estremalatitudine

corto 39

la signora, un pochino in carne, portava fuori il cane (un cagnetto piccolo, senza importanza) con sicurezza sui suoi tacchi dodici. Faceva caldo. I primi caldi. Maggio. I suoi polpacci non ancora abbronzati erano comunque piacevoli. Reggevano con disinvoltura un signor culo che lui, osservandolo, osservandola, definì in cuor suo regale.

Le si avvicinò con la scusa dei cani.

La signora lo guardò da stronza. Teneva le distanze. Doveva essere abituata ad essere abbordata. Lui non mollò.

Una frase la fece sorridere. Forse. O forse fu la sua insistenza e la sua parlantina. Parlava ad una velocità pazzesca, continuando a dire cose intelligenti e spiritose, senza che lei, a parte quel vago sorriso, desse segno di aver sentito.

Ma quel sorriso c'era stato. Era reale. Non si era sbagliato!

Continuò a sparare ancora qualche cazzata. Intanto i cani giocavano insieme. Lei guardava distratta da un'altra parte. Lui decise di cambiare tattica. Un sorriso era troppo poco.

"quando l'ho vista ho pensato avesse un gran culo. complimenti. adesso che le sto vicino da un po' vedo che ha anche altri argomenti, ma quello, confermo, rimane insuperabile"

Lei, come scossa dalla corrente, lo fissò e con un sibilo disse qualcosa che lui intuì essere una domanda: come si permette?

Intuì perché il suo tono di voce era stato insolutamente contenuto. In realtà era una donna abituata a parlare con chiarezza e con una certa voce alta. Ordinava per lo più. Anche con suo marito, anzi soprattutto.

"mi permetto perché è vero"

Lei lo guardò ancora una volta. Per la verità prima non l'aveva neanche fatto. Uno dei tanti seccatori che cercavano di abbordarla o per la bellezza o, più spesso, per i soldi.

Non era male. Più alto di lei che pure non era bassa e in più aveva il tacco dodici. Senza pancia. Slanciato, anzi. Non male. E poi diretto. Meno male. Odiava quelli che evidentemente la tampinavano per la sua bellezza, ma facevano finta di niente e parlavano di letteratura o, peggio, del tempo. Questo era diretto. Meno male.

"Lei è un impetinente" disse, ma poi non si sottrasse al resto della chiacchiera.

Divennero amanti. Lei adorava quando lui a letto le ordinava qualcosa. Girati. Mettiti così. Fai questo. Fai quello. Perfetto. Diretto. Senza sensi di colpa. Lei non ne aveva. Neanche lui. Adorava soprattutto quando le ordinava di girarsi e di mettersi pronta alla pecorina. Mentre lo faceva, mentre di girava e si preparava, già sentiva la sua mano sul suo inguine che la tormentava mentre da dietro llui a prendeva con forza e passione.

"hai un culo regale" ogni tanto lui le ripeteva. "te l'ho detto fin dal primo giorno: regale!" "Girati"

Adorabile. Diretto. Focoso. Passionale. Attento. Che vuoi di più, pensava lei.

Quando lui un giorno le ordinò di spogliarsi di fronte ad un tizio beccato in rete e che insieme avevano accuratamente e lungamente selezionato e quando poi fecero l'amore in tre, quando si sentì per un tempo infinito amata e baciata e vezzeggiata e levigata e leccata e presa da due uomini insieme il "che vuoi di più" le tornò in mente per un attimo insieme alla risposta: questo.

Alla fine, rimasti nuovamente soli, lei lo guardò con tenerezza e amore. Solo grazie a lui era potuto accadere. Un altro amante meno diretto e con sensi di colpa non l'avrebbe mai permesso. Lei gli si strinse contro e gli disse: "chiedimi quello che vuoi" e lui, ancora affamato, le rispose solo con quel "girati" che lei adorava.