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Cime

Post n°104 pubblicato il 03 Luglio 2007 da ventovela

La fine della vita è irrinunciabile. Non solo ineluttabile, inevitabile, obbligata. La fine sta alla vita come il sapore al cibo. Noi siamo abituati a vederla come nemica, invece è la fine che dà significato alla vita stessa. La nostra è un'esistenza di scadenze e rendiconti. L'eternità, dove ogni evento è rimandabile, dove l'urgenza non ha senso, non ci appartiene. 

La temporaneità è l'unica costante dell'esistenza. Su questo solo concetto dovremmo imparare ad esistere: sulla consapevolezza che nulla è per sempre - il tempo, le occasioni, le relazioni perfino -  e che l'unica cosa che si può accumulare è la vita stessa. 
Azioni immaginate o azioni compiute?
Cose da raccontare o cose ancora da sognare?
Ferite evitate o segni di battaglia?

Invece passiamo il tempo a cercare di evitare il pensiero della fine, a fingere che non ci sarà mai. E ci sentiamo oltraggiati dalla sorte (sicuramente avversa!) quando la fine sopraggiunge, confusi in vaghi sensi di ingiustizia e accanimento del destino. E rimaniamo a bocca aperta a sussurrare cento 'perché' increduli, secchi e insipidi come briciole sfatte - in ginocchio, in lacrime, davanti a santi inpolverati a mormorare controincantesimi. Come mosche che sbattono contro i vetri.

 
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Commenti al Post:
champaosel
champaosel il 04/07/07 alle 20:31 via WEB
tutto in natura si svolge per cicli con un inizio, un apice e una fine, tutto. così le galassie, come i continenti e tutte le forme viventi comprese la nostra. questa è la nostra condizione. e niente può garantire che il ciclo si compia totalmente. ciò non toglie che la morte di un bambino addolori di più di quella di un anziano...
(Rispondi)
ventovela
ventovela il 04/07/07 alle 22:24 via WEB
sì, hai perfettamente ragione. ho scritto pensando ad una vita che si compie, che arriva ad un termine naturale - la morte di un bambino addolora in modo indicibile.
(Rispondi)
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