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Creato da: r.capodimonte2009 il 13/10/2009
attualità, politica, cultura

 

 
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Quando il PD non governa più, si fanno i conti!

Post n°1220 pubblicato il 01 Dicembre 2015 da r.capodimonte2009
 

Livorno, come la Toscana, l’Umbria, le Marche e l’Emilia sono da cinquant’anni feudi della sinistra, e in particolare dell’ex-PCI, poi passato da tutte le sue svolte trasformistiche, fino a diventare l’odierno PD. Il "capolavoro" che questo partito egemone ha compiuto in tutto questo tempo è stato duplice: aver catalogato una classe dirigente di persone cresciute sotto l’egida di una scuola sociale ed economica esclusiva, in modo da penetrare in profondità nel tessuto di intere comunità, avocandosele a sé, anche dal punto di vista elettorale, nell’ambito di territori tra i più ricchi di risorse della penisola; aver gestito in prima persona tutti gli strumenti operativi atti a creare una specie di monopolio finanziario che nutrisse sia la stessa classe dirigente che le proprie iniziative, senza che minimamente lo Stato potesse intervenire per controllare e regolamentare. In poche parole, questa enclave indipendente dal potere centrale, ne creò uno autonomo: uno Stato entro lo Stato.

Quale fu la motivazione politica per cui si addivenì a questo patto scellerato? Il potere preferì lasciare a se stessa questa grossa fetta dell’economia nazionale, purchè essa non ostacolasse altri privilegi, come quelli che lo Stato riservava all’industria di Stato e alla grande industria privata, sempre in funzione politica; alle banche, libere di operare molto al di fuori delle regole, ai sindacati, compartecipativi di queste realtà, sempre pronti a trovare compromessi perché il duopolio restasse compatto.

Gli strumenti del potere economico della sinistra li conosciamo bene da pochi anni, cioè da quando la mancanza delle regole ha determinato una crisi profonda del modello “rosso”, e questo per la ragione, che la pompa finanziaria che produceva risorse le devolveva al partito “moloch” e alla sue diramazioni, sindacati, enti del parastato, cooperative, istituti di credito, fondazioni, privandone sia la quota investimento che la quota garanzie; fino al punto di scoprire che interi settori degli appalti, ma anche vasti settori dell’assistenza sociale, venivano gestiti con vere e proprie modalità criminali. Agricoltura, pesca, edilizia, commercio, assistenza sanitaria, ambiente, erano questi i settori di massima espansione, che oggi vengono citati per lo più in tribunale, con perdite di decine di miliardi di partecipazioni, e strutture.

E quando qualcuno, come è accaduto con l’episodio del MPS, apre il coperchio del comportamento malavitoso, ecco che l’intero mondo politico, e le stesse comunità che si sono accucciate sotto questi ombrelli protettivi, si stringono a difesa dei privilegi, che, ahimè, sono caduti in pezzi, a  danno spesso di migliaia di lavoratori e famiglie.

Questo cappello serve perché è la seconda volta che il M5S elegge un sindaco di una grande città rossa, e per la seconda volta si trova in mano solo cenere e debiti, senza che nessuno, né magistratura (collusa), né Regioni (strettamente legate al malgoverno locale), né tanto meno lo Stato, abbia fatto almeno finta di accorgersene. A Parma, Pizzarotti si trovò di fronte decine di milioni di buco, a causa della connivenza delle amministrazioni precedenti con il monopolio dell’ambiente, cioè con una serie di iniziative criminali riguardanti la nascita di almeno tre inceneritori abusivi, fonte di immensi ricavi da parte di aziende facilmente riconducibili al PD; a Livorno, proprio in questi giorni, il sindaco Nogarin, da poco eletto primo cittadino, si trova tra le mani la municipalizzata dei rifiuti, AAMPS, con 42 milioni di buco, senza che mai sindaco precedente (PD), consiglio di amministrazione (in mano alla CGIL), o magistrati siani andati a preoccuparsi della falla.

Sarebbe forse il caso di vedere, allora, come dovrebbe funzionare una municipalizzata. 
Le municipalizzate sono aziende di proprietà pubblica (municipale, appunto) che, essendo votate allo svolgimento di servizi essenziali per la comunità locale, operano in regime di monopolio. Questo, tra le altre cose, vuol dire che esse possono contare su ricavi sicuri, consistenti per lo più in trasferimenti finanziari dal comune azionista (come nel caso dell’Aamps, che riceve i danari frutto dell’esazione dell’imposta sui rifiuti) o in un mix di finanziamenti pubblici e proventi delle attività caratteristiche. Perciò niente rischio di mercato, niente concorrenti, niente rischio di impresa, nessuna ragione al mondo per la quale il bilancio possa chiudere in perdita se all’inizio dell’esercizio il fabbisogno finanziario dell’azienda è stato correttamente preventivato. E qui sottolineiamo un prezioso concetto di economia aziendale per principianti: in ogni azienda che si rispetti e fatti salvi eventi eccezionali e imprevedibili (tifoni che fanno volare via i camion dell’immondizia, spazzini che si gettano tra le presse della discarica, gente che mette bombe atomiche nel contenitore dell’umido), i costi dell’attività d’impresa sono, in linea di massima, prevedibili. “Prevedibili” vuol dire che il management (a maggior ragione quello di un’impresa pubblica), con una certa precisione, deve sapere quanto spenderà in corso d’anno e perché, ben prima di farlo. Il comune azionista della municipalizzata, a propria volta, può (anzi deve!) essere in grado di determinare con esattezza e preventivamente quale debba essere l’entità dei trasferimenti finanziari da effettuare verso l’azienda, onde consentirle di operare in pareggio. Opinando sulla base di questa logica spicciola si deve necessariamente concludere che, in un mondo che funziona correttamente, semplicemente, non esiste la possibilità che una municipalizzata contragga debiti di importo rilevante, giacché essa avrà per tempo previsto il fabbisogno futuro – e lo avrà fatto finanziare dall’azionista pubblico – e dovrà semplicemente astenersi dal sostenere costi ulteriori rispetto a quelli strettamente indispensabili e preventivati.

Tutto ciò premesso, e considerato che l’Aamps ha negli anni contratto ben 42 milioni di debiti con banche e fornitori, dobbiamo chiederci:
1) Erano i costi aziendali della Aamps prevedibili come quelli di tutte le aziende?
2) Si sono verificati eventi eccezionali tali da generare costi imprevisti di entità rilevante?

Se le risposte a queste due domande sono quelle dettate dal buon senso, allora le conclusioni del ragionamento che riguarda la vicenda livornese non possono che essere tre:
1) Le giunte comunali livornesi degli anni passati hanno ridotto progressivamente e immotivatamente i trasferimenti pubblici all’Aamps, costringendola a contrarre debiti con fornitori e banche pur di andare avanti 2) Le giunte comunali livornesi degli anni passati hanno dormito mentre il management dell’Aamps violava sistematicamente i vincoli di bilancio, spendendo e spandendo allegramente e fregandosene delle risorse disponibili 3) Le giunte comunali livornesi degli anni passati, con la complicità del management dell’Aamps ha utilizzato la municipalizzata come si utilizzano di solito le municipalizzate in Italia, ovvero per assumere gli amici, gli amici degli amici, fare favori, arricchire parenti a carico della comunità.

E adesso Nogarin cosa dovrebbe fare: continuare a chiudere gli occhi, come hanno fatto a Siena i senesi quando è fallita la loro banca, o a Reggio Emilia i reggiani, quando è fallita Coopsette; o a Roma i Romani, di fronte ai pregiudicati delle cooperative mafiose; o a Parma i parmigiani, quando si sono accorti che il costo delle immondizie bruciato dalla Iren era il doppio di quello  della raccolta differenziata?

E perché il PD, la CGIL e le commissioni interne dell’AAMPS hanno tanta paura che Nogarin porti i libri in tribunale, dove finalmente i giudici possano vedere chi si è pappato il malloppo? (R.Scagnoli)

 

 

 
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