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Pizzomunno con gerani rossi.

 

 
Pizzomunno

Lungo il tratto meridionale della costa viestana, ritroviamo una piccola spiaggia che deve il suo nome all’ imponente faraglione che dalle acque cristalline si erge sovrano a sorvegliare la città ed i suoi abitanti: la Spiaggia del Pizzomunno.

Qui sembra aver avuto luogo un’ interessante e fantastica vicenda che ha come protagonisti due giovani innamorati , entrambi originari di Vieste .

Pizzomunno , giovane ed attraente pescatore, e Cristalda , ragazza bellissima dai lunghissimi capelli color dell’ oro, si amavano teneramente e vivevano nella convinzione che nulla al mondo potesse intaccare un sentimento tanto forte e sincero.

Ogni sera, Cristalda scendeva in spiaggia per salutare il suo bel Pizzomunno prima che con la sua barca andasse incontro al mare aperto.

Ogni notte, in mare, Pizzomunno riceveva la visita delle sirene che cercavano di ammaliarlo con i loro canti soavi. Le regine del mare desideravano ardentemente che Pizzomunno diventasse il loro re ed amante.

Il giovane, però, non cedette mai alle avance delle sirene tentatrici , avendo già donato il suo cuore alla candida Cristalda.

I reiterati rifiuti del giovane, scatenarono la furia delle sirene .

Una sera, le sirene raggiunsero i due amanti sulla spiaggia ed aggredirono Cristalda con grande ferocia, inghiottendola nelle profondità del mare.

Pizzomunno
fu colto da un dolore devastante, talmente grande da pietrificarlo per sempre.

Il giorno seguente, i pescatori di Vieste trovarono Pizzomunno pietrificato sulla roccia che oggi porta il suo nome.

La leggenda vuole che, ogni cento anni, Cristalda riemerga dalle profondità del mare per incontrare Pizzomunno e rivivere con lui l’ emozione di una notte d’amore sulla spiaggia che li fece incontrare.

 

 

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Promontorio del Gargano

Il più delle volte si pensa che la storia antropologica ebbe inizio sul promontorio del Gargano con l'apparizione dell'Arcangelo Michele più di sedici secoli or sono quando ancora il Cristianesimo conviveva con le allora attuali religioni pagane. Ma se analizziamo le carte romane si nota che gli insediamenti sedentari sono precedenti all'apparizione dell'Arcangelo e si trovavano sulla costa e ai piedi del sontuoso monte (Ergitium ,Sipontum ,Merinum ,Teanum , ,Apulum ,Urium).
Si trovano degli insediamenti umani persino precedenti a questi ultimi, ma bisogna risalire addiritturà all'età del bronzo, tanto è vero che lungo la provinciale che collega Foggia con San Marco in Lamis, a qualche chilometro da Borgo Celano, in zona"Chiancata La Civita-Valle di Vitturo"  è stato ritrovato la necropoli più antica della intera Europa. Altre testimonianze sono date dagli insediamenti rupestri e dalla innumerevole presenza di oggetti litici e di mura megalitiche che si sono scoperti nel corso degli anni sul Gargano.
 

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Toro seduto

 

Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica sé stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a sé stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell'umanità.

Toro seduto

 

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Tutto ciò che l'uomo ha imparato

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Manfredonia, "Ecco cosa resta di Villa Rosa" (gennaio 2017, VIDEO)

Post n°18219 pubblicato il 17 Gennaio 2017 da forddisseche

Manfredonia, "Ecco cosa resta di Villa Rosa" (gennaio 2017, VIDEO)


Villa Rosa, una lunga storia

“L’attuale stato di abbandono e la distruzione perpetrata da vandali che si sono succeduti nella struttura, costituiscono una delle più grandi manifestazioni di inciviltà, un insulto alla memoria di chi l’ha progettata, costruita e dedicata, un’offesa al comune senso della morale".

 

Riceviamo e pubblichiamo un articolo, scritto dall'avv. Vincenzo D'Onofrio (nipote del cav. D'Onofrio, realizzatore di Villa Rosa), volto ad illustrare la storia che si cela dietro uno dei posti più affascinanti del nostro territorio, per l'appunto Villa Rosa. La ricostruzione di anni di vicissitudini che, per certi versi, sono ancora in divenire e che unisce saldamente Manfredonia a quello che era un gioiello di fabbricato con annesso terreno circostante che, purtroppo, è caduto nell'abbandono divenendo facile preda di vandalismi, oltre che di incuria assoluta.

 

 

 

Il terreno, come si presentava dopo i primi impianti negli anni '20
Il terreno fu acquistato negli anni ’20 per circa trenta ettari, come pascolo incolto. Poi fu progettato l’impianto di oliveto-mandorleto, alla francese, con grandi viali e incroci con aiuole e alberi da frutta, tra i quali il pesco con una produzione particolare, tanto da acquisire il nome specifico di “pesche di villa Rosa”. Per gli anni di attesa fu anche impiantato un grande vigneto, che poi produsse vini bianchi a 12° e neri fino a 18°. Risultati eccellenti per la sezione moscato, con gradazioni di 21°.

 

Il fabbricato fu progettato e diretto dal proprietario, mio nonno, il Comm. Rag. Vincenzo D’Onofrio, e si compone di tre fronti: sinistro per la lavorazione e deposito per olio e vino, al centro la villa cosiddetta patronale, a destra un grande magazzino per macchine ed attrezzi, mentre sotto il piazzale frontale fu prevista la stalla. Poi venne costruita anche la casa del guardiano con abitazione, pollaio, porcile, colombaia.

 

I lavori iniziarono alla fine del 1928 e nel febbraio 1929 era già ultimata la parte sinistra (lavorazione olio e vino); nel dicembre dello stesso anno fu completato anche il lato destro, il magazzino (qui, un’incisione che riporta la data in cui è stato ‘gettato’ il calcestruzzo a completamento del solaio: maggio 1929) nonché il piano rialzato della villa. Il 1932 segnò l’inizio della produzione del vigneto. Nel 1940 venne completata la casa del guardiano e la villa, che si mostrava nella sua magnificenza per due aspetti in particolare: il frontale principale verso Manfredonia (con mattoni a faccia vista e disegni architettonici) e il lato posteriore  con corpo centrale e i lati che finivano con garitte, tutto con merli e bifore.
Nel piano sottostante al rialzato, una grande cisterna per acqua piovana, con idonea zona filtraggio a carbonella, con una pompa a mano per tirare su l’acqua e per portarla, tramite condutture, nelle zone adibite a servizi (bagni e quant’altro) della villa, in attesa dell’arrivo dell’elettricità. Dopo la morte della moglie, Rosa Longo, nell’ottobre 1935, mio nonno, dopo alcuni anni, installò – nella stanza d’ingresso – la ben nota lapide a suo ricordo.

 

Durante la guerra, furono ospitati i familiari (cinque famiglie) e, per un periodo, un comando delle forze armate alleate.

 

Nel settembre del 1964 veniva a mancare anche mio nonno e i numerosi eredi continuarono la gestione e del pastificio D’Onofrio & Longo, e di villa Rosa. Purtroppo, dopo alcuni anni e per ragioni finanziarie, furono costretti a chiudere l’attività del pastificio (31 dicembre 1966) e, per far fronte agli oneri di liquidazione del personale dipendente, gli eredi decisero di vendere la villa (correva il 1967) in favore di S.E. Mons. Andrea Cesarano, per i diritti di piena proprietà pari al 50% e della sorella di questi, sig.ra Cesarano-Giglio per l’altro 50%. Alla morte dell’Arcivescovo Cesarano (1969), per successione testata, erede fu la sopra richiamata sorella, la quale divenne così proprietaria del 100% del compendio immobiliare. La sig.ra Cesarano-Giglio, con successivo atto di donazione (1974), trasferì la piena proprietà del fabbricato (sempre con vincolo di destinazione a casa di riposo per il clero, per gli anziani, per i disabili) all’“Anna Rizzi” e soltanto la nuda proprietà del terreno circostante, con usufrutto perpetuo a favore del Seminario Arcivescovile di Manfredonia per 1/3 e delle Suore dell’Istituto San Francesco da Paola per l’altro terzo.

 

Il Comune, in seguito, e dopo anni di colpevole abbandono da parte di chi aveva il dovere di custodire il bene, decise di destinare la struttura ad ospitalità di “sfollati e senza tetto”. La mancanza di ogni e qualsiasi controllo, è di tutta evidenza, diede la stura a quelle vicende inqualificabili ed oltraggiose per la cultura e la civiltà della nostra terra, sino alla folle devastazione.

 

Il comm. Vincenzo D'Onofrio e il pastificio "D'Onofrio & Longo"
L’attività svolta dall’industria molitoria e della pastificazione del D’Onofrio ha abbracciato un periodo di mezzo secolo, con enormi benefici per la collettività, in particolare nel periodo dell’ultimo conflitto mondiale. Lo stabilimento, per la sua benemerita attività, ha scritto, specialmente nel periodo delle due guerre, una pagina memorabile nel campo dell’industria provinciale, lasciando un grato ricordo nella cittadinanza. Così molti storici locali.

 

La generosità (sempre pronto ad aiutare i bisognosi), la sua passione per la musica (autore dell’opera lirica “Rosanna”, della quale si è persa traccia, perché inopportunamente affidata a terzi e mai restituita, nonché di numerose altre composizioni) che l'ha portato a sponsorizzare - per lungo tempo – la banda cittadina e ad istituire una scuola di musica, hanno contraddistinto la figura umana di questo industriale, uomo sensibile, legato alla sua terra, ai suoi concittadini.

 

Villa Rosa divenne, dopo la scomparsa della moglie, un inno d’amore e di poesia come era dato capire dalla lettura della lapide ovale infissa nella prima sala di ingresso, anch’essa profanata e trafugata, che così recitava:  “Per te/o mia Rosina questa villa che tutta la mia vita/ormai rinserra, io volli progettare e costruire Disagi, avversità, violenze infami non valsero a fermare il mio cammino/ più forte fu la fede più forte ancor l’amore/VINSI!/E la tua reggia alfin dal sol baciata/da mille e mille piante profumata/brillò su questa arida pietraia/Ma tu la mia fatica compiuta non vedesti!/Dal ciel mi sorridesti e il tuo sorriso/Fu tutto il premio ch’io avea sognato/1940 – XVIII”.

 

Né vanno sottaciute le disponibilità sue e dei suoi eredi, attestate, a tacer d’altro, dal trasferimento al Comune dei terreni dove iniziò la costruzione del nuovo campo sportivo e, nel 1969, la donazione della cosiddetta Torre Santa Maria.

 

Rosa Longo
Non ho conosciuto mia nonna Rosa, scomparsa nell’ottobre del 1935, prima della mia nascita. Ma ho sentito tanto parlare di lei, non soltanto dai miei genitori e dai numerosi fratelli e sorelle di mio padre, ma anche da estranei e da gente comune. Non è agevole rinvenire documenti che raccontano di lei, del suo gran cuore, della sua bontà, della sua dedizione alla povera gente… D’altro canto le opere di bene sono profondamente incise nell’animo di chi le fa, impresse nel cuore di chi le riceve. Leggere le parole incise nella lapide commemorativa apposta su di una parete di villa Rosa, commuove e affascina. Non soltanto per il grande amore di uno sposo, ma anche perché la destinataria di quelle poetiche parole sarà stata certamente una grande donna, una grande madre.
 
Le lettere che indirizzava ai suoi numerosi figli lontani, per motivi di studio, erano pregne d'amore e di sollecitazioni a ben operare, e si concludevano tutte con una benedizione materna.
 
Il rapporto con gli altri. Con molta discrezione, elargiva ogni ben di Dio soprattutto alle giovani mamme bisognose. Un filo diretto la legava alla chiesa di San Benedetto. Ogni anno, in occasione della festa patronale, regalava un corredo completo (anche con oggetti d’oro) ad un’orfanella della Stella Maris. In occasione della ricorrenza di San Luigi Gonzaga (21 giugno), mio nonno (che aveva istituito – come detto - e sosteneva una scuola musicale – per la sua immensa passione per la musica) faceva eseguire un concerto al quale era invitata l’intera popolazione…in un angolo, sempre con eccezionale discrezione, nonna Rosa ascoltava con affetto i bisognosi, la gente umile, prodigandosi in parole d'incoraggiamento, elargizioni, annotando le opere di bene che avrebbe poi potuto sostenere.
 
Avrei voluto poter documentare quantomeno alcuno di questi episodi, per trasmetterli ai figli, ai nipoti. Ma non sono in grado di farlo. Non sono mai esistiti archivi o documenti, proprio per lo spirito che ha guidato e illuminato il cammino di questa santa donna, che ha trascorso la sua vita terrena operando con amore, con modestia, con riserbo, con semplicità, con umiltà, certamente con un sentire profondamente cristiano! Ma alle documentazioni sopperisce la locuzione latina “Vox populi vox Dei”! E se ancora oggi, a distanza di settantasette anni dalla scomparsa, qualcuno la ricorda e vorrebbe che fosse ricordata, posso anch’io, con i suoi figli ancora in vita, con tutti i parenti, continuare a raccontare di lei ai miei figli, ai miei nipoti…quasi una favola, una dolce favola!

 

Scempio e noncuranza
L’abbandono, la devastazione, lo stato miserando (vandalismo, cumuli di macerie e di innominabili immondizie, profanazione, mancanza di ogni e qualsiasi rispetto, imbrattata prima, e trafugata poi, persino la lapide) non hanno soltanto offeso i vecchi proprietari, che hanno visto violato con assurda cattiveria e ignoranza un luogo sacro, un monumento alla memoria che avrebbe dovuto essere difeso innanzitutto dagli attuali proprietari e, perché no, dalla pubblica Amministrazione. Ma significative anche le proteste di semplici cittadini, giovani ed anziani, di studenti. In tanti hanno iniziato a documentare e studiare il complesso (unico nel suo genere, quantomeno in Capitanata), auspicandone la salvaguardia, il recupero. Ricordo la disponibilità di un gruppo di giovanissimi, che si poneva a disposizione dell’”Anna Rizzi” quantomeno per interventi di bonifica e di pulizia; di studenti, che mi portavano foto e filmati che documentavano l’ignobile violenza perpetrata in danno della struttura; di studenti universitari, che avevano scelto il recupero del complesso e dell’area circostante per le loro tesi di laurea.
 
Una scritta su di una parete così recita: “chiunque sia stato a combinare questo è un figlio di puttana”…come non essere d’accordo!
 
Con una lettera aperta, pubblicata il 18 settembre 1997, ospitata dal Corriere del Golfo, davo il mio addio a villa Rosa (che dal giorno della vendita non ho mai più visitato!), così concludendo “L’attuale stato di abbandono e la distruzione perpetrata da vandali che si sono succeduti nella struttura, costituiscono una delle più grandi manifestazioni di inciviltà, un insulto alla memoria di chi l’ha progettata, costruita e dedicata, un’offesa al comune senso della morale…Parlo al vento? Qualcuno raccoglierà il messaggio? O non dovrò tristemente ammettere che sarebbe stato meglio se fossi rimasto in silenzio?...ma, forse, qualcuno dovrebbe porgere delle scuse”.
Nessuna scusa, nessun riscontro, ma desidero sottolineare gli interrogativi posti dalla giornalista dott.ssa Maria Teresa Valente (La Gazzetta del Mezzogiorno 25 giugno 2005) “perché mai tanta ostinata cattiveria nello sventrare l’edificio? E perché nessuno è mai intervenuto, né interviene tutt’ora, per salvaguardare e riportare all’antico splendore questo complesso? Difficile dare una risposta. Quel che è certo, però, è che Rosina e il suo amato non meritavano un simile scempio”!

 

Le mie ipotesi progettuali
Nonostante il Piano Regolatore Generale di Manfredonia, approvato nel 1999, avesse assegnato a villa Rosa la destinazione d’uso: “F 56…da trasformare in casa della salute o ricovero per anziani compreso area di pertinenza”, e gli atti di vendita e di donazione avessero ribadito il vincolo di destinazione “a casa di riposo per il clero, per gli anziani, per i disabili”, non posso e non voglio nascondere alcune idee che, come tecnico del turismo, ho sempre lanciato nelle mie numerose conversazioni, sul tema, lamentando, preliminarmente e in ogni circostanza, il fatto che non esistessero protezioni di natura legislativa (vincoli) per questo tipo di bene.
Regimi vincolistici di tutela subentrati successivamente, come appresso:
• Vincolo storico architettonico, D.L. n° 42 del 22 gennaio 2004
• Vincoli relativo ad area SIC (Siti di Interesse Comunitario), Decreto Ministro Ambiente 25 marzo 2005
• Vincoli relativi ad area ZPS (Zona di Protezione Speciale), Decreto Ministro Ambiente 25 marzo 2005
• Vincoli relativi ad area protetta Parco Nazionale del Gargano,  DPR 5 giugno 1995
• Vincolo idrogeologico.
 
Pensavo a villa Rosa, solo per fare qualche esempio, quale centro direzionale (centro studi e programmazione, osservatorio del turismo, eurobarometro dei giovani, osservatorio dei prezzi, e quant’altro), o quale campus universitario per sperimentazioni e ricerche in campo agricolo, o quale scuola/laboratorio di restauro, o quale luogo di riferimento per giovani europei per corsi di lingua italiana e cultura mediterranea, o quale osservatorio astronomico…magari in sinergia tra Enti pubblici (Provincia, Parco Nazionale del Gargano, Comune di Manfredonia, ecc.) ed Associazioni private, per l’ambiente, per la cultura, per il turismo.
 
Ho sempre sostenuto, inoltre, che sarebbe stato opportuno affidare a tecnici, a mezzo di un concorso di idee, qualsiasi ipotesi per il recupero, la salvaguardia, la fruizione, anche se obbligata la destinazione.
Non dimentico, a tal fine, i progetti dello studio tecnico Falcone|Renzullo e Vero; le tesi di laurea degli architetti Rita Prencipe e Giovanni Facciorusso, ed altri.

 

Da alcuni incontri con l’arch. Alessandro D’Apolito, e dai resoconti giornalistici che hanno fatto seguito al meeting naturalistico-ambientale svoltosi il 20 novembre 2011 presso l’Oasi Lago Salso, ho avuto e tratto alcuni elementi che mi hanno consentito la ricostruzione temporale degli (ultimi?) avvenimenti.

 

Cronistoria degli avvenimenti
Avuta notizia che il dott. Alberto Cavallini aveva assunto la presidenza dell’”Anna Rizzi”, nel 2004, mio figlio da Verona lanciava un ennesimo appello e finalmente ricevevamo un riscontro. Premesse obiettive difficoltà, precisato che la casa di riposo era divenuta un Istituto di Pubblica Beneficenza ed Assistenza IPAB (successivamente Azienda Servizi alla Persona ASP SMAR), il dott. Cavallini, in carica da pochi giorni, assicurava il suo impegno per la ricerca di eventuali soluzioni.

 

Le successive vicende, che racconto per sentito dire e rilevandole dalle notizie diffuse dagli Organi di Stampa e di Informazione, saranno carenti e imperfette, ma credo di poterle così sintetizzare.
La insufficiente ricettività della Casa di Riposo, nonostante importanti lavori di adeguamento della struttura, nel corso degli anni  evidenziava sempre più la impossibilità di far fronte alla rilevante presenza della popolazione anziana dell’ambito territoriale di Manfredonia (che comprende anche i Comuni di Monte Sant’Angelo, Mattinata e Zapponeta), al considerevole aumento della domanda per le non autosufficienze (anche per il moltiplicarsi di casi di Alzheimer, Parkinson e demenze senili).
Preoccupazioni che emergevano anche dagli ampi dibattiti nell’assise del Consiglio comunale di Manfredonia e nel sociale,  che inducevano e i responsabili dell’ASP e del Comune a decretare che era ormai improcrastinabile l’aumento dell’offerta dei posti letto, e l’unica soluzione era puntare sul recupero e sul restauro di villa Rosa.

 

Numerosi i tentativi di ricercare un partner specializzato in gestione di strutture per anziani, disposto ad investire nell’operazione in forma societaria, considerato che l’ASP non disponeva dei capitali necessari per l’onerosa operazione, anche se insuperabili apparivano gli ostacoli conseguenti alle ipotesi paventate della totale demolizione della struttura, per realizzare un nuovo complesso (ovviamente in cemento armato!).

 

Fortunatamente, oggi, villa Rosa e il suo ambito sono definitivamente difesi – come detto – da numerosi vincoli!
Da queste difficoltà, la decisione dei responsabili dell’ASP SMAR – sapendo di poter contare sui pareri favorevoli del Comune di Manfredonia e della Regione Puglia – di dotarsi di un proprio progetto, valido per poter accedere ai finanziamenti stanziati dalla Comunità Europea per gli anni 2007-2013, affidando all’Arch. Alessandro D’Apolito l’incarico di pianificare il  recupero e la trasformazione di Villa Rosa in una Residenza Socio Sanitaria Assistenziale per anziani “R.S.S.A.” e malati di Alzheimer con ricettività pari a 90 posti letto.
 
L’Architetto incaricato (un giovane, entusiasta ed ottimo professionista), constatata la qualità architettonica della villa (uno dei rari esempi di architettura eclettica in Puglia), decideva di recuperare totalmente il complesso preesistente rispettando l’aspetto originale della villa e del suo rapporto con l’ambiente circostante. Mediante le moderne tecniche di modellazione tridimensionale, ricavava dal complesso preesistente una volumetria sufficiente per inserire anche un Centro Diurno per le demenze senili, conforme alla normativa regionale e con ricettività pari a 30 ospiti.

 

Lo stato dell'arte
Un particolare cenno merita l’intuizione dell’arch. D’Apolito, che non si è soltanto occupato del progetto di recupero di villa Rosa, ma ha puntato la sua attenzione sull’intero territorio che circonda la villa (oltre 28 ettari di estensione), rilevandone il pregio paesaggistico, caratterizzato a Nord dai canyon del promontorio del Gargano e dalla presenza, su tutto il versante della montagna, della steppa pedegarganica, considerata dall’Europa ambiente prioritario per la salvaguardia dell’Habitat, poiché fragile ed a rischio estinzione. Di qui la sua proposta di operare anche per la difesa e la salvaguardia del territorio e della sua particolare biodiversità, attraverso la realizzazione di un Parco Naturale Extraurbano.

 

Il progetto del parco, infatti, prevede l’ampliamento della fascia della steppa presente, la realizzazione di un orto botanico, di un centro di recupero e di monitoraggio delle specie selvatiche, la riqualificazione dei numerosi muretti a secco che delimitano i tratturi interni e che formano i vari terrazzamenti presenti. Intuisce che il parco debba collegare il turismo religioso che interessa i santuari presenti sul promontorio con la costa, attraverso un area di sosta ombreggiata attrezzata con giochi per l’infanzia, aree per pic-nic. e aree per la vendita dei prodotti tipici locali (per utilizzare il ricavato a scopi scientifici, come ad esempio, la ricerca sull’Alzheimer). Statuisce che nel Parco, debba svolgersi l’attività del Bird-Watching (mediante torrette di avvistamento opportunamente collocate), le attività didattiche per le scolaresche, la Pet-Terapy e la Ippoterapia. Interviene, infine, per il ripristino dell’impianto viario interno e per il suo riutilizzo per le attività fisiche a fruizione degli anziani e del pubblico.

 

 Il progetto avrebbe ottenuto il parere favorevole dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali ed Architettonici di Bari, l’autorizzazione paesaggistica da parte della Commissione Paesaggistica, ed il parere tecnico favorevole da parte dell’Ufficio Tecnico del Comune di Manfredonia. Attualmente sarebbe in fase di valutazione da parte dell’ufficio tecnico del Parco Nazionale del Gargano e di valutazione d’incidenza ambientale da parte della provincia di Foggia.

 

L’arch. D’Apolito assicura che il progetto è idoneo per partecipare ai seguenti bandi europei:
• Per il Recupero e trasformazione di villa Rosa: Nuovo Programma Operativo per la Puglia  PO FESR Per 2007/2013, Asse III Linea 3.2, Azione 3.2.1. (Delibera di Giunta regionale n.2941/2011);
• Per la Riqualificazione Territoriale e realizzazione del Parco Naturale: LIFE+ 2012, destinati alla tutela della biodiversità ed alla salvaguardia delle aree protette.
Attualmente l’intervento di difesa e di salvaguardia della Biodiversità è monitorato dalla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli).
 
A questo punto, preso atto che il recupero dell’edificio rispetterà totalmente il corpo preesistente, affidiamo a tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro Territorio una positiva soluzione della lunga ed incredibile vicenda villa Rosa, nonché il nostro auspico e la nostra speranza che:

 

1. il progetto venga sostenuto e avviato per partecipare nel più breve tempo possibile ai bandi europei
2. nessun cambio avvenga nel nome “Villa Rosa”
3. a recupero effettuato, sia sistemata una identica targa, a perenne ricordo di un inno d’amore e di poesia, che sarebbe delittuoso cancellare.


Avv. Vincenzo D’Onofrio

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