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attualità, politica, cultura

 

 
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G7: UN AFFARE PRIVATO TRA USA E GERMANIA

Post n°1100 pubblicato il 08 Giugno 2015 da r.capodimonte2009
 

Il paradosso di questo G7, arroccato in una fortezza dell’alta Baviera (e poi gli storici hanno sparlato per settant’anni del “nido dell’aquila” hitleriano!), è soprattutto focalizzato sulle “presenze”: ne manca una, la più importante, che rappresenta ¼ della potenza economica e strategica mondiale, e ½ Europa, fino agli Urali, la Russia di Putin; e ce n’è una che non dovrebbe prenderne parte, perchè non è più da tempo una delle 7 potenze più industrializzate del mondo, l’Italia di Renzi, presente solo per intercessione del Presidente Usa. Una terza si aggira come un “fantasma” tra i cortili e le torri bavaresi, ed è l’Unione Europea, e che serve ai due protagonisti assoluti del meeting, per sostenere un alibi. La Gran Bretagna esce da una prova elettorale che la sta spingendo fuori dai giochi europei, perché anela di sganciarsi dall’abbraccio mortale tedesco e ritornare ad essere strategicamente libera dalla camicia di forza in cui è costretta, dall’inciucio tra Berlino e Washington (visto di cattivissimo occhio, sia dall’India, che dal Brasile, che dal Sudafrica, le tre vere potenze, che con la Cina rappresentano proprio l’alternativa al G7!), La Francia, si configura come l’eterno propugnatore di una “grandeur” che è scarabocchiata ormai solo sui libri di storia, il Giappone, che in pieno contrasto con le strategie della Casa Bianca, viene al G7 per non far pesare troppo il contrasto; e il Canada che fa blocco con gli Usa, ma si guarda bene dal seguirli nella logica politica di Obama.

Si tratta di un vecchio canovaccio, che risale ai tempi in cui l’Alleanza Atlantica si contrapponeva militarmente all’URSS, l’Europa ci stava dentro anima e corpo, con le duecento basi strategiche americane sparse sui suoi territori esclusivamente occidentali, il Giappone fungeva da cassaforte per miliardi di dollari svalutati della Federal Reserve, Francia e Gran Bretagna si rincorrevano, con le loro pezze nel di dietro, a chi le raccontava più grosse, e l’Italia, per un nonnulla, era la settima potenza industriale del mondo, ma già fuori dal boom economico. Allora la Germania soffriva ancora della spartizione, ed era solo un’espressione geografica (siamo nel 1976), e la Russia abitava oltre la cortina di Ferro, mentre gli Usa si destreggiavano a colpi d’imperialismo con i generali moscoviti. Poi, non certo per i meriti della CIA, a cui facevano fin troppo comodo i colpi di mano autoritari del Kremlino (dall’invasione dell’Ungheria, a quella della Cecoslovacchia e dell’Afghanistan), per mostrare i muscoli e dare il contentino all’industria pesante di casa propria, alla fine degli Anni Ottanta, tutto precipitò: l’Europa dell’Est implose, e si trascinò dietro ciò che restava dell’impero sovietico, ormai alla fame. A quel punto i partiti socialisti europei giocarono la carta dell’unificazione tedesca, è fu il loro più grande errore: pensarono che una Germania unita avrebbe portato fino in fondo il progetto “comunitario”, finora conteso tra Londra e Parigi, e destinato a restare lettera morta; che una Germania “riarmata” e potenziata economicamente, avrebbe finalmente  allentato la subalternità nei confronti di Washington, che durava, imperterrita, dal 1945.

Da qui la velocizzazione incosciente che i vari Schroeder, Mitterand, Blair, Amato, Ciampi, e poi Prodi, immisero nel progetto, “senza minimamente rispettare quelli che erano i presupposti iniziali, cioè prima un’unificazione politica, sociale e culturale, e poi quella economica”. E il secondo errore fu quello di “affidare” la parte economica a tutta una serie di figure, “collegate mani e piedi all’alta finanza americana”, le quali “strutturarono” la nuova entità, “solo ed esclusivamente, da cassa di risonanza dell’economia americana, su cui questa avrebbe scaricato tutte le sue contraddizioni e speculazioni”, ciò che è puntualmente avvenuto ed avviene. Il terzo errore, infine, fu che i banchieri e i politici statunitensi, in cambio della autorizzazione a rafforzare la Germania, pretesero, a quel punto, che questa li sostituisse, non solo come “cane da guardia” strategico, posta com’era a cavallo degli ex-confini della “cortina”, ma soprattutto come “sapiente advisor finanziario”, immettendo nelle sua disponibilità tutta la forza finanziaria, usuraia e predatrice del FMI, che da quel giorno, iniziò quell’alleanza letale, per indebolire le economie meno protette, e divorarle, un po’ alla volta, senza ritegno, a cominciare da quelle che erano state spinte a forza dentro la “comunità” senza averne minimamente le armi di difesa, per subirne l’impatto: Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Italia e Francia; Londra, messa sull’avviso di questa futura carneficina, dai suoi uomini sparsi nell’alta finanza, si tenne prudentemente fuori dall’euro!

Ecco, perciò, quel che è il G7, oggi: un appuntamento tra creditori e liquidatori, o meglio, curatori fallimentari, per considerare quali saranno le prossime predazioni, il cui valore d’asta, sarà spartito, quanto a provvigioni, dalla Germania, e quanto a capitale, dai tentacoli finanziari di Wall Street e della Banca Mondiale. C’è un però: che la Russia di Putin non è disposta a farsi “coinvolgere” in questa mattanza mondiale, perché le sue università non sfornano né dottrine neo-liberiste né monetariste, e quindi si pone come alternativa anche ideologica, oltre che economica, aprendosi come un’ostrica preziosa ai popoli vessati dalla “torbida alleanza”, come l’ha definita ieri lo stesso Obama “degli inseparabili”, Usa e Germania. E da qui l’ostilità profonda, che ormai si sta tramutando in odio, tra il Presidente “yankee”, senza più poteri, a causa dei grandi errori commessi in politica interna ed internazionale, e Putin, che va avanti per la sua strada, che l’altro tenta di far passare come “canaglia”; quando di “canaglia” ce n’è una sola, quella che dal 2008 in poi ha messo in crisi l’intero assetto mondiale, grazie agli intrighi finanziari della sua “corte”, ed oggi spera di ritornare in auge, sventolando i vecchi fantasmi dell’imperialismo “democratico”, a cui non crede più nessuno, tantomeno la Germania, che recita la sua brava parte in commedia, in attesa che Obama traslochi dalla Casa Bianca, e il prossimo inquilino le conceda ancora più spazi di manovra, per allargare la sua influenza.

Questo formidabile e letale “patto d’acciaio” ha solo due limiti: l’economia americana, già alle prese con nuovi cali occupazionali, e un inarrestabile aumento del debito pubblico, che né Giappone, né Cina riescono più ad assorbire, e quindi Washington pretende al più presto l’accordo commerciale con gli Europei, che saranno costretti a pagare in euro le derrate tossiche che ci imporrà il TTIP, accrescendo da capo il valore della moneta unica, a scapito del dollaro. Se per ipotesi i tempi si facessero lunghi, allora gli “yankee” avranno assoluto bisogno di menare le mani in una “guerra” che rimpingui i forzieri esangui delle grandi corporated: e gli ipotetici fronti potrebbero essere o l’Iran, dopo l’accordo-farsa tra i due Paesi che gli ayatollah non hanno alcuna intenzione di rispettare, perché conoscono fin troppo bene il convitato di pietra israeliano; o l’Isis, ma, in quest’ultimo caso, il prezzo da pagare, in termini di credibilità sarebbe troppo alto, perché si troverebbero a combattere contro armi americane! Il secondo limite è la scheggia impazzita greca, le cui scintille, malissimo gestite dalla UE, potrebbero innescare un grande incendio, come la fuga da questa anche di altri Paesi, ormai definitivamente euroscettici, sia di eurozona, come l’Italia, che fuori zona, come Polonia e Ungheria; nel qual caso il nuovo partner economico di riferimento non potrebbe non essere il Kremlino.

L’Italia, d’altra parte, rappresentata da un “guitto” che alle spalle è retto solo da una decina di deputati trasformisti, e da una canea di deputati corrotti, già abbondantemente surclassato dai “colleghi” europei in tema di immigrazione, è la mina inesplosa che gli “inseparabili” si trovano a maneggiare, mentre la cosiddetta “antipolitica” anti-euro si fa sempre più sotto. E quindi lo tengono “sospeso”, non condividono con lui gli “accordi segreti”, lo snobbando perché lo considerano uno “scherzo politico”.

Tutto il resto sono chiacchiere: il G7, ripetiamo, si porta dietro dati economici di oltre 35 anni fa, quando di euro ancora non si parlava, e ad altro non serve che a plagiare gli stolti su una “pluralità” di interessi e di problemi, che restano, sia dal punto di vista causale che decisionale, in mano solo ai due “inseparabili”.

Fino al momento in cui l’Europa, finalmente ritornerà libera. (ITALIADOC)

 
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