Il Gargano di Antonio Beltramelli, di Riccardo Bacchelli, di Anna Maria Ortese, di Pier Paolo Pasolini è stato raccontato con rocchio del forestiero che s’inoltra in una realtà sconosciuta. Nei loro ragguagli c’è stupore e quella linea di scandalo di fronte ad un mondo che appare atemporale e in qualche modo alieno. Il massiccio promontorio che chiude la Puglia a nord e si protende con prepotenza verso un Adriatico pieno di storia ci viene offerto nei suoi screziati fotogrammi come un limite tra storico e astorico, reale e magico. Nella prima metà del ‘900 è ancora così, sembra ancora una terra impenetrabile; quasi un continente a sé stante appena solcato dalla piccola ferrovia che l’attraversa nei percorsi più dolci. Dal Gargano, terra di contadini, pastori, pescatori, boscaioli sono uscite moire di emigranti spargendosi in tutte le terre emerse, ma molti ritornando ad immaginare come potevano cambiare i propri paesi, come avrebbero tenuto testa alla galoppante modernità. Certi libri non te li aspetti da chi è partito e non te li aspetti così grondanti di amore per la propria terra ritrovata nello splendore della sua verità naturalistica, storica, artistica, in una parola, umana. Non nuova a lunghe peregrinazioni e forte di robusti romanzi, Lucia Tancredi di San Marco in Lamis ma trapiantata a Macerata da anni, ci consegna le chiavi di un suo avvincente inno al suolo patrio nel recente Gargano negli occhi. Racconti di viaggio (Ev, pp. 284, euro 20,00). A 56 anni se li è ripassati tutti i diciotto paesi del suo Gargano, ci ha camminato con incontaminata emozione e ha scoperto tesori inesauribili viaggiando in una geografia difficile, cha dai tenebrosi interni della Foresta Umbra si divincola verso coste radiose, ora basse, ora orlate di laghi e di altissime falesie.
La varietà dei paesaggi, così come le differenze dell’economia di base (una vocazione agropastorale dell’interno distinta da quella marinaresca e mercantile della costa, ora piegata al turismo di massa) non resistono ad una certa coerenza antropologica e ad uno stile di vita che sembrano scritti secondo il sapiente equilibrio tra natura e storia. Tancredi non si ferma alla superficie di ciò che gli occhi vedono, ma s’immerge completamente nello spirito di una terra che ha subito, pur ai margini, tutte le dominazioni (da quella romana al Regno di Napoli) e le cocenti sopraffazioni di un ceto dominante, predone di masse plebee. Accanto agli immancabili castelli, alle chiese, ai palazzi l’autrice ha messo in risalto ogni angolo, ogni anfratto, ogni scorcio di realtà nobilitata dalla mano sagace degli abitanti. Tutte le tappe del viaggio, introdotte da ridenti sommarietti, hanno conosciuto soprattutto la lingua gustosa e nutriente dell’esploratrice, spalmata con tocchi appetitosi sulle sue prelibate scoperte. È come se ad ogni aprirsi di strada e ad ogni rivelazione di orizzonti, ad ogni svolta di incontri Tancredi avesse addobbato il suo Gargano con lunghe carezze, intingendo il suo occhio pittorico in un lento godimento di sensazioni e di risonanze. Il Gargano auscultato nei suoi profondi echi di animale di pietre e di piante, incapace di rivelare i suoi millenari segreti carsici eppure ugualmente disposto a produrre tanti piccoli popoli con le loro peculiarità. Ecco allora il tuffo nell’antro di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, le stimmate di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, le mille sorgenti di Vico con i suoi interessantissimi «Eccitati» settecenteschi emuli di quel raro esemplare di fraticello che era Michelangelo Manicone, la casa di Pietro Giannone a Ischitella, le strettoie del borgo antico di Rodi ancora memori dei «vucculi» delle donne che chiamano i loro uomini a mare. E che dire di quegli immaginifici di San Nicandro con Donato Manduzio alla testa di una ritrovata tribù ebraica trasmigrata in Terra Santa, dell’utopia di una società più giusta dell’anarchico Carmelo Palladino di Cagnano Varano, della sterminata collezione archeologica del farmacista Matteo Sansone a Mattinata? Uomini e paesi che non si possono raccontare in poche righe e che vanno rinviati alle pagine impagabili di questa divoratrice di bellezze che resta incantata sulla laguna di Lesina e di Varano, dove il mare si vede dopo uno strato di altra acqua e si assiepa oltre gli istmi oggi recuperati secondo una mentalità più ecologica. Sembrano appartenere ad un altro emisfero quelle ali di fenicottero o di airone che danzano all’orizzonte. È uno straniamento talmente forte che potrebbe essere la scrittrice l’anguilla di questi nobili pantani, guizzante con quei suoi verbi dinamici usciti dalla sua prensile psicologia: slentare, slargare, scavallare, sbracare, scialare. Tutto in un turbine di sensazioni e nel rischio di un contagio emotivo, così eccessivo da non potersi sfogare che nella lettura deliziante di questo straordinario vademecum dell’anima
Sergio D’Amaro
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il 13/06/2024 alle 16:24
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