a distinguere ciò che è bello da ciò che è brutto?”, domanda Socrate.

“Che cos’è il bello?...”

E cosa il giusto? E il buono? E…?

Già, perché per distinguere è necessario prima conoscere.

O si finisce a fare la figura degli ebeti, un po’ come il povero Ippia che, tempestato di domande da Socrate, continua a rispondere alla sua richiesta di spiegare che cosa sia una cosa, e cioè l'essenza di una determinata entità, divagando con manciate di esempi che, magari, partecipano ad essa, ma certo non la definiscono in alcun modo: "Bella è la fanciulla, bello è il cavallo (bello è questo, e quello, e quell’altro)..."

Povero Ippia, Platone non gli ha dato una gran parte.

Ma l’esempio è illuminante (insomma...per chi è sveglio come Ippia, forse proprio lampante no; ma lavorandoci su…) ed è la risposta precristiana al nostro Petit Prince.

L'idea è un "universale": i molteplici esempi sensibili trovati da un disorientato Ippia, sono enumerazioni di casi particolari rispetto all'idea: la bella fanciulla ed il bell’animale non sono che dimostrazioni esemplificative di cosa sia la bellezza.

Partecipano ad essa, ma non ci dicono cosa essa sia. Ne’ coincidono con essa.

Così accade che l’idea della bellezza (o giustizia, onestà, o cosa parrà a noi) sia il criterio di riferimento grazie al quale possiamo determinare belli (oppure giusti, onesti e via dicendo) i vari oggetti, le varie situazioni, le emozioni o le persone.

Ed il punto è questo: una differenza ontologica.

Ed allora, perché l’essenziale è, comunque, alla fine, per tutti, per i teologi, i filosofi, gli atei ed i materialisti, invisibile agli occhi? Fondamentalmente per tre motivi.

Perché gli oggetti sensibili e visibili (!) sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento, mentre le idee sono le loro essenze stabili ed archetipe.

E perché le ispirazioni, le elaborazioni, le ricerche, i viaggi introspettivi, gli scambi emotivi sono le sole vere cause per le quali l’uomo, guidando e vestendosi di cause ausiliarie -gli elementi fisici - ogni giorno, si muove, desidera, lotta, agisce e vive. Anche se poi, durante il percorso, quando cala la nebbia che appanna gli occhi, con tutto quel grigiore, ognuno di noi facilmente si confonde, credendo erroneamente che il mezzo sia la causa per il fine. Salvo poi, quando si perde una persona, stupirsi tutto ad un tratto, nel non trovare più nulla di chi che prima si amava, in quel luogo dove vengono conservati i resti del suo abito di carne...percependo così, piuttosto chiaramente, che l'essere umano non sta lì, in quell'abito dismesso con la morte.

Ed infine, perché, per una forma di ipermetropia o presbiopia (a seconda dell’età) congenita, difficilmente l’essere umano vede in maniera nitida quanto maggiormente gli è vicino ed ancora più difficilmente ne riconosce l’essenzialità…

 

        

 

 

 
 
 
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