Creato da ilblogdelmar il 15/01/2012

Il Blog del Mar

Osservazioni per una critica costruttiva

 

 

LE MISSIONI ARMATE DI PACE

Post n°139 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

 

Di Chiara Manfredini

Altro che soldi sprecati! I 15 miliardi di euro destinati agli ormai famosissimi "supercaccia F35" sono una necessità perché alla faccia di chi credeva alla favola delle missioni di pace noi la guerra la facciamo eccome e non vorremmo mica parteciparvi sguarniti di armi e velivoli? Chiaro no? A tranciare il velo di ipocrisie sulle nostre missioni (armate) di pace è il generale Giuseppe Bernardis, comandante dell’Aeronautica militare che dalle pagine de “L’Espresso” sgomitola la questione con una tale logicità da farci sentire tutti un po’ stupidi. Spiacenti ma quali missioni di pace? E per chi nutrisse ancora qualche dubbio un dato su tutti: 710 le bombe e i missili che gli aerei italiani hanno sganciato in Libia con il 96 per cento di successo.

Non dimentico le decisioni del Parlamento e dell’ex ministro della Difesa, La Russa, sul nostro intervento in Afghanistan: la possibilità per le nostre truppe di essere sostenute dai bombardamenti degli americani, olandesi e francesi ma il divieto, anche soltanto di carico, delle bombe per gli aerei italiani. E a questo punto se si tratta di una questione etica mi domando che differenza c’è tra un morto afghano e uno libico. Il problema non e' la risposta a questa domanda, ma il fatto che non potremmo neanche porcela fintanto che i nostri politici riterranno di voler sacrificare sull’altare del consenso anche un argomento come la guerra. Qui non è in gioco la tutela di operazioni di salvaguardia per la sicurezza dello Stato, la mancata comunicazione delle operazioni militari che riguardano il nostro Paese è stata una precisa scelta politica di un ex classe dirigente che da vent’anni a questa parte ha deciso di sottrarre al pubblico dibattito una parte di un tema di fondamentale rilevanza per il Paese.

E’ notizia di questi giorni che il governo Monti ha deciso che gli Amx schierati in Afghanistan con compiti di ricognizione potranno utilizzare anche missili e bombe. Una decisione che ribalta quella del precedente governo e che arriva dopo un’operazione - quella libica - di cui si è omesso di parlare.

Non si tratta soltanto di una questione etica sull’essere favorevoli o contrari alla guerra, ci sono in ballo altri valori che dovremmo pretendere fossero riconosciuti, come la trasparenza e la coerenza di uno Stato e della sua classe politica. Troppo facile sciacquarsi la bocca con la pace mentre si fa la guerra e intanto portarsi a casa i voti del popolo pacifista. E chissà come mai proprio adesso il comandante in forze dell'Aeronautica ha deciso di offrire alla pubblica platea la sua confessione?  Non abbiamo di che temere, sembra che con gli F-35 abbiamo addirittura risparmiato perché gli Eurofighter l’avremmo pagati il doppio ad esemplare e se non li avessimo acquistati i soldati italiani sarebbero costretti a volare su Tornando vecchi di 45 anni. Ma allora quale dibattito pubblico sul programma militare? Era tutto deciso. Prima che noi ci scandalizzassimo sull’entità della spesa gli F35 erano già in casa. O quasi. 

 

 

 

 

 

 
 
 

FORMIGLI E LA SENTENZA CHE INCIAMPA SUL DIRITTO DI CRONACA

Post n°138 pubblicato il 23 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

 

Di Chiara Manfredini

Il “caso Formigli” ci spinge ad alcune riflessioni sullo stato del giornalismo italiano, sulle sue legittime rivendicazioni di libertà e sull’intreccio di poteri dal quale rischia di uscirne compromesso.

La questione è molto delicata ma non possiamo fare finta di non sapere quale danno economico e di immagine può rappresentare per un’azienda come la Fiat il servizio di Formigli andato in onda ad Annozero. La platea e il target di riferimento della trasmissione di Santoro quella sera ha recepito un dato chiarissimo: la Mito è inferiore nelle prestazioni rispetto ad altri due modelli di automobili. E lo ha recepito attraverso una trasmissione che si propone di svelare le magagne del nostro Paese e che sconfessando pubblicamente quanto pubblicizzato dalla Fiat, con i costi annessi, ne ha intaccato la credibilità del marchio causando un danno in termini commerciali. Inoltre non scopriamo l’acqua calda nel dire che una ricostruzione basata su dati reali – come sottolineato dallo stesso Formigli sovrapponibili a quelli già pubblicati dalla rivista Quattroruote e non contestati dal colosso torinese – può assumere molteplici significati in base al modo in cui viene raccontata (tempi, terminologia, indici di rilevanza). Insomma il significato di un articolo o di un servizio lo fa il perché,  l’intenzione con cui vengono realizzati e trasmessi.

Ma se è comprensibile l’indignazione della Fiat non lo è altrettanto il risultato al quale è clamorosamente giunto il Tribunale di Torino con la sua sentenza di condanna ai danni della Rai e dello stesso Formigli. L’ammontare dei danni patrimoniali (circa 2 milioni di euro) e soprattutto di quelli non patrimoniali (5 milioni di euro) è assolutamente sproporzionato,  non sulla base di una logica del senso comune – opinabile per definizione – ma piuttosto sulla base delle stesse tabelle utilizzate dai tribunali per quantificare i danni a favore delle parti civili. Non è accettabile, infatti, che la morte per dolo di un parente possa essere risarcita per un valore economico 15 volte inferiore rispetto al danno cagionato per diffamazione ad una ditta automobilistica. 

Pertanto non credo affatto che il problema sia che la Fiat “debba mettersi una mano sulla coscienza” come chiesto a gran voce ieri sera da Mentana nel corso del suo Tg (a parte l’ingenuità della pretesa non credo sarebbe disposto a farlo neanche lui qualora fosse a capo di un’azienda il cui prodotto sia stato pubblicamente denigrato). Qui il problema è che quando si chiede ad un giudice di sentenziare sul diritto di cronaca si rischia di creare delle aberrazioni, come nel caso di questa sentenza, in cui l’entità del risarcimento economico rappresenta un precedente pericolosissimo andando a scoraggiare l’assunzione di responsabilità da parte degli editori e creando un difetto nel libero esercizio dell’informazione (vedi le dichiarazioni di oggi di Parenzo che minaccia di censurare l’intervento di Celentano a “Servizio Pubblico” se non gli viene concesso di leggere i testi). E ciò è ancora più grave quando si palesa un chiaro conflitto di interessi nell’impianto stesso della sentenza affidata alla perizia di un collegio di esperti formato da personalità (Francesco Profumo, Federico Cheli e Salvatore Vicari) della cui neutralità sarebbe stato doveroso dubitare in virtù delle cariche ricoperte e dei legami economici che li legavano alla stessa Fiat. 

Me lo hanno insegnato tanti anni fa e ritrovo ancora oggi il valore di quel principio: ogni tentativo di inquadrare il diritto di cronaca entro i binari della giurisprudenza crea irreversibilmente un deragliamento verso una limitazione del diritto stesso. Non credo ci si debba scandalizzare sul fatto che la Fiat sia essa stessa proprietaria di quotidiani e quote editoriali (Rcs, La Stampa), ma sul fatto che pur non intervenendo apparentemente sulla libertà di stampa  - non essendo riuscita a svincolarsi da un attacco pubblico di questa portata – sia però riuscita a porvi rimedio attraverso una sentenza di un Tribunale. Ragioniamo su questa ragnatela di poteri: il potere economico/industriale che detiene il potere d’informazione che a sua volta controlla attraverso il potere della magistratura. Mi sembra questo il quadro che emerge da questa sentenza che ci lascia perplessi e sdegnati. 

Chiudo sottolineando che quanto può essere pericolosa una sentenza simile per le limitazioni del diritto di cronaca in cui incorre, allo stesso modo però rischia di esserlo l’uso che di questo diritto ne fanno certi giornali e giornalisti politicizzati che, abdicando al dovere di imparzialità e di completezza dell’informazione nei confronti dei propri lettori o utenti, si servono di giudici e sentenze a proprio piacimento. Rischio dal quale può difenderci soltanto la garanzia di una pluralità dell’informazione e soprattutto il vaglio delle nostre capacità discrezionali. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

UN TRIBUNALE A MISURA DI IMPRESA

Post n°136 pubblicato il 22 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

Di Chiara Manfredini

Oggi aprire un'impresa in Italia è veramente un' impresa. Ma a parte il gioco di parole sono i numeri a parlare: qualche anno fa figuravamo al 27° posto nella classifica dei Paesi che offrono un ambiente favorevole agli imprenditori e nella Top Ten, invece, tra quelli in cui avviare un'impresa costa di più. Quindi da noi questa iniziativa è cara e lenta a causa dei farraginosi meccanismi della burocrazia, condizioni che certamente scoraggiano i giovani a superare l'immobilismo del mercato del lavoro mettendosi per così dire "in proprio" o realizzando il sogno di vedere concretizzato un progetto o un'idea.
Proprio per ricucire questo ritardo tutto italiano il Governo ha proposto il Tribunale per le imprese, soluzione contenuta nel nuovo decreto sulle liberalizzazioni che proprio ieri sembra aver registrato una battuta d'arresto in commissione Industria. I relatori, infatti, hanno proposto di aumentare il numero delle sedi (da 12 a 20), una per Regione espandendo le competenze per materia ma eliminando la class action. Il nodo da sciogliere è quello economico, in quanto una modifica del genere comporta una spesa aggiuntiva ed è quindi necessario il parere della commissione Bilancio. Oltre a ciò come ricordato dal ministro Severino è necessario misurare l'equilibrio tra il numero delle sedi, dei magistrati e delle materie.
Un'iniziativa questa che mira a rendere in questo settore la giustizia civile più efficiente e rapida attraverso la formazione di «sezioni specializzate in materia di impresa» competenti per controversie su proprietà industriale, concorrenza sleale, diritto d'autore, class action e cause tra soci. E per i giovani o per chi e' privo di mezzi, invece, la possibilità di creare società semplificate a responsabilita' limitata solo con un euro di capitale. Non servira' l'intervento di un notaio, bastera' che i requisiti vengano verificati dal Registro delle Imprese. La finalità è quella di rendere più competitive le nostre imprese e nello stesso tempo attrarre capitali stranieri.
Il rapporto Global Competitive Index 2009-2010, stilato dal World Economic Forum, mostra, infatti, come in Italia su 15 fattori di criticità per lo svolgimento di attività economiche quello considerato più problematico è l'inefficienza della burocrazia che il 18,2% degli intervistati pone al primo posto. Le complicazioni organizzative, procedurali e normative si riflettono sui tempi dell'amministrazione dilatando quelli per l'avvio di un'attività con un grosso divario tra regioni meridionali e settentrionali dove i tempi sono più bassi di circa la metà e i costi inferiori del 56%. Inoltre ad un'ipertrofia normativa, dovuta all'incontrollata proliferazioni di misure che introducono nuovi oneri a carico dei destinatari, anche i principi e le garanzie previste dal diritto sono ulteriormente sacrificati da una giustizia lenta e disorganizzata.
Il Tribunale per le imprese è sicuramente un progetto ambizioso ma alcuni magistrati non nascondono il timore che possa non risolvere il problema e che possa rallentare il loro lavoro. Le difficoltà sono sempre le solite: l'enorme quantità di cause pendenti in rapporto al numero di giudici. A meno che nel decreto non fosse introdotta una norma che sancisca l'esclusività di questi tribunali ad occuparsi esclusivamente delle materie attribuite e non più dell'ordinario. Come proposto da Tommaso Marvasi, presidente della IX sezione civile di Roma, che dalle pagine di Panorama dichiara: "Spero in una norma transitoria che consenta ai tribunali di organizzarsi: o fondendo le specializzate con le sezioni che si occupano di societario, o attraverso trasferimenti interni".

 

 

 
 
 

Intelligence, sicurezza e trasparenza.

Post n°135 pubblicato il 22 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

L'altro giorno leggevo l'ennesimo articolo sui nostri servizi segreti, e naturalmente apprendevo che sono deviati (il che mi rattristava) e che si esige in proposito maggiore trasparenza (e mi sono fatto le solite quattro risate). Possibile, mi chiedevo, che politici e giornalisti illustri continuino a parlare di servizi segreti senza aver letto un solo libro di spionaggio? I buoni libri di spionaggio di solito vengono scritti da persone che hanno praticato quest'arte e che quindi - se pure inventano vicende - spiegano bene come funzionano i servizi segreti. Io, che i libri di spionaggio li leggo (ricordo che una volta il defunto Presidente Emerito Cossiga mi parlò della passione con cui li leggeva lui - e lo si capiva  benissimo), ho imparato alcune cose. Anzitutto, ogni paese deve avere dei servizi segreti. Li deve avere, come al solito si dice, per controllare attraverso infiltrazioni o delazioni i gruppi terroristici o il contrabbando d'armi, ma li deve avere anzitutto per fare (a difesa del paese) del controspionaggio. E perché si deve fare il controspionaggio? Perché ogni paese fa dello spionaggio. E spero bene (dico spero bene) che lo faccia anche il nostro paese perché, tanto per dire, se c'è in Iran un signore che è tentato di lanciare dei missili sulla nostra già devastata Italia, è giusto e sacrosanto che ci sia a  Teheran un altro signore che avverte i servizi italiani se per caso vengono costruite nuove rampe missilistiche puntate contro lo Stivale, e con una gittata che permette di raggiungere non solo Lampedusa ma anche Bergamo. Lo spionaggio è una cosa brutta, ma Machiavelli insegna che il Principe, per il bene dello Stato, deve talora fare anche delle cose brutte. Se i servizi segreti si occupano di infiltrazioni, delazioni e spionaggio, non possono e non debbono essere trasparenti. Sono, come dice la parola stessa, segreti. Se il Capo dei servizi segreti bandisse sulla Gazzetta Ufficiale un posto per uno spione a Teheran o per un infiltrato in qualche gruppo integralista presente sul nostro territorio, pubblicasse poi il nome del vincitore e rendesse pubblico il bilancio dell'operazione, dovrebbe essere subito fucilato. Inoltre i servizi segreti hanno un'altra caratteristica. Siccome debbono trovare non solo dei coraggiosi che s'infiltrano, ma anche dei delinquenti disposti a tradire i loro complici (e quindi delinquenti doppi), hanno di solito a che fare con gentaglia. Nessuno deve scandalizzarsi: ogni questura usa degli informatori che si vendono per quattro soldi e non si può pretendere che chi si vende per quattro soldi sia un gentiluomo. Chi ha a che fare con gentaglia, o ha una solida moralità e nervi saldissimi (come si richiede per esempio a un esorcista che parla col diavolo ogni giorno), oppure è soggetto a molte tentazioni ovvero deviazioni. Che cosa chiede un paese civile ai propri servizi segreti? Che non agiscano contro il loro paese. E cosa si fa se qualcuno agisce contro lo Stato? Siccome i servizi sono segreti e non possono permettersi di essere trasparenti, il capo dei capi, chiamiamolo Mr. M., decide, sia pure a malincuore, che quel signore che ha deviato verrà ritrovato in un vicolo con una palla nella nuca, o che non tornerà più a casa dopo che ha detto alla moglie che usciva a comprare le sigarette, o al massimo se ne parlerà in «Chi l'ha visto». E' molto triste, e non vorrei mai esser Mr. M., ma o si fa così o niente. Se poi quelle autorità dello Stato che devono controllare i servizi si accorgono che si trovano troppi agenti in un vicolo, discuteranno in tutta segretezza come suggerire a Mr. M. di dare le dimissioni per motivi di salute, perché evidentemente la situazione gli è sfuggita di mano. Ma Mr. M. deve avere un interlocutore (e un controllore) fisso nell'apparato dello Stato (poniamo un ministro), che per ragioni di non-trasparenza potrebbe essere persino il ministro del Tesoro (come accade con l'FBI), e questo ministro deve essere uno che sui servizi la sa lunga. Ora in Italia i servizi rimangono, ma i ministri cambiano ogni sei mesi ad eccezione del governo Berlusconi che è durato un periodo più lungo, e da cinquant'anni. Quindi il problema non è che i servizi non siano trasparenti, ma è che non hanno mai avuto un interlocutore serio, o si sono sempre trovati di fronte a controllori che arrivavano freschi freschi a controllare qualcosa di cui non capivano nulla. E' naturale che se la gatta è fuori i topi ballino, e io se fossi Mr. M. sarei naturalmente incoraggiato a non spiegar nulla alla recluta che arriva a controllarmi, anzi, sarei tentato di inguaiarla proponendole qualche vantaggio a cui non avrebbe diritto. Santa pazienza, Mr. M. non è un santo, e la tentazione di controllare i propri controllori è cosa umanissima. Quindi il problema non è di trasparenza, ma di competenza di chi dovrebbe controllare un lavoro che per definizione non è trasparente. I servizi segreti sono instabili perché i governi non sono stabili.

 

 
 
 

The Radioactive Man ovvero l'Uomo Radioattivo

Post n°134 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da ilblogdelmar

The Radioactive Man, è un personaggio dei fumetti, pubblicato dalla Marvel La sua prima apparizione in edicola,  domenica 13 dicembre 1964.

Chen Lu è uno scienziato che si è esposto volutamente a radiazioni per potenziarsi, divenendo inizialmente un supercriminale, nemico di Thor e dei Vendicatori: nelle sue prime apparizioni era il classico nemico "rosso" che durante gli anni della guerra fredda apparivano sulle pagine dei fumetti.
Ha fatto parte di molte formazioni dei Signori del male, sotto il comando del Barone Zemo prima e di Testa d'Uovo poi. Ha collaborato spesso col Mandarino, altro celebre criminale cinese, nemico di Iron Man.
I suoi poteri gli permettono di misurarsi con esseri potentissimi come Thor o Hulk: infatti è in grado di respingere il martello del primo e di riportare il secondo nella sua forma umana.
Durante Civil War, ha deciso di registrarsi, trasformandosi in "supereroe" e lavorando con i Thunderbolts e scontrandosi con la fazione ribelle nella battaglia finale nel centro di Manhattan.
Mentre all'inizio della sua carriera sembrava spietato e senza scrupoli, in questa sua nuova versione sembra essere dotato di una maggiore umanità, infatti non si trova a suo agio con criminali sanguinari come i suoi colleghi Venom e Bullseye. Inoltre ha manifestato al suo superiore Norman Osborn di preferire Songbird a Moonstone come leader del gruppo, in quanto non si fida del giudizio di quest'ultima.
Nonostante sia probabilmente il membro più potente del gruppo cerca sempre di limitarsi per contenere i danni ed è sempre il primo a dare soccorso ai prigionieri rimasti feriti durante gli scontri, come durante l'arresto del Ragno d'Acciaio, a cui Venom ha volutamente mozzato un braccio con un morso.
Quando Norman Osborn venne messo al posto di Tony Stark come leader dello S.H.I.E.L.D. (ora H.A.M.M.E.R.), ha promosso alcuni ex Thunderbolts al rango di Vendicatori, mentre ha tentato di uccidere Songbird ed ha esiliato Chen Lu nella nativa Cina, sostituendoli con una nuova squadra di T-Bolts.

 
 
 

Oggi ho intrapreso la strada per il giorno di gloria.

Post n°133 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da ilblogdelmar

Ho sempre pensato: che le battaglie sono vinte da coloro che hanno deciso fermamente di vincere.. 
Ho scoperto che ci sono uomini che volano sulla testa di altri uomini, pur avendo le ali legate!

 
 
 

MAFIA - AL QAEDA: GEMELLI DEL TERRORE

Post n°132 pubblicato il 20 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

Di Chiara Manfredini

La commissione parlamentare antimafia il 20 febbraio 2008 afferma che: “la ‘ndrangheta ha una struttura tentacolare priva di direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica” e la paragona alla struttura del movimento terroristico islamico Al Qaeda. In questi anni sono tante le inchieste che rafforzano questa analogia a partire dai 23 arresti eseguiti due giorni fa dalla Dda di Napoli a seguito della scoperta di un ingente traffico di stupefacenti, che dalla Spagna giungeva a Marano di Napoli passando per Spagna e Polonia, vicenda che vede coinvolti in veste di acquirenti i clan Nuvoletta e Polverino e sulla quale si allunga l’ombra di Al Qaeda. Figura centrale del traffico, infatti, e’ il maghrebino Rachid Echemlali Rahmani, arrestato a Malaga: secondo gli investigatori ci sarebbero riscontri documentali che lo legano ad almeno un esponente di Al Qaeda coinvolto nell’attentato alla metropolitana di Madrid dell’11 marzo 2004. Patto anche tra i Casalesi e Al Qaeda per uccidere i pm antimafia: una cellula di terroristi avrebbe trovato asilo nel casertano ma in cambio avrebbe dovuto uccidere i magistrati autori delle indagini che misero in ginocchio il clan. A rivelare gli intenti di Schiavone jr è stato il collaboratore di giustizia, Roberto Vargas.

Ma i segnali non finiscono qui. Il 14 febbraio "Il fatto quotidiano" titolava "Traffico di armi da Ravenna verso la Somalia. La Dna: servivano per gruppi di Al Qaeda". La relazione della Direzione Nazionale Antimafia datata dicembre 2011 che prende in analisi i fenomeni criminali registrati tra il 1 luglio 2010 e lo scorso 30 giugno parla di migranti scoperti nei rimorchi di una nave, passeur per viaggi verso il Nord Europa e riti woodoo. Ma soprattutto si rileva traffico di materiale bellico verso la Somalia che, in base alle ipotesi investigative, andrebbe a favorire gruppi armati ritenuti vicini ai fondamentalisti di Al Qaeda. 

Il 12 febbraio e' stato diffuso il contenuto della fatwa emessa nelle scorse settimane sul sito jihadista Mimbar Al-Tawhid wal-Jihad, appartenente all'ideologo salafita Abu Muhammad Al Maqdisi e resa nota in un rapporto dell'International Institute for Counter-Terrorism di Herzliya, in Israele, secondo il quale per un mujahiddin è lecito comprare armi dalla mafia o da altre organizzazioni criminali, ma non è possibile stipulare alleanze, se i mafiosi sono degli "infedeli". Nel caso i mafiosi siano invece di fede musulmana, è allora consentito accettare il loro aiuto.  

Sempre più simili anche nelle modalità mafia e Al Qaeda, sembra che i terroristi abbiano iniziato a chiedere il pizzo ai commercianti della citta' di Mosul. Lo fa sapere il governatore Athil al-Najafi della provincia di Ninive, che ha dichiarato al giornale arabo "Al-Sharq al-Awsat" che "una formazione armata della zona, legata ad Al Qaeda, chiede il pagamento di somme di denaro ai commercianti della citta' per sostituire i tradizionali canali di finanziamento usati in passato"; canali che sono venuti meno con la fine del regime di Saddam Hussein. Nella città irachena sono recentemente aumentati gli episodi di violenza e gli attentati. Per prevenire ritorsioni si pensa che la maggioranza dei commercianti abbiano iniziato a pagare regolarmente il pizzo ai terroristi.

Un'alleanza criminale e strategica tutt'altro che recente se si pensa che secondo alcune indiscrezioni risalenti all’aprile del 2006 Al Qaeda sarebbe stata in contatto dal 1977 al 2002 con ambienti mafiosi italiani, avrebbero contrabbandato insieme uranio arricchito dalla Georgia all'Italia e poi di nuovo dal Congo all’Italia. Sono queste alcune delle affermazioni - che avrebbero confermato le intuizioni dell’ex procuratore antimafia Pier Luigi Vigna - rese da Hamid Mir, ritenuto biografo ufficiale di Bin Laden e pubblicate allora dal settimanale Left. Sembra che l'intento fosse quello di usare l'uranio per costruire una bomba sporca, ma le organizzazioni criminali italiane sembra fossero state contattate anche per trasportare il combustibile a Londra e Parigi.

Analizzando in profondità la questione ci accorgiamo che piu' di un caratteristica accomuna le organizzazioni criminali italiane - mafia, 'ndrangheta, camorra - e il terrorismo di matrice islamica. La tendenziale estraneità e ostilità allo Stato favorita da una fragilita' politica e ideologica. L'attacco a sorpresa. Molte volte la mafia ha iniziato le ostilita' perpetrando eclatanti imboscate. La paura. La paura ossessiva e paralizzante quella che rende le istituzioni distratte o complici, quella che costringe la gente a voltarsi dall’altra parte, la paura come genesi dell'omertà. I testi sacri. Le mafie secondo Hobsbawn e Ranger non si limitano ad esercitare un grande potere ma hanno inventato una tradizione che le possa in qualche modo giustificare. Non è un caso se Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo fossero immersi nella lettura di testi sacri o nella redazione di cataloghi del “perfetto mafioso”: essi si muovevano nella convinzione che il sistema criminale potesse reggere a condizione che non venisse alterata la sua natura più profonda di potere dall’alto e che non fosse quindi disconosciuto il suo ruolo di coesione verticale per vasti strati sociali.

E' sempre la commissione antimafia a ricordarci che la mafia non e' statica ne' nelle modalita' ne' tantomeno nella ricerca dei profitti. Parliamo di un'organizzazione capace di far coesistere con efficacia una dimensione tribale con un’attitudine moderna, tanto da diventare l’organizzazione malavitosa più forte, più ricca e capace di adattarsi alla globalizzazione di uomini e capitali grazie al controllo ormai mondiale sul traffico della cocaina; la droga dei ricchi che diventa sempre più diffusa anche tra le fasce medie.

Attenzione "ramificata  come al Qaeda e globalizzata come una catena di fast food": questo e' l'identikit tracciato dalla commissione antimafia.

 

 

 
 
 

Una guerra non preventiva, ma difensiva

Post n°131 pubblicato il 19 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

La guerra  terroristica non è una guerra nuova è vecchia,  dura ormai da anni. L’unica cosa che è cambiata dopo l’11 settembre, abbiamo deciso di reagire. Fino a quel momento si è trattato di una guerra unilaterale, con attacchi costanti contro di noi da parte di gruppi terroristici, organizzazioni terroristiche e Paesi che appoggiano il terrorismo. Centinaia e centinaia di cittadini del mondo sono stati uccisi .
Credo che sia importante tenere a mente che costoro hanno scatenato una guerra contro il mondo occidentale, contro chi la pensa diversamente e che stiamo finalmente rispondendo a questi attacchi. E’ l’intera discussione sulla guerra preventiva per quanto possa essere affascinante, che di fatto è fuori tema in questo caso. Poiché  non è ciò a cui stiamo assistendo. Non stiamo dichiarando una guerra preventiva. Stiamo dichiarando una guerra difensiva in risposta a una serie di attacchi contro di noi. E Com’è stato detto  sin dall’inizio questa guerra contro il mondo occidentale è stata promossa da una combinazione di reti terroristiche, sostenute e strumentalizzate da alcuni Paesi. Sin dall’11 settembre i Paesi chiave erano cinque: l’Iran, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria e l’Arabia Saudita. È da lì che in un modo o nell’altro direttamente o indirettamente, proveniva l’appoggio al terrorismo. Questa non è e non è mai realmente stata una guerra di religione né il tanto citato scontro tra civiltà, tutt’altro. I seguaci del partito Baath per esempio sia in Siria che in Iraq, hanno avuto un ruolo centrale in questa guerra e non hanno mai avuto una legittimazione religiosa. In effetti nel momento in cui la dittatura della famiglia Assad ascese al potere in Siria, ebbe bisogno di una specie di grazia religiosa dal regime sciita iraniano affinché  la Siria tollerasse il regime. Ma gli Assad non avevano nessuna legittimazione religiosa, dovettero procurarsela dall’esterno, ovvero non dalla propria gente né dalla propria religiosità. Solo in tempi recenti Saddam ha fatto ricorso a dichiarazioni stupefacenti, asserendo di aver donato il proprio sangue perché ci si scrivesse un’edizione del Corano; ma è stato un modo per dare spettacolo che non aveva niente a che fare con la religione. Del resto Saddam e altri come lui, sono sprovvisti di una vera preparazione religiosa come di una qualsivoglia legittimazione religiosa.
È vero che i regimi al potere in Iran e in Arabia Saudita sono intensamente religiosi, come lo erano i talebani in Afghanistan, ma sono piuttosto diversi gli uni dagli altri. Questo ci rende comunque ciechi rispetto a un altro grande mito di questa guerra, che le divisioni all’interno del mondo islamico sono talmente profonde da rendere la cooperazione tra i popoli impossibile. Per anni si è detto che gli sciiti e i sunniti erano così violentemente divisi tra di loro che non erano in grado di collaborare in nessun progetto comune, neanche in azioni terroristiche. La maggior parte dei servizi di intelligence occidentali hanno sostenuto per moltissimo tempo che non era proprio possibile che sunniti e sciiti potessero lavorare insieme. Questo nonostante il fatto che tutti sapessero da sempre che le Guardie rivoluzionarie iraniane che sono soprattutto sciite, venissero addestrate nella Valle del Bekaa in Libano. Per cui quando tutto d’un tratto alla fine del 2001, si annunciò al mondo la scoperta della famosa nave carica di armi la Karim A, si capì che stava avvenendo qualcosa di nuovo: i sunniti e gli sciiti stavano collaborando e ciò avveniva solo con un piccolo ritardo di trent’anni. Nonostante i vari contrasti tra i regimi che a me piace chiamare i «maestri del terrore», essi sono comunque uniti dall’odio che nutrono nei nostri confronti. Nei confronti di tutti, indipendentemente dai disaccordi che possiamo avere tra noi.
Il loro odio è riposto nella natura stessa di ciò che siamo, ne in una definizione particolare di politica, non c’è via d’uscita da questo conflitto. Possiamo vincerlo o perderlo, ma non possiamo evitarlo: di fatto non importa quali siano le nostre politiche, poiché il loro odio non si basa su ciò che facciamo ma bensì su ciò che siamo. E’ la nostra stessa esistenza che vedono come una minaccia, poiché siamo riusciti a creare una società libera. Perché se si volge lo sguardo verso i «maestri del terrore» - l’Iran, l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria e l’Arabia Saudita - il loro denominatore comune non è la religione, bensì la tirannia che hanno tutti in comune. Sono tutti regimi tirannici, alcuni hanno dittature di una sola famiglia, altri hanno dittature autonome, ma resta il fatto che sono tutti tiranni. Sanno che quando i loro popoli ci guardano, la loro legittimazione è minacciata poiché i loro popoli sono pienamente d’accordo con noi nella prospettiva di una democrazia islamica o araba.
Tuttavia sembra esistere l’idea che il cromosoma della democrazia o della libertà manchi nel Dna degli arabi, non sono un esperto di storia islamica ma anche una conoscenza superficiale basta a dimostrare che questa è una sciocchezza. Le civiltà islamiche sono state le più avanzate nel mondo, mentre oggi sono quasi tutte sull’orlo del fallimento. È un momento di transizione. Durante gli ultimi due secoli le civiltà islamiche si consideravano talmente importanti da non inviare ambasciatori nel mondo occidentale, avendo capito che non avevano niente da imparare da noi. Anzi trovavano completamente normale che i Paesi occidentali mandassero ambasciatori presso di loro, perché pensavano di essere in possesso di qualsiasi cosa avesse a che fare con la cultura, la conoscenza, la civiltà. Dunque l’atteggiamento da molti condiviso sul fatto che siano irrimediabilmente arretrati, dittatoriali, illiberali e incapaci di autogovernarsi è semplicemente sciocco. E non capisco neanche se si tratta di una forma di razzismo oppure no. Ma quello che più odiano di noi “ quei tiranni ” è che siamo società libere e realizzate. Loro non sono né l’una né l’altra, sono società fallite e illiberali. Per noi non esiste via d’uscita.
Perciò possiamo anche smetterla di discutere su quale sia la politica da perseguire. Questa è una guerra, possiamo vincerla o perderla, ma non sfuggirla. Tra tutti gli sponsor del terrore  l’Iran è di gran lunga il più importante, lo è sempre stato, sin dalla rivoluzione del 1979. Ho sostenuto in un incontro avvenuto qualche tempo fa  a Roma ovviamente senza successo, che fosse necessario liberare l’Iran prima di entrare in Iraq. Questo per numerosi motivi, innanzitutto la liberazione dell’Iran non richiede alcuna forza militare. Oggi rappresenterebbe la vittoria di per sé più importante, da conquistare proprio su coloro che stanno conducendo l’attuale guerra contro di noi. Richiede solo che l’Occidente tenga fede ai propri ideali e appoggi una rivoluzione democratica già in corso da tempo in Iran, e il popolo iraniano li riconosca pubblicamente e senza esitazioni.
E’ davvero divertente leggere quello che succede ai giornalisti che entrano in Iran, tutto d’un tratto scoprono un intero universo di cui non avevano mai sospettato. Ricordo di una mia amica giornalista  di “Le Monde”, inviata a Teheran subito dopo la caduta di Saddam Hussein, la quale girando per le strade di Teheran e intervistando la gente chiese: “Cosa ne pensate di tutti questi marines che vanno in giro per Bagdad?”. Invece di sentire un scoppio di insulti, si sentì rispondere: “Perché si sono fermati a Bagdad? Perché non sono qui? Ci piacerebbe molto avere dei marines qui. Ci piacerebbe vedere dei marines in Iran”. Di fatto, quello iraniano è oggi probabilmente il popolo più pro-occidentale al mondo. Se l’Iran fosse un Paese libero sarebbe democratico, è fuor di dubbio. I professori e gli studenti iraniani sono gente molto colta e sono attualmente impegnati a scrivere bozze della Costituzione. Oggi, se si interroga un qualsivoglia professore che si reca in una
qualsiasi università in una qualsiasi parte dell’Iran nell’ambito di programmi di scambi culturali, ti dirà proprio questo. Conosco almeno una decina di professori americani o europei che si sono recati lì e sono rimasti allibiti nel vedere che si legge qualsiasi cosa, in special modo le costituzioni democratiche del mondo e altri scritti sull’attuale dibattito intorno alla Costituzione europea. Si tengono aggiornati su tutto. Se avessimo un Afghanistan abbastanza libero da una parte, un Iran libero nel mezzo e un Paese sulla strada della libertà in Iraq, potremmo rivolgerci al mondo musulmano e fare una predica che la maggior parte di loro ha il bisogno, e la volontà di ascoltare.
E diremmo: “Va bene avete provato le due versioni opposte: la versione sunnita in Iraq e in Afghanistan, e la versione sciita in Iran ed è stato un fiasco generalizzato. È tra i più drammatici poiché ha distrutto il Paese e, alienato il popolo”. Oggi il tema più aspramente dibattuto in Iran non è se il regime dovrebbe rimanere o andarsene. Ma il tema più caldamente dibattuto oggi è se l’islam sopravvivrà alla caduta del regime di Teheran. E si sente moltissima gente, tra cui grandi Ayatollah che asseriscono: “Vogliamo la separazione tra gli Stati musulmani, vogliamo che i religiosi fuoriescano dal governo”, perché sono convinti che sia la loro ultima opportunità per salvare la loro religione. Tempo fa ho avuto il singolare piacere di conoscere in una conferenza sull’islam un nipote dell’Ayatollah Khomeini,  è stata un’esperienza positiva,  egli profonde conoscitore di religione ha dedicato molti anni della sua a studiare con gli Ayatollah, gli fu chiesto tra il pubblico: “E che ci dice della libertà di religione?”. Egli  rispose (il che dà un’idea di quanto sia progredito il pensiero in Iran): “Oh, sì certo, la libertà di religione. Ma non soltanto la libertà di religione; anche quella di non-religione. Perché questa dev’essere liberamente scelta dalla gente”.
Quando ci soffermiamo a riflettere su quello che sta succedendo in Medio Oriente, normalmente ci si sbaglia. Non è affatto vero che in Medio Oriente la gente tema o non sia preparata a una rivoluzione democratica, è vero piuttosto che si sente frustrata dal fatto che tanti paesi liberi si rifiutano di aiutarla a compiere una rivoluzione democratica. Questo più di qualsiasi altra cosa, fa arrabbiare la gente e a ragione.
Credo che non abbiamo una sufficiente comprensione del drammatico momento che stiamo vivendo e sicuramente tra un secolo o due, gli storici guarderanno indietro al periodo che ebbe inizio intorno alla metà degli anni Settanta e che continua ancora adesso, per quanto questo possa essere sorprendente. Pensavo che si concludesse prima, la chiamerei l’età della seconda rivoluzione democratica. La trasformazione democratica del mondo negli ultimi vent’anni è stata davvero spettacolare, e sono pochissime le persone che danno a ciò l’importanza che merita. Tutta l’America Latina si è trasformata certo anche con abusi e vizi procedurali, ma vorrei comunque ricordare una serie di numeri che forse non si ricordano. Quando Reagan divenne presidente degli Stati Uniti, esistevano soltanto due governi eletti in America Latina: Venezuela e in Colombia. Otto anni più tardi esistevano soltanti due governi che non fossero stati eletti, dal Rio Grande fino al Polo Sud, Cuba e Curaçao. Tutti gli altri Paesi dal Rio Grande fino al Polo Sud, rimasero o divennero democratici. E simili tendenze sono in atto anche ora. Uno degli effetti più sensazionali della globalizzazione è che non si può più tenere le cose nascoste alla gente. E la gente lo sa. Come nel caso della Cina per esempio, alla quale dovremo dedicare maggiore attenzione. In Cina il 99% della gente che vive in città, possiede un televisore. Inoltre più del 77% della popolazione che vive in campagna possiede un televisione e la guarda. Questo significa che possiamo comunicare con tutti in qualsiasi momento, e siamo in grado di raggiungerli. Siamo in grado di raggiungere chiunque in qualsiasi angolo del mondo; avvalendoci dei nuovi mezzi di comunicazione “via internet, via cavo, via satellite ecc.”.
Noi occidentali siamo bravissimi nel creare reti di comunicazione, è  stato uno dei nostri maggiori errori poiché avremmo dovuto istituire una rete di emittenti in Iraq già molto tempo fa.
La cosa più sorprendente circa l’Iraq di oggi è che, per quanto si siano impegnati tutti i gruppi radicali per cercare di sollevare sommosse e insurrezioni tra gli iracheni, ciò non è avvenuto.
Ciononostante ci sono almeno dodici stazioni radio gestite dagli iraniani che si rivolgono agli iracheni.
Coprono il Paese a tappeto, e gli iracheni non vogliono avere niente a che farci. Non sono interessati e non le vogliono. Non sono più disposti a sottomettersi a questo tipo di manipolazione.
I radicali si sono dovuti affidare al terrorismo nel tentativo di cacciarci dal territorio, dunque non c’è via d’uscita da questa guerra per nessuno di noi.
I terroristi e i «maestri del terrore» non fanno distinzioni tra noi. Non ci suddividono tra quelli che amano e quelli che non amano, quelli che sono corretti e quelli che non lo sono, quelli che vogliono fare fuori e quelli che vogliono lasciare in vita. Di fatto non fanno distinzione neanche tra la propria gente. Gli sta benissimo uccidere musulmani, lo hanno sempre fatto. Uccidono italiani con lo stesso entusiasmo con il quale uccidono israeliani o americani, giordani o gente della Croce Rossa o delle Nazioni Unite, semplicemente non gli importa. Hanno dichiarato guerra al mondo occidentale per restare al potere e mantenere le proprie tirannie, per continueranno a combattere. Per tanto è meglio unire le forze e vincere, piuttosto che doverli combattere uno a uno e vincere poco a poco. Perché una cosa è certa ed è che vinceremo.
Ma se ci ritiriamo dall’Iraq oggi saremo attaccati una volta dopo l’altra, a Roma come a New York o a Washington, a Londra, a Berlino e a Parigi. Per cui rimbocchiamoci le maniche. Abbracciamo le nostre tradizioni, parliamo dei nostri valori perché sono proprio quelli che ora sono a rischio. Dovremo contare sul fatto che la maggior parte della gente in quell’angolo del mondo è d’accordo con noi ci vogliono, sognano di essere molto più simili a noi di quanto non lo siano oggi e non provano alcun desiderio di divulgare le proprie tradizioni e le proprie credenze. La maggior parte di ciò che vogliono è personificata in noi. Siete proprio convinti che la gente che vive in quella parte del mondo non sa di essere lo zimbello dei tiranni? Gli arabi sanno benissimo che a loro non si danno Premi Nobel, non si danno premi per la chimica o per la fisica, che non mandano uomini sulla Luna, che non scrivono romanzi famosi, che non appaiono in televisione. E lo sanno essendo consapevoli che una volta erano ai vertici del mondo e continuano a porsi proprio la domanda: Che cos’è andato storto?. Lo sanno benissimo. Anche i loro studiosi, e i gruppi di studio arabi delle Nazioni Unite che analizzano le società arabe sanno cosa non ha funzionato. Ciò che non va in quei Paesi è che sono dominati da individui tirannici e da fanatici religiosi che non permettono alle persone di essere libere, di svilupparsi e di creare e immaginare cose che potrebbero benissimo realizzare. E la nostra missione è quella che è sempre stata, ovvero dare loro proprio questa possibilità.

 
 
 

LA DITTATURA DELLE FARFALLE

Post n°130 pubblicato il 17 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

Di Chiara Manfredini

Gloria alla farfalla di Belen! Neanche la Cassazione che oggi sentenzia su un Italia schiava del malaffare, neanche il ventennale di Tangentopoli o l'improvvisa cancellazione della visita al premier della cancelliera tedesca riescono a fermare i voli pindarici di giornali, tv e web sull'argentina e le sue mutande. Sono tante le testate che stamattina gli hanno dedicato la prima. Alla faccia dei disastri italiani a noi ci piace tanto consolarci con le farfalle!

Eh si perche' gira che ti rigira sono proprio potenti ste farfalle! I governi cadono ma loro restano, volano leggiadre facendosi beffa della prossima inchiesta costruita ad arte da magistrati "mediatici" che giusto alle farfalle possono interessarsi! 

E alla fine si sopri' che quel povero uomo di Berlusconi non aveva poi tutti i torti a non fare altro che pensare alle farfalle, con quante ne girano forse risolverebbe tutti i suoi problemi se gli facesse causa per istigazione!!

E allora sapete che vi dico complimenti a Belen, alla sua farfalla inguinale e alla mano che leggiadra spostava le vesti mentre scendeva le scale dell'Ariston, in fondo in tutta questa finta "convulsione moralizzatrice" non ha fatto altro che ciò per cui e' stata lautamente retribuita. E per una sera ci ha fatto ricordare che in fondo la farfalla ce l'abbiamo tutte anche se considerato lo stupore forse non ce ne eravamo accorte!

E pazienza se il ministro Fornero si e' offesa. In fondo anche lei dovrebbe avercela la farfalla. Anche se a pensarci bene, fossi in lei, una sbirciatina tra le gambe me la darei, giusto per controllare. Visto l'accanimento con cui ci ricorda di non voler essere chiamata la Fornero qualche dubbio ce l'ha fatto venire. No perche' di questi tempi bisogna stare attenti, qui non si capisce piu' niente tra Celentano che vuole fare il prete, Monti che vuole rifare l'Italia, la Fornero che vuole fare (il) Fornero....viva Belen che fa la Belen.

Ma poi ministro anche lei mi casca sulla farfalla, lei e' un tecnico del tecnicissimo governo tecnico e nel vostro Paradiso alle farfalle non e' dato di esistere se non per essere pagate....!

 

 

 
 
 

SICUREZZA, SEGRETEZZA, PRIVACY

Post n°129 pubblicato il 16 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

 

Di Chiara Manfredini

Intercettazioni di massa e lotta al terrorismo vs diritto all'anonimato e neutralita' della rete. E' una questione seria dai risvolti complessi. A Dubai si e' concluso ieri il raduno internazionale delle societa' leader nella sorveglianza elettronica: l'Iss World Mea. Un appuntamento al quale hanno partecipato operatori e funzionari di intelligence che si occupano di intercettazioni legali, indagini elettroniche e raccolta di informazioni in rete. Tra gli sponsor anche alcune aziende italiane, Ips del gruppo Resi di Aprilia e Rcs lawful interception solution. Gli interessi di queste compagnie convergono nella produzione di tecnologie finalizzate alle intercettazioni,  localizzazione e monitoraggio di cellulari e socialnetwork allo scopo di reperire informazioni, armi potentissime dal triplice risvolto: contenimento di attivita' criminali e terroristiche, potenziali strumenti di ricatto e privazione delle liberta' personali da parte di regimi o dittature (come ci ha insegnato la primavera araba). C'e' chi parla di pericolo causato da una lacuna da colmare riguardo all'esportazione di materiale di questo tipo. E direi che non si tratta di un problema da sottovalutare se consideriamo la pericolosità di un mercato nero di questo tipo di tecnologie e la facilita' con cui puo' svilupparsi. Immaginatevi gli effetti di uno smercio sotto banco di questi software con i quali si possono combattere guerre segrete molto più pericolose perché silenziose e sconosciute. Ed e' in gioco molto di più che un brevetto, sono in gioco liberta', democrazia, equilibri di potere, le sorti degli Stati. La battaglia di "Anonymous" va proprio in questa direzione, difendere l'anonimato della rete e la sua neutralita' contro i regimi dittatoriali e i colossi del web a caccia di dati personali. Uno dei suoi piu' attivi sostenitori e' Jacob Appelbaum inventore di Tor Project, un software che permette la navigazione anonima su Internet e che dall'Iran fino alla Siria e alla Cina tiene seminari per insegnarne l'uso agli attivisti politici. La navigazione in rete e' uno spazio facilmente penetrabile da coloro che hanno i mezzi per accedere ai nostri dati personali attraverso i quali studiare le nostri abitudini di consumo e di fruizione. Lo dimostra Google che nei giorni scorsi ci ha informato con un email che il nuovo piano dell’azienda consiste nell’unificare in una sola normativa tutti i dati personali provenienti dai propri servizi, nell'ottica di una tracciabilita' a 360 gradi degli utenti. Stesso discorso per il cosiddetto servizio di "condivisione senza attrito", ossia la possibilita' di mostrare sulla bacheca di Facebook tutte le attivita' degli utenti registrate al di fuori del socialnetwork. E proprio Facebook domani attivera' un servizio per garantire le identita' reali degli utenti che permettera' di verificare gli account e poi scegliere un nickname al posto del proprio nome. Anche in questo caso l'obiettivo e' quello di una maggiore precisione nell'identificazione dei profili degli utenti. I mediattivisti, come gli aderenti ad "Anonymous", sono persuasi che le persone che fanno un uso criminale della rete abbiano i mezzi economici e cognitivi per sfuggire ai controlli, mentre i “buoni" non hanno alternative. E in questa paranoia da Grande Fratello oggi il Corriere della Sera da' notizia di un nuovo servizio web, OneShar, in grado di inviare comunicazioni che si cancellano dopo la prima (e unica) visualizzazione. L'ideale per le notizie segrete e per evitare di lasciare tracce su server e hard disk. L'unico rischio è l’errore umano. 

 

 

 
 
 

CARO SANREMO.......

Post n°128 pubblicato il 15 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

Di Chiara Manfredini

Caro Sanremo,

dopo Monti che vuole rifare l'italiano ieri ci mancava solo Celentano! 

Ci aspettavamo fiori, musica e canzonette e tutti quei proclami ci hanno fatto quasi rimpiangere "ballerine e nani" e quanto e' vero che la storia si ripete se la Rai tolto Santoro ci rifila il finto prete. E quando non si sa piu' che pesci pigliare, a forza di ricercare la preminenza si rischia di inciampare sul delirio di onnipotenza.

Tanti padri tu hai cambiato ma non hai ancora imparato che la musica e' il vero teatro e se uno spettacolo tu vuoi inscenare non e' certo Noe' che devi chiamare.

Per salvarci dal Diluvio Universale sull'Arca vuole farci riparare e dopo aver litigato con politica e Chiesa lui la paga non l'ha ancora resa.

Dice che andra' in beneficenza ma in Rai hanno dovuto farne senza e in epoca di tagli e sacrifici magari per altri impieghi quei soldi sarebbero serviti!

Ma Celentano una missione aveva da rispettare, dire agli italiani che si potevano salvare e tanto urgente era la necessita' che da contratto non ha voluto neanche la pubblicità. E poi a noi il canone ci tocca di pagare perché la Rai con ospiti e sponsor non e' capace di contrattare!

Cinquanta minuti di predica e paradiso in cui anche la mala sorte ha proferito! Non e' elegante la chiusura di un giornale augurare e intanto il diritto di parola  esercitare! Ma che te lo dico a fare che Celentano predica bene e razzola male! Questa e un'abitudine piu' che sbagliata a cui l'Italia e' fin troppo abituata!

E mentre Il "Principe dei Poveri" di diritti e deboli parlava nel pomeriggio le prove vietava, ai quei giovani che mai saranno soddisfatti finche' ci sarà chi come lui non parla con i fatti.

E dopo Wagon Lits e i treni lumaca lo sgomento ci assale ma non sappiamo cosa fare, forse farebbe bene lui a controllare meglio, visto che non c'e' niente di piu' rottamato di quei treni che Montezemolo ha cambiato. 

E siccome in tante Chiese ha detto di essere entrato ci chiediamo se un prete abbia mai ascoltato o visto che la predica non era la sua magari ha preferito tornarsene a casa sua.

E tu, mio caro Sanremo, che di Morandi sembri essere tanto fiero!

E mentre Mazza in prima fila sorrideva tu pensavi all'Italia che d'ipocrisie sembra essere piena e quando si diceva che erano solo canzonette erano sicuramente meglio di queste incomprensibili elevatezze.

E dopo Pippo che era troppo istituzionale ti hanno affidato a Fazio che era un intellettuale e passando per Bonolis che troppo caro appariva ecco arrivare Morandi che la moderazione conosceva.

Ma l'avrai capito anche tu ormai che nulla e' come appare e che la musica e' andata definitivamente a (bip bip) p......e!!!!!!!

Alla mora e alla bionda ti avevano pure abituato e anche delle vallette quest'anno sembri essere stato privato e mentre cercavi di capire se fosse un buon risultato quelle della passata edizione ti hanno riscodellato.

E adesso mentre auditel e share premiano una disfatta ancora speri che nelle prossime serate giustizia sara' fatta.

E mentre il "molleggiato" finalmente se ne e' andato, al posto suo Marano e' arrivato e nella paura dei blitz antievasione tu speri che almeno rifunzioni il sistema di votazione....

E ogni volta che la sigla scorre veloce ti tornano in mente certe strofe che di musica e amore erano piene senza pensare al risentimento e al potere....che dopo tutto quello che hai passato, da quando sei nato, povero Sanremo quest'anno ti hanno pure commissariato!!!

 

 

 

 
 
 

TWITTO ERGO SUM

Post n°127 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

Di Chiara Manfredini

La rete sembra a tutti gli effetti una realta' parallela, più che il riflesso delle nostre esperienze di vita. E i nostri profili facebook e twitter delle "vetrine perfette" del nostro ego in vendita. Come un esercito di figuranti forniamo alla rete i nostri dettagli piu intimi, la informiamo sulle nostre aspirazioni pronti a recitare lo spettacolo virtuale di cio' che vorremmo essere. Siamo tutti alla ricerca di un pubblico, al quale affidare il racconto della nostra vita e di un palcoscenico fittizio nel quale inscenare la rivisitazione della nostra quotidianità, quel tanto da farla diventare più attraente di quanto appaia ai nostri occhi.
La dimensione pubblica e' diventata l'unico spazio in cui ci sforziamo di esistere. I meccanismi della fruizione massmediatica hanno definitivamente contaminato la sfera privata limitandone i confini quasi fino a farli scomparire. Da spettatori di una realta' parziale e viziata al servizio dei potenti interessi commerciali di canali e tv siamo diventati noi stessi produttori di contenitori di vite piegate alla logica dell'attrattivita' attraverso i nostri profili, impeccabili, aggiornatissimi e soprattutto selezionatissimi. Anche i personaggi pubblici più schivi e riservati o quelli di nicchia che avevano fatto del pubblico scelto una sorta di marchio artistico hanno ceduto al fascino dei social network. Chi l'avrebbe detto che anche il Vasco nazionale, cosi ribelle alle regole sarebbe diventato un utente alla continua rincorsa tra finzione e realtà.
Scandiscono le nostre abitudini di vita, dal risveglio fino a notte inoltrata, tra un pasto e un altro, tra un figlio e un altro, tra una nuova fine e un nuovo inizio. Tutto si consuma al ritmo di un tweet e di un post, come bravi montatori corriamo ad infilare le nostre esistenze in sottotitoli scorrevoli. E insieme al riassunto della nostra vita curiamo anche la nostra autostima che scende o sale in base a quanto siamo seguiti.
Non esistono ruoli, ne' gerarchie, in questa arena sociale senza moderatori ne moderati in cui tutti rivendichiamo le stesse possibilità di raccontare il mondo come fanno i giornalisti, di fare politica come fanno i politici, l'unico diktat e' quello del "giudica e commenta": proclami, inchieste, insulti, siamo diventati le brutte copie dei nostri stessi bersagli e i compromessi e i ricatti per i quali confessiamo di batterci sono gli stessi a cui cediamo tutti i giorni lontani dall'onnipotenza e dalla mistificazione della rete. Siamo noi il pubblico del trash, siamo noi il grande fratello, siamo noi i politici, siamo noi i giudicanti e i giudicati. L'unica certezza e' l'ostinazione con la quale continuiamo a non assumercene la responsabilità. L'atteggiamento prevalente e' quello di chi si dissocia e, conquistato il piedistallo, condanna o assolve. Siamo tutti intellettuali, tutti vip, tutti interessanti e tutti purtroppo facili da comprare - a quanto sembra - pur di partecipare al circo mediatico della vita.
Forse e' tempo di calare il sipario, di recuperare la sfera privata, la capacita' di agire nella propria vita modificandola in base alle proprie aspirazioni e obbiettivi; diventare i protagonisti delle nostre esistenze, senza affannarci a vivere quelle degli altri ed essere noi stessi nell'unicita' delle nostre banalita'.

 

 

 
 
 

MONTI DA OBAMA E LO SPETTRO DEL MERCATISMO

Post n°126 pubblicato il 11 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

 

Di Chiara Manfredini

“Può quest’uomo salvare l’euro?”: il Time gli dedica la copertina e Mario Monti, incassata la fiducia di Obama sul suo operato, ammonisce di voler cambiare il modo di vivere degli italiani. Valutazione positiva, dunque, del mercato americano all’iniziativa riformista del premier-ministro che al termine dell’incontro sottolinea la visione comune sull'imperativo della crescita e stigmatizza la superiorità del modello americano per flessibilità e integrazione dei mercati, nell’ottica del mercato unico. Obama, invece, "santifica" Monti riciclando più o meno la stessa espressione che aveva utilizzato con Marchionne, in occasione della ristrutturazione della Chrysler: “Riforme italiane impressionanti” – ha detto.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di analizzare le ragioni della visita di Monti da Obama. In un articolo di ieri pubblicato su “Limes”, Giorgio Arfaras, ipotizza tre motivazioni: la prima che l’Italia ha riconquistato il prestigio,  la seconda che i suoi problemi non sono  ancora risolti e la terza, che si presta ad un’interpretazione numerica andando a richiamare il debito pubblico dei due Stati, sintetizza l’ incontro tra chi è riuscito a cambiare il giudizio negativo dei mercati - Mario Monti – e chi pensa che il giudizio dei mercati sia obiettivo – Obama –.

Confrontando i debiti dei due Stati, infatti, emerge un importante differenza: il debito americano è quasi per il 50% in mani pubbliche (banca centrale,organismi pubblici, oppure – attenzione – banche centrali asiatiche) e quindi il controllo politico è stringente,  al contrario il debito italiano è detenuto oltre il 50% dalle banche di credito ordinario e dai non residenti, quindi è concentrato in mani lontane dal potere politico che possono venderlo e comprarlo. 

Torniamo per un attimo al titolo dell’articolo di Arfaras: “Monti da Obama, ossia Adam Smith vs Colbert”.

Più di qualcuno sostiene che oggi, mentre le dichiarazioni ufficiali si ispirano al liberismo, i comportamenti concreti dei paesi economicamente più sviluppati siano piuttosto mercantilisti. E più precisamente che la conformazione attuale del capitalismo si avvicini nella pratica molto di più al mercantilismo corporativistico che al liberismo economico classico. Ciò sembra essere vero in particolar modo per la politica ufficiale statunitense. In questo modo possiamo leggere la contrapposizione di Arfaras tra il liberismo economico di Monti e il protezionismo di Obama. 

Ma non finisce qui perché in chiusura di articolo Arfaras parla di un inversione di ruoli rispetto all’immaginario e continuando ad appellarsi ad Obama come “colbertiano” questa volta chiama Monti “mercatista”. 

E’ parere di molti, non da ultimo l’ex ministro Tremonti, che la crisi dei cosiddetti “mutui subprime” sia stato il bastone tra le ruote di un a strategia economica messa a punto da élites dirigenti e finanziarie per colpire l’Occidente e il suo cuore l’Europa. Questo meccanismo è stato definito come mercatismo: si è quindi propagandata, da parte del mondo finanziario e da parte di quel mondo imprenditoriale, tenuto dalla finanza al guinzaglio dei prestiti, la parola d’ordine che la competitività e la fortuna di un’impresa consisterebbe non nella domanda interna nazionale ma nel competere nel mercato estero.

Si è individuato il mercato americano, si è deciso nelle sale dei cda delle grandi istituzioni finanziarie che il disoccupato avrebbe consumato a credito senza poter pagare i debiti. Nello stesso tempo questa massa di crediti inesigibili concessi senza garanzia per acquistare prodotti in Oriente veniva trasformata in titoli di credito truccati in modo da trasferirli ai risparmiatori occidentali. 

In questo modo le megabanche globali si sarebbero liberate dal proprio originario rischio sui loro prestiti trasferendolo a terzi, impacchettando i propri crediti in prodotti finanziari destinati ad essere collocati sul mercato presso acquirenti attratti da alti rendimenti quasi sempre inconsapevoli. In questa maniera i risparmiatori erano lentamente ed inconsapevolmente derubati dei loro fondi che venivano trasferiti all’Oriente produttore. Con un solo movimento l’Occidente sarebbe stato derubato della sua ricchezza industriale e finanziaria se il meccanismo non fosse stato inceppato e reso pubblico.

E’ opinione diffusa anche che la rinuncia del potere e della supervisione politica sul mercato abbia significato l’astensione ad una sua regolazione e  tale decisione abbia implicato il rischio che lo Stato fosse conquistato da élite finanziarie, interessate ad una regolamentazione statale minima, in modo da poter piegare lo Stato a proprio favore, come accaduto, appunto, nel più recente crollo finanziario mondiale.

Adesso il quadro dei riferimenti sembra essere completo: inutili supposizioni o inconfessabili verità?

 

 

 
 
 

CARO MONTI ALTRO CHE UOVA DI STRUZZO!

Post n°125 pubblicato il 09 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
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Di Chiara Manfredini

 

Altro che uova di struzzo di Gabriella Alemanno! Pensavamo non ce ne fosse più per nessuno con i professoroni esperti di architettura finanziaria e invece, mentre i nostri intelletti sagaci erano in elevate faccende affaccendati,  Monti lesto lesto ce ne ha infilate una dietro l’altra. Prima di volare in America da Mr Obama per disquisire su strategici accordi internazionali anti evasione e sulla ritrovata fiducia dei mercati, Mr Monti da tecnocrate minuzioso qual è prima azzera con una circolare le spese di rappresentanza del Ministero del Tesoro, mettendo un tetto di 150 euro ai regali e poi spende 10 milioni di euro per 400 autoblu. Ma non ancora contento del lavoro certosino sui conti dello Stato, in sede di Consiglio Supremo di Difesa, decanta la necessità di razionalizzare le spese del settore quando oramai i 131  cacciabombardieri F35, per un costo di 15 miliardi di euro, sono sempre più vicini all’Italia. Ci casca anche l’Unità che titola “Napolitano benedice i tagli. La Difesa può ridurre gli F35” e sfoggia un articolo di insolito “tono ottimistico”. La questione sembra chiarissima, tagliare si ma – attenzione – “laddove consentito dalla possibilità e dalla convenienza economica”. Guarda caso in questo momento sembrano mancare entrambi i presupposti. E mica ce la vorremo prendere con il povero Di Paola se gli F35 sono stati già ordinati e se uscire dal programma militare farebbe perdere all’Italia un sacco di soldi! Forse - e dico forse - potremmo rinunciare a 30 esemplari ma non sembra esserne tanto convinto il nostro ministro della Difesa che, qualche giorno fa, in un’audizione al Parlamento aveva escluso la possibilità di procedere in questo senso. Vi lascio immaginare come andrà a finire questa storia!

 

Ma torniamo a Super Mario e alle auto blu.  Certo l’austerità al ministero di via XX Settembre ha le sue eccezioni: pochi giorni fa è comparso sul sito un bando per l’acquisto di 400 auto di media cilindrata (1600 cc) destinate alla pubblica amministrazione. Ma ciò che ha davvero dell’assurdo è la replica di Palazzo Chigi, che precisa che nessuna di queste macchine servira' al premier e che l’ordine non è stato disposto dal ministero ma dalla Consip (l’ente che si occupa degli acquisti dello Stato). Ma chi se ne frega, dico io!!! Il problema non è a chi andranno queste benedette auto blu -  che ogni volta che saltano fuori nessuno le usa, nessuna le ha ordinate, sembra che si ordinino da sole -,  il problema è che costano 10 milioni di euro.  Professori si, di spudoratezza!

 

 

 

 

 

 

 
 
 

PROFESSIONE VOUCHERISTA

Post n°124 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
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Proprio non lo sapevo e ancora faccio fatica a crederci. E’ un nuovo tipo di contratto: il datore di lavoro compra un voucher o buono lavoro anche dal tabaccaio, il costo comprende anche la copertura previdenziale e assicurativa. Se il compenso non supera i 5.000 euro annui può utilizzarlo per pagare alcune categorie di lavoratori che possono incassarlo alle poste. In Italia dal 2008 al 2011 sono stati venduti 28 milioni di voucher, si calcola che abbiano alimentato circa 5.000 posizioni del cosiddetto lavoro accessorio.

In prima linea gli studenti sotto i 25 anni, che possono lavorare anche nel weekend. Le attività? Giardinaggio, turismo e servizi, collaborazioni domestiche, insegnamento privato, consegna porta a porta. Strumento nato per favorire i lavoretti degli studenti rischia di essere il gradino più basso della scala dei lavoratori precari. Ditemi che non è vero!

 

 
 
 

IL GOVERNO TECNICO DEI MATTATORI

Post n°123 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
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Di Chiara Manfredini

 

Posto fisso monotono, abrogazione dell’articolo 18, giovani sfigati e mammoni? E se fosse soltanto una provocazione?  Beh a guardare il gran parlare che se ne sta facendo in questi giorni su web, giornali e tv vorrebbe dire che ci saremmo cascati tutti in pieno. La mia non è facile ironia davvero faccio fatica a cogliere il senso reale di questo dibattito pubblico, cavalcato sapientemente dai media e che sta finendo per  metterci tutti l’uno contro l’altro.

 

Ciò che mi colpisce di più è la reattività sociale che temi come questi sviluppano sull’opinione pubblica. Anche l’aplomb di Alessio Vinci, ieri sera a Matrix, è andato letteralmente “a farsi benedire” quando con la Camusso e Telese in studio ha inscenato un siparietto niente male mentre difendeva il diritto  degli imprenditori al non reintegro dei dipendenti licenziati. E per fortuna che ha seguito la lezione del giornalismo americano “Opinioni distaccate dai fatti”!!!!

 

Ma lasciate da parte le animosità proviamo a ristabilire le giuste proporzioni. Riguardo all’articolo 18 mi sembra sterile l’argomento del contendere, in quanto ammesso che sia realistica questa urgenza da parte del governo di abrogarlo si tratta comunque di un diritto che andrebbe a toccare un numero ristretto di aziende nel panorama industriale italiano. Dati Istat alla mano, infatti, in Italia le imprese di dimensioni inferiori o pari a 15 dipendenti, fuori quindi dall’area di applicazione dell’art. 18, nel corso del 2009, erano 4.356.236, mentre quelle di dimensioni superiori erano  114.512. Stiamo parlando di circa 200 licenziati reintegrati sul posto di lavoro ogni anno.

 

Per quanto riguarda, invece, la questione dei giovani e del posto fisso se provassimo a decontestualizzare le dichiarazioni fatte da Martone prima, da Monti poi e, infine, dalla Cancellieri, liberandole dall’esasperazione che un confronto acceso su una riforma nodale come quella del lavoro necessariamente crea, risulterebbero  meno dirompenti. Voglio dire che senza negare i sacrifici economici dei giovani fuori corso, magari impegnati in doppi lavori, non credo sia così disdicevole incentivare le nuove generazioni ad accorciare i tempi di studio per essere più competitivi nel mercato del lavoro. Passando a Monti, invece,  pensate se avesse fatto ai giovani l’appello contrario: “Non accettate nuove sfide future e inseguite il posto fisso”. Come minimo gli avremmo fatto l’analisi del capello per vedere se si fosse “drogato” visto che di posto fisso in giro non se ne vede neanche l’ombra. Nell’affermare questo non voglio sminuire una questione cruciale come quella del diritto al lavoro, soprattutto per le nuove generazioni, che rappresentano il futuro economico del nostro Paese, ma penso che l’esasperazione delle tematiche sociali (di tutti contro tutti: genitori e figli, sindacati e politici, giornalisti e intellettuali) sicuramente porta beneficio ai dati auditel, alle tirature dei giornali ma non al benessere del Paese che, al contrario, in un momento come questo di deriva sociale, ha più che mai bisogno di un dibattito misurato e concreto.

 

Penso che una riforma del lavoro sana vada concepita all’interno di una generale riforma della politica industriale italiana che fortifichi  le nostre aziende, che contrasti la delocalizzazione e che le incentivi ad intraprendere il cammino fondamentale dell’internazionalizzazione. Soltanto aumentando la produzione industriale (anche spostando il peso fiscale dal lavoro al capitale e dalla produzione alle rendite) si può creare occupazione e si può far ripartire l’economia. L’obiettivo di questo governo, nato sulle ceneri del fallimento del nostro sistema politico democratico, deve essere trovare il modo per cui le aziende assumano e non licenzino. Non soltanto perché ce lo chiede l’Europa o per acquisire qualche punto di Pil ma più in generale per stare al passo con le nuove esigenze economiche mondiali e per dimostrare la nostra capacità riformatrice quale indicatore di serietà e affidabilità.

 

I giovani lo sanno e stanno cercando il modo di adattarsi a delle modifiche sociali radicali che prevedono un ripensamento delle proprie proiezioni future su tutti i fronti: famiglia, maternità, casa, istruzione, tempo libero. E’ vero altresì che si tratta di una trasformazione che deve riguardare di pari passo almeno altri due aspetti fondamentali: maggiori possibilità di accesso al credito per giovani ed imprese e ripensamento dei modelli scolastici ed universitari verso una formazione non soltanto subordinata ma anche autonoma, per sfatare il mito della laurea ed educare le nuove generazioni alla “professionalizzazione”, che vuol dire imparare un mestiere. Pensate che è notizia di oggi che sono rimasti inevasi 45.250 posti di lavoro tra i giovani fino ai 29 anni in categorie che richiedono una preparazione alla manualità. Un dato che ci dovrebbe far riflettere in una fase economica in cui i livelli di disoccupazione sono così alti.

 

Quello che voglio dire è che forse ci stiamo “incastrando” su un gioco di parole perdendo di vista la concretezza della faccenda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

ANCHE TU PAGHI “BALENA BIANCA”

Post n°122 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
Foto di ilblogdelmar

Di Chiara Manfredini

 

Non è uno scherzo, anche se preferiremmo lo fosse, “Balena Bianca” è il nome di uno dei tanti giornali politici sconosciuti creati ad arte dai partiti per ricevere finanziamenti dallo Stato. La ricetta è semplicissima e il guadagno è assicurato senza nessuno sforzo e nessuno rischio: tipografia “amica” a prezzo scontato, giovani collaboratori non retribuiti pieni di speranze, zero spese di distribuzione e il gioco è fatto. E i nostri soldi se ne vanno tra le pagine piegate di decine di giornali nati per non esistere, espedienti di una politica parassitaria che succhia risorse a quello stesso Stato che dovrebbe amministrare su mandato dei cittadini.

 

E questo è soltanto uno dei tanti “mezzucci” studiati dai politici per fare soldi: basti pensare che la maggiore fonte di sostentamento dei partiti, pari quasi all’80%, proviene dai rimborsi elettorali, che - attenzione - non dipendono dalle spese effettivamente compiute. Quindi, se un partito riceve 15 per le regionali e ne spende soltanto 10 s’intasca “beatamente” i restanti 5. Senza nessuna logica, come nel caso dei giornaletti di partito, con l’unico obiettivo di rimpinzarsi di soldi. Direi che è un vero affare fondare un partito, rubinetti dello Stato sempre aperti, sgravi fiscali, sedi in palazzi prestigiosi ed esclusivi e riviste per giocare a fare un po’ gli intellettuali.

 

Ma tranquilli adesso ci pensa il ministro Giarda con la sua “spending review”. La spending che? Ci siamo chiesti in tanti. In pratica si tratta di una revisione delle spese dello Stato. E c’avevamo bisogno di un economista per capire che l’Italia non è più in grado di sostenere uscite di tale natura e consistenza? Ma insomma in quale modo sono giustificabili unità di spesa di queste entità, come è possibile, ad esempio  che il Ministero dell’Interno, deputato a compiti di importanza strategica per il nostro Paese, continui a pagare migliaia di euro per l’affitto di commissariati le cui sedi sono state già da tempo individuate in edifici pubblici non occupati? Parliamo di cifre importanti alle quali si sommano anche le morosità accumulate, a causa dell’insolvenza dello Stato. Si fa un gran parlare di dismissioni ma anche qui bisogna stare attenti non possiamo svendere ai privati il patrimonio immobiliare pubblico. Come nel caso della Caserma Miale di Foggia, un immobile del valore di circa venti milioni di euro venduto a tredici ad un gruppo bancario, sul quale, per non farsi mancare nulla lo Stato ha addirittura continuato a pagare un contratto di locazione molto oneroso (circa un milione di euro), per una scuola di Polizia chiusa perché "troppo costosa" dopo due anni. In pratica abbiamo continuato a pagare una cifra folle per una struttura che non utilizzavamo.

 

E i politici hanno anche il coraggio di venirci a dire che i tagli ai costi della politica, agli sprechi e ai loro privilegi non sarebbero risolutivi? E’ vero fino ad un certo punto e non si tratta soltanto di un doveroso atto simbolico da parte della nostra classe dirigente in un momento storico in cui a tutti è richiesto uno sforzo, ma si tratta di un atto pratico, doveroso, mediante il quale rivedere l’intera organizzazione amministrativa dello Stato, il modo in cui si spende e perché, razionalizzare le uscite sulla base delle reali necessità e contenere i costi come si fa in una qualsiasi azienda che vuole sopravvivere sul mercato.

 

Penso che la spinta riformista di questo governo non possa fermarsi al mercato del lavoro e alle riforme economiche senza affrontare il problema politico dei tagli e degli sprechi della casta. Ma ho i miei dubbi che questo avvenga in quanto “tecnici” e “professori” di questo governo hanno ampiamente spiegato che non negheranno il proprio supporto ad una riforma della politica, specificando però che è il Parlamento a dover fare una legge. E allora come si dice “aspetta e spera che poi si avvera”, prima che questi decideranno di togliersi due spicci dalle tasche sapete quante balene bianche ancora ci toccherà di pagare…..?!

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

FAI COME NOI SCEGLI “TWITTER NO POLITICS”

Post n°121 pubblicato il 07 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
Foto di ilblogdelmar

E’ iniziata la nostra battaglia per liberare twitter dall’inutile chiacchiericcio dei politici. Dichiarazioni, bollettini, informazioni, immagini, video: utilizzano la piattaforma per dialogare con noi allo sforzo di un tweet e di 140 caratteri di poca fantasia. Se è così semplice per loro raggiungerci in ogni dove ci chiediamo a cosa servano i finanziamenti per le campagne elettorali o i lauti rimborsi per collaboratori e staff al seguito, se non a finire nelle loro saccocce!!!!

 

A costo zero raggiungono istantaneamente migliaia di persone con annunci e promesse d’intenti vendendoci l’illusione del recupero di uno spazio interattivo con il proprio elettorato, quando si tratta essenzialmente di una comunicazione autoreferenziale sterile che si sostanzia nel dibattito pubblico che essa stessa produce,  pianificando l’agenda delle nostre conversazioni e influenzando al tempo stesso le nostre modalità di consumo della politica attraverso commenti e retweet.

 

Senza accorgercene gli conferiamo quotidianamente lo spazio di una ribalta mediatica e il ruolo di protagonisti indiscussi della scena pubblica. Il loro potere di autopromuoversi è nelle nostre mani: riappropriamoci del nostro diritto di esercitarlo.

 

Se anche tu sei stanco del loro vano cinguettare, fai come noi smetti di seguirli e impedisci che lo facciano con te.

Buon tweet a tutti!

 

Di Chiara Manfredini

 

 

 

 

 

 

 
 
 

IL NUOVO GOOGLE E' SOCIAL

Post n°120 pubblicato il 06 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
Foto di ilblogdelmar

«Ho avuto un'idea che poteva migliorare la vita delle persone. Google l'ha presa, ne ha fatto un progetto industriale e l'ha portata nei computer di tutto il mondo. Milioni di persone oggi possono usarla, gratuitamente». Queste le parole di  Massimo Marchiori che ieri ha presentato all'Università di Padova, in diretta streaming mondiale Volunia, il motore di ricerca di terza generazione, interamente sviluppato in Italia.

Fin da subito, aprendo Volunia, si percepisce la possibilità di vivere il web in un modo nuovo. Lanciando una ricerca con Volunia non si accede solo alle informazioni contenute in una pagina internet: si possono anche vedere e raggiungere le persone che in quel momento stanno guardando la pagina. Intuizione che Marchiori riassume così: «Il web è un posto vivo: ci sono le informazioni, ma anche le persone. La dimensione sociale, già presente, deve solo emergere». Non all'interno di community chiuse, ma nel gesto quotidiano della navigazione online. E il motore nato a Padova dimostra che è possibile.

 
 
 

AAA CERCASI STAFF DI COMUNICAZIONE PER IL SINDACO DI ROMA

Post n°118 pubblicato il 06 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 
Foto di ilblogdelmar

Di Chiara Manfredini

Dopo le straordinarie esibizioni mediatiche di Alemanno in questi giorni di emergenza ambientale e a dirla tutta anche nei mesi precedenti – quando ad ogni dichiarazione ufficiale l’asticella dell’incredulità era sempre più vicina al valore massimo che a quello minimo – mi sono più volte domandata quale fosse l’equipaggiamento dell’ufficio stampa del super sindaco, da chi fosse composto il suo entourage sul versante dei rapporti con i media. Insomma chi fosse questo gruppo a cui illusoriamente avevamo affidato una speranza di salvezza dall’indecenza del nonsenso delle sue dichiarazioni. Aprendo il sito istituzionale del Comune di Roma trovo una lista di nomi – non aggiornata a quanto pare (e ti pare che avevano avuto il tempo di farlo in questi giorni, con tutte le cose intelligenti che hanno avuto da dire!!!!), vista la presenza di Simone Turbolente passato in Acea qualche mese fa con un contratto d’oro. Ma non ci capisco molto e la curiosità persiste. Oggi scopro, leggendo l’articolo di Alberto Statera che dopo "Parentopoli" e "Fascistopoli" - e la sua comprovata capacita' di provvedere ai suoi ex camerata - Alemanno non si è fatto mancare proprio nulla, nemmeno l’amico di tutti, l’amico per eccellenza, l’amico che se non sei suo amico non sei nessuno: Luigi Bisignani, consulente perfetto del super sindaco. E come spiega bene proprio Statera, Bisignani è “un cultore della prevalenza del cretino nei ruoli di potere”, perché "i cretini sono più facili da controllare", dichiarava, come recentemente emerso da un'intercettazione telefonica. Evvai: al Campidoglio e alle municipalizzate di Roma è un valzer di tutte e tre le specie: “camerata”, “parenti” e “cretini”. Infine per soddisfare il mio interrogativo iniziale sullo staff mediatico del sindaco, leggo, infine, che dopo l'assunzione di circa 25 addetti ufficio stampa (effettivamente la lista di cui sopra li potrebbe contenere tutti) il più ascoltato è un certo Luigi Crespi. Cliccando su Google sotto il suo nome mi compare in terza posizione: “Corriere della Sera, arrestato il sondaggista Luigi Crespi, 29 settembre 2005 e ancora “Crac Hdc, Crespi condannato a sette anni”. Un'altra tenuta molto in considerazione sarebbe la Cisnetto, consorte di Enrico Cisnetto, colui che organizza "Cortinaincontra", appuntamento che la "Roma che conta" ogni anno non può mancare o per dirla come Statera su Repubblica “evento finanziato soprattutto dalle imprese più care a Bisignani, una specie di passerella di amministratori delegati in cerca di una ripresa televisiva e di una marchetta giornalistica, in cambio di un modesto contributo pagato dai loro azionisti”. Non ancora soddisfatta mi arrendo al pensiero che nessuno avrebbe potuto salvare Aledanno e dopo la chiosa ad un’intervista trasmessa dalla trasmissione “Presadiretta” ieri sera, ore 23.00 circa, su RaiTre quando Aledanno dichiarava: “Mi ricandido, ho salvato Roma, ho salvato la Capitale dal default, ho fatto un  miracolo”, inizio a pensare che il vero miracolo sarà liberarsene del super sindaco più "sfortunato" della storia d'Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

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