Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

Messaggi di Gennaio 2018

CONOSCI TE STESSO?

 

 

 

 

 

Abbiamo detto che quando siamo venuti al mondo eravamo nudi di una nudità totalmente decontestualizzata, eppure eravamo essenziali e di valore inestimabile anche senza avere ancora espresso nulla.

 

Allora facciamo un esperimento.

 

Tempo fa, leggendo buona parte degli scritti di Igor Sibaldi, avevo trovato la più vecchia questione del mondo - "chi sono?" - posta in modo da prevedere che le risposte cercate dovessero tenere conto di alcune limitazioni precise...

La condizione per definire se stessi, infatti, era quella di non potersi avvalere di nessuno dei parametri abitualmente offerti come stampelle nei contesti sociali.

Vale a dire, senza poter dare nè coordinate familiari - in quanto noi non siamo quelli che siamo in virtù del fatto che "nostro padre è", noi siamo "le madri/i padri di" o le mogli/i mariti, i compagni e gli amici di qualcuno - nè lavorative, perché noi non siamo il nostro lavoro.

Di fatto, non è sicuramente facile rispondere alla domanda senza passare attraverso i nostri affetti e legami; ma è innegabile che chiunque amiamo, anche coloro dai quali siamo stati generati, non si possono definire nostri invariabili sinonimi.

Sono parte del nostro DNA, talvolta pezzi di cuore, un enorme nutrimento emotivo della nostra esistenza ed alcuni di loro, poi, sono complementari per la nostra anima, tuttavia non sono noi.

Soprattutto per alcuni, però, il gioco diventa ancora più complicato se il divieto impedisce di descriversi avvalendosi di tutte le attività svolte, dei riconoscimenti ed i titoli ricevuti nel tempo. Ma anche qui, non dimentichiamoci che noi non siamo neppure le nostre lauree, i nostri diplomi e le nostre preclare cariche. E nemmeno le nostre azioni.

Va da sé che il nostro operato e tutte le scelte per le quali optiamo siano invariabilmente importanti, non fosse altro perché caratterizzano la fiducia o la sfiducia che deponiamo in noi stessi; ma per quanto preponderanti non sono la risposta.

E questo perché possiamo anche essere intelligenti oltre misura ed eccellere in qualsivoglia abilità o, al contrario, rubare e compiere tutta una parata di scorrettezze durante la nostra vita; ma queste espressioni non sono noi. Sono (e restano) solo esternazioni episodiche riferibili ad un particolare contesto e momento in cui i nostri comportamenti sono stati specificatamente efficienti oppure scorretti, indipendentemente dal fatto che siano accaduti in un singolo momento o che invece si siano ripetuti per un più o meno lungo periodo della vita.

È innegabile che tutto ciò che abbiamo fatto (o, al contrario, anche scelto di non fare) caratterizzi e rilevi la tonalità di un nostro preciso aspetto; ma non per questo scopre  l'intero colore della nostra anima.

Noi siamo oltre, e decisamente molto più di questo.

Un uomo può sbagliare come innalzarsi tante volte nella vita, ed ugualmente può cambiare amici, lavori e amanti; può apprendere di avere genitori biologici mai visti ed avere più famiglie tutte acquisite; nascere in una nazione eppure vivere in molte parti del mondo...ciò nondimeno nulla di tutto questo lo identifica completamente.

Ed allora la domanda resta aperta.

Rispondiamo alla questione più antica del mondo e descriviamo chi siamo...

Ma partendo solo da noi stessi.

 

 

 

 

P.S.

L'amica misteropagano mi ha suggerito un'idea con un suo intervento

di poco tempo fa, 

e credo che sarebbe sorprendente scoprire cosa emergerebbe di noi,

non solo dicendo chi siamo senza esprimere cosa facciamo o da che contesto deriviamo;

ma anche descrivendo quale potrebbe essere il tatuaggio (invisibile) della nostra anima...

 

 

 

[ E dal momento che di simboli si sta trattando...]

 

 

Al di là di ogni religione e ragione

oltre che di memoria umana

 

 

"Shalom...

Non m'indurre a lasciarti

perchè ovunque tu vada io sarò con te;

ovunque tu viva, io vivrò;

ovunque tu muoia, lì morirò."

 

-dal Tanakh-


 

-Se comprendere la Shoah è impossibile, conoscere è necessario perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.-

 

 
 
 

Iniziamo dal principio

 

 

Dal momento che il 6 gennaio è trascorso ed archiviato e, come sottolineano i pragmatici neuroni popolari, si può incontrovertibilmente affermare che l’Epifania ogni festa se l’è decisamente portata via, anche la favolistica serie Wonderland è stata riposta in soffitta.

Dentro allo scatolone con le luci, i resti di fili argentati e oro degli addobbi e tutti i rami di pino artificiali o secchi, è stata ringraziata ma messa a riposo per un lungo sonno al calduccio.

Spenta, quindi, ogni luce su Alice e su tutti gli involucri con angeli e slitte, richiudiamoci la porta alle spalle senza far troppo rumore ed iniziamo l’anno nuovo con un calendario virtuale puntato verso un altro avvento…quello nuovo e vecchissimo che si chiama Vita.

E lo facciamo partendo da una nascita: la nostra.

 

“Quando ho cominciato ad amarmi davvero,

mi sono liberato di tutto ciò che non mi faceva del bene:

cibi, persone, cose, situazioni

e da tutto ciò che mi traeva verso il basso, allontanandomi da me stesso.

All’inizio, tutto questo, lo chiamavo sano egoismo.

Oggi, però, so che semplicemente altro non è se non l'amare se stessi."

Charlie Chaplin

 

Appelliamoci, adesso, al racconto di Francis Scott Fitzgerald - poi divenuto film - e parafrasando Benjamin Button, anche noi, per un secondo, sovvertiamo le lancette del nostro ipotetico orologio mentale e facciamo finta che esista il tempo, per tornare al momento in cui siamo nati.

Non c’erano ruoli per cui essere apprezzati, allora, non c'erano impegni o responsabilità a caratterizzare il nostro valore, nè azioni e giudizi a misurare l’altezza della nostra vita.

Eravamo nudi ed apparentemente insignificanti nella nostra totale inettitudine, incapaci di parlare, pressoché incapaci di vedere, quasi del tutto incapaci di muoverci.

Chi o che cosa, allora, ci ha reso incommensurabilmente degni della nostra esistenza se non forse l’esistenza stessa?

Partiamo da questo:

da un punto in cui facciamo finta di non avere nulla.

Niente.

E di non essere nessuno.

 

Avremo però, ed intanto, due cose innegabili:

Abbiamo l’esistenza.

E siamo vivi.

 

Amiamoci a prescindere, già solo per questo.

 

 

 

 
 
 

L'EPIFANIA E' UNA PORTA...

L’epifania è una porta

(e impassabile non è impossibile)

 

Serratura: Oh, mi dispiace, sei troppo grossa, proprio impassabile.

Alice: Vuoi dire impossibile.

Serratura: No, impassabile. Nulla è impossibile.


 

 

E nulla è impossibile quando si supera il limite legato al senso d’impotenza che ci impedisce di realizzarci “divini”.

 

Con il termine ἐπιϕάνεια, letteralmente, si intende la manifestazione visibile del divino

Ma anche svincolata da un ambito strettamente religioso - le epifanie, infatti, nella Grecia arcaica erano le feste durante le quali le divinità celebrate si rivelavano nel segreto del ναός, quello spazio interno al tempio dove erano collocate le statue degli dèi e nell'ambito del culto cristiano il termine viene utilizzato per ricordare la prima manifestazione di Cristo, riconosciuto dai Magi nella Sua divinità - la parola mantiene il suo significato di rivelazione e disvelamento. Una sorta d'improvvisa da ispirazione divina. 

Per questo l'Epifania è una porta.

Nel folle Wonderland, Alice parla con oggetti inanimati divenuti interattivi e nel dialogo con la serratura il gioco di parole -così tradotto in italiano- fra impossibile ed impassabile, ci mette davanti ad una condizione, come sempre apparentemente paradossale, ma non per questo inautentica…

Essere “impassabile”, in questo caso, per Alice significa avere dimensioni troppo grandi per poter entrare all’interno di una minuscola serratura; ma “l’essere impassabile” si mostra come un problema in fondo relativo, non certo universale.

Alice, infatti, si ritrova sicuramente ostacolata rispetto alla possibilità di attraversare un piccolo spazio, ma il riconoscere che il piccolo spazio risulta “impassabile” è molto diverso dal considerare un qualsivoglia ostacolo come totalmente “impossibile” da superare.

Così, “impassabile”, pur nella sua inesistenza semantica, si circoscrive ad un definito e circostanziabile impedimento, vale a dire unicamente a quello del “non poter passare attraverso”; mentre “impossibile” implica un’assolutezza che si estende indefinitamente ad ogni che.

Pertanto, “impossibile” è una chiusura totale ma “impassabile”, dopotutto, pur definendo un limite, lascia spiragli e fessure aperte...E paradossalmente, una fessura, non è proprio lo spiraglio insito nella serratura stessa che, in questo caso, crea il blocco?

Non ci disperiamo troppo se una serratura ci sbarra il passaggio, una soluzione alla fine c’è.

In fondo non siamo di fronte all’impossibile, ma solo all’impassabile…e come suggeriva Audrey Hepburn, "Impossibile non esiste". Almeno in inglese. Dove la stessa parola impossibile afferma...di essere la possibilità!

 

 

 

 

 

 
 
 

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